950 resultados para Princeton Theological Seminary.
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La tesi considera la trattazione del tema dell’infanzia nell’opera di Origene di Alessandria attraverso l’analisi dei testi trasmessi nell’originale greco e delle traduzioni latine di Rufino e Gerolamo. Il motivo dell’infanzia è considerato nei suoi molteplici significati, a più livelli: esegetico, antropologico, filosofico, teologico. La ricerca non si limita dunque ad un’analisi di taglio storico, ma ambisce a definire la concezione e la considerazione della prima età dal punto di vista di Origene e nel contesto più ampio della letteratura coeva. Attraverso una lettura estensiva del corpus dell’Alessandrino sono stati isolati tutti i passi che si riferiscono all’infanzia a livello letterale e metaforico. Ne emerge una trattazione complessa del tema: il bambino è per Origene, in linea con le contemporanee dottrine filosofiche, un essere eminentemente irrazionale. Il pieno sviluppo della facoltà razionale si colloca al termine di questa prima fase dell’esistenza. L’irrazionalità infantile previene nei più piccoli l’insorgere delle passioni. A questa dottrina, di matrice stoica, si ricollegano alcuni sviluppi di grande rilievo: la non-imputabilità dei minori ed il legame tra razionalità e responsabilità individuale; la riflessione sulla sofferenza dei bambini e la ricerca di una sua causa, che non intacchi il principio della giustizia divina; l’ipotesi della preesistenza delle anime. Sul piano teologico la ricerca si focalizza sulle nozioni di paternità e filiazione e sul tema, centrale nell’orizzonte origeniano, della pedagogia. Origene concepisce la pedagogia umana, sul modello di quella divina, come una rete dinamica di relazioni che ricalca i rapporti parentali. A fianco di questi ambiti d’interesse principali l’analisi considera aspetti ulteriori: risalto è concesso, in particolare, all’elemento biografico ed all’aspetto linguistico e letterario della prosa origeniana, quest'ultimo spesso trascurato dalla critica. Lo studio mostra inoltre la vitalità di alcuni modelli esegetici origeniani nella tradizione successiva.
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La tesi è incentrata sull'analisi dell'organizzazione retorica della prosa di Giorgio Manganelli, indagando il sistema ritmico attraverso il quale l'autore è in grado di creare un fluire sintattico che sfugge alle classificazioni di genere. Per Manganelli, infatti, il linguaggio è solamente organizzazione di se stesso, e perciò la scrittura ruota attorno a un centro narrativo vuoto, dissimulando l'assenza di necessità. Egli è un retore puntuale dotato di una straordinaria abilità compositiva, che gli consente di mettere in scena l'ambiguità insita nella retorica. Per affrontare questa analisi è stato opportuno avvalersi della critique du rythme ideata da Henri Meschonnic, a partire dalle riflessioni di Emile Benveniste sul concetto eracliteo di ritmo, poiché essa fornisce una prospettiva duttile, dinamica e svincolata da pregiudizi critici. Meschonnic infatti considera il ritmo non come schema metrico ma in quanto organizzazione del senso nel discorso, volto alla signifiance del testo. In quest'ottica si è tentato di costruire un percorso attraverso le opere di Manganelli per descrivere il sistema retorico su cui si fonda la sua scrittura, a partire dai materiali del suo laboratorio (poesie, prose, appunti di diario, scambi epistolari) fino all'ideazione di discorsi pseudo-teologici che si presentano come allegoria stessa della scrittura. Si sono analizzati in particolare la trasposizione letteraria della tecnica musicale della variazione in Nuovo commento (1969), e il ritmo del periodo ipotetico in Rumori o voci (1987), testo emblematico della ricerca di Manganelli sulle potenzialità del linguaggio. Infine la prosa manganelliana è stata messa a confronto con quella di altri importanti autori italiani del Novecento (Pavese, Gadda, Camporesi, Celati), al fine di comparare tra loro diverse organizzazioni ritmiche del linguaggio, e ricollocando così Manganelli al centro del panorama letterario italiano con tutta la sua eversiva marginalità.
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Questo lavoro traccia un quadro della diffusione e trasmissione delle conoscenze riguardanti l’anatomia e la fisiologia del corpo umano nel mondo iranico in età sasanide (III-VII sec. d.C.). La tesi analizza il ruolo delle scuole di medicina in territorio iranico, come quelle sorte a Nisibi e Gundēšābūr, delle figure dei re sasanidi interessati alla filosofia e alla scienza greca, e dei centri di studio teologico e medico che, ad opera dei cristiani siro-orientali, si fecero promotori della conoscenza medico-scientifica greca in terra d’Iran.
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La ricerca pone al suo centro lo studio dell'opera architettonica di Emil Steffann (1899-1968) la cui produzione realizzata consta, nel breve arco temporale che va dal 1950 al 1968, del ragguardevole numero di trentanove chiese, rappresentando un caso emblematico di progettazione e costruzione di edifici per il culto cristiano in grado di raffigurarne concretamente i principi fondativi liturgici, estetici e morfologici. L'architettura di Steffann, profondamente ispirata dallo spirito religioso, legata a figure primigenie che plasmano lo stare-insieme della comunità nella qualità corporea della materia, dove la presenza liturgica e monumentale si esprime nel silenzio e nella disponibilità di uno spazio circoscritto dai muri e direzionato dalla luce, concorre a definire nell'oggettivo amore per il vero la percezione estetico-teologica e la poetica formativa che connaturano, a nostro parere, progetto e segno della chiesa. Il testo concretizza il primo studio monografico completo di questo corpus architettonico e si basa sulla ricognizione diretta delle opere di Steffann; ne è derivata una narrazione non conseguente a un ordine cronologico o di presupposta importanza degli edifici, bensì che ricerca ed evidenzia corrispondenze tra nodi di una rete ideativa la quale, con diversi gradi di finitezza, in punti non sempre omogenei del tempo e dello spazio, denota un'esperienza autentica del comporre e del costruire. Il racconto individua gli oggetti architettonici, ne discute la consistenza aprendosi a riferimenti altri (in particolare il pensiero ecclesiologico-liturgico di Romano Guardini e quello estetico-teologico di Hans Urs von Balthasar) in grado di illuminarne la genesi e la manifestazione, li lega infine in sequenze analogiche. Una serie di tavole fotografiche originali, parte ineludibile e integrante della ricerca, testimonia dello stato attuale dei luoghi, connotando ulteriormente l'aspetto info-rappresentativo della loro composizione architettonica. In chiusura, la sintesi architetturale vuole essere uno strumento di verifica e progetto, quindi di trasposizione futura, correlato all'elaborazione documentaria.
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L'elaborato affronta il pensiero di John Courtney Murray dal punto di vista teologico e politico, sottolineandone le influenze esterne ai circoli intellettuali cattolici e la particolare rilevanza per l'integrazione della comunità cattolica nella società statunitense.
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It has been nine decades since Walter Rauschenbusch (1861-1918) published a slim volume entitled The Social Principles of Jesus. Though today less well known than his other works Christianity and the Social Crisis (1907) and Theology for the Social Gospel (1917), it is Social Principles that most adeptly summarizes the theological ethics of Rauschenbusch’s “social gospel.” Taking the form of a pedagogical treatise, Social Principles reads as both a finely tuned analysis of the modern relevance of the teachings of Jesus, and an impassioned plea on the part of its author for an end to the folly of interpreting Christianity solely in “individualistic” terms. It is Rauschenbusch’s expressed aim to resurrect the core teachings of Jesus, which are social and ethical, and apply these to a renewed, socially conscious liberal democracy, establishing a grand harmony between religion, ethics, and social evolution. How far this vision was from the burgeoning “fundamentalism” of his day (and ours) is more than evidenced by the critical reaction of many of his more conservative peers, but also indicates the continuing relevance of his work for theologians and others looking for alternative paths. The following exposition is supplemented with appreciative and critical comments.
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This article retraces the “genealogy” of the fideist perspective in philosophy as well as literature, especially within the writings of Søren Kierkegaard and the novel Don Quixote. It contends that a demythologized perspective of the fideist-humanist sort, based upon Erasmian tolerance and intellectual creativity and updated with the insights of post-analytic theory (e.g., the work of Alasdair MacIntyre, Richard Rorty, and Jeffrey Stout), without revoking the vocabulary of transcendence, can reinforce the weathered but still valuable post-Enlightenment moral vocabulary, and can reiterate the humaneness of liberal hope without undue encumbrance from the dogmatic baggage of traditional theological jargon and metaphysics.
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Mansfield University, founded on January 7, 1857 as Mansfield Classical Seminary, has an overwhelming history of persistence. Along with the institution, the women’s athletic programs also have a strong past. This paper outlines the history of women’s athletics at Mansfield from the establishment of the school in 1857, to the first women’s athletic program starting in 1900, and through the present day. It is organized according to the eras the institution went through and the athletic opportunities given to the women at that time. The focus of each chapter reflects the major accomplishments of both the institution and the women’s athletic programs, events, and issues that transpired during each time period. Research was conducted by reviewing yearbooks, memorandums, and reports in the Mansfield University archives, school newspaper articles, and the university website, along with several other supplemental materials. Personal interviews also accompanied the documentary research to give a first-hand historical viewpoint of several eras. It was concluded that the women at Mansfield University have fought for, and created athletic opportunities for over 100 years. In comparison to other Pennsylvania state universities, women’s athletics at Mansfield are under-funded and on the low end of receiving athletic scholarship monies. The future of women’s athletics at Mansfield is uncertain due to budgetary factors that are unknown at this time.
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Aimee Guidera, Director of the National Data Quality Campaign, delivered the second annual Lee Gurel '48 Lecture in Education, "From Dartboards to Dashboards: The Imperative of Using Data to Improve Student Outcomes." Aimee Rogstad Guidera is the Founding Executive Director of the Data Quