978 resultados para Immagini Analisi Tomosintesi CUDA Ricostruzione Qualità


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La ricerca approfondisce le modalità  di applicazione degli standard di qualità  nell'ambito del servizio sportivo, qualità  certificata attraverso sistemi convenzionali o auto verificata attraverso strumenti quali carte di servizio. L'applicazione e verifica dei sistemi di qualità  ad un servizio, seppur non considerato pubblico ma comunque di interesse generale, deve essere messa in relazione con i risultati che il servizio stesso si prefigge sia dal punto di vista del privato (o pubblico) che gestisce ed esercita l'attività  sportiva, sia dal punto di vista del cittadino che lo utilizza. Pertanto la ricerca è stata dedicata all'incidenza della qualità  nei miglioramenti del benessere psico-fisico dell'utente e all'eventuale efficacia della stessa come strumento di marketing per la diffusione del servizio. Sono state prese in esame tre diverse realtà  sportive, tre piscine. Due delle quali, dopo una prima rilevazione esplorativa, si sono dotate di una Carta dei Servizi. La terza piscina è invece gestita da una società  certificata ISO 9001. Sono stati proposti ed elaborati oltre 800 questionari dai quali sono emerse interessanti indicazioni su quanto e come la qualità  del servizio sia stato percepito dall'utente sotto forma di miglioramento del proprio stato psico-fisico ma anche di come sia ritenuta indispensabile una attenzione del gestore verso l'utente affinchè egli possa considerare utile l'attività  motoria dal punto di vista del miglioramento del proprio benessere. Più in particolare, attraverso l'utilizzo dell'analisi fattoriale prima e di modelli Lisrel poi, si è ottenuta una riduzione della complessità  del numero di fattori che spiegano il fenomeno. Questi fattori sono stati messi in correlazione con il livello di soddisfazione complessiva degli utenti e, dalle due rilevazioni per le quali il modello Lisrel ha restituito dati attendibili, è emerso come il fattore "servizi per gli utenti", comprendente aspetti quali lo spazio in acqua e la comodità  degli spogliatoi, sia quello che ha una maggior correlazione con la soddisfazione complessiva. La Carta dei Servizi, pur ritenuta utile dagli utenti che la conoscono, risulta uno strumento poco conosciuto ed in generale privo di appeal anche dal punto di vista del marketing. Nella percezione dell'utente questo strumento non contribuisce al miglioramento del proprio stato psico-fisico. E' interessante rilevare, invece, che gli utenti che conoscono la Certificazione di qualità  hanno una miglior percezione del servizio. In generale i molteplici interessi commerciali legati alle certificazioni o "autocertificazioni" hanno generato, in questi ultimi anni, confusione nelle società  sportive e negli enti che gestiscono impianti sportivi tra il concetto di qualità  (come cultura e occasione di miglioramento) e quello di "certificazione di qualità". In tale contesto "l'apparire" è divenuto più importante dell'"essere" perchè, la maggiore attenzione all'uso di tecniche piuttosto che all'approfondimento dei principi manageriali grazie ai quali è possibile fare qualità , ha finito per banalizzarne il concetto. Ma se il cliente/utente (interno o esterno) è insoddisfatto nonostante il rispetto di standard e specifiche da parte dell'azienda si può ancora parlare di qualità ?

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Lo studio condotto si propone l’approfondimento delle conoscenze sui processi di evoluzione spontanea di comunità vegetali erbacee di origine secondaria in cinque siti all’interno di un’area protetta del Parco di Monte Sole (Bologna, Italia), dove, come molte aree rurali marginali in Italia e in Europa, la cessazione o riduzione delle tradizionali pratiche gestionali negli ultimi cinquant’anni, ha determinato lo sviluppo di fitocenosi di ridotto valore floristico e produttivo. Tali siti si trovano in due aree distinte all’interno del parco, denominate Zannini e Stanzano, selezionate in quanto rappresentative di situazioni di comunità del Mesobrometo. Due siti appartenenti alla prima area e uno appartenente alla seconda, sono gestiti con sfalcio annuale, i rimanenti non hanno nessun tipo di gestione. Lo stato delle comunità erbacee di tali siti è stato valutato secondo più punti di vista. E’ stata fatta una caratterizzazione vegetazionale dei siti, mediante rilievo lineare secondo la metodologia Daget-Poissonet, permettendo una prima valutazione relativa al numero di specie presenti e alla loro abbondanza all’interno della comunità vegetale, determinando i Contributi Specifici delle famiglie principali e delle specie dominanti (B. pinnatum, B. erectus e D. glomerata). La produttività è stata calcolata utilizzando un indice di qualità foraggera, il Valore Pastorale, e con la determinazione della produzione di Fitomassa totale, Fitomassa fotosintetizzante e Necromassa. A questo proposito sono state trovate correlazioni negative tra la presenza di Graminacee, in particolare di B. pinnatum, e i Contributi Specifici delle altre specie, soprattutto a causa dello spesso strato di fitomassa e necromassa prodotto dallo stesso B. pinnatum che impedisce meccanicamente l’insediamento e la crescita di altre piante. E’ stata inoltre approfonditamente sviluppata un terza caratterizzazione, che si propone di quantificare la diversità funzionale dei siti medesimi, interpretando le risposte della vegetazione a fattori globali di cambiamento, sia abiotici che biotici, per cogliere gli effetti delle variazioni ambientali in atto sulla comunità, e più in generale, sull’intero ecosistema. In particolare, nello studio condotto, sono stati proposti alcuni caratteri funzionali, cosiddetti functional traits, scelti perché correlati all’acquisizione e alla conservazione delle risorse, e quindi al trade-off dei nutrienti all’interno della pianta, ossia: Superficie Fogliare Specifica, SLA, Tenore di Sostanza Secca, LDMC, Concentrazione di Azoto Fogliare, LNC, Contenuto in Fibra, LFC, separato nelle componenti di Emicellulosa, Cellulosa, Lignina e Ceneri. Questi caratteri sono stati misurati in relazione a tre specie dominanti: B. pinnatum, B. erectus e D. glomerata. Si tratta di specie comunemente presenti nelle praterie semi-mesofile dell’Appennino Settentrionale, ma caratterizzate da differenti proprietà ecologiche e adattative: B. pinnatum e B. erectus sono considerati competitori stress-toleranti, tipicamente di ambienti poveri di risorse, mentre D. glomerata, è una specie più mesofila, caratteristica di ambienti produttivi. Attraverso l’analisi dei traits in riferimento alle diverse strategie di queste specie, sono stati descritti specifici adattamenti alle variazioni delle condizioni ambientali, ed in particolare in risposta al periodo di stress durante l’estate dovuto a deficit idrico e in risposta alla diversa modalità di gestione dei siti, ossia alla pratica o meno dello sfalcio annuale. Tra i caratteri funzionali esaminati, è stato identificato LDMC come il migliore per descrivere le specie, in quanto più facilmente misurabile, meno variabile, e direttamente