985 resultados para cellule ganglionnaire de la rétine
Resumo:
In questo elaborato si affrontano problematiche cliniche legate ai traumi gravi della cute in cui è necessario intervenire chirurgicamente per ripristinare una situazione normale: si approfondisce lo studio della fisiologia del tessuto, la classificazione dei gradi delle ustioni della pelle, la guarigione delle ferite e la meccanica della cute. Il trapianto di tessuto autologo costituisce la soluzione più efficace e con minori complicazioni. Tuttavia il paziente potrebbe non presentare una superficie di cute disponibile sufficientemente estesa, per cui si ricorre ad altri metodi. In primo luogo, si effettuano degli allotrapianti di tessuto di donatore cadavere prelevati secondo le normative vigenti e conservati attraverso le varie tecniche, il cui sviluppo ha consentito una durata di conservazione maggiore; mentre la glicerolizzazione abbatte al 100% il rischio di trasmissione di patologie e lo sviluppo di microorganismi, la crioconservazione preserva la vitalità del tessuto. La chirurgia utilizzata per queste operazioni si avvale di tecnologie innovative come la Tecnologia a Pressione Negativa. Un'alternativa necessaria per sopperire all'ingente richiesta di tessuto di donatore sono i sostituti cutanei, che presentano un grande potenziale per il futuro. Per eliminare totalmente il rischio di rigetto sarebbe necessario personalizzare il costrutto utilizzando cellule autologhe, ma la ricerca è stata rallentata da minori investimenti da parte dell'industria biomedica, che si è maggiormente focalizzata sulla realizzazione di prodotti utilizzabili da un più ampio raggio di pazienti. Per queste ragioni, l'ingegneria tissutale della cute ha trovato più ampio campo di applicazione nel sistema dei test in vitro. A tale scopo sono stati creati dei protocolli certificati per testare la corrosività, la irritabilità e la vitalità del tessuto cutaneo, quali EpiDerm, EpiSkin e SkinEthic che si avvalgono dell'uso del metodo MMT e della spettrofotometria, che è diventata un supporto fondamentale per le scienze biologiche.
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L'elaborato ha lo scopo di esporre la ricerca condotta in campo dei sostituenti sanguigni artificiali. Viene presentata una prima parte di introduzione al tessuto sanguigno spiegando la sua composizione e la sua funzione. Si passa poi ai sostituenti acellulari derivati dall'emoglobina spiegando le loro caratteristiche e i loro impieghi; infine si introducono le cellule artificiali con la rispettiva evoluzione in campo tecnologico e le possibili applicazioni in ambito terapeutico.
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AIM The autonomic innervation of the heart consists of sympathetic and parasympathetic nerve fibres, and fibres of the intrinsic ganglionated plexus with noradrenaline and acytylcholine as principal neurotransmitters. The fibres co-release neuropeptides to modulate intracardiac neurotransmission by specific presynaptic and postsynaptic receptors. The coexpression of angiotensin II in sympathetic fibres of the human heart and its role are not known so far. METHODS Autopsy specimens of human hearts were studied (n=3; ventricles). Using immunocytological methods, cryostat sections were stained by a murine monoclonal antibody (4B3) directed against angiotensin II and co-stained by polyclonal antibodies against tyrosine hydroxylase, a catecholaminergic marker. Visualisation of the antibodies was by confocal light microscopy or laser scanning microscopy. RESULTS Angiotensin II-positive autonomic fibres with and without a catecholaminergic cophenotype (hydroxylase-positive) were found in all parts of the human ventricles. In the epicardium, the fibres were grouped in larger bundles of up to 100 and more fibres. They followed the preformed anatomic septa and epicardial vessels towards the myocardium and endocardium where the bundles dissolved and the individual fibres spread between myocytes and within the endocardium. Generally, angiotensinergic fibres showed no synaptic enlargements or only a few if they were also catecholaminergic. The exclusively catechalominergic fibres were characterised by multiple beaded synapses. CONCLUSION The autonomic innervation of the human heart contains angiotensinergic fibres with a sympathetic efferent phenotype and exclusively angiotensinergic fibers representing probably afferents. Angiotensinergic neurotransmission may modulate intracardiac sympathetic and parasympathetic activity and thereby influence cardiac and circulatory function.
