116 resultados para Dignité
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Fino a non molto tempo fa vi erano linee di riflessione che tendevano a considerare la bioetica come una disciplina sostanzialmente attinente alla sfera privata della coscienza individuale degli operatori direttamente coinvolti e perciò non direttamente connessa a questioni di organizzazione complessiva della società pubblica. Nel corso del tempo la prospettiva si è progressivamente evoluta, dal momento che le questioni bioetiche sollevano molti interrogativi di carattere etico, deontologico e giuridico, divenendo così oggetto di riflessione anche sul versante sociale e politico: potremmo parlare, in altri termini, di biopolitica e biodiritto. Infatti il legislatore è spesso chiamato ad esprimersi su questioni sollevate da “casi” bioeticamente significativi e dovrebbe poterlo fare con cognizione di causa. Il dibattito sulle “Dichiarazioni Anticipate di Trattamento” rappresenta una di tali questioni. Molte e diverse sono le denominazioni utilizzate per indicare lo strumento atto a manifestare le scelte di fine vita. Tutte, però, fanno riferimento ad un documento scritto, contenente le indicazioni espresse da una persona sana e capace di intendere e di volere, avente per oggetto i trattamenti sanitari e assistenziali che si vogliono o non si vogliono ricevere nell’ipotesi in cui, a causa di una malattia grave, inguaribile o di un evento traumatico, tale persona si venisse a trovare in uno stato di incapacità di intendere e di volere. Dietro la diversa terminologia utilizzata, si evidenziano difficoltà di diversa natura: il riferimento alla libertà del singolo e al suo diritto di autodeterminazione, l’ampio concetto di salute, il principio dell’uguaglianza, la nozione di dignità, la questione dell’obiezione di coscienza. L'idea di affrontare questo tema nasce dal desiderio di approfondire uno degli aspetti maggiormente discussi nel settore delle scelte di fine vita; di riflettere sulla legittimità e sulla reale utilità di uno strumento come le DAT; di indagare la reale situazione intorno alle tematiche di fine vita.
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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.
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Il progetto di ricerca si situa nell’ambito dell’informatica giudiziaria settore che studia i sistemi informativi implementati negli uffici giudiziari allo scopo di migliorare l’efficienza del servizio, fornire una leva per la riduzione dei lunghi tempi processuali, al fine ultimo di garantire al meglio i diritti riconosciuti ai cittadini e accrescere la competitività del Paese. Oggetto di studio specifico del progetto di ricerca è l’utilizzo delle ICT nel processo penale. Si tratta di una realtà meno studiata rispetto al processo civile, eppure la crisi di efficienza del processo non è meno sentita in tale area: l’arretrato da smaltire al 30 giugno del 2011 è stato quantificato in 3,4 milioni di processi penali, e il tempo medio di definizione degli stessi è di quattro anni e nove mesi. Guardare al processo penale con gli occhi della progettazione dei sistemi informativi è vedere un fluire ininterrotto di informazioni che include realtà collocate a monte e a valle del processo stesso: dalla trasmissione della notizia di reato alla esecuzione della pena. In questa prospettiva diventa evidente l’importanza di una corretta gestione delle informazioni: la quantità, l’accuratezza, la rapidità di accesso alle stesse sono fattori così cruciali per il processo penale che l’efficienza del sistema informativo e la qualità della giustizia erogata sono fortemente interrelate. Il progetto di ricerca è orientato a individuare quali siano le condizioni in cui l’efficienza può essere effettivamente raggiunta e, soprattutto, a verificare quali siano le scelte tecnologiche che possono preservare, o anche potenziare, i principi e le garanzie del processo penale. Nel processo penale, infatti, sono coinvolti diritti fondamentali dell’individuo quali la libertà personale, la dignità, la riservatezza, diritti fondamentali che vengono tutelati attraverso un ampia gamma di diritti processuali quali la presunzione di innocenza, il diritto di difesa, il diritto al contraddittorio, la finalità di rieducazione della pena.