correlato con altri traits come SLA e le componenti della fibra. E’ stato quindi proposto il calcolo di un indice globale per caratterizzare i siti in esame, che tenesse conto di tutti questi aspetti, riunendo insieme sia i parametri di tipo vegetativo e produttivo, che i parametri funzionali. Tale indice ha permesso di disporre i siti lungo un gradiente e di cogliere differenti risposte in relazione a variazioni stagionali tra primavera o autunno e in relazione al tipo di gestione, valutando le posizioni occupate dai siti stessi e la modalità dei loro eventuali spostamenti lungo questo gradiente. Al fine di chiarire se le variazioni dei traits rilevate fossero dovute ad adattamento fenotipico dei singoli individui alle condizioni ambientali, o piuttosto fossero dovute a differenziazione genotipica tra popolazioni cresciute in siti diversi, è stato proposto un esperimento in condizioni controllate. All’interno di un’area naturale in UK, le Chiltern Hills, sono stati selezionati cinque siti, caratterizzati da diverse età di abbandono: Bradenham Road MaiColtivato e Small Dean MaiColtivato, di cui non si conosce storia di coltivazione, caratterizzati rispettivamente da vegetazione arborea e arbustiva prevalente, Butterfly Bank 1970, non più coltivato dal 1970, oggi prateria seminaturale occasionalmente pascolata, Park Wood 2001, non più coltivato dal 2001, oggi prateria seminaturale mantenuta con sfalcio annuale, e infine Manor Farm Coltivato, attualmente arato e coltivato. L’esperimento è stato condotto facendo crescere i semi delle tre specie più comuni, B. sylvaticum, D. glomerata e H. lanatus provenienti dai primi quattro siti, e semi delle stesse specie acquistati commercialmente, nei cinque differenti tipi di suolo dei medesimi siti. Sono stati misurati quattro caratteri funzionali: Massa Radicale Secca (DRM), Massa Epigea Secca (DBM), Superficie Fogliare Secca (SLA) e Tenore di Sostanza Secca (LDMC). I risultati ottenuti hanno evidenziato che ci sono significative differenze tra le popolazioni di una stessa specie ma con diversa provenienza, e tra individui appartenenti alla stessa popolazione se fatti crescere in suoli diversi. Tuttavia, queste differenze, sembrano essere dovute ad adattamenti locali legati alla presenza di nutrienti, in particolare N e P, nel suolo piuttosto che a sostanziali variazioni genotipiche tra popolazioni. Anche per questi siti è stato costruito un gradiente sulla base dei quattro caratteri funzionali analizzati. La disposizione dei siti lungo il gradiente ha evidenziato tre gruppi distinti: i siti più giovani, Park Wood 2001 e Manor Farm Coltivato, nettamente separati da Butterfly Bank 1970, e seguiti infine da Small Dean MaiColtivato e Bradenham Road MaiColtivato. L’applicazione di un indice così proposto potrebbe rivelarsi un utile strumento per descrivere ed indagare lo stato della prateria e dei processi evolutivi in atto, al fine di meglio comprendere e dominare tali dinamiche per proporre sistemi di gestione che ne consentano la conservazione anche in assenza delle tradizionali cure colturali.

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Questa tesi di laurea si pone in continuità rispetto all’esperienza maturata nel Laboratorio di Sintesi Finale di Urbanistica “Spiagge urbane. Paesaggi, luoghi, architetture nella città balneare adriatica”. Nel corso del Laboratorio è stata condotta una riflessione sulle possibili strategie di “dedensificazione” della località balneare di Viserbella, nella Riviera di Rimini. La tesi è quindi l’occasione per ripensare lo sviluppo e la trasformazione di una parte del litorale riminese, creando una città balneare capace di conferire un’impronta indelebile nel tessuto esistente. L’esigenza di “dedensificare” nasce per dare una concreta risposta ad un incontrollato sviluppo turistico che ha creato contemporaneamente l’affascinante prodotto che è la costa romagnola, e il tessuto completamente saturo e senza alcuna pianificazione urbanistica, sviluppatosi, per lo più, tra la linea di costa e la linea ferroviaria. La storia di Viserbella, posta tra Torre Pedrera e Viserba, inizia nei primi decenni del Novecento, ma il vero sviluppo, legato al boom turistico, avviene negli anni Cinquanta, quando la località si satura di edifici, alcuni dei quali di scarso valore architettonico e collocati sull’arenile, e di infrastrutture inefficienti. Lo studio dell’area di progetto si articola in quattro fasi. La prima riguarda l’analisi territoriale della costa romagnola compresa tra Cesenatico e Cattolica, con un raffronto particolare tra la piccola località e la città di Rimini. La seconda parte è volta a ricostruire, invece, le fasi dello sviluppo urbano dell’agglomerato. La ricerca bibliografica, archivistica, cartografica e le interviste agli abitanti ci hanno permesso la ricostruzione della storia di Viserbella. La terza parte si concentra sull’analisi urbana, territoriale, ambientale e infrastrutturale e sull’individuazione delle criticità e delle potenzialità della località determinate, in particolar modo, dai sopraluoghi e dai rilievi fotografici. Basilari sono state, in questo senso, le indagini svolte tra i residenti che ci hanno mostrato le reali necessità e le esigenze della località e il raffronto con gli strumenti urbanistici vigenti. La fase di ricerca è stata seguita da diversi docenti e professionisti che hanno lavorato con noi per approfondire diversi aspetti come i piani urbanistici, lo studio del paesaggio e dell’area. Con i risultati ottenuti dalle indagini suddette abbiamo redatto il metaprogetto alla scala urbana che identifica le strategie di indirizzo attraverso le quali si delineano le azioni di programmazione, finalizzate al raggiungimento di un risultato. La conoscenza del territorio, le ricerche e le analisi effettuate, permettono infatti di poter operare consapevolmente nella quarta fase: quella progettuale. Il progetto urbanistico di “dedensificazione” per la località di Viserbella ha come presupposto primario la sostituzione dell’attuale linea ferroviaria Rimini-Ravenna con una linea a raso che migliori i collegamenti con le località vicine e la qualità della vita, dando ulteriori possibilità di sviluppo all’insediamento oltre la ferrovia. Da questo emergono gli altri obiettivi progettuali tra cui: riqualificare l’area a monte della ferrovia che attualmente si presenta degradata e abbandonata; rafforzare e creare connessioni tra entroterra e litorale; riqualificare il tessuto esistente con l’inserimento di spazi pubblici e aree verdi per la collettività; “restituire” la spiaggia al suo uso tradizionale, eliminando gli edifici presenti sull’arenile; migliorare i servizi esistenti e realizzarne di nuovi allo scopo di rinnovare la vita della collettività e di creare spazi adeguati alle esigenze di tutti. Restituire un’identità a questo luogo, è l’intento primario raggiungibile integrando gli elementi artificiali con quelli naturali e creando un nuovo skyline della città. La progettazione della nuova Viserbella pone le basi per forgiare degli spazi urbani e naturali vivibili dagli abitanti della località e dai turisti, sia in estate che in inverno.