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Nel sesso maschile il carcinoma della prostata (CaP) è la neoplasia più frequente ed è tra le prime cause di morte per tumore. Ad oggi, sono disponibili diverse strategie terapeutiche per il trattamento del CaP, ma, come comprovato dall’ancora alta mortalità, spesso queste sono inefficaci, a causa soprattutto dello sviluppo di fenomeni di resistenza da parte delle cellule tumorali. La ricerca si sta quindi focalizzando sulla caratterizzazione di tali meccanismi di resistenza e, allo stesso tempo, sull’individuazione di combinazioni terapeutiche che siano più efficaci e capaci di superare queste resistenze. Le cellule tumorali sono fortemente dipendenti dai meccanismi connessi con l’omeostasi proteica (proteostasi), in quanto sono sottoposte a numerosi stress ambientali (ipossia, carenza di nutrienti, esposizione a chemioterapici, ecc.) e ad un’aumentata attività trascrizionale, entrambi fattori che causano un accumulo intracellulare di proteine anomale e/o mal ripiegate, le quali possono risultare dannose per la cellula e vanno quindi riparate o eliminate efficientemente. La cellula ha sviluppato diversi sistemi di controllo di qualità delle proteine, tra cui gli chaperon molecolari, il sistema di degradazione associato al reticolo endoplasmatico (ERAD), il sistema di risposta alle proteine non ripiegate (UPR) e i sistemi di degradazione come il proteasoma e l’autofagia. Uno dei possibili bersagli in cellule tumorali secretorie, come quelle del CaP, è rappresentato dal reticolo endoplasmatico (RE), organello intracellulare deputato alla sintesi, al ripiegamento e alle modificazioni post-traduzionali delle proteine di membrana e secrete. Alterazioni della protestasi a livello del RE inducono l’UPR, che svolge una duplice funzione nella cellula: primariamente funge da meccanismo omeostatico e di sopravvivenza, ma, quando l’omeostasi non è più ripristinabile e lo stimolo di attivazione dell’UPR cronicizza, può attivare vie di segnalazione che conducono alla morte cellulare programmata. La bivalenza, tipica dell’UPR, lo rende un bersaglio particolarmente interessante per promuovere la morte delle cellule tumorali: si può, infatti, sfruttare da una parte l’inibizione di componenti dell’UPR per abrogare i meccanismi adattativi e di sopravvivenza e dall’altra si può favorire il sovraccarico dell’UPR con conseguente induzione della via pro-apoptotica. Le catechine del tè verde sono composti polifenolici estratti dalle foglie di Camellia sinesis che possiedono comprovati effetti antitumorali: inibiscono la proliferazione, inducono la morte di cellule neoplastiche e riducono l’angiogenesi, l’invasione e la metastatizzazione di diversi tipi tumorali, tra cui il CaP. Diversi studi hanno osservato come il RE sia uno dei bersagli molecolari delle catechine del tè verde. In particolare, recenti studi del nostro gruppo di ricerca hanno messo in evidenza come il Polyphenon E (estratto standardizzato di catechine del tè verde) sia in grado, in modelli animali di CaP, di causare un’alterazione strutturale del RE e del Golgi, un deficit del processamento delle proteine secretorie e la conseguente induzione di uno stato di stress del RE, il quale causa a sua volta l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR. Nel presente studio su due diverse linee cellulari di CaP (LNCaP e DU145) e in un nostro precedente studio su altre due linee cellulari (PNT1a e PC3) è stato confermato che il Polyphenon E è capace di indurre lo stress del RE e di determinare l’attivazione delle vie di segnalazione dell’UPR, le quali possono fungere da meccanismo di sopravvivenza, ma anche contribuire a favorire la morte cellulare indotta dalle catechine del tè verde (come nel caso delle PC3). Considerati questi effetti delle catechine del tè verde in qualità di induttori dell’UPR, abbiamo ipotizzato che la combinazione di questi polifenoli bioattivi e degli inibitori del proteasoma, anch’essi noti attivatori dell’UPR, potesse comportare un aggravamento dell’UPR stesso tale da innescare meccanismi molecolari di morte cellulare programmata. Abbiamo quindi studiato l’effetto di tale combinazione in cellule PC3 trattate con epigallocatechina-3-gallato (EGCG, la principale tra le