1000 resultados para (Re)desenho urbano


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In this study we discuss a range of topics related to urban development from the perspective of connection points between the existence of the individual subjects’ lives. In this connection we identified the signs that express an articulation among subjectivity processes and conditions for interference in the real world, relying on circumscribed remarks about spatial configurations and its uses. This way, the substance of our research is structured upon the concept of fashion brands operating new dynamics of urban lifestyles, a strengthened reliance on the physical body’s appearance and the profusion of a supposed “I”, presented as a spectacle. Taking these assertions as new “trends” on building view-points and contemporary cities, we discuss the implications of these currents on how people gather and organize themselves in the urban landscape, making an effort to comprehend how these vogues reverberate on the (re)production of increasingly segregated cities

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The process of urbanization that happened in Brazil during the twentieth century led to processes of structuring and re-organization of space, besides the emergence of many urban problems. Industrialization and urbanization are some of the main causes that could be cited as consequences of this process. As a result of the steep rise of cities, the transport systems became fundamental in boosting flows (immaterial) and the mobility of people and stuff (materials) in the territory. The urban model created for the city of São Paulo in the 1930s was repeated over the years in the medium-sized cities, being repeated the same problems that occurred in the metropolis. In this context our work fits in analyzing the changes occurring in the urban area of São José do Rio Preto - SP, from his relationship with the public transportation system in the face of intra-urban spatial configuration of the city. Transport, while it is recognized by authors as being really important for the analysis and intra-urban spatial configuration, has been little analyzed as the object of study by a geographer, and so, our work has more value

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Coordenação de Aperfeiçoamento de Pessoal de Nível Superior (CAPES)

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The present article aims to elaborate an objective analytical panel, initially from the 1920- 1930 when Luiz Ignácio Romeiro de Anhaia Mello, cathedratic in the urban question, started to quote a series of authors and American plans as references to their reflections, mainly when the point was the verticalization or not at São Paulo City. From a broad bibliographic research with the systematization of the register from the debate between Anhaia Mello, this article intends to point out how the transposition of the urbanistic conceptions to the academic environment happened and, at the same time, the legal normatization of the São Paulo City that resulted in the creation of a draft of the regulations for use and occupation of the soil. The systematizations and analysis were based in a broad reading of the bibliography and documental sources that refer to the proposed theme. The books of the library of FAU-USP, specifically the one from SAGMACS – Sociedade de Análises Gráficas e Mecanográficas Aplicadas aos Complexos Sociais ( Society of Graphical Mechanical-Graphic Analysis Applied to Social Complexes) -, aiming to select papers and the collection of Anhaia Mello´s family, so that a reconstruction of the intellectual and professional journey of the Urbanism Professor. The systematization of the collected data and posterior comparison with the bibliographical study was fundamental for the reconstruction of the reflection of Anhaia Mello about the ways of the urban streets and roads at Sao Paulo City should be lead to on the middle of the XX century having as a guideline the debate between Anhaia Mello – very common on the 1950s for less important countries when dealing with the organization of the size of industrial metropolis. It was possible to identify the crystallization of one urbanistic proposal for the city: the from Anhaia Mello, that bet on the reversion of the metropolitan cycle by stopping the urban growth by the application of the theoretical conception of the garden city.

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Há anos vem-se questionando o papel da representação gráfica na arquitetura, diante das novas tecnologias gráficas computacionais e novos processos projetivos delas decorrentes. Entretanto, o desenho à mão livre ainda se mostra atuante no processo projetivo, marcado por um olhar atento, uma percepção individual e um tempo de execução que permite imersão, entrega e reflexão. Este artigo apresenta uma análise a partir de um olhar mais atento ao desenho de projetos do arquiteto Paulo Mendes da Rocha, como contribuição para a discussão sobre o papel do desenho analógico no processo projetivo. Foram selecionados alguns projetos do arquiteto: Projeto para o Concurso de remodelação do centro urbano de Santiago (Chile); Estádio Serra Dourada; Edifício Jaraguá, Caetano de Campos; Ginásio do Clube Atlético Paulistano (1958); Residência no Butantã (1964); residência Fernando Millan (1970) e Museu Brasileiro da Escultura (1986). Este artigo apresenta estudos de leitura sobre os desenhos originais do arquiteto com o objetivo de detectar as intenções projetuais, conceitos e características do projeto. Foram feitas marcações gráficas sobre os desenhos originais, evidenciando uma leitura particular do pesquisador que permitiu uma melhor compreensão dos projetos.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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Questa tesi di dottorato di ricerca ha come oggetto la nozione di fatto urbano elaborata e presentata da Aldo Rossi nel libro L’architettura della città edito nel 1966. Ne L’architettura della città sono molteplici le definizioni e le forme con cui è enunciata la nozione di fatto urbano. Nel corso della tesi si è indagato come la costruzione nel tempo di questo concetto è stata preceduta da diversi studi giovanili intrapresi dal 1953, poi riorganizzati e sintetizzati a partire dal 1963 in un quaderno manoscritto dal titolo “Manuale di urbanistica”, in diversi appunti e in due quaderni manoscritti. Il lavoro di ricerca ha ricostruito la formulazione della nozione di fatto urbano attraverso gli scritti di Rossi. In questa direzione la rilevazione della partecipazione di Rossi a dibattiti, seminari, riviste, corsi universitari o ricerche accademiche è apparsa di fondamentale importanza, per comprendere la complessità di un lavoro non riconducibile a dei concetti disciplinari, ma alla formazione di una teoria trasmissibile. Il tentativo di comprendere e spiegare la nozione di fatto urbano ha condotto ad esaminare l’accezione con cui Rossi compone L’architettura della città, che egli stesso assimila ad un trattato. L’analisi ha identificato come la composizione del libro non è direttamente riferibile ad un uso classico della stesura editoriale del trattato, la quale ha tra i riferimenti più noti nel passato la promozione di una pratica corretta come nel caso