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Il presente studio, per ciò che concerne la prima parte della ricerca, si propone di fornire un’analisi che ripercorra il pensiero teorico e la pratica critica di Louis Marin, mettendone in rilievo i caratteri salienti affinché si possa verificare se, nella loro eterogenea interdisciplinarità, non emerga un profilo unitario che consenta di ricomprenderli in un qualche paradigma estetico moderno e/o contemporaneo. Va innanzitutto rilevato che la formazione intellettuale di Marin è avvenuta nell’alveo di quel montante e pervasivo interesse che lo strutturalismo di stampo linguistico seppe suscitare nelle scienze sociali degli anni sessanta. Si è cercato, allora, prima di misurare la distanza che separa l’approccio di Marin ai testi da quello praticato dalla semiotica greimasiana, impostasi in Francia come modello dominante di quella svolta semiotica che ha interessato in quegli anni diverse discipline: dagli studi estetici all’antropologia, dalla psicanalisi alla filosofia. Si è proceduto, quindi, ad un confronto tra l’apparato concettuale elaborato dalla semiotica e alcune celebri analisi del nostro autore – tratte soprattutto da Opacité de la peinture e De la représentation. Seppure Marin non abbia mai articolato sistematicametne i principi teorici che esplicitassero la sua decisa contrapposizione al potente modello greimasiano, tuttavia le reiterate riflessioni intorno ai presupposti epistemologici del proprio modo di interpretare i testi – nonché le analisi di opere pittoriche, narrative e teoriche che ci ha lasciato in centinaia di studi – permettono di definirne una concezione estetica nettamente distinta dalla pratica semio-semantica della scuola di A. J. Greimas. Da questo confronto risulterà, piuttosto, che è il pensiero di un linguista sui generis come E. Benveniste ad avere fecondato le riflessioni di Marin il quale, d’altra parte, ha saputo rielaborare originalmente i contributi fondamentali che Benveniste diede alla costruzione della teoria dell’enunciazione linguistica. Impostando l’equazione: enunciazione linguistica=rappresentazione visiva (in senso lato), Marin diviene l’inventore del dispositivo concettuale e operativo che consentirà di analizzare l’enunciazione visiva: la superficie di rappresentazione, la cornice, lo sguardo, l’iscrizione, il gesto, lo specchio, lo schema prospettico, il trompe-l’oeil, sono solo alcune delle figure in cui Marin vede tradotto – ma in realtà immagina ex novo – quei dispositivi enunciazionali che il linguista aveva individuato alla base della parole come messa in funzione della langue. Marin ha saputo così interpretare, in modo convincente, le opere e i testi della cultura francese del XVII secolo alla quale sono dedicati buona parte dei suoi studi: dai pittori del classicismo (Poussin, Le Brun, de Champaigne, ecc.) agli eruditi della cerchia di Luigi XIV, dai filosofi (soprattutto Pascal), grammatici e logici di Port-Royal alle favole di La Fontaine e Perrault. Ma, come si evince soprattutto da testi come Opacité de la peinture, Marin risulterà anche un grande interprete del rinascimento italiano. In secondo luogo si è cercato di interpretare Le portrait du Roi, il testo forse più celebre dell’autore, sulla scorta dell’ontologia dell’immagine che Gadamer elabora nel suo Verità e metodo, non certo per praticare una riduzione acritica di due concezioni che partono da presupposti divergenti – lo strutturalismo e la critica d’arte da una parte, l’ermeneutica filosofica dall’altra – ma per rilevare che entrambi ricorrono al concetto di rappresentazione intendendolo non tanto come mimesis ma soprattutto, per usare il termine di Gadamer, come repraesentatio. Sia Gadamer che Marin concepiscono la rappresentazione non solo come sostituzione mimetica del rappresentato – cioè nella direzione univoca che dal rappresentato conduce all’immagine – ma anche come originaria duplicazione di esso, la quale conferisce al rappresentato la sua legittimazione, la sua ragione o il suo incremento d’essere. Nella rappresentazione in quanto capace di legittimare il rappresentato – di cui pure è la raffigurazione – abbiamo così rintracciato la cifra comune tra l’estetica di Marin e l’ontologia dell’immagine di Gadamer. Infine, ci è sembrato di poter ricondurre la teoria della rappresentazione di Marin all’interno del paradigma estetico elaborato da Kant nella sua terza Critica. Sebbene manchino in Marin espliciti riferimenti in tal senso, la sua teoria della rappresentazione – in quanto dire che mostra se stesso nel momento in cui dice qualcos’altro – può essere intesa come una riflessione estetica che trova nel sensibile la sua condizione trascendentale di significazione. In particolare, le riflessioni kantiane sul sentimento di sublime – a cui abbiamo dedicato una lunga disamina – ci sono sembrate chiarificatrici della dinamica a cui è sottoposta la relazione tra rappresentazione e rappresentato nella concezione di Marin. L’assolutamente grande e potente come tratti distintivi del sublime discusso da Kant, sono stati da noi considerati solo nella misura in cui ci permettevano di fare emergere la rappresentazione della grandezza e del potere assoluto del monarca (Luigi XIV) come potere conferitogli da una rappresentazione estetico-politica costruita ad arte. Ma sono piuttosto le facoltà in gioco nella nostra più comune esperienza delle grandezze, e che il sublime matematico mette esemplarmente in mostra – la valutazione estetica e l’immaginazione – ad averci fornito la chiave interpretativa per comprendere ciò che Marin ripete in più luoghi citando Pascal: una città, da lontano, è una città ma appena mi avvicino sono case, alberi, erba, insetti, ecc… Così abbiamo applicato i concetti emersi nella discussione sul sublime al rapporto tra la rappresentazione e il visibile rappresentato: rapporto che non smette, per Marin, di riconfigurarsi sempre di nuovo. Nella seconda parte della tesi, quella dedicata all’opera di Bernard Stiegler, il problema della comprensione delle immagini è stato affrontato solo dopo aver posto e discusso la tesi che la tecnica, lungi dall’essere un portato accidentale e sussidiario dell’uomo – solitamente supposto anche da chi ne riconosce la pervasività e ne coglie il cogente condizionamento – deve invece essere compresa proprio come la condizione costitutiva della sua stessa umanità. Tesi che, forse, poteva essere tematizzata in tutta la sua portata solo da un pensatore testimone delle invenzioni tecnico-tecnologiche del nostro tempo e del conseguente e radicale disorientamento a cui esse ci costringono. Per chiarire la propria concezione della tecnica, nel I volume di La technique et le temps – opera alla quale, soprattutto, sarà dedicato il nostro studio – Stiegler decide di riprendere il problema da dove lo aveva lasciato Heidegger con La questione della tecnica: se volgiamo coglierne l’essenza non è più possibile pensarla come un insieme di mezzi prodotti dalla creatività umana secondo un certi fini, cioè strumentalmente, ma come un modo di dis-velamento della verità dell’essere. Posto così il problema, e dopo aver mostrato come i sistemi tecnici tendano ad evolversi in base a tendenze loro proprie che in buona parte prescindono dall’inventività umana (qui il riferimento è ad autori come F. Gille e G. Simondon), Stiegler si impegna a riprendere e discutere i contributi di A. Leroi-Gourhan. È noto come per il paletnologo l’uomo sia cominciato dai piedi, cioè dall’assunzione della posizione eretta, la quale gli avrebbe permesso di liberare le mani prima destinate alla deambulazione e di sviluppare anatomicamente la faccia e la volta cranica quali ondizioni per l’insorgenza di quelle capacità tecniche e linguistiche che lo contraddistinguono. Dei risultati conseguiti da Leroi-Gourhan e consegnati soprattutto in Le geste et la parole, Stiegler accoglie