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Dagli anni ottanta ad oggi, in opposizione ad un turismo sempre più di massa, si è sviluppata l’idea di un turismo responsabile, ovvero un turismo che oltre ai fini meramente economici salvaguardi anche l’ambiente e la dignità dell’uomo e dei lavoratori. Se in Italia gli enti nazionali ufficiali tendono ancora ad ignorare l’opzione di turismo responsabile, in Germania la DTV, ovvero l’ente nazionale del turismo, ha redatto nel 2013 una dichiarazione di intenti nella quale si esplicita la volontà dell’associazione di tutelare l’ambiente e la tradizione culturale delle mete turistiche. Questo elaborato consiste in una proposta di traduzione dal tedesco all’italiano dell’opuscolo Positionspapier, con una fase introduttiva di analisi del testo e descrizione di approccio traduttivo e una fase conclusiva di commento alle opzioni traduttive adottate in punti particolarmente problematici.
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L'interrogativo da cui nasce la ricerca riguarda la possibilità di individuare, in controtendenza con la logica neoliberista, strategie per l'affermarsi di una cultura dello sviluppo che sia sostenibile per l'ambiente e rispettosa della dignità delle persone, in grado di valorizzarne le differenze e di farsi carico delle difficoltà che ognuno può incontrare nel corso della propria esistenza. Centrale è il tema del lavoro, aspetto decisivo delle condizioni di appartenenza sociale e di valorizzazione delle risorse umane. Vengono richiamati studi sulla realtà in cui siamo immersi, caratterizzata dal pensiero liberista diventato negli ultimi decenni dominante su scala globale e che ha comportato una concezione delle relazioni sociali basata su di una competitività esasperata e sull’esclusione di chi non sta al passo con le leggi di mercato: le conseguenze drammatiche dell'imbroglio liberista; la riduzione delle persone a consumatori; la fuga dalla comunità ed il rifugio in identità separate; il tempo del rischio, della paura e della separazione fra etica e affari. E gli studi che, in controtendenza, introducono a prospettive di ricerca di uno sviluppo inclusivo e umanizzante: le prospettive della decrescita, del business sociale, di una via cristiana verso un'economia giusta, della valorizzazione delle capacità delle risorse umane. Vengono poi indagati i collegamenti con le esperienze attive nel territorio della città di Bologna che promuovono, attraverso la collaborazione fra istituzioni, organizzazioni intermedie e cittadini, occasioni di un welfare comunitario che sviluppa competenze e diritti insieme a responsabilità: l'introduzione delle clausole sociali negli appalti pubblici per la realizzazione professionale delle persone svantaggiate; la promozione della responsabilità sociale d'impresa per l'inclusione socio-lavorativa; la valorizzazione delle risorse delle persone che vivono un’esperienza carceraria. Si tratta di esperienze ancora limitate, ma possono costituire un riferimento culturale e operativo di un modello di sviluppo possibile, che convenga a tutti, compatibile con i limiti ambientali e umanizzante.
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La ricerca si colloca all’interno di un complesso intervento di cooperazione internazionale realizzato in El Salvador tra il 2009 e il 2014. Il Progetto di cooperazione è stato promosso dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna e finanziato dalla Cooperazione Italiana. L’esperienza studiata rappresenta un esempio di promozione dell’inclusione nei sistemi scolastici di Paesi del Sud del mondo e si propone due obiettivi: 1) analizzare il processo di cambiamento della prospettiva di intervento promossa dalla cooperazione internazionale, evidenziando la dimensione educativa che sostiene processi di empowerment e ownership delle istituzioni locali; 2) contribuire al dibattito sull’ “inclusive education”, sostenendo processi di inclusione scolastica e sociale rivolti a tutti coloro che si trovano in situazione di svantaggio psico-fisico e/o socio-culturale. Le politiche locali del Ministero dell’Educazione dal 2009 hanno promosso un modello educativo con l’obiettivo di garantire il diritto all’educazione per tutti nella scuola pubblica. Lo studio costituisce un'indagine di tipo valutativo sul processo di sviluppo della scuola inclusiva in El Salvador, supportato dall’intervento di cooperazione internazionale. La ricerca utilizza in modo integrato strumenti di natura quantitativa (questionari) e qualitativa (interviste). Dai dati raccolti emerge come il processo di cooperazione sia stato caratterizzato dal principio della pari dignità tra esperti internazionali e autorità politiche e tecniche locali. Inoltre, la ricerca ha consentito di verificare come la cultura dell'inclusione si sia radicata in modo diffuso nella percezione della missione della scuola e il suo ruolo tra i protagonisti del sistema scolastico. Alla luce dei risultati, appare fondamentale continuare a investire sulla formazione tecnica delle figure chiave del sistema educativo; facilitare il processo di inclusione dei disabili nelle scuole regolari con una parallela trasformazione delle scuole speciali in centri di supporto all’integrazione; promuovere una sinergia di azione formativa tra il ministero, mondo accademico e della formazione professionale.
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Questa tesi consiste in una proposta di traduzione del libro per ragazzi: "La bibliothécaire" dell'autrice Gudule. Il lavoro parte da una definizione della letteratura per l'infanzia attraverso i suoi elementi costitutivi: appartenenza al sistema formativo e insieme a quello letterario; doppio destinatario dell'opera (ragazzi e adulti mediatori); disparità di conoscenze tra autore e lettore. Al lettore viene dedicata particolare attenzione, attraverso uno studio delle fasce d'età e dei generi tradizionalmente dedicati a ciascuna. In seguito si analizza lo stato della letteratura per l'infanzia in relazione al sistema letterario: in particolare, si propongono due visioni opposte, una che vede questa letteratura come marginale, inferiore, e l'altra che invece le riconosce pari dignità rispetto alla letteratura per adulti. La parte teorica si conclude con l'analisi della traduzione per l'infanzia: dopo alcuni accenni alle teorie traduttive che hanno più influenzato il settore, si pongono criteri per distinguere traduzione e adattamento e si definiscono le motivazioni ideologiche che possono portare a modificare il testo. Si descrivono inoltre alcuni modi in cui il traduttore può rendere evidente il suo intervento, facendo sentire la sua voce nel testo tradotto. Si elencano infine i problemi di mediazione culturale e i modi in cui il traduttore può farvi fronte. La seconda parte della tesi si concentra sull'analisi del testo, per individuarne i temi centrali ed evidenziare i problemi da risolvere durante la traduzione: un rilievo particolare lo ha l'intertestualità, alla base dell'intero libro, e il rapporto dei personaggi con la lettura, la scrittura e in generale con la lingua. Il commento alla traduzione spiega le motivazioni dietro alle scelte traduttive, in particolare quelle legate ad un uso particolare della lingua e alla traduzione delle citazioni e allusioni ad altri testi presenti nel romanzo.
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En prenant pour appui initial le caractère équivoque de la communication, cette dissertation interroge les manières par lesquelles la vie en commun prend aussi effet comme œuvre de mort. S’inspirant du renouvellement de la recherche sur le thème de la communauté, l’interrogation se déploie en trois mouvements principaux. Chacun de ces mouvements ouvre et négocie trois grandes impasses : épistémologique, politique et éthique. La recherche propose de s’y frayer un chemin en s’appuyant principalement sur les travaux de Jean-Luc Nancy, Giorgio Agamben et Roberto Esposito. Le premier mouvement ouvre au voilement de l’idée de communication. L’idée de communication est voilée par une idéologie qui hérite elle-même d’une certaine conception humaniste de la communauté. Un examen de l’essai de Pic de la Mirandole Sur la dignité de l’homme permet d’exposer les valeurs associées à cette tradition qui recouvrent le caractère ambivalent de la communication. Ce premier mouvement mène au seuil de la situation politique contemporaine, marquée notamment par la nécessité de penser « notre » condition après la crise des valeurs humanistes. Le deuxième mouvement s’applique à l’examen de trois événements politiques contemporains. Chacun donne à comprendre comment s’exprime le péril associé à ce voilement : la fusillade au Collège Dawson de Montréal en 2006, un incident impliquant l’usage de gaz lacrymogènes lors de manifestations menées en 2013 à la Place Taksim à Istanbul, en Turquie, et une analyse de la crise de la dette publique grecque. L’aporie qui articule communication et incommunicabilité y est examinée à partir des thèmes de l’incommensurabilité des modes de vie en commun, de la biopolitique et du fascisme. Le fait que le péril qui menace de « nous » partager soit encore, malgré tout, ce que « nous » avons en partage invite à avancer là où aucune voie ne semble s’ouvrir. Le troisième mouvement présente les manières par lesquelles l’aporie de la communication peut être saisie en montrant qu’il est possible de penser par delà l’opposition de la communication et de la non-communication. Ce problème est abordé à l’horizon de la tradition philosophique concernant la question de l’être. Le saisissement du commun comme d’un propre — l’appropriation de l’inappropriable — ouvre à une conception de la communication « hors du commun ». Ces trois mouvements ne portent pas jusqu’à une conclusion. Ils ouvrent plutôt sur une autre conception de la communication. Celle-ci expose la possibilité sans cesse reconduite de l’événement fragile et intime dont « nous » sommes le nom.