vitruviano o un’impalcatura instauratrice di una nuova categoria come nel caso dell’Alberti. La mancanza di un sistema globale e prescrittivo a differenza dei due libri fondativi e il rimando non immediato alla stesura di un trattato classico è evidente ne L’architettura della città. Tuttavia la possibilità di condurre la ricerca su una serie di documenti inediti ha permesso di rilevare come negli scritti a partire dal 1953, sia maturata una trattazione delle questioni centrali alla nozione di fatto urbano ricca di intuizioni, che aspirano ad un’autonomia, sintetizzate, seppure in modo non sistematico, nella stesura del celebre libro. Si è così cercato di mettere in luce la precisazione nel tempo della nozione di fatto urbano e della sua elaborazione nei molteplici scritti antecedenti la pubblicazione de L’architettura della città, precisando come Rossi, pur costruendo su basi teoriche la nozione di fatto urbano, ne indichi una visione progressiva, ossia un uso operativo sulla città. La ricerca si è proposta come obiettivo di comprendere le radici culturali della nozione di fatto urbano sia tramite un’esplorazione degli interessi di Rossi nel suo percorso formativo sia rispetto alla definizione della struttura materiale del fatto urbano che Rossi individua nelle permanenze e che alimenta nella sua definizione con differenti apporti derivanti da altre discipline. Compito di questa ricerca è stato rileggere criticamente il percorso formativo compiuto da Rossi, a partire dal 1953, sottolinearne gli ambiti innovativi e precisarne i limiti descrittivi che non vedranno mai la determinazione di una nozione esatta, ma piuttosto la strutturazione di una sintesi complessa e ricca di riferimenti ad altri studi. In sintesi la tesi si compone di tre parti: 1. la prima parte, dal titolo “La teoria dei fatti urbani ne L’architettura della città”, analizza il concetto di fatto urbano inserendolo all’interno del più generale contesto teorico contenuto nel libro L’architettura della città. Questo avviene tramite la scomposizione del libro, la concatenazione delle sue argomentazioni e la molteplicità delle fonti esplicitamente citate da Rossi. In questo ambito si precisa la struttura del libro attraverso la rilettura dei riferimenti serviti a Rossi per comporre il suo progetto teorico. Inoltre si ripercorre la sua vita attraverso le varie edizioni, le ristampe, le introduzioni e le illustrazioni. Infine si analizza il ruolo del concetto di fatto urbano nel libro rilevando come sia posto in un rapporto paritetico con il titolo del libro, conseguendone un’accezione di «fatto da osservare» assimilabile all’uso proposto dalla geografia urbana francese dei primi del Novecento. 2. la seconda parte, dal titolo “La formazione della nozione di fatto urbano 1953-66”, è dedicata alla presentazione dell’elaborazione teorica negli scritti di Rossi prima de L’architettura della città, ossia dal 1953 al 1966. Questa parte cerca di descrivere le radici culturali di Rossi, le sue collaborazioni e i suoi interessi ripercorrendo la progressiva definizione della concezione di città nel tempo. Si è analizzato il percorso maturato da Rossi e i documenti scritti fin dagli anni in cui era studente alla Facoltà di Architettura Politecnico di Milano. Emerge un quadro complesso in cui i primi saggi, gli articoli e gli appunti testimoniano una ricerca intellettuale tesa alla costruzione di un sapere sullo sfondo del realismo degli anni Cinquanta. Rossi matura infatti un impegno culturale che lo porta dopo la laurea ad affrontare discorsi più generali sulla città. In particolare la sua importante collaborazione con la rivista Casabella-continuità, con il suo direttore Ernesto Nathan Rogers e tutto il gruppo redazionale segnano il periodo successivo in cui compare l’interesse per la letteratura urbanistica, l’arte, la sociologia, la geografia, l’economia e la filosofia. Seguono poi dal 1963 gli anni di lavoro insieme al gruppo diretto da Carlo Aymonino all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, e in particolare le ricerche sulla tipologia edilizia e la morfologia urbana, che portano Rossi a compiere una sintesi analitica per la fondazione di una teoria della città. Dall’indagine si rileva infatti come gli scritti antecedenti L’architettura della città sviluppano lo studio dei fatti urbani fino ad andare a costituire il nucleo teorico di diversi capitoli del libro. Si racconta così la genesi del libro, la cui scrittura si è svolta nell’arco di due anni, e le aspirazioni che hanno portato quello che era stato concepito come un “manuale d’urbanistica” a divenire quello che Rossi definirà “l’abbozzo di un trattato” per la formulazione di una scienza urbana. 3. la terza parte, dal titolo “La struttura materiale dei fatti urbani: la teoria della permanenza”, indaga monograficamente lo studio della città come un fatto materiale, un manufatto, la cui costruzione è avvenuta nel tempo e del tempo mantiene le tracce. Sul tema della teoria della permanenza è stato importante impostare un confronto con il dibattito vivo negli anni della ricostruzione dopo la guerra intorno ai temi delle preesistenze ambientali nella ricostruzione negli ambienti storici. Sono emersi fin da subito importanti la relazione con Ernesto Nathan Rogers, le discussioni sulle pagine di Casabella-Continuità, la partecipazione ad alcuni dibatti e ricerche. Si è inoltre Rilevato l’uso di diversi termini mutuati dalle tesi filosofiche di alcune personalità come Antonio Banfi e Enzo Paci, poi elaborati dal nucleo redazionale di Casabella-Continuità, di cui faceva parte anche Rossi. Sono così emersi alcuni spostamenti di senso e la formulazione di un vocabolario di termini all’interno della complessa vicenda della cultura architettonica degli anni Cinquanta e Sessanta. 1. Si è poi affrontato questo tema analizzando le forme con cui Rossi presenta la definizione della teoria della permanenza e i contributi desunti da alcuni autori per la costruzione scientifica di una teoria dell’architettura, il cui fine è quello di essere trasmissibile e di offrire strumenti di indagine concreti. Questa ricerca ha permesso di ipotizzare come il lavoro dei geografi francesi della prima metà del XX secolo, e in particolare il contributo più rilevante di Marcel Poëte e di Pierre Lavedan, costituiscono le fonti principali e il campo d’indagine maggiormente esplorato da Rossi per definire la teoria della permanenza e i monumenti. Le permanenze non sono dunque presentate ne L’architettura della città come il “tutto”, ma emergono da un metodo che sceglie di isolare i fatti urbani permanenti, consentendo così di compiere un’ipotesi su “ciò che resta” dopo le trasformazioni continue che operano nella città. Le fonti su cui ho lavorato sono state quelle annunciate da Rossi ne L’architettura della città, e più precisamente i testi nelle edizioni da lui consultate. Anche questo lavoro ha permesso un confronto dei testi che ha fatto emergere ne L’architettura della città l’uso di termini mutuati da linguaggi appartenenti ad altre discipline e quale sia l’uso di concetti estrapolati nella loro interezza. Presupposti metodologici Della formulazione della nozione di fatto urbano si sono indagate l’originalità dell’espressione, le connessioni presunte o contenute negli studi di Rossi sulla città attraverso la raccolta di fonti dirette e indirette che sono andate a formare un notevole corpus di scritti. Le fonti dirette più rilevanti sono state trovare nelle collezioni speciali del Getty Research Institute di Los Angeles in cui sono conservati gli Aldo Rossi Papers, questo archivio comprende materiali inediti dal 1954 al 1988. La natura dei materiali si presenta sotto forma di manoscritti, dattiloscritti, quaderni, documenti ciclostilati, appunti sparsi e una notevole quantità di corrispondenza. Negli Aldo Rossi Papers si trovano anche 32 dei 47 Quaderni Azzurri, le bozze de L’architettura della città e dell’ Autobiografia Scientifica. Per quanto riguarda in particolare L’architettura della città negli Aldo Rossi Papers sono conservati: un quaderno con il titolo “Manuale d’urbanistica, giugno 1963”, chiara prima bozza del libro, degli “Appunti per libro urbanistica estate/inverno 1963”, un quaderno con la copertina rossa datato 20 settembre 1964-8 agosto 1965 e un quaderno con la copertina blu datato 30 agosto 1965-15 dicembre 1965. La possibilità di accedere a questo archivio ha permesso di incrementare la bibliografia relativa agli studi giovanili consentendo di rileggere il percorso culturale in cui Rossi si è formato. E’ così apparsa fondamentale la rivalutazione di alcune questioni relative al realismo socialista che hanno portato a formare un più preciso quadro dei primi scritti di Rossi sullo sfondo di un complesso scenario intellettuale. A questi testi si è affiancata la raccolta delle ricerche universitarie, degli articoli pubblicati su riviste specializzate e degli interventi a dibattiti e seminari. A proposito de L’architettura della città si è raccolta un’ampia letteratura critica riferita sia al testo in specifico che ad una sua collocazione nella storia dell’architettura, mettendo in discussione alcune osservazioni che pongono L’architettura della città come un libro risolutivo e definitivo. Per quanto riguarda il capitolo sulla teoria della permanenza l’analisi è stata svolta a partire dai testi che Rossi stesso indicava ne L’architettura della città rivelando i diversi apporti della letteratura urbanistica francese, e permettendo alla ricerca di precisare le relazioni con alcuni scritti centrali e al contempo colti da Rossi come opportunità per intraprendere l’elaborazione dell’idea di tipo. Per quest’ultima parte si può precisare come Rossi formuli la sua idea di tipo in un contesto culturale dove l’interesse per questo tema era fondamentale. Dunque le fonti che hanno assunto maggior rilievo in quest’ultima fase emergono da un ricco panorama in cui Rossi compie diverse ricerche sia con il gruppo redazionale di Casabella-continuità, sia all’interno della scuola veneziana negli anni Sessanta, ma anche negli studi per l’ILSES e per l’Istituto Nazionale d’Urbanistica. RESEARCH ON THE NOTION OF URBAN ARTIFACT IN THE ARCHITECTURE OF THE CITY BY ALDO ROSSI. Doctoral candidate: Letizia Biondi Tutor: Valter Balducci The present doctoral dissertation deals with the notion of urban artifact that was formulated and presented by Aldo Rossi in his book The Architecture of the City, published in 1966. In The Architecture of the City, the notion of urban artifact is enunciated through a wide range of definitions and forms. In this thesis, a research was done on how the construction of this concept over time was preceded by various studies started in 1953 during the author’s youth, then re-organized and synthesized since 1963 in a manuscript titled “Manual of urban planning” and in two more manuscripts later on. The work of research re-constructed the formulation of the notion of urban artifact through Rossi’s writings. In this sense, the examination of Rossi’s participation in debates, seminars, reviews, university courses or academic researches was of fundamental importance to understand the complexity of a work which is not to be attributed to disciplinary concepts, but to the formulation of a communicable theory. The effort to understand and to explain the notion of urban artifact led to an examination of the meaning used by Rossi to compose The Architecture of the City, which he defines as similar to a treatise. Through this analysis, it emerged that the composition of the book is not directly ascribable to the classical use of editorial writing of a treatise, whose most famous references in the past are the promotion of a correct practice as in the case of Vitruvio’s treatise, or the use of a structure that introduces a new category as in the Alberti case. Contrary to the two founding books, the lack of a global and prescriptive system and the not immediate reference to the writing of a classical treatise are evident in The Architecture of the City. However, the possibility of researching on some unpublished documents allowed to discover that in the writings starting from 1953 the analysis of the questions that are at the core of the notion of urban artifact is rich of intuitions, that aim to autonomy and that would be synthesized, even though not in a systematic way, in his famous book. The attempt was that of highlighting the specification over time of the notion of urban artifact and its elaboration in the various writings preceding the publication of The Architecture of the City. It was also specified that, despite building on theoretical grounds, Rossi indicates a progressive version of the notion of urban artifact, that is a performing use in the city. The present research aims to understand the cultural roots of the notion of urban artifact in two main directions: analyzing, firstly, Rossi’s interests along his formation path and, secondly, the definition of material structure of an urban artifact identified by Rossi in the permanences and enriched by various contributions from other disciplines. The purpose of the present research is to revise the formation path made by Rossi in a critical way, starting by 1953, underlining its innovative aspects and identifying its describing limits, which will never lead to the formulation of an exact notion, but rather to the elaboration of a complex synthesis, enriched by references to other studies. In brief, the thesis is composed of three parts: 1. The first part, titled “The Theory of urban artifacts in The Architecture of the City”, analyzes the concept of urban artifact in the more general theoretical context of the book The Architecture of the City. Such analysis is done by “disassembling” the book, and by linking together the argumentations and the multiplicity of the sources which are explicitly quoted by Rossi. In this context, the book’s structure is defined more precisely through the revision of the references used by Rossi to compose his theoretical project. Moreover, the author’s life is traced back through the various editions, re-printings, introductions and illustrations. Finally, it is specified which role the concept of urban artifact has in the book, pointing out that it is placed in an equal relation with the book’s title; by so doing, the concept of urban artifact gets the new meaning of “fact to be observed”, similar to the use that was suggested by the French urban geography at the beginning of the 20th century. 