soprattutto l’idea che l’uomo si vada definendo attraverso un processo – ancora in atto – che inizia col primo gesto di esteriorizzazione dell’esperienza umana nell’oggetto tecnico. Col che è già posta, per Stiegler, anche la prima forma di simbolizzazione e di rapporto al tempo che lo caratterizzano ancora oggi. Esteriorità e interiorità dell’uomo sono, per Stiegler, transduttive, cioè si originano ed evolvono insieme. Riprendendo, in seguito, l’anti-antropologia filosofica sviluppata da Heidegger nell’analitica esistenziale di Essere e tempo, Stiegler dimostra che, se si vuole cogliere l’effettività della condizione dell’esistenza umana, è necessaria un’analisi degli oggetti tecnici che però Heidegger relega nella sfera dell’intramondano e dunque esclude dalla temporalità autentica dell’esser-ci. Se è vero che l’uomo – o il chi, come lo chiama Stiegler per distinguerlo dal che-cosa tecnico – trova nell’essere-nel-mondo la sua prima e più fattiva possibilità d’essere, è altrettanto verò che questo mondo ereditato da altri è già strutturato tecnicamente, è già saturo della temporalità depositata nelle protesi tecniche nelle quali l’uomo si esteriorizza, e nelle quali soltanto, quindi, può trovare quelle possibilità im-proprie e condivise (perché tramandate e impersonali) a partire dalle quali poter progettare la propria individuazione nel tempo. Nel percorso di lettura che abbiamo seguito per il II e III volume de La technique et le temps, l’autore è impegnato innanzitutto in una polemica serrata con le analisi fenomenologiche che Husserl sviluppa intorno alla coscienza interna del tempo. Questa fenomenologia del tempo, prendendo ad esame un oggetto temporale – ad esempio una melodia – giunge ad opporre ricordo primario (ritenzione) e ricordo secondario (rimemorazione) sulla base dell’apporto percettivo e immaginativo della coscienza nella costituzione del fenomeno temporale. In questo modo Husserl si preclude la possibilità di cogliere il contributo che l’oggetto tecnico – ad esempio la registrazione analogica di una melodia – dà alla costituzione del flusso temporale. Anzi, Husserl esclude esplicitamente che una qualsiasi coscienza d’immagine – termine al quale Stiegler fa corrispondere quello di ricordo terziario: un testo scritto, una registrazione, un’immagine, un’opera, un qualsiasi supporto memonico trascendente la coscienza – possa rientrare nella dimensione origianaria e costitutiva di tempo. In essa può trovar posto solo la coscienza con i suo vissuti temporali percepiti, ritenuti o ricordati (rimemorati). Dopo un’attenta rilettura del testo husserliano, abbiamo seguito Stiegler passo a passo nel percorso di legittimazione dell’oggetto tecnico quale condizione costitutiva dell’esperienza temporale, mostrando come le tecniche di registrazione analogica di un oggetto temporale modifichino, in tutta evidenza, il flusso ritentivo della coscienza – che Husserl aveva supposto automatico e necessitante – e con ciò regolino, conseguente, la reciproca permeabilità tra ricordo primario e secondario. L’interpretazione tecnica di alcuni oggetti temporali – una foto, la sequenza di un film – e delle possibilità dispiegate da alcuni dispositivi tecnologici – la programmazione e la diffusione audiovisiva in diretta, l’immagine analogico-digitale – concludono questo lavoro richiamando l’attenzione sia sull’evidenza prodotta da tali esperienze – evidenza tutta tecnica e trascendente la coscienza – sia sul sapere tecnico dell’uomo quale condizione – trascendentale e fattuale al tempo stesso – per la comprensione delle immagini e di ogni oggetto temporale in generale. Prendendo dunque le mosse da una riflessione, quella di Marin, che si muove all’interno di una sostanziale antropologia filosofica preoccupata di reperire, nell’uomo, le condizioni di possibilità per la comprensione delle immagini come rappresentazioni – condizione che verrà reperità nella sensibilità o nell’aisthesis dello spettatore – il presente lavoro passerà, dunque, a considerare la riflessione tecno-logica di Stiegler trovando nelle immagini in quanto oggetti tecnici esterni all’uomo – cioè nelle protesi della sua sensibilità – le condizioni di possibilità per la comprensione del suo rapporto al tempo.

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Abstract L’utilizzo dei dati satellitari per la gestione dei disastri naturali è fondamentale nei paesi in via di sviluppo, dove raramente esiste un censimento ed è difficile per i governi aggiornare le proprie banche dati con le tecniche di rilevamento e metodi di mappatura tradizionali che sono entrambe lunghe e onerose. A supporto dell’importanza dell’impiego del telerilevamento e per favorirne l’uso nel caso di catastrofi, vi è l’operato di diverse organizzazioni internazionali promosse da enti di ricerca, da agenzie governative o da organismi sopranazionali, le quali svolgono un lavoro di cruciale valore, fornendo sostegno tecnico a chi si occupa di far giungere alle popolazioni colpite gli aiuti umanitari e i soccorsi nel più breve tempo possibile. L’attività di tesi è nata proprio dalla collaborazione con una di esse, ITHACA (Information Technology for Humanitarian Assistance, Cooperation and Action), organizzazione no-profit, fondata dal Politecnico di Torino e SiTI (Istituto Superiore sui Sistemi Territoriali per l’Innovazione), la quale a sua volta collabora con il WFP (World Food Programme) delle Nazioni Unite, realizzando cartografie speditive necessarie per la valutazione delle conseguenze di un evento catastrofico, attraverso l’impiego di dati acquisiti da satellite. Su questo tema si è inserito il presente lavoro che ha come obiettivo quello di dimostrare la valenza dei dati telerilevati, siano essi di tipo ottico o Radar, nel caso di alcuni dei disastri naturali più catastrofici, le alluvioni. In particolare è stata studiata la vulnerabilità del Bangladesh, il quale annualmente si trova ad affrontare eventi alluvionali, spesso di grave intensità. Preliminarmente allo studio, è stata condotta una ricerca bibliografica al fine di avere una buona conoscenza dell’area sia in termini geografici e fisici che di sviluppo e tipologia di urbanizzazione. E’stata indagata in particolare l’alluvione che ha colpito il paese nel Luglio del 2004, attraverso delle immagini satellitari multispettrali, in particolare Landsat 7, per un inquadramento pre-evento, ed ASTER per studiare la situazione a distanza di tre mesi dall’accaduto (immagine rilevata il 20 Ottobre 2004). Su tali immagini sono state condotte delle classificazioni supervisionate con il metodo della massima verosimiglianza che hanno portato la suddivisione del territorio in quattro classi di destinazione d’uso del suolo: urbano (Build-up), campi e vegetazione (Crops&Vegetation), sabbia e scavi (Sand&Excavation), idrografia e zone alluvionate (Water). Dalla sperimentazione è emerso come tali immagini multispettrali si prestino molto bene per l’analisi delle differenti caratteristiche del territorio, difatti la validazione condotta sulla mappa tematica derivata dall’immagine Landsat 7 ha portato ad un’accuratezza del 93% circa, mentre la validazione dell’immagine ASTER è stata solo di tipo qualitativo, in quanto, considerata l’entità della situazione rilevata, non è stato possibile avere un confronto con dei punti da assumere come verità a terra. Un’interpretazione della mappa tematica derivante dalla classificazione dell’immagine ASTER è stata elaborata incrociandola in ambiente GIS con dati forniti dal CEGIS (Center for Environmental and Geographic Information Services) riguardanti il landuse della zona in esame; da ciò è emerso che le zone destinate alla coltivazione del riso sono più vulnerabili alle inondazioni ed in particolare nell’Ottobre 2004 il 95% delle aree esondate ha interessato tali colture. Le immagini ottiche presentano un grosso limite nel caso delle alluvioni: la