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En prenant pour appui initial le caractère équivoque de la communication, cette dissertation interroge les manières par lesquelles la vie en commun prend aussi effet comme œuvre de mort. S’inspirant du renouvellement de la recherche sur le thème de la communauté, l’interrogation se déploie en trois mouvements principaux. Chacun de ces mouvements ouvre et négocie trois grandes impasses : épistémologique, politique et éthique. La recherche propose de s’y frayer un chemin en s’appuyant principalement sur les travaux de Jean-Luc Nancy, Giorgio Agamben et Roberto Esposito. Le premier mouvement ouvre au voilement de l’idée de communication. L’idée de communication est voilée par une idéologie qui hérite elle-même d’une certaine conception humaniste de la communauté. Un examen de l’essai de Pic de la Mirandole Sur la dignité de l’homme permet d’exposer les valeurs associées à cette tradition qui recouvrent le caractère ambivalent de la communication. Ce premier mouvement mène au seuil de la situation politique contemporaine, marquée notamment par la nécessité de penser « notre » condition après la crise des valeurs humanistes. Le deuxième mouvement s’applique à l’examen de trois événements politiques contemporains. Chacun donne à comprendre comment s’exprime le péril associé à ce voilement : la fusillade au Collège Dawson de Montréal en 2006, un incident impliquant l’usage de gaz lacrymogènes lors de manifestations menées en 2013 à la Place Taksim à Istanbul, en Turquie, et une analyse de la crise de la dette publique grecque. L’aporie qui articule communication et incommunicabilité y est examinée à partir des thèmes de l’incommensurabilité des modes de vie en commun, de la biopolitique et du fascisme. Le fait que le péril qui menace de « nous » partager soit encore, malgré tout, ce que « nous » avons en partage invite à avancer là où aucune voie ne semble s’ouvrir. Le troisième mouvement présente les manières par lesquelles l’aporie de la communication peut être saisie en montrant qu’il est possible de penser par delà l’opposition de la communication et de la non-communication. Ce problème est abordé à l’horizon de la tradition philosophique concernant la question de l’être. Le saisissement du commun comme d’un propre — l’appropriation de l’inappropriable — ouvre à une conception de la communication « hors du commun ». Ces trois mouvements ne portent pas jusqu’à une conclusion. Ils ouvrent plutôt sur une autre conception de la communication. Celle-ci expose la possibilité sans cesse reconduite de l’événement fragile et intime dont « nous » sommes le nom.
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Contiene: De la dignité et de l'accroisement des sciences.
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"Observations météorologiques": 43 p. al final.