2. The second part, titled “The formation of the notion of urban artifact 1953-66”, introduces the theoretical elaboration in Rossi’s writings before The Architecture of the City, that is from 1953 to 1966. This part tries to describe Rossi’s cultural roots, his collaborations and his interests, tracing back the progressive definition of his conception of city over time. The analysis focuses on the path followed by Rossi and on the documents that he wrote since the years as a student at the Department of Architecture at the Politecnico in Milan. This leads to a complex scenario of first essays, articles and notes that bear witness to the intellectual research aiming to the construction of a knowledge on the background of the Realism of the 1950s. Rossi develops, in fact, a cultural engagement that leads him after his studies to deal with more general issues about the city. In particular, his important collaboration with the architecture magazine “Casabella-continuità”, with the director Ernesto Nathan Rogers and with the whole redaction staff mark the following period when he starts getting interested in city planning literature, art, sociology, geography, economics and philosophy. Since 1963, Rossi has worked with the group directed by Carlo Aymonino at the “Istituto Universitario di Architettura” (University Institute of Architecture) in Venice, especially researching on building typologies and urban morphology. During these years, Rossi elaborates an analytical synthesis for the formulation of a theory about the city. From the present research, it is evident that the writings preceding The Architecture of the City develop the studies on urban artifacts, which will become theoretical core of different chapters of the book. In conclusion, the genesis of the book is described; written in two years, what was conceived to be an “urban planning manual” became a “treatise draft” for the formulation of an urban science, as Rossi defines it. 3. The third part is titled “The material structure of urban artifacts: the theory of permanence”. This research is made on the study of the city as a material fact, a manufacture, whose construction was made over time, bearing the traces of time. As far as the topic of permanence is concerned, it was also important to draw a comparison with the debate about the issues of environmental pre-existence of re-construction in historical areas, which was very lively during the years of the Reconstruction. Right from the beginning, of fundamental importance were the relationship with Ernesto Nathan Rogers, the discussions on the pages of Casabella-Continuità and the participation to some debates and researches. It is to note that various terms were taken by the philosophical thesis by some personalities such as Antonio Banfi and Enzo Paci, and then re-elaborated by the redaction staff at Casabella-Continuità, which Rossi took part in as well. Through this analysis, it emerged that there were some shifts in meaning and the formulation of a vocabulary of terms within the complex area of the architectonic culture in the 1950s and 1960s. Then, I examined the shapes in which Rossi introduces the definition of the theory of permanence and the references by some authors for the scientific construction of an architecture theory whose aim is being communicable and offering concrete research tools. Such analysis allowed making a hypothesis about the significance for Rossi of the French geographers of the first half of the 20th century: in particular, the work by Marcel Poëte and by Pierre Lavedan is the main source and the research area which Rossi mostly explored to define the theory of permanence and monuments. Therefore, in The Architecture of the City, permanencies are not presented as the “whole”, but they emerge from a method which isolates permanent urban artifacts, in this way allowing making a hypothesis on “what remains” after the continuous transformations made in the city. The sources examined were quoted by Rossi in The Architecture of the City; in particular I analyzed them in the same edition which Rossi referred to. Through such an analysis, it was possible to make a comparison of the texts with one another, which let emerge the use of terms taken by languages belonging to other disciplines in The Architecture of the City and which the use of wholly extrapolated concepts is. Methodological premises As far as the formulation of the notion of urban artifact is concerned, the analysis focuses on the originality of the expression, the connections that are assumed or contained in Rossi’s writings about the city, by collecting direct and indirect sources which formed a significant corpus of writings. The most relevant direct sources were found in the special collections of the Getty Research Institute in Los Angeles, where the “Aldo Rossi Papers” are conserved. This archive contains unpublished material from 1954 to 1988, such as manuscripts, typescripts, notebooks, cyclostyled documents, scraps and notes, and several letters. In the Aldo Rossi Papers there are also 32 out of the 47 Light Blue Notebooks (Quaderni Azzurri), the rough drafts of The Architecture of the City and of the “A Scientific Autobiography”. As regards The Architecture of the City in particular, the Aldo Rossi Papers preserve: a notebook by the title of “Urban planning manual, June, 1963”, which is an explicit first draft of the book; “Notes for urban planning book summer/winter 1963”; a notebook with a red cover dated September 20th, 1964 – August 8th, 1965; and a notebook with a blue cover dated August 30th, 1965 – December 15th, 1965. The possibility of accessing this archive allowed to increase the bibliography related to the youth studies, enabling a revision of the cultural path followed by Rossi’s education. To that end, it was fundamental to re-evaluate some issues linked to the socialist realism which led to a more precise picture of the first writings by Rossi against the background of the intellectual scenario where he formed. In addition to these texts, the collection of university researches, the articles published on specialized reviews and the speeches at debates and seminars were also examined. About The Architecture of the City, a wide-ranging critical literature was collected, related both to the text specifics and to its collocation in the story of architecture, questioning some observations which define The Architecture of the City as a conclusive and definite book. As far as the chapter on the permanence theory is concerned, the analysis started by the texts that Rossi indicated in The Architecture of the City, revealing the different contributions from the French literature on urban planning. This allowed to the present research a more specific definition of the connections to some central writings which, at the same time, were seen by Rossi as an opportunity to start up the elaboration of the idea of type. For this last part, it can be specified that Rossi formulates his idea of type in a cultural context where the interest in this topic was fundamental. Therefore, the sources which played a central role in this final phase emerge from an extensive panorama in which Rossi researched not only with the redaction staff at Casablanca-continuità and within the School of Venice in the 1960s, but also in his studies for the ILSES (Institute of the Region Lombardia for Economics and Social Studies) and for the National Institute of Urban Planning.