rilevante copertura nuvolosa che spesso accompagna siffatti eventi impedisce ai sensori satellitari operanti nel campo dell’ottico di rilevare il territorio, e per questo di frequente essi non si prestano ad essere impiegati per un’indagine nella fase di prima emergenza. In questa circostanza, un valido aiuto giunge dall’impiego di immagini Radar, le quali permettono osservazioni ad ogni ora del giorno e della notte, anche in presenza di nuvole, rendendole di fondamentale importanza nelle situazioni descritte. Per dimostrare la validità di questi sensori si sono analizzati due subset derivanti da un mosaico di immagini della nuova costellazione italiana ad alta risoluzione CosmoSkymed: il primo va dalla città di Dhaka al Golfo del Bengala ed il secondo copre la zona più a Nord nel distretto di Sylhet. Dalla sperimentazione condotta su tali immagini radar, che ha comportato come ovvio problematiche del tutto differenti rispetto alle elaborazioni tradizionalmente condotte su immagini nel campo dell’ottico, si è potuto verificare come l’estrazione dei corpi d’acqua e più in generale dell’idrografia risulti valida e di veloce computazione. Sono emersi tuttavia dei problemi, per esempio per quanto riguarda la classificazione dell’acqua in presenza di rilievi montuosi; tali complicazioni sono dovute alla presenza di zone d’ombra che risultano erroneamente assegnate alla classe water, ma è stato possibile correggere tali errori di attribuzione mascherando i rilievi con l’ausilio di una mappa delle pendenze ricavata da modelli di elevazione SRTM (Shuttle Radar Topographic Mission). La validazione dei risultati della classificazione, condotta con un grande numero di check points, ha fornito risultati molto incoraggianti (ca. 90%). Nonostante le problematiche riscontrate, il Radar, in sé o in accoppiamento con altri dati di diversa origine, si presta dunque a fornire in breve tempo informazioni sull’estensione dell’esondazione, sul grado di devastazione, sulle caratteristiche delle aree esondate, sulle vie di fuga più adatte, diventando un’importante risorsa per chi si occupa di gestire l’emergenza in caso di eventi calamitosi. L’integrazione con i dati di tipo ottico è inoltre essenziale per pervenire ad una migliore caratterizzazione del fenomeno, sia in termini di change detection che di monitoraggio post-evento.

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La tesi svolge il tema dell'abuso del diritto nell'ambito del diritto tributario comparato. Vengono individuati due limiti nella trattazione dell'argomento: l'oggetto di studio è il fenomeno abusivo riguardante esclusivamente il diritto tributario e specificamente nell'ottica comparativa dei due ordinamenti giuridici comunitario e brasiliano. Questi ultimi rivelano un importante punto comune: la distribuzione orizzontale del potere tributario. Di conseguenza una parte della tesi analizza gli ordinamenti giuridici con divisione orizzontale di potere. Con lo scopo di svolgere quest'ultima analisi, viene trattato il concetto di potestà tributaria e dei suoi elementi costitutivi, nonché della strutturazione della potestà  tributaria sia in Brasile sia nell'Unione Europea, due contesti in cui un potere centrale esercita influenza anche sugli enti detentori del potere. In questo senso vengono esposti lo storico della potestà  tributaria brasiliana, le considerazioni teoriche sul federalismo fiscale e l'assetto di quest'ultimo nel Brasile odierno; d'altra parte, riguardo all'Unione Europea, sono presentate l'analisi del concetto di sovranità  e la divisione del potere nell'ambito dell'Unione Europea, in specifico del potere tributario. Dopo aver mostrato i punti di convergenza e divergenza di questi due ordinamenti, si passa ad esaminare l'abuso del diritto come fenomeno nell'ambito tributario. Quindi si esamina la disciplina giuridica dell'abuso di diritto nel diritto tributario in entrambi ordinamenti, partendo da un excursus storico, sia in un'ottica generale sia in quella specifica del diritto tributario, ed esaminando le modalità  di abuso del diritto con riflessi tributari. Finite le suddette analisi, è stato possibile trarre conclusioni nella direzione della ricostruzione dogmatica tributaria sull'abuso di diritto in entrambi i sistemi, suggerendo elementi per l'ottimizzazione di tale disciplina.

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Il monitoraggio delle vibrazioni e del rumore per la diagnosi delle condizioni di funzionamento dei macchinari ha acquisito un’enorme importanza dovuta alla sempre maggiore accessibilità, in termini di costo e di facilità di utilizzo, delle strumentazioni per l’acquisizione del comportamento vibratorio. L’investimento viene ampiamente giustificato dai vantaggi sia in termini di efficacia nell’individuazione preventiva di difetti e cause di guasto, che di caratterizzazione oggettiva della qualità di funzionamento della macchina. Il presente lavoro relaziona dell’analisi vibro-acustica applicata ad un riduttore epicicloidale prodotto da STM spa attraverso gli strumenti per l’analisi recentemente introdotti nella sala prove dell’azienda, poichè esso presenta, allo stato attuale di produzione e commercializzazione, una rumorosità troppo elevata di cui non si conoscono le cause. Le modifiche introdotte sono state scelte sulla base dell’esperienza tecnica dell’azienda, con l’intento di ridurre il livello di emissione acustica del riduttore. Gli effetti di tali modifiche sono stati valutati in riferimento ai livelli di emissione acustica e di severità di vibrazione, due valutazioni di tipo globale poi affiancate e confrontate con l’analisi spettrale, allo scopo di giustificare e comprendere meglio i risultati ottenuti.

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L’analisi istologica riveste un ruolo fondamentale per la pianificazione di eventuali terapie mediche o chirurgiche, fornendo diagnosi sulla base dell’analisi di tessuti, o cellule, prelevati con biopsie o durante operazioni. Se fino ad alcuni anni fa l’analisi veniva fatta direttamente al microscopio, la sempre maggiore diffusione di fotocamere digitali accoppiate consente di operare anche su immagini digitali. Il presente lavoro di tesi ha riguardato lo studio e l’implementazione di un opportuno metodo di segmentazione automatica di immagini istopatologiche, avendo come riferimento esclusivamente ciò che viene visivamente percepito dall’operatore. L’obiettivo è stato quello di costituire uno strumento software semplice da utilizzare ed in grado di assistere l’istopatologo nell’identificazione di regioni percettivamente simili, presenti all’interno dell’immagine istologica, al fine di considerarle per una successiva analisi, oppure di escluderle. Il metodo sviluppato permette di analizzare una ampia varietà di immagini istologiche e di classificarne le regioni esclusivamente in base alla percezione visiva e senza sfruttare alcuna conoscenza a priori riguardante il tessuto biologico analizzato. Nella Tesi viene spiegato il procedimento logico seguito per la progettazione e la realizzazione dell’algoritmo, che ha portato all’adozione dello spazio colore Lab come dominio su cu cui calcolare gli istogrammi. Inoltre, si descrive come un metodo di classificazione non supervisionata utilizzi questi istogrammi per pervenire alla segmentazione delle immagini in classi corrispondenti alla percezione visiva dell’utente. Al fine di valutare l’efficacia dell’algoritmo è stato messo a punto un protocollo ed un sistema di validazione, che ha coinvolto 7 utenti, basato su un data set di 39 immagini, che comprendono una ampia varietà di tessuti biologici acquisiti da diversi dispositivi e a diversi ingrandimenti. Gli esperimenti confermano l’efficacia dell’algoritmo nella maggior parte dei casi, mettendo altresì in evidenza quelle tipologie di immagini in cui le prestazioni risultano non pienamente soddisfacenti.