catechine del tè verde) e due diversi inibitori del proteasoma, il bortezomib (BZM) e l’MG132. I risultati hanno dimostrato, diversamente da quanto ipotizzato, che l’EGCG quando associato agli inibitori del proteasoma non produce effetti sinergici, ma che anzi, quando viene addizionato al BZM, causa una risposta simil-antagonistica: si osserva infatti una riduzione della citotossicità e dell’effetto inibitorio sul proteasoma (accumulo di proteine poliubiquitinate) indotti dal BZM, inoltre anche l’induzione dell’UPR (aumento di GRP78, p-eIF2α, CHOP) risulta ridotta nelle cellule trattate con la combinazione di EGCG e BZM rispetto alle cellule trattate col solo BZM. Gli stessi effetti non si osservano invece nelle cellule PC3 trattate con l’EGCG in associazione con l’MG132, dove non si registra alcuna variazione dei parametri di vitalità cellulare e dei marcatori di inibizione del proteasoma e di UPR (rispetto a quelli osservati nel singolo trattamento con MG132). Essendo l’autofagia un meccanismo compensativo che si attiva in seguito all’inibizione del proteasoma o allo stress del RE, abbiamo valutato che ruolo potesse avere tale meccanismo nella risposta simil-antagonistica osservata in seguito al co-trattamento con EGCG e BZM. I nostri risultati hanno evidenziato, in cellule trattate con BZM, l’attivazione di un flusso autofagico che si intensifica quando viene addizionato l’EGCG. Tramite l’inibizione dell’autofagia mediante co-somministrazione di clorochina, è stato possibile stabilire che l’autofagia indotta dall’EGCG favorisce la sopravvivenza delle cellule sottoposte al trattamento combinato tramite la riduzione dell’UPR. Queste evidenze ci portano a concludere che per il trattamento del CaP è sconsigliabile associare le catechine del tè verde con il BZM e che in futuri studi di combinazione di questi polifenoli con composti antitumorali sarà importante valutare il ruolo dell’autofagia come possibile meccanismo di resistenza.
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Le glaucome est un groupe hétérogène de maladies qui sont caractérisées par l’apoptose des cellules ganglionnaires de la rétine et la dégénérescence progressive du nerf optique. Il s’agit de la première cause de cécité irréversible, qui touche environ 60 millions de personnes dans le monde. Sa forme la plus commune est le glaucome à angle ouvert (GAO), un trouble polygénique causé principalement par une prédisposition génétique, en interaction avec d’autres facteurs de risque tels que l’âge et la pression intraoculaire élevée (PIO). Le GAO est une maladie génétique complexe, bien que certaines formes sévères sont autosomiques dominantes. Dix-sept loci ont été liés à la maladie et acceptés par la « Human Genome Organisation » (HUGO) et cinq gènes ont été identifiés à ces loci (MYOC, OPTN, WDR36, NTF4, ASB10). Récemment, des études d’association sur l’ensemble du génome ont identifié plus de 20 facteurs de risque fréquents, avec des effets relativement faibles. Depuis plus de 50 ans, notre équipe étudie 749 membres de la grande famille canadienne-française CA où la mutation MYOCK423E cause une forme autosomale dominante de GAO dont l’âge de début est fortement variable. Premièrement, il a été montré que cette variabilité de l’âge de début de l’hypertension intraoculaire possède une importante composante génétique causée par au moins un gène modificateur. Ce modificateur interagit avec la mutation primaire et altère la sévérité du glaucome chez les porteurs de MYOCK423E. Un gène modificateur candidat WDR36 a été génotypé dans 2 grandes familles CA et BV. Les porteurs de variations non-synonymes de WDR36 ainsi que de MYOCK423E de la famille CA ont montré une tendance à développer la maladie plus jeune. Un outil de forage de données a été développé pour représenter des informations connues relatives à la maladie et faciliter la priorisation des gènes candidats. Cet outil a été appliqué avec succès à la dépression bipolaire et au glaucome. La suite du projet consiste à finaliser un balayage de génome sur la famille CA et à séquencer les loci afin d’identifier les variations modificatrices du glaucome. Éventuellement, ces variations permettront d’identifier les individus dont le glaucome risque d’être plus agressif.