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Le musiche “popolaresche” urbane, in genere trascurate nella letteratura etnomusicologica, sono state quasi completamente ignorate nel caso della Romania. Il presente studio si propone di colmare almeno in parte questa lacuna, indagando questo fenomeno musicale nella Bucarest degli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Le musiche esaminate sono tuttavia inserite entro una cornice storica più ampia, che data a partire dalla fine del XVIII secolo, e messe in relazione con alcune produzioni di origine rurale che con queste hanno uno stretto rapporto. Il caso di Maria Lătărețu (1911-1972) si è rivelato particolarmente fecondo in questo senso, dal momento che la cantante apparteneva ad entrambi i versanti musicali, rurale e urbano, e nepadroneggiava con disinvoltura i rispettivi repertori. Dopo il suo trasferimento nella capitale, negli anni Trenta, è diventata una delle figure di maggior spicco di quel fenomeno noto come muzică populară (creazione musicale eminentemente urbana e borghese con radici però nel mondo delle musiche rurali). L’analisi del repertorio (o, per meglio dire, dei due repertori) della Lătărețu, anche nel confronto con repertori limitrofi, ha permesso di comprendere più da vicino alcuni dei meccanismi musicali alla base di questa creazione. Un genere musicale che non nasce dal nulla nel dopo-guerra, ma piuttosto continua una tradizione di musica urbana, caratterizzata in senso locale, ma influenzata dal modello della canzone europea occidentale, che data almeno dagli inizi del Novecento. Attraverso procedimenti in parte già collaudati da compositori colti che sin dal XIX secolo, in Romania come altrove, si erano cimentati con la creazione di melodie in stile popolare o nell’armonizzazione di musiche di provenienza contadina, le melodie rurali nel bagaglio della cantante venivano trasformate in qualcosa di inedito. Una trasformazione che, come viene dimostrato efficacemente nell’ultimo capitolo, non investe solo il livello superficiale, ma coinvolge in modo profondo la sintassi musicale.

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El concepto de espacio público, cuya actual tendencia expansiva lo carga de abundante ambigüedad, a menudo es tratado en la geografía desde una perspectiva ineludible y sombría. Este conjunto de argumentos han conformado en estos últimos veinte años una retórica sobre la pérdida del espacio público, condenándolo a un destino poco prometedor. Proponemos abordarlo en la Ciudad de Mendoza desde una perspectiva posible y dinámica, donde el espacio público constantemente se esté rehaciendo y redefiniendo entre conflictos, disputas y acuerdos cotidianos en la sociedad, que adquieren prácticas socio-espaciales específicas.

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El trabajo se centra en la mejora del barrio de extensión I Darou Salaam, perteneciente al municipio de Joal-Fadiouth, en Thies, Senegal. Tras un estudio detallado de las actividades productivas, topografía, densidades de ocupación e inundaciones, la propuesta plantea proporcionar a la población medidas de carácter paliativo. ¿Cuál es el riesgo mayor existente en la zona? Las inundaciones. Por ello se plantean una serie de sistemas en varias fases, para tratar de convivir con el agua con condiciones de Habitabilidad Básica. Se proponen un nuevo sistema de canalización que servirá como mobiliario urbano en las épocas de sequía. Como media extrema, para aquellas viviendas que no se aseguran contar con condiciones de Habitabilidad Básica, se diseña un nuevo asentamiento con una parcelación eficiente y óptima

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La aportación al Plan Estratégico de Desarrollo Urbano de Makeni (Sierra Leona) desde la Infraestructura Verde pretende formalizar una estrategia de aproximación al territorio que ponga en valor la capacidad productiva de éste y permita compatibilizar la protección de las áreas de mayor valor con un desarrollo urbano y socioeconómico sostenible. La identificación de la Infraestructura Verde en el territorio no es otra cosa que la formalización de la “elección del sitio” que evidenciamos de importancia clave en HaB, identificando por un lado vulnerabilidades del terreno (áreas inundables, zonas de máxima pendientes y terrenos inadecuados) y por otros paisajes de interés dignos de ser protegidos por su gran valor cuyo diálogo, de igualdad entre las partes, evidenciarían las áreas de reserva óptimas para ser ocupadas. En un país con una elevada tasa de crecimiento demográfico en el que no existe la formación de la profesión de arquitecto ni ningún otro perfil relacionado con la Ordenación del Territorio, y considerándose una ciudad de tamaño medio de alto crecimiento en África que prevé pueda duplicar su población en aproximadamente 30 años, no queda otra cosa que anticiparse a una posible evolución de la ciudad sin rumbo fijo, leyendo sus potencialidades y fortalezas y trabajando a favor del territorio y no contra natura. La formalización de la Infraestructura Verde en el territorio de Makeni permite evidenciar una metodología de acercamiento a la práctica de la Ordenación Territorial que no es otra cosa que identificar y re-conocer el propio espacio y las relaciones que han imperado durante años (apartados de una visión holística del territorio y asumiendo que es una realidad en constante evolución) y pretende poder mostrar una herramienta que pueda ser replicable ya no solo en todo el territorio de Sierra Leona sino también en otros contextos africanos como sistema claro y evidenciable por la propia población; la agricultura como herramienta clave de custodia del territorio. La población ha entendido y rubricado (Foro de Makeni, Enero, 2014) la necesidad de marcar unas líneas estratégicas de Ordenación Territorial, que, en espera de la creciente población que habrá de albergar en horizontes cercanos, permitan controlar y pautar los futuros crecimientos de su ciudad. La estructura territorial de Makeni está conformada por los swaps, áreas inundables del sistema hídrico principal que formalizan una agricultura intensiva claramente vinculada al agua (wet lands). Estos swaps no pueden ser entendidos como los vacíos entre lo construido, sino como elementos estructurantes del territorio que, si bien hoy se evidencian como áreas degradadas y deterioradas, auguran y anticipan que la respuesta al planeamiento y la actitud frente a ellos pasa por poner el acento en estos espacios, puntos neurálgicos y potenciales de las futuras intervenciones. La Infraestructura verde urbana puede entenderse como un conjunto integrado y continuo de espacios, en general libres de edificación, de interés ambiental y cultural y las conexiones ecológicas y funcionales que los relacionan entre sí. Así estas conexiones funcionales no pretenden más que evidenciar y formalizar las futuras intervenciones en áreas degradadas de la ciudad ya consolidada para, a partir de ellas, generar sinergias detonantes de acciones que repercutan en el espacio público en pro de las relaciones sociales. Estos swaps podrían volver a ser verdaderos vectores de conexión de los corredores ecológicos que suponen los swaps y conformarse como verdaderas conexiones sociales, ecológicas y paisajísticas a escala de barrio, ciudad y territorio.