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Le moderne tecniche di imaging e i recenti sviluppi nel campo della visione computazionale consentono sempre più diffusamente l'utilizzo di metodi di image analysis, specialmente in ambito medico e biologico, permettendo un maggiore supporto sia alla diagnosi, sia alla ricerca. Il lavoro svolto in questa tesi si pone in un contesto di ricerca di carattere interdisciplinare, e riguarda il progetto e la realizzazione di un‘interfaccia grafica per l'analisi di colture batteriche geneticamente modificate, marcate con proteine fluorescenti (GFP), acquisite tramite un microscopio ad epifluorescenza. Nota la funzione di risposta del sistema di acquisizione delle immagini, l'analisi quantitativa delle colture batteriche è effettuata mediante la misurazione di proprietà legate all'intensità della risposta al marcatore fluorescente. L'interfaccia consente un'analisi sia globale dei batteri individuati nell'immagine, sia di singoli gruppi di batteri selezionati dall'utente, fornendo utili informazioni statistiche, sia in forma grafica che numerica. Per la realizzazione dell'interfaccia sono state adottate tecniche di ingegneria del software, con particolare enfasi alla interazione uomo-macchina e seguendo criteri di usability, al fine di consentire un corretto utilizzo dello strumento anche da parte di personale senza conoscenza in campo informatico.

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Nonostante l’oggettiva constatazione dei risultati positivi riscontrati a seguito dei trattamenti radioterapici a cui sono sottoposti i pazienti a cui è stato diagnosticato un tumore, al giorno d’oggi i processi biologici responsabili di tali effetti non sono ancora perfettamente compresi. Inseguendo l’obbiettivo di riuscire a definire tali processi è nata la branca delle scienze biomediche denominata radiobiologia, la quale appunto ha lo scopo di studiare gli effetti provocati dalle radiazioni quando esse interagiscono con un sistema biologico. Di particolare interesse risulta essere lo studio degli effetti dei trattamenti radioterapici nei pazienti con tumore del polmone che rappresentano la principale causa di morte dei paesi industrializzati. Purtroppo per via della scarsa reperibilità di materiale, non è stato finora possibile studiare nel dettaglio gli effetti delle cure radioterapiche nel caso di questo specifico tumore. Grazie alle ricerche di alcuni biologi dell’IRST sono stati creati in-vitro sferoidi composti da cellule staminali e tumorali di polmone, chiamate broncosfere, permettendo così di avere ottimi modelli tridimensionali di tessuto umano allo stato solido su cui eseguire esperimenti al fine di regolare i parametri dei trattamenti radioterapici, al fine di massimizzarne l’effetto di cura. In questo lavoro di Tesi sono state acquisite sequenze di immagini relative a broncosfere sottoposte a differenti tipologie di trattamenti radioterapici. Le immagini acquisite forniscono importanti indicazioni densitomorfometriche che correlate a dati clinoco-biologico potrebbero fornire importanti indicazioni per regolare parametri fondamentali dei trattamenti di cura. Risulta però difficile riuscire a confrontare immagini cellulari di pre e post-trattamento, e poter quindi effettuare delle correlazioni fra modalità di irraggiamento delle cellule e relative caratteristiche morfometriche, in particolare se le immagini non vengono acquisite con medesimi parametri e condizioni di cattura. Inoltre, le dimensioni degli sferoidi cellulari da acquisire risultano essere tipicamente maggiori del parametro depth of focus del sistema e questo implica che non è possibile acquisire una singola immagine completamente a fuoco di essi. Per ovviare a queste problematiche sono state acquisite sequenze di immagini relative allo stesso oggetto ma a diversi piani focali e sono state ricostruite le immagini completamente a fuoco utilizzando algoritmi per l’estensione della profondità di campo. Sono stati quindi formulati due protocolli operativi per fissare i procedimenti legati all’acquisizione di immagini di sferoidi cellulari e renderli ripetibili da più operatori. Il primo prende in esame le metodiche seguite per l’acquisizione di immagini microscopiche di broncosfere per permettere di comparare le immagini ottenute in diverse acquisizioni, con particolare attenzione agli aspetti critici di tale operazione. Il secondo è relativo alla metodica seguita nella archiviazione di tali immagini, seguendo una logica di classificazione basata sul numero di trattamenti subiti dal singolo sferoide. In questo lavoro di Tesi sono stati acquisiti e opportunamente archiviati complessivamente circa 6500 immagini di broncosfere riguardanti un totale di 85 sferoidi. I protocolli elaborati permetteranno di espandere il database contenente le immagini di broncosfere con futuri esperimenti, in modo da disporre di informazioni relative anche ai cambiamenti morfologici subiti dagli sferoidi in seguito a varie tipologie di radiotrattamenti e poter quindi studiare come parametri di frazionamento di dose influenzano la cura. Infine, grazie alle tecniche di elaborazioni delle immagini che stiamo sviluppando sarà inoltre possibile disporre di una ricostruzione della superficie degli sferoidi in tempo reale durante l’acquisizione.

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L’imballaggio alimentare si può definire come un sistema coordinato per disporre i beni per il trasporto, la distribuzione, la conservazione, la vendita e l’utilizzo. Uno dei materiali maggiormente impiegati, nell’industria alimentare, per la produzione di imballaggi sono le materie plastiche. Esse sono sostanze organiche derivanti da petrolio greggio, sono composti solidi allo stato finito, ma possono essere modellate allo stato fluido. Un imballaggio alimentare deve svolgere determinate funzioni tra cui: - contenimento del prodotto - protezione del prodotto da agenti esterni - logistica - comunicativa - funzionale - ecologica L'ultimo punto sopracitato è il principale problema delle materie plastiche derivanti dal petrolio greggio. Questi materiali sono difficilmente riciclabili perché spesso un imballaggio è composto da più materiali stratificati o perché si trova a diretto contatto con gli alimenti. Inoltre questi materiali hanno un lungo tempo di degradazione (da 100 a 1000 anni) che ne rendono difficile e costoso lo smaltimento. Per questo nell’ultimo decennio è cominciata la ricerca di un materiale plastico, flessibile alle esigenze industriali e nel contempo biodegradabile. Una prima idea è stata quella di “imitare la natura” cercando di replicare macromolecole già esistenti (derivate da amido e zuccheri) per ottenere una sostanza plastico-simile utilizzabile per gli stessi scopi, ma biodegradabile in circa sei mesi. Queste bioplastiche non hanno preso piede per l’alto costo di produzione e perché risulta impossibile riconvertire impianti di produzione in tutto il mondo in tempi brevi. Una seconda corrente di pensiero ha indirizzato i propri sforzi verso l’utilizzo di speciali additivi aggiunti in minima misura (1%) ai classici materiali plastici e che ne permettono la biodegradazione in un tempo inferiore ai tre anni. Un esempio di questo tipo di additivi è l’ECM Masterbatch Pellets che è un copolimero di EVA (etilene vinil acetato) che aggiunto alle plastiche tradizionali rende il prodotto finale completamente biodegradabile pur mantenendo le proprie caratteristiche. Scopo di questo lavoro di tesi è stato determinare le modificazioni di alcuni parametri qualitativi di nettarine di Romagna(cv.-Alexa®) confezionate-con-film-plastici-tradizionali-e-innovativi. I campioni di nettarine sono stati confezionati in cestini in plastica da 1 kg (sigillati con un film flow-pack macroforato) di tipo tradizionale in polipropilene (campione denominato TRA) o vaschette in polipropilene additivato (campione denominato BIO) e conservati a 4°C e UR 90-95% per 7 giorni per simulare un trasporto refrigerato successivamente i campioni sono stati posti in una camera a 20°C e U.R. 50% per 4 giorni al fine di simulare una conservazione al punto vendita. Al tempo 0 e dopo 4, 7, 9 e 11 giorni sono state effettuate le seguenti analisi: - coefficiente di respirazione è stato misurata la quantità di CO2 prodotta - indice di maturazione espresso come rapporto tra contenuto in solidi solubili e l’acidità titolabile - analisi di immagine computerizzata - consistenza della polpa del frutto è stata misurata attraverso un dinamometro Texture Analyser - contenuto in solidi totali ottenuto mediante gravimetria essiccando i campioni in stufa sottovuoto - caratteristiche sensoriali (Test Accettabilità) Conclusioni In base ai risultati ottenuti i due campioni non hanno fatto registrare dei punteggi significativamente differenti durante tutta la conservazione, specialmente per quanto riguarda i punteggi sensoriali, quindi si conclude che le vaschette biodegradabili additivate non influenzano la conservazione delle nettarine durante la commercializzazione del prodotto limitatamente ai parametri analizzati. Si ritiene opportuno verificare se il processo di degradazione del polimero additivato si inneschi già durante la commercializzazione della frutta e soprattutto verificare se durante tale processo vengano rilasciati dei gas che possono accelerare la maturazione dei frutti (p.e. etilene), in quanto questo spiegherebbe il maggiore tasso di respirazione e la più elevata velocità di maturazione dei frutti conservati in tali vaschette. Alimentary packaging may be defined as a coordinate system to dispose goods for transport, distribution, storage, sale and use. Among materials most used in the alimentary industry, for the production of packaging there are plastics materials. They are organic substances deriving from crude oil, solid compounds in the ended state, but can be moulded in the fluid state. Alimentary packaging has to develop determinated functions such as: - Product conteniment - Product protection from fieleders agents - logistic - communicative - functional - ecologic This last term is the main problem of plastic materials deriving from crude oil. These materials are hardly recyclable because a packaging is often composed by more stratified materials or because it is in direct contact with aliments. Beside these materials have a long degradation time(from 100 to 1000 years) that make disposal difficult and expensive. For this reason in the last decade the research for a new plastic material is begin, to make industrial demands more flexible and, at the same time, to make this material biodegradable: At first, the idea to “imitate the nature” has been thought, trying to reply macromolecules already existents (derived from amid and sugars) to obtain a similar-plastic substance that can be used for the same purposes, but it has to be biodegradable in about six months. These bioplastics haven’t more success bacause of the high production cost and because reconvert production facilities of all over the wolrd results impossible in short times. At second, the idea to use specials addictives has been thought. These addictives has been added in minim measure (1%) to classics plastics materials and that allow the biodegradation in a period of time under three years. An example of this kind of addictives is ECM Masterbatch Pellets which is a coplymer of EVA (Ethylene vinyl acetate) that, once it is added to tradizional plastics, make final product completely biodegradable however maintaining their own attributes. The objective of this thesis work has been to determinate modifications of some Romagna’s Nectarines’ (cv. Alexa®) qualitatives parameters which have been packaged-with traditional and innovative-plastic film. Nectarines’ samples have been packaged in plastic cages of 1 kg (sealed with a macro-drilled flow-pack film) of traditional type in polypropylene (sample named TRA) or trays in polypropylene with addictives (sample named BIO) and conservated at 4°C and UR 90-95% for 7 days to simulate a refrigerated transport. After that, samples have been put in a camera at 20°C and U.R. 50% for 4 days to simulate the conservation in the market point. At the time 0 and after 4, 7, 9 and 11 days have been done the following analaysis: - Respiration coefficient wherewith the amount CO2 producted has been misurated - Maturation index which is expressed as the ratio between solid soluble content and the titratable acidity - Analysis of computing images - Consistence of pulp of the fruit that has been measured through Texture Analyser Dynanometer - Content in total solids gotten throught gravimetry by the drying of samples in vacuum incubator - Sensorial characteristic (Panel Test) Consequences From the gotten results, the two samples have registrated no significative different scores during all the conservation, expecially about the sensorial scores, so it’s possible to conclude that addictived biodegradable trays don’t influence the Nectarines’ conservation during the commercialization of the product qualifiedly to analized parameters. It’s advised to verify if the degradation process of the addicted polymer may begin already during the commercialization of the fruit and in particular to verify if during this process some gases could be released which can accelerate the maturation of fruits (p.e. etylene), because all this will explain the great respiration rate and the high speed of the maturation of fruits conservated in these trays.