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La détermination de la structure d’une molécule dans une cellule est souvent la première étape à la compréhension de son mode d’action. Un exemple flagrant est le riborégulateur, qui est un ARN hautement structuré capable de lier un ligand et de modifier la régulation génique chez les bactéries. Cette étude se penche sur la structure de l’aptamère d’un riborégulateur pouvant se lier au métabolite S-adénosylméthionine (SAM), qui est impliqué dans des réactions de méthylations essentielles dans une cellule. Plus précisément, le modèle sélectionné pour ces travaux provient de la famille SAM-I et est composé de quatre tiges (P1 à P4). En utilisant des techniques biophysiques telles le FRET et le single-molecule FRET (sm-FRET), nous pouvons comprendre plus en détails le dynamisme structural du repliement de l’aptamère qui se passe en deux étapes. La première étape de repliement de l’aptamère est constituée par la formation de l’état intermédiaire induite par la liaison du magnésium. Cet état a été caractérisé grâce à des mutations nucléotidiques bloquant des changements conformationnels spécifiques. Aussi, cette étude a permis d’ajouter des détails biophysiques sur la dernière étape de repliement de l’aptamère induite par la liaison de SAM. La réorganisation finale du site de liaison implique une rotation de la tige P1. D’ailleurs, la formation de la tige P1 permet le contrôle direct de l’expression génétique. Ces deux étapes permettent à l’aptamère du riborégulateur SAM d’adopter sa structure native essentielle à l’arrêt de transcription. En bref, nous décrivons en détail les mécanismes structuraux expliquant le fonctionnement du riborégulateur SAM. Certains de ces mécanismes pourraient être communs à plusieurs classes de riborégulateurs, d’où l’intérêt de prospecter d’autres cibles.
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Questa tesi si inserisce nel campo della Bioelettronica Organica con lo scopo di utilizzare dei transistor elettrochimici (OECT) organici basati sul polimero conduttivo PEDOT:PSS per rilevare l’integrità di un tessuto cellulare e come biosensori di analiti in soluzione. Nella prima parte dell’elaborato, si spiegano le proprietà ed il trasporto di carica dei polimeri coniugati concentrandosi sulle caratteristiche fisico chimiche del PEDOT:PSS, seguito da una trattazione analitica del principio di funzionamento di un OECT. La seconda parte, si concentra sul lavoro sperimentale partendo da una descrizione dei processi di fabbricazione degli OECT, dei metodi di caratterizzazione utilizzati e della progettazione del set-up sperimentale per permettere le misure elettriche nell’incubatore cellulare. In seguito, viene dimostrato l’uso di un OECT completamente a base di PEDOT:PSS come sensore di un neurotrasmettitore (dopamina). In parallelo, il lavoro si è concentrato sull’ottimizzazione dei transistor in termini di formulazione di PEDOT:PSS e di geometria del dispositivo per ottenere tempi di spegnimento veloci compatibili con le risposte cellulari (<300ms). In fase di preparazione alle misure con le cellule si è valutato la funzionalità dell’OECT nelle condizioni di coltura cellulare dimostrando una buona stabilità dei dispositivi. Inoltre, sono stati progettati degli studi di simulazione tramite una membrana porosa per prevedere le risposte dei transistor in presenza di un tessuto cellulare. Partendo dall’esito positivo dei test preliminari, il lavoro si è concluso con il primo esperimento con le cellule tumorali HeLa, in cui si è monitorata la crescita cellulare con immagini ottiche correlate alle misure elettriche. I primi risultati confermano la biocompatibilità dei dispositivi e una risposta elettrica degli OECTs alla presenza delle cellule, aprendo la possibilità di utilizzare questi dispositivi per futuri esperimenti anche con diversi tipi di cellule.