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Los nuevos comportamientos urbanos nos permiten observar cada vez con más frecuencia en nuestras calles y plazas realidades que siempre habíamos considerado domésticas. Al contrario también pasa, todos los días vivimos en nuestras casas situaciones que implican relacionarnos con personas que no son de nuestro núcleo familiar. El diseño doméstico de nuestras ciudades y el urbanismo del diseño de interiores parecen herramientas oportunas en el mundo que nos ha tocado vivir. Esto nos lleva a pensar que los espacios públicos y privados son términos simplificados, definidos en base a conceptos de propiedad para organizar la ciudad. En cambio, sus usos y vivencias, su gestión y sus comportamientos se han complejizado, distorsionando la terminología convencional hasta hacerla obsoleta. En este contexto, considerado también el marco socioeconómico actual, surgen las “acciones de abajo a arriba” como nuevo paradigma o modelo de renovación urbana, que entienden la involucración del ciudadano como parte activa en el proceso de construcción de la urbe desde la misma gestación del proyecto, frente a las acciones habituales que consideran al usuario como mero receptor de las propuestas. Un ciudadano que parece estar cada vez más radicalizado y una administración que parece asustarse ante el desconcierto que el acercamiento al ciudadano puede acarrear, han ocasionado por un lado, espacios “gueto” de carácter casi anárquico y, por el otro lado, lugares tan institucionalizados que derivan en espacios asociados a la administración y ajenos al ciudadano. Por ello, se considera imprescindible la colaboración entre ambos poderes. De acuerdo con el discurso que precede, dentro de un marco comparativo, se estudian 5 supuestos seleccionados de las ciudades Madrid y Zaragoza. Madrid porque es referencia nacional e internacional en el desarrollo urbano a través de procesos ‘abajo arriba’. Zaragoza porque es una ciudad ‘media’ que históricamente no se ha definido por estrategias urbanas claras, ya sean de carácter social o institucional. Sin embargo, en el momento actual se pueden identificar planteamientos relacionados con la recuperación de construcciones y espacios vacantes que pueden ser determinantes a la hora de alcanzar equilibrios con los intensos procesos institucionales acaecidos en las dos últimas décadas. De los procesos urbanos registrados en cada lugar, desarrollados en construcciones y espacios vacantes, he seleccionado: Construcciones Vacantes Madrid |Tabacalera de Lavapiés Zaragoza | Antiguo I.E.S. Luis Buñuel y antiguo Convento de Mínimos Espacios Vacantes Madrid | Campo de Cebada [solar] Zaragoza | Patio ‘antiguo I.E.S. Luis Buñuel [espacio libre] y plaza Eduardo Ibarra [espacio libre] El proyecto de investigación ha partido de las hipótesis de partida que siguen: UNA… Las ‘acciones de abajo arriba’ o renovación desde abajo no tienen cabida como elementos urbanos aislados sino conectados entre sí, posibilitando la producción de sinergias y la construcción de la ciudad; pudiendo ser consideradas acciones de desarrollo y enlace urbano, pues su objetivo es convertirse en motores del espacio público. Cuestión que es aplicable al resto de los procesos o acciones urbanas [‘horizontales’ o ‘institucionales’] DOS… La capacidad de adaptación manifestada por las ‘acciones de abajo arriba’ implica un marco ideológico de referencia asociado a la importancia de la construcción con mínimos recursos [Re-ocupación y/o Re- Construcción de estructuras urbanas en desuso] en los procesos urbanos descritos, como vía para comprender los concepto sostenibilidad y calidad figurativa de lo construido. Cuestión que es aplicable a la recuperación de aquellos aspectos de la arquitectura que la convierten en necesaria para la sociedad. Y tiene como objetivo: Identificar modelos de sostenibilidad urbana como una estrategia que va de lo individual a lo colectivo y que se transmite fundamentalmente con la acción, mezclando la innovación y la tecnología en múltiples ámbitos, utilizando los recursos naturales e intelectuales de una manera eficiente y entendiendo la inteligencia humana y sobre todo la inteligencia colectiva, como principio y justificación. Se han analizado los siguientes aspectos: sociales [participación ciudadana e implicación de la administración pública], urbanos [conexiones con otros colectivos o espacios urbanos / transformaciones urbanas a través de los procesos de gestión utilizados], constructivos [materiales utilizados en la re-construcción de construcciones y espacios vacantes / sistemas constructivos utilizados] y los relacionados con la sostenibilidad [sostenibilidad económica / sostenibilidad de mantenimiento / sostenibilidad funcional / inteligencia colectiva] El estudio de los aspectos considerados se ha desarrollado con las herramientas metodológicas siguientes: Entrevistas abiertas a expertos: se han obtenido respuestas de 25 personas expertas [5 por cada espacio o construcción vacante] relacionadas con las acciones urbanas sostenibles, la cultura y las relaciones sociales, y que también conocen los lugares y su entorno desde los puntos de vista urbano y construido. Son ‘tipos ideales’ asociados a uno de los cinco poderes que se manifiestan en la ciudad: el poder educativo [la universidad], el poder creativo [la cultura], el poder administrativo [la política], el poder empresarial [la empresa privada] y los usuarios [un usuario activo y representativo de cada lugar elegido que haya intervenido en la gestación del proceso]. Han sido personas que conocían el tejido social y urbano de la ciudad de Zaragoza y Madrid, ya que la herramienta ‘entrevista abierta a expertos’, recoge datos y opiniones planteadas en las construcciones y espacios vacantes ubicados en Zaragoza y Madrid. Entrevistas cerradas a usuarios: como la población de usuarios que se somete a la investigación es infinita o muy grande, resulta imposible o inconveniente realizar la obtención de los datos sobre todos aquellos elementos que la forman. Por lo tanto, he decidido estudiar sólo una parte de la población que denomino ‘tipos ideales’, obteniendo respuestas de 150 usuarios [30 personas por cada espacio o construcción vacante]. La selección de grupos de personas entrevistadas, debe permitir que los resultados sean representativos de la población total