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Negli ultimi anni la ricerca nella cura dei tumori si è interessata allo sviluppo di farmaci che contrastano la formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) per l’apporto di ossigeno e nutrienti ai tessuti tumorali, necessari per l’accrescimento e la sopravvivenza del tumore. Per valutare l’efficacia di questi farmaci antiangiogenesi esistono tecniche invasive: viene prelevato tramite biopsia un campione di tessuto tumorale, e tramite analisi microscopica si quantifica la densità microvascolare (numero di vasi per mm^2) del campione. Stanno però prendendo piede tecniche di imaging in grado di valutare l’effetto di tali terapie in maniera meno invasiva. Grazie allo sviluppo tecnologico raggiunto negli ultimi anni, la tomografia computerizzata è tra le tecniche di imaging più utilizzate per questo scopo, essendo in grado di offrire un’alta risoluzione sia spaziale che temporale. Viene utilizzata la tomografia computerizzata per quantificare la perfusione di un mezzo di contrasto all’interno delle lesioni tumorali, acquisendo scansioni ripetute con breve intervallo di tempo sul volume della lesione, a seguito dell’iniezione del mezzo di contrasto. Dalle immagini ottenute vengono calcolati i parametri perfusionali tramite l’utilizzo di differenti modelli matematici proposti in letteratura, implementati in software commerciali o sviluppati da gruppi di ricerca. Al momento manca un standard per il protocollo di acquisizione e per l’elaborazione delle immagini. Ciò ha portato ad una scarsa riproducibilità dei risultati intra ed interpaziente. Manca inoltre in letteratura uno studio sull’affidabilità dei parametri perfusionali calcolati. Il Computer Vision Group dell’Università di Bologna ha sviluppato un’interfaccia grafica che, oltre al calcolo dei parametri perfusionali, permette anche di ottenere degli indici sulla qualità dei parametri stessi. Questa tesi, tramite l’analisi delle curve tempo concentrazione, si propone di studiare tali indici, di valutare come differenti valori di questi indicatori si riflettano in particolari pattern delle curve tempo concentrazione, in modo da identificare la presenza o meno di artefatti nelle immagini tomografiche che portano ad un’errata stima dei parametri perfusionali. Inoltre, tramite l’analisi delle mappe colorimetriche dei diversi indici di errore si vogliono identificare le regioni delle lesioni dove il calcolo della perfusione risulta più o meno accurato. Successivamente si passa all’analisi delle elaborazioni effettuate con tale interfaccia su diversi studi perfusionali, tra cui uno studio di follow-up, e al confronto con le informazioni che si ottengono dalla PET in modo da mettere in luce l’utilità che ha in ambito clinico l’analisi perfusionale. L’intero lavoro è stato svolto su esami di tomografia computerizzata perfusionale di tumori ai polmoni, eseguiti presso l’Unità Operativa di Diagnostica per Immagini dell’IRST (Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori) di Meldola (FC). Grazie alla collaborazione in atto tra il Computer Vision Group e l’IRST, è stato possibile sottoporre i risultati ottenuti al primario dell’U. O. di Diagnostica per Immagini, in modo da poterli confrontare con le considerazioni di natura clinica.

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Questa tesi affronta lo sviluppo di sistemi elettronici per il collaudo automatizzato di centraline elettroniche per sistemi automotive. Viene illustrato lo sviluppo di un simulatore per il collaudo basato su ambiente Labview. Inoltre, viene presentata un'analisi di fattibiltà del rilevamento di malfunzionamenti basata sull'elaborazione di immagini termografiche.

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L’evoluzione dei sensori multispettrali e la prospettiva di sviluppo dei sensori iperspettrali nel campo del telerilevamento ottico offrono nuovi strumenti per l’indagine del territorio e rinnovano la necessità di ridefinire potenzialità, limiti e accuratezza delle metodologie tradizionali. Nel caso delle immagini iperspettrali, in particolare, l’elevatissima risoluzione spettrale apre nuove possibilità di sviluppo di modelli fisicamente basati per correlare grandezze radiometriche con indicatori fisico-chimici caratteristici delle superfici osservate, a prezzo però di maggiori oneri nella gestione del dato. Il presente lavoro mira appunto ad esaminare, per alcune applicazioni di carattere ambientale e attraverso casi di studio specifici, le criticità del problema del rilevamento da remoto nel suo complesso: dai problemi di correzione radiometrica delle immagini, all'acquisizione di dati di calibrazione sul campo, infine all'estrazione delle informazioni di interesse dal dato telerilevato. A tal fine sono stati sperimentati diversi modelli di trasferimento radiativo ed è stata sviluppata un’interfaccia per la gestione del modello 6SV. Per quest’ultimo sono state inoltre sviluppate routine specifiche per il supporto dei sensori Hyperion e World View 2. La ricerca svolta intende quindi offrire un contributo alla definizione di procedure operative ripetibili, per alcune applicazioni intimamente connesse all’indagine conoscitiva ed al monitoraggio dei processi in atto sul territorio. Nello specifico, si è scelto il caso di studio dell’oasi del Fayyum, in Egitto, per valutare il contenuto informativo delle immagini satellitari sotto tre diversi profili, soltanto in apparenza distinti: la classificazione della litologia superficiale, la valutazione dello stato di qualità delle acque ed il monitoraggio delle opere di bonifica. Trattandosi di un’oasi, le aree coltivate del Fayyum sono circondate dai suoli aridi del deserto libico. La mancanza di copertura vegetale rappresenta una condizione privilegiata per l’osservazione della litologia superficiale da remoto, auspicabile anche per la scarsa accessibilità di alcune aree. Il fabbisogno idrico dell’oasi è garantito dall’apporto di acque del fiume Nilo attraverso una rete di irrigazione che ha, come recettore finale, il lago Qarun, situato nella porzione più depressa dell’oasi. Questo lago, privo di emissari, soffre enormi problemi di salinizzazione, visto il clima iper-arido in cui si trova, e di inquinamento da fertilizzanti agricoli. Il problema della sostenibilità ambientale dello sfruttamento agricolo intensivo dell’oasi è un problema di deterioramento della qualità dell’acqua e della qualità dei suoli. È un problema che richiede una adeguata conoscenza del contesto geologico in cui questi terreni sono inseriti ed una capacità di monitoraggio degli interventi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto; entrambe conoscenze necessarie alla definizione di un piano di sviluppo economico sostenibile. Con l’intento di contribuire ad una valutazione delle effettive potenzialità del telerilevamento come strumento di informazione territoriale, sono state sperimentate tecniche di classificazione di immagini multispettrali ASTER ed iperspettrali Hyperion di archivio per discriminare la litologia superficiale sulle aree adiacenti al lago Qarun nell’oasi del Fayyum. Le stesse immagini Hyperion di archivio più altre appositamente acquisite sono state utilizzate, assieme ad immagini multispettrali ALI, per la valutazione qualitativa e quantitativa di parametri di qualità delle acque, attraverso l’applicazione di modelli empirici di correlazione. Infine, per valutare l’ipotesi che il deterioramento della qualità delle acque possa essere correlato ai processi di bonifica ed estensione delle coltivazioni in atto negli ultimi decenni, le immagini dell’archivio Landsat sono state utilizzate per analisi di change detection. Per quanto riguarda il problema della validazione dei risultati, si è fatto uso di alcuni dati di verità a terra acquisiti nel corso di un survey preliminare effettuato nell’Ottobre 2010. I campioni di roccia prelevati e le misure di conducibilità elettrica delle acque del lago, benché in numero estremamente limitato per la brevità della missione e le ovvie difficoltà logistiche, consentono alcune valutazioni preliminari sui prodotti ottenuti dalle elaborazioni. Sui campioni di roccia e sabbie sciolte, in particolare, sono state effettuate misure di riflettività in laboratorio ed analisi mineralogiche dettagliate. Per la valutazione della qualità delle acque, più precisamente delle concentrazioni di clorofilla, la metodologia utilizzata per il caso di studio egiziano è stata applicata anche sul tratto costiero adriatico antistante le foci dei fiumi Tronto e Salinello. In questo sito sono state effettuate misure in situ di conducibilità elettrica ed il prelievo di campioni di acqua per la determinazione in laboratorio delle concentrazioni di clorofilla. I risultati ottenuti hanno evidenziato le potenzialità offerte dall’informazione spettrale contenuta nelle immagini satellitari e consentono l’individuazione di alcune pratiche operative. D’altro canto hanno anche messo in luce le carenze dei modelli attualmente esistenti, nonché le criticità legate alla correzione atmosferica delle grandezze radiometriche rilevate.