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Les récepteurs couplés aux protéines G (RCPG) démontrent de plus en plus de capacités à activer des mécanismes jusqu’alors associés à des facteurs de transcription ou des molécules d’adhésion. En effet, de nouvelles preuves rapportent qu’ils pourraient également participer au guidage axonal qui est le mécanisme permettant aux axones de cellules nerveuses de rejoindre leur cible anatomique. Le guidage axonal se fait par l’interaction entre les molécules de guidage et une structure particulière présente à l’extrémité de l’axone, le cône de croissance. Par exemple, les RCPGs participent au guidage des cellules ganglionnaires de la rétine (CGR), dont les axones s’étendent de la rétine jusqu’au noyaux cérébraux associés à la vision. Cet effet est observé avec des RCPGs tels que les récepteurs aux cannabinoïdes (CB1 et CB2) et celui du lysophosphatidylinositol, le GPR55. Les RCPGs GPR91 et GPRG99, respectivement récepteurs au succinate et à l’α-cétoglutarate, se trouvent à la surface de ces CGRs, ce qui en font des candidats potentiels pouvant participer au guidage axonal. Dans ce mémoire, l’effet des ligands de ces récepteurs sur la croissance et la navigation des axones des CGRs fut analysé. L’impact produit par ces récepteurs ainsi que leurs ligands sur la morphologie des cônes de croissance fut déterminé en mesurant leur taille et le nombre de filopodes présents sur ces cônes. Pour évaluer le rôle du succinate et de l’a-cétoglutarate sur la croissance globale des axones de CGRs, la longueur totale des projections axonales d’explants rétiniens a été mesurée. L’effet de ces ligands des récepteurs GPR91 et GPR99 sur le guidage axonal a également été évalué en temps réel à l’aide d’un gradient créé par un micro injecteur placé à 45° et à 100µm du cône de croissance. La distribution in vivo des récepteurs GPR91 et GPR99 sur la rétine a été étudié à l’aide d’expériences d’immunohistochimie. Les résultats obtenus indiquent que l’ajout de 100µM de succinate produit une augmentation de la taille des cônes de croissance et du nombre de filopodes présents à leur surface. Il augmente également la croissance des axones. Ce type de réponse fut également observé lorsque les cellules furent soumises à 200µM d’α-cétoglutarate. Fait à noter, les deux récepteurs n’ont pas d’impact sur le guidage axonal. Ces résultats indiquent donc que les agonistes des récepteurs GPR91 et GPR99 augmentent la croissance des cellules ganglionnaires lorsqu’ils sont présents lors du développement. Par contre, ils n’ont pas d’influence sur la direction prise par les cônes de croissance. Ces nouvelles données sont un pas de plus dans la compréhension des mécanismes qui gèrent et participent au développement et la croissance des CGRs, ce qui pourrait donner de nouvelles cibles thérapeutique pouvant mener à la régénération de nerfs optiques endommagés.
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Les récepteurs couplés aux protéines G (RCPG) démontrent de plus en plus de capacités à activer des mécanismes jusqu’alors associés à des facteurs de transcription ou des molécules d’adhésion. En effet, de nouvelles preuves rapportent qu’ils pourraient également participer au guidage axonal qui est le mécanisme permettant aux axones de cellules nerveuses de rejoindre leur cible anatomique. Le guidage axonal se fait par l’interaction entre les molécules de guidage et une structure particulière présente à l’extrémité de l’axone, le cône de croissance. Par exemple, les RCPGs participent au guidage des cellules ganglionnaires de la rétine (CGR), dont les axones s’étendent de la rétine jusqu’au noyaux cérébraux associés à la vision. Cet effet est observé avec des RCPGs tels que les récepteurs aux cannabinoïdes (CB1 et CB2) et celui du lysophosphatidylinositol, le GPR55. Les RCPGs GPR91 et GPRG99, respectivement récepteurs au succinate et à l’α-cétoglutarate, se trouvent à la surface de ces CGRs, ce qui en font des candidats potentiels pouvant participer au guidage axonal. Dans ce mémoire, l’effet des ligands de ces récepteurs sur la croissance et la navigation des axones des CGRs fut analysé. L’impact produit par ces récepteurs ainsi que