de usuarios. Además, la elección de ‘tipos ideales’ se ha identificado con los vecinos de los núcleos urbanos [o barrios] en los que se ubican las construcciones o espacios vacantes analizados. Observación estructurada: recoger información a través de la observación me ha permitido conocer las actuaciones y comportamientos de los ciudadanos en el medio urbano. Esto ha facilitado el estudio del medio a nivel práctico, valorando el uso que la sociedad da a las construcciones y a los espacios vacantes analizados. Es importante posicionar la estrategia en relación con el tema de investigación propuesto. Una estrategia que dibuje un panorama plural, desarrollado a través de herramientas sociales y constructivas que permitan que la arquitectura hable de cosas parecidas a lo que interesa a la ciudadanía. Para ello, propuse un catálogo de herramientas arquitectónicas que han permitido evaluar todas las propuestas. Un contexto de estrategias comunes que han descrito con los mismos códigos las distintas actuaciones analizadas. Estas herramientas tocan diferentes campos de interés. Desde las partes más tectónicas y constructivas, hasta las más ligadas con el desarrollo urbanístico y social. Acciones de participación colectiva: Experiencias o laboratorios urbanos participados por los alumnos del grado de arquitectura de la UNIZAR y los agentes sociales. Las acciones son una herramienta propositiva. Investigar y analizar proponiendo ha permitido que el análisis del contexto pueda llegar a capas de mucha más profundidad. No se ha trabajado estableciendo jerarquías de profesores y alumnos, sino que se ha intentado posibilitar la conexión de distintos agentes que trabajan coordinadamente durante el tiempo que han durado las acciones. Por un lado esto ha permite que cada integrante haya aportado al grupo lo que mejor sabe hacer y de la misma manera, que cada uno pueda aprender aquello de lo que tenga más ganas… y reflexionar sobre determinados aspectos objeto del análisis. Una vez interpretados los resultados, obtenidos a través de las herramientas metodológicas referenciadas, se ha concluido lo que sigue: Respecto de la Hipótesis de partida UNO LAS ACCIONES ‘ABAJO ARRIBA’ han revelado que no se puede entender ningún proceso de gestión urbana fuera de la participación ciudadana. El ‘ESPACIO LIBRE’ de una ciudad necesita lugares de autogestión, espacios de cogestión, movimientos de ‘arriba abajo’ y también modelos que todavía no sabemos ni que existen. LAS ACCIONES INSTITUCIONALES ‘ARRIBA ABAJO’ han demostrado que no han presentado permeabilidad ni relación con las circulaciones de entorno. Tampoco han tenido en cuenta a otras muchas personas, ‘usuarios productores’, a las que les interesan los procesos de búsqueda y las fórmulas de conexión más interactivas. Respecto de la hipótesis de partida DOS LAS ACCIONES ‘ABAJO ARRIBA’ han revelado que el ‘derecho a la ciudad’, paradigma defendido por Lefebvre desde el cual se piensa el urbanismo ciudadano, en estos supuestos podría entenderse como el ‘derecho a la infraestructura’. El ESPACIO LIBRE es infraestructura y se quiere para infraestructurar los derechos de cada uno. Y aunque también es verdad que estas acciones son simples destellos, han hecho visible otro paradigma de gestión y propuesta urbana que puede ser predominante en un futuro próximo. LAS ACCIONES INSTITUCIONALES ‘ARRIBA ABAJO’ han revelado que las intervenciones estuvieron enfocadas únicamente a la resolución de los procesos constructivos y a la incorporación del programa como un dato ‘problema’ que era necesario resolver para evitar la afección al diseño. ABSTRACT The new urban ways of behaviour let us watch more and more frequently in our streets and squares, realities that we had always considered as domestic. This also happens the other way round. Every day we have to go through situations at home which imply relationships with people who don’t belong to our family circle. The domestic design of our cities and the urban planning of indoor design seem to be adequate tools in the world we have to live in. This leads us to think that public and private spaces are simplified terms, defined according to concepts of property in order to organise the city. On the other hand, its uses and the experiences of people, its management and ways of behaviour is now more complex, changing the conventional terminology that has become outdated. In this context, ‘bottom-up’ actions arise as a new paradigm or model of urban renewal. These actions consider the active role of social participation in the process of building up the city from the very beginning, in comparison with the former way of acting that considered the user as mere receptor of the proposals. A citizen who seems to become more and more radical, and an administration that seems to be afraid of the unknown, have created both almost anarchic ghetto spaces and, on the other hand, spaces which have been so institutionalised that derive into areas associated to the administration but alienated from the citizen. For this reason, cowork of both forces is considered as crucial. In accordance with the above mentioned ideas and within a comparative framework, five situations chosen from the cities of Madrid and Zaragoza are studied. Madrid because is a national and international reference in urban development that uses “bottom-up” processes. Zaragoza because is a “medium-size” city that, historically, has not been defined by clear social or institutional urban strategies. Nevertheless, at the present time we can identify approaches on the recovery of constructions and empty areas that may be determining for reaching a balance with the intense institutional processes that have taken place in the two last decades. From the urban processes registered in every place and developed in vacant areas and constructions, I have chosen: Vacant constructions Madrid | Lavapiés Tobacco Factory Zaragoza | Old Secondary School Luis Buñuel and old Convent of the Minimos Vacant areas Madrid | Campo de Cebada [non-built site]. Zaragoza | Old courtyard of the secondary school and Eduardo Ibarra square [free space] The research project has been issued from the following starting hypotheses: ONE… “Bottom-up actions” or renewal from below have no place as isolated urban elements but as connected parts that can produce synergies and the construction