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Vladimir S. Soloviev (1853-1900) était un philosophe russe, poète et dissident de la période prérévolutionnaire. Comme celle de beaucoup de ses contemporains prérévolutionnaires russes, la pensée de Soloviev fut constamment sollicitée par la réfection imminente de l’État russe dans un futur très proche. Dans le contexte de cette époque, un examen des fondements théoriques du système juridique était peut-être inévitable. Néanmoins, dans la pensée russe, c’est seulement avec Soloviev que le droit cessa d’être un sujet spécialisé dans le domaine de l’administration, ne concernant guère les grands enjeux de société, et devint intimement lié au développement même de la philosophie morale et sociale. Au sein du projet philosophique systématique que propose Soloviev, le concept de l’unitotalité est envahissant, en termes épistémologique et social. Une pierre d’assise également fondamentale est le concept philosophico-religieux de la divino-humanité, à travers lequel la source de la dignité humaine est ultimement exprimée. La philosophie juridique de Soloviev, contenue pour l’essentiel dans un traité intitulé La Justification du bien : essai de philosophie morale (1897), a pour principal objet l’interaction entre le droit et la morale. Alors que l’objet et la portée du droit peuvent être directement déduits de principes moraux, le droit ne peut pas coïncider exactement avec la morale, compte tenu de son caractère plus limité, fini et coercitif. Pour Soloviev, le droit doit imposer un niveau minimum du bien en fournissant les conditions de base (par ex. la primauté du droit, le droit à une existence digne, la liberté de conscience) pour le libre développement des facultés humaines sans transposer directement en lui la plénitude complète du bien. La principale motivation de Soloviev réside dans la prémisse théologique sous-jacente que le bien ne peut jamais être complètement subsumé sauf par un acte conscient de liberté personnelle. En tandem, Soloviev souligne le rôle progressiste de l’État pour favoriser le libre perfectionnement humain. En tant que tel, Soloviev nous fournit certaines voies innovatrices dans le façonnement de la relation tant théorique que pratique entre le droit et la religion. À l’encontre d’un compromis entre objets, c’est-à-dire un arrangement de type interculturel situé entre fragmentation culturelle (multiculturalisme idéologique) et assimilation antireligieuse (laïcité militante), l’analyse de Soloviev présente la nécessité d’une conciliation temporelle, dans une perspective historique beaucoup plus large, où la laïcité est considérée non pas comme une finalité ontologique en soi, figée dans le temps, mais comme un moyen au service d’une destinée humaine en cours d’actualisation. Le cadre philosophico-juridique de Soloviev peut être utilement mis en dialogue avec des auteurs contemporains comme Stephen L. Carter, Charles Taylor, John Witte Jr, Ronald Dworkin et Jürgen Habermas. La contribution potentielle de Soloviev sur la place de la religion dans la société russe contemporaine est également mentionnée, avec un accent particulier sur le réexamen critique de l’héritage durable de la notion byzantine de la symphonie entre l’Église et l’État. Enfin, une théorie du fédéralisme inspirée par Soloviev est développée en appliquant, sur une base comparative, des avancées théoriques dans le domaine de l’histoire juridique global à l’évolution constitutionnelle du Canada et d’Israël.
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El modelo de empresa-red constituye un desafío para los sistemas de relaciones laborales. Dicho modelo cuestiona el papel de las instituciones colectivas de trabajo, concebidas históricamente en el marco de una organización integrada verticalmente según el modelo fordista. En efecto, la empresa dispersa o el recurso a la subcontratación son contextos cada vez más habituales, en los cuales la organización del trabajo se encuentra disociada de la empresa en sentido jurídico y patrimonial, y donde se establecen relaciones de trabajo triangulares de facto entre empresa principal, empresa de servicios y trabajadores. La búsqueda de respuestas a esta problemática apunta a la reconstrucción de solidaridades entre los trabajadores, pasando por la acción de los representantes de los trabajadores. A partir de un estudio de casos llevado a cabo en dos industrias de flujo, la industria nuclear y la petroquímica, este artículo se propone analizar los efectos de la triangulación de la relación salarial a nivel de planta, y dos procesos experimentales de organización sindical y de negociación colectiva territorial que buscan dar respuesta a la problemática de la subcontratación. El artículo analiza los resultados y límites de dichas experiencias para reconstruir una “comunidad de trabajo” inclusiva de los trabajadores subcontratistas.
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Analysis of the word lancea, of Hispanic origin after Varro, and of place names, people´s names and personal names derived from it. It confirms that the spear was the most important weapon in the Bronze Age, belonging to the iuventus and used as heroic and divine symbol. This analysis confirms also the personality of the Lusitanians, a people related to the Celts but with more archaic archaeological, linguistic and cultural characteristics originated in the tradition of the Atlantic Bronze in the II millennium BC. It is also relevant to better know the organisation of Broze and Iron Age societies and the origin of Indo-Europeans peoples in Western Europe and of pre-Roman peoples of Iberia.
Resumo:
Réalisé en cotutelle