leurs ligands sur la morphologie des cônes de croissance fut déterminé en mesurant leur taille et le nombre de filopodes présents sur ces cônes. Pour évaluer le rôle du succinate et de l’a-cétoglutarate sur la croissance globale des axones de CGRs, la longueur totale des projections axonales d’explants rétiniens a été mesurée. L’effet de ces ligands des récepteurs GPR91 et GPR99 sur le guidage axonal a également été évalué en temps réel à l’aide d’un gradient créé par un micro injecteur placé à 45° et à 100µm du cône de croissance. La distribution in vivo des récepteurs GPR91 et GPR99 sur la rétine a été étudié à l’aide d’expériences d’immunohistochimie. Les résultats obtenus indiquent que l’ajout de 100µM de succinate produit une augmentation de la taille des cônes de croissance et du nombre de filopodes présents à leur surface. Il augmente également la croissance des axones. Ce type de réponse fut également observé lorsque les cellules furent soumises à 200µM d’α-cétoglutarate. Fait à noter, les deux récepteurs n’ont pas d’impact sur le guidage axonal. Ces résultats indiquent donc que les agonistes des récepteurs GPR91 et GPR99 augmentent la croissance des cellules ganglionnaires lorsqu’ils sont présents lors du développement. Par contre, ils n’ont pas d’influence sur la direction prise par les cônes de croissance. Ces nouvelles données sont un pas de plus dans la compréhension des mécanismes qui gèrent et participent au développement et la croissance des CGRs, ce qui pourrait donner de nouvelles cibles thérapeutique pouvant mener à la régénération de nerfs optiques endommagés.
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Le diabète de type 2 (DT2) apparaît lorsque la sécrétion d’insuline par les cellules β des îlots du pancréas ne parvient plus à compenser la résistance à l’insuline des organes cibles. Parmi les médicaments disponibles pour traiter le DT2, deux classes agissent en améliorant la sensibilité à l’insuline : les biguanides (metformine) et les thiazolidinediones (pioglitazone et rosiglitazone). Des études suggèrent que ces médicaments protègent également la fonction des cellules β. Dans le but d’identifier des mécanismes par lesquels les médicaments insulinosensibilisateurs protègent les cellules β, nous avons étudié les effets aigus de la metformine et de la pioglitazone sur le métabolisme et la fonction des cellules INS 832/13, sécrétrices d’insuline et des îlots pancréatiques isolés de rats. Nous avons aussi validé in vivo avec des rats Wistar les principales observations obtenues en présence de pioglitazone grâce à des clamps glucidiques et par calorimétrie indirecte. Le traitement aigu des cellules β avec de la pioglitazone ou de la metformine inhibe la sécrétion d’insuline induite par le glucose en diminuant la sensibilité des cellules au glucose (inhibition en présence de concentrations intermédiaires de glucose seulement). Dans les mêmes conditions, les traitements inhibent aussi plusieurs paramètres du métabolisme mitochondrial des nutriments et, pour la pioglitazone, du métabolisme des lipides. Les composés affectent le métabolisme en suivant un patron d’inhibition similaire à celui observé pour la sécrétion d’insuline, que nous avons nommé « décélération métabolique ». La capacité de la pioglitazone à inhiber la sécrétion d’insuline et à ralentir le métabolisme mitochondrial de façon aigüe se confirme in vivo. En conclusion, nous avons identifié la décélération métabolique de la cellule β comme nouveau mode d’action pour les médicaments insulinosensibilisateurs. La décélération métabolique causée par les agents insulinosensibilisateurs les plus utilisés semble provenir d’une inhibition du métabolisme mitochondrial et pourrait être impliquée dans les bienfaits de ceux-ci dans un contexte de stress métabolique. Le fait que les deux agents insulinosensibilisateurs étudiés agissent à la fois sur la sensibilité à l’insuline et sur la sécrétion d’insuline, les deux composantes majeures du DT2, pourrait expliquer pourquoi ils sont parmi les agents antidiabétiques les plus efficaces. La décélération métabolique est une approche thérapeutique à considérer pour le traitement du DT2 et d’autres maladies métaboliques.