of the city, and that can also be considered as actions producing urban development and links. This can also be applied to the rest of urban processes or actions [‘horizontal’ or ‘institutional’]. TWO… The capacity of adaptation shown by “bottom-up actions” implies an ideological framework of reference which is related to the importance of construction with minimal resources (re-occupation and/or reconstruction of urban structures in disuse) in the above mentioned urban processes, as a way for understanding the concepts of sustainability and the representational quality of what has been constructed. This can also be applied to the recovery of those architectural aspects that make architecture necessary for society. And its objective is: Identify models of urban sustainability as a strategy going from the individual to the collective, which are mainly transferred by action and that mix innovation and technology in many fields. Models that use natural and intellectual resources in an efficient way, and understand human intelligence and, above all, collective intelligence, as principle and justification. The following aspects have been analysed: social [civic participation and involvement of the public Administration], urban [connections with other collectives or urban spaces / urban transformation by the processes of administration used], constructive [materials used for the re-construction of empty spaces / construction systems used] and those focusing on sustainability [economic sustainability /maintenance sustainability /functional sustainability / collective intelligence]. For researching into the above mentioned aspects, the following methodological tools have been developed: Open interviews with experts: answers from 25 experts have been obtained [five for every vacant space or empty construction] on sustainable urban actions, culture and social relations, who also know the places and their environment from an urban and constructive point of view. These are “ideal types” linked to one of the five powers acting in the city: the educational power [University], the creative power [culture], the administration power [politics], the corporate power [private companies] and the users [an active and representative user for every place selected during the establishment of the process]. They were people who knew the social and urban fabric of Zaragoza and Madrid, since the “open interview for experts” tool collects data and points of view set out in vacant constructions and spaces of Zaragoza and Madrid. Close interviews with users: as the number of users targeted for the research is very big or infinite, it is impossible or inconvenient to get data from all its constituent parts. Therefore, I have decided to research into the part of the population that I call “ideal types”, obtaining answers from 150 users [30 people for every empty space or construction]. The selection of the groups of people interviewed must produce results which are representative of the total population of users. Furthermore, the election of “ideal types” has been identified with the inhabitants of urban areas [or city districts] in which the vacant spaces or constructions analysed are located. A structured observation: I have known the actions and ways of behaving of the citizens in the urban environment by means of collecting information after observation. Therefore, the practical research into the target environment has been easier by valuing the use that society gives to the empty constructions and spaces analysed. It is important to position the strategy with respect to the research subject proposed. It involves a strategy able to get an overview of a plural landscape, developed by social and constructive tools, allowing architecture to talk about topics which are interesting for city dwellers. Therefore, I proposed a set of architectural tools to evaluate all the proposals. A context of common strategies describing the different actions analysed by using the same codes. These tools focus on different fields of interests, from the most tectonic and constructive parts, to the most related to urban and social development. Actions on collective participation: experiences or urban laboratories shared by the students of architecture of the University of Zaragoza and social agents. The actions are a proactive tool. Researching and analysing by means of proposing, has allowed me to analyse the context and much deeper layers. This work has not been done by establishing ranks of professors and student, but trying to get an interaction between the different agents who work in close coordination during the implementation of the actions. This has allowed every agent to contribute the group what they do the best, and also every individual has had the possibility to learn what s/he prefers…, thinking about the different aspects targeted by the analysis. Once the different methodological tools have been interpreted, this is the conclusion: With regard to the initial hypothesis ONE “BOTTOM-UP” ACTIONS have proven that no process of urban management can be understood outside civic participation. The “FREE SPACE” of a city needs self-managed places, co-managed spaces, “up-bottom” movements, and also models whose existence is still ignored. “UP-BOTTOM” INSTITUTIONAL ACTIONS have proven that they have not presented neither permeability nor relation with local ideas. They have also disregarded many other people, the “usersproducers”, who are interested in the most interactive means of searching and connecting processes. With regard to the initial hypothesis TWO Under these premises, “BOTTOM-UP” ACTIONS have shown that the “right to the city”, a paradigm defended by Lefebvre and from which citizen-focused urbanism is conceived, could be considered as a “right to the infrastructures”. A FREE SPACE is an infrastructure and must be used to “infrastructure” the rights of every citizen. And, even though it is true that these actions are mere flashes, they have made visible another paradigm of management and urban proposal that can be prevailing in a near future. “UP-BOTTOM” INSTITUTIONAL ACTIONS have revealed that the interventions have only focused on resolving construction processes and the incorporation of the program as a “problem” data that was necessary to resolve in order to avoid its influence on the design.