971 resultados para ANTROPOLOGIA TEOLOGICA


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La legge n.354 del 1975 ha apportato importanti cambiamenti nella vita detentiva. Viene messa in luce un nuovo senso della sanzione: una pena più umana in cui il detenuto non può più essere considerato un soggetto da diagnosticare, ma da conoscere e reinserire nel contesto sociale. Tuttavia il carcere resta una realtà complessa piena di problematiche e contraddizioni. Il seguente lavoro ha cercato di comprendere l’opinione dei detenuti su tematiche che quotidianamente ruotano intorno al carcere: recidiva, finalità rieducativa e sorveglianza dinamica. A tal proposito è stato somministrato un questionario appositamente strutturato su tali tematiche ad un campione di 161 detenuti. Il carcere aperto e la sorveglianza dinamica risultano una nuova conquista trattamentale. Solo un carcere più vivibile, pieno di opportunità può realmente rieducare il soggetto ed insegnargli ad essere libero nel rispetto della legge.

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Con legge 20 giugno 2008, n. 97 «Prevenzione e repressione della violenza contro le donne e di genere» la Repubblica di San Marino si è dotata di un impianto normativo teso al contenimento del fenomeno della violenza domestica, sessuale e di genere, il cui tratto saliente è dato dal coinvolgimento della compagine sociale nel contrasto delle condotte delittuose (Santolini & Venturini, 2013/2014. La progressiva sensibilizzazione della collettività (Authority Pari Opportunità, 2010)rispetto a fenomeni tollerati in ragione di stereotipi culturali radicati nel contesto sociale tende a favorire l’emersione di episodi altrimenti destinati a rimanere ignoti agli organi giudiziari. Essa appare, pertanto, espressiva della «(…) acquisita consapevolezza del legislatore del fallimento, in materia di violenza di genere, delle modalità tradizionali di formazione e trasmissione della notitia criminis», conseguenti alle «difficoltà oggettive della vittima (…) di reagire alla violenza subita con i tradizionali strumenti della querela o della denuncia» (Santolini&Venturini, 2013/2014, 27), posta l’esistenza di fattori di vulnerabilità specifica del soggetto passivo (ragioni di carattere culturale, sociale o religioso, dipendenza economica e/o psicologica) che lo relegano in posizione subalterna rispetto al perpetrator.

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Nel mito, quindi, bene e male si stringono nel fuoco, in un abbraccio fatale. Nonostante esso abbia per sempre cambiato in meglio le sorti dell’umanità, racchiude in se il mistero: fonte di calore e di luce, elemento dalla materialità domestica, resta però inafferrabile agli uomini, a volte irrefrenabile, spesso temibile e altrettanto seducente. È da ricercare perciò in questa sua dualità il fascino che il fuoco provoca negli uomini: esso divora, con la sua fiamma distruttiva, tutto quello che incontra nel suo passaggio, lasciando dietro di sé terreni ristorati, nutriti dalla decomposizione dei vegetali. Con la sua luce e calore permettel’esistenza, ma nel contempo ha la possibilità di distruggerla per sempre. Proprietà che hanno fatto del fuoco un potente simbolo rappresentativo sia della vita che della morte, introducendolo di conseguenza nel “mondo del soprannaturale”, come facoltà e prerogativa degli Dei entrando così a far parte dei miti, delle credenze e delle tradizioni di molti popoli.

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Andiamo ad inquadrare la figura femminile nell’organizzazione criminale presa in esame, ovvero la ‘Ndrangheta, mafia calabrese il cui nome deriva dal sostantivo greco andragathòs, che si traduce in forza, virilità, valore. È una mafia definita da molti come “liquida” per lo straordinario potere di penetrare in ogni ambito del sociale ed estendere i propri confini ben oltre il territorio calabro. Fondata sullo stretto ed indissolubile vincolo di sangue, la struttura interna della ‘Ndrangheta viene suddivisa in due livelli: la “Società Minore”, di cui fanno parte picciotto, camorrista e sgarrista, e la “Società Maggiore” che prevede “doti” di santista, vangelo, quartino, quintino e associazione. Più cosche, legate tra loro, danno vita al “Locale”, che costituisce l’unità fondamentale di aggregazione mafiosa su un determinato territorio, quasi sempre coincidente con un villaggio o con un rione di una città. Per la costituzione del “Locale” è necessaria la presenza di almeno 49 affiliati. Ogni locale è diretto da una terna di ‘ndranghetisti, detta copiata, quasi sempre rappresentata dal capobastone, dal contabile e dal capocrimine.

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Il numero di nuove sostanze psicoattive (NSP) acquistabile in internet e le informazioni relative alla loro modalità di assunzione a scopi curativi, ricreazionali e spirituali, stanno aumentando costantemente. Nomi come “legal highs”, “herbal highs” e “etno-drugs”, inducono i consumatori a credere che questi prodotti siano sicuri e naturali, sottostimandone o volutamente trascurandone le loro potenzialità farmaco-tossicologiche. Oltre a questo, l’impiego di sostanze naturali tradizionalmente impiegate all’interno di un rituale ben definito in etnie specifiche, in nuovi contesti ricreativi, porta spesso all’abuso delle stesse sostanze (Marti, 2013; 2015). Infatti, mentre l’uso tradizionale/etnico di queste sostanze naturali, non sembra essere associato a dipendenza, intossicazioni o problemi legati alla salute, una volta raggiunto il mercato mondiale, si assiste invece ad una escalation di problematiche ed intossicazioni. Queste derivano soprattutto dal fatto che uscendo da un contesto tradizionale per accedere in uno prettamente ricreazionale, cambiano numerosi fattori fondamentali tra cui: la via di somministrazione, la quantità assunta, l’assunzione di sostanze pure e la co-somministrazione con altre sostanze psicoattive.

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"De Casa em Casa" é um estudo sobre as rodagens de dois documentários de João Pedro Rodrigues: "Esta é a minha casa" (1997) e "Viagem à Expo" (1998). Filomena Silvano, que colaborou com João Pedro Rodrigues em quatro dos seus filmes, relaciona neste livro questões das identidades colectivas e individuais com o estudo do espaço, do habitat, da cultura material e da cultura expressiva.

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Esta dissertação assume, na sua maior abrangência, a feitura de uma articulação entre a sustentação originária e constitutiva do ser humano, a manifestação concreta do sentido existencial do ato pedagógico e os seus modos de realização: dialógico, comunitário, personalista e humanista. Neste sentido, a nossa proposta passa inicialmente por uma procura do sujeito através do alcance da pessoa, do homem ao indivíduo (nas suas diversas vicissitudes), até à sua concretização numa consciência pedagógica precursora do agir, do conhecer, do sentir e, fundamentalmente, do ato de “Reconhecer”, este tido, por nós, como o processo fundamentador e fomentador de uma Pedagogia do Reconhecimento. É um percurso inovador na medida em que parte de uma Antropologia Filosófica e de uma Antroposofia, passando pelos meandros processuais da consciência lonerganiana e da fenomenologia buberiana da relação, pretendendo promover, no seu culminar, uma ambiência cultural de pedagogia dialógica inserida num topos comunitário, pressuposta e implicitamente proposta numa Teoria do Reconhecimento, que se situa na geografia disciplinar da Filosofia da Educação, e nas “Dinâmicas das Relações Interpessoais”. Temos, pois, que o seu epílogo é o reconhecimento: como resultado radical e subtil manifestado na intersubjetividade. A Pedagogia do Reconhecimento como concriação e ação vocativa está fundamentada num itinerário de estruturas idiossincráticas de sustentação do modo como “ser-aí” se faz (constrói e realiza). Partiremos da desaxialização do “Eu” tópico (anthropos) para uma estrutura transversal dialógica. Entendemos que toda a vida verdadeira é relação, afirmação buberiana que, só por si, derruba a clássica fronteira tópica e abre espaço à condição dialógica e essencial do fazer do ser humano. O papel do reconhecimento do “outro”, no homem, é um fenómeno de dialogicidade que abole as fronteiras dialéticas da pura argumentação e permite o brotar da reciprocidade; Abstract: This dissertation intends, in its greater scope, to make a link between the original and constitutive support of the human being, the concrete manifestation of pedagogical act's existential sense and its embodiments: dialogical, personalistic, communitarian and humanist. Our proposal initially goes through a search of the Self through the achievement of the person, from Man to the individual (in its various vicissitudes), till its development in a pedagogical conscience that is a precursor of action, knowing, feeling and, fundamentally, of the act of “Recognize”, as a justifying and instigating process of a Pedagogy of Recognition. It is an innovative path in the sense that it initiates itself from a Philosophical Anthropology and from an Anthroposophy and it continues through the procedural intricacies of lonerganian consciousness and buberian phenomenology of relation, intending to promote, in its culmination, a cultural ambience of dialogic pedagogy, inserted in a communitarian topos, presupposed and implicitly proposed in a Recognition Theory, that places itself in the disciplinary geography of Philosophy of Education and in the “Dynamics of Interpersonal Relationships”. Therefore, the epilogue is the recognition: as a radical and subtle outcome, expressed in the intersubjectivity. The Pedagogy of Recognition as co-creation and vocative practice is based on a route of idiosyncratic structures of support of the way in how to be there is done (built and accomplished). We start from the de-axialization of the topic “Self” (anthropos) to a transversal dialogical structure. We defend that all true life is relationship, a buberian statement that all alone drops the topical classical border and makes room for the dialogical and essential condition of doing of the human being. The role of recognition of the “other”, in Man, is a dialogical phenomenon that abolishes the dialectic borders of pure argument and allows the sprouting of reciprocity.

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Propomo-nos analisar neste artigo o pensamento pedagógico de Paulo Freire na ótica da filosofia da educação. Entendendo-se esta área de saber, simultaneamente, como reflexão tanto das problemáticas educacionais (no plano epistemológico e hermenêutico) como das problemáticas educativas (dimensão ética e antropológica) presentes no discurso pedagógico de Paulo Freire, a nossa análise assentará numa circularidade epistemo-antropológica deste pensamento. Dito de outra forma, é nossa intenção caracterizar a relação estreita que estabelecem entre si uma epistemologia da práxis e uma antropologia dialógica no pensamento pedagógico deste grande educador.

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Dissertação (mestrado)—Universidade de Brasília, Instituto de Ciências Sociais, Departamento de Antropologia, Programa de Pós-Graduação em Antropologia Social, 2015.

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Dissertação (mestrado)—Universidade de Brasília, Instituto de Ciências Sociais, Departamento de Antropologia, Programa de Pós-Graduação em Antropologia Social, 2015.