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Le diabète de type 2 (DT2) est une maladie métabolique complexe causée par des facteurs génétiques mais aussi environnementaux, tels la sédentarité et le surpoids. La dysfonction de la cellule β pancréatique est maintenant reconnue comme l’élément déterminant dans le développement du DT2. Notre laboratoire s’intéresse à la sécrétion d’insuline par la cellule β en réponse aux nutriments calorigéniques et aux mécanismes qui la contrôle. Alors que la connaissance des mécanismes responsables de l’induction de la sécrétion d’insuline en réponse aux glucose et acides gras est assez avancée, les procédés d’inhibition de la sécrétion dans des contextes normaux ou pathologiques sont moins bien compris. L’objectif de la présente thèse était d’identifier quelques-uns de ces mécanismes de régulation négative de la sécrétion d’insuline dans la cellule β pancréatique, et ce en situation normale ou pathologique en lien avec le DT2. La première hypothèse testée était que l’enzyme mitochondriale hydroxyacyl-CoA déshydrogénase spécifique pour les molécules à chaîne courte (short-chain hydroxyacyl-CoA dehydrogenase, SCHAD) régule la sécrétion d’insuline induite par le glucose (SIIG) par la modulation des concentrations d’acides gras ou leur dérivés tels les acyl-CoA ou acyl-carnitine dans la cellule β. Pour ce faire, nous avons utilisé la technologie des ARN interférants (ARNi) afin de diminuer l’expression de SCHAD dans la lignée cellulaire β pancréatique INS832/13. Nous avons par la suite vérifié chez la souris DIO (diet-induced obesity) si une exposition prolongée à une diète riche en gras activerait certaines voies métaboliques et signalétiques assurant une régulation négative de la sécrétion d’insuline et contribuerait au développement du DT2. Pour ce faire, nous avons mesuré la SIIG, le métabolisme intracellulaire des lipides, la fonction mitochondriale et l’activation de certaines voies signalétiques dans les îlots de Langerhans isolés des souris normales (ND, normal diet) ou nourries à la dière riche en gras (DIO) Nos résultats suggèrent que l’enzyme SCHAD est importante dans l’atténuation de la sécrétion d’insuline induite par le glucose et les acides aminés. En effet, l’oxydation des acides gras par la protéine SCHAD préviendrait l’accumulation d’acyl-CoA ou de leurs dérivés carnitine à chaîne courtes potentialisatrices de la sécrétion d’insuline. De plus, SCHAD régule le métabolisme du glutamate par l’inhibition allostérique de l’enzyme glutamate déshydrogénase (GDH), prévenant ainsi une hyperinsulinémie causée par une sur-activité de GDH. L’étude de la dysfonction de la cellule β dans le modèle de souris DIO a démontré qu’il existe une grande hétérogénéité dans l’obésité et l’hyperglycémie développées suite à la diète riche en gras. L’orginialité de notre étude réside dans la stratification des souris DIO en deux groupes : les faibles et forts répondants à la diète (low diet responders (LDR) et high diet responder (HDR)) sur la base de leur gain de poids corporel. Nous avons mis en lumières divers mécanismes liés au métabolisme des acides gras impliqués dans la diminution de la SIIG. Une diminution du flux à travers le cycle TG/FFA accompagnée d’une augmentation de l’oxydation des acides gras et d’une accumulation intracellulaire de cholestérol contribuent à la diminution de la SIIG chez les souris DIO-HDR. De plus, l’altération de la signalisation par les voies AMPK (AMP-activated protein kinase) et PKC epsilon (protéine kinase C epsilon) pourrait expliquer certaines de ces modifications du métabolisme des îlots DIO et causer le défaut de sécrétion d’insuline. En résumé, nous avons mis en lumière des mécanismes importants pour la régulation négative de la sécrétion d’insuline dans la cellule β pancréatique saine ou en situation pathologique. Ces mécanismes pourraient permettre d’une part de limiter l’amplitude ou la durée de la sécrétion d’insuline suite à un repas chez la cellule saine, et d’autre part de préserver la fonction de la cellule β en retardant l’épuisement de celle-ci en situation pathologique. Certaines de ces voies peuvent expliquer l’altération de la sécrétion d’insuline dans le cadre du DT2 lié à l’obésité. À la lumière de nos recherches, le développement de thérapies ayant pour cible les mécanismes de régulation négative de la sécrétion d’insuline pourrait être bénéfique pour le traitement de patients diabétiques.
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Le diabète de type 2 (DT2) se caractérise par une production insuffisante d'insuline par le pancréas ainsi qu'une résistance des tissus périphériques à l'action de l'insuline. Dans les cellules bêta pancréatiques, le glucose stimule la production de l'insuline en induisant la transcription de son gène et la traduction ainsi que la sécrétion de sa protéine. Paradoxalement, une exposition prolongée et simultanée de ces cellules à de hautes concentrations de glucose en présence d'acides gras conduit à la détérioration de la fonction bêta pancréatique et au développement du DT2. Toutefois, les mécanismes moléculaires responsables de ces effets du glucose ne sont que partiellement connus. L'objectif du travail décrit dans cette thèse est d'identifier les mécanismes responsables de la régulation de la transcription du gène de l'insuline. PDX-1 (de l’anglais pour pancreatic and duodenal homeobox 1) est un facteur de transcription majeur et essentiel tant pour le développement du pancréas que pour le maintien de sa fonction à l'état adulte. En réponse au glucose, PDX-1 se lie au promoteur du gène de l'insuline et induit sa transcription. Ceci est inhibé par l'acide gras palmitate. Dans la première partie des travaux effectués dans le cadre de cette thèse, nous avons identifié deux mécanismes de régulation de la transcription du gène de l'insuline: le premier via ERK1/2 (de l'anglais pour extracellular-signal-regulated protein kinases 1 and 2) et le second par l’enzyme PASK (pour per-arnt-sim kinase). Nous avons également mis en évidence l'existence d'un troisième mécanisme impliquant l'inhibition de l'expression du facteur de transcription MafA par le palmitate. Nos travaux indiquent que la contribution de la signalisation via PASK est majeure. L'expression de PASK est augmentée par le glucose et inhibée par le palmitate. Sa surexpression dans les cellules MIN6 et les îlots isolés de rats, mime les effets du glucose sur l'expression du gène de l'insuline ainsi que sur l'expression de PDX-1 et prévient les effets délétères du palmitate. Dans la deuxième partie de la thèse, nous avons identifié un nouveau mécanisme par lequel PASK augmente la stabilité protéique de PDX-1, soit via la phosphorylation et l'inactivation de la protéine kinase GSK3 bêta (de l'anglais pour glycogen synthase kinase 3 beta). Le glucose induit la translocation de PDX-1 du cytoplasme vers le noyau, ce qui est essentiel à sa liaison au promoteur de ses gènes cibles. L'exclusion nucléaire de PDX-1 a été observée dans plusieurs modèles ex vivo et in vivo de dysfonction de la cellule bêta pancréatique. Dans le dernier volet de cette thèse, nous avons démontré l'importance de l'utilisation de cellules primaires (îlots isolés et dispersés) pour étudier la translocation nucléaire de PDX-1 endogène étant donné que ce mode de régulation est absent dans les lignées insulino-sécrétrices MIN6 et HIT-T15. Ces études nous ont permis d'identifier et de mieux comprendre les mécanismes régulant la transcription du gène de l'insuline via le facteur de transcription PDX-1. Les cibles moléculaires ainsi identifiées pourraient contribuer au développement de nouvelles approches thérapeutiques pour le traitement du diabète de type 2. Mots-clés : Diabète, îlots de Langerhans, cellule bêta pancréatique, gène de l'insuline, PDX-1, PASK, GSK3 bêta, ERK1/2, PKB, glucose, palmitate.
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Alors que les premiers romans de l’auteure sino-canadienne Ying Chen pouvaient aisément être rattachés à l’écriture migrante, ses dernières publications s’inscrivent moins clairement dans ce corpus. Pourtant, la critique les aborde encore généralement à partir de cette perspective. La présente étude a pour but d’analyser les romans de Chen qui mettent en scène la « même » narratrice anonyme à partir d’une approche plus appropriée, c’est-à-dire le thème de la cellule familiale. Les écrits féministes sur le rôle de la femme dans la société patriarcale ainsi que ceux sur le récit de filiation façonnent le regard porté sur les tensions au sein de la famille au fil de cette analyse. Le corpus à l’étude se compose du roman Immobile, qui met en scène une femme rejetant la filiation au profit d’ancêtres imaginaires, Le Mangeur qui se concentre sur une paternité étouffante et Un enfant à ma porte qui relate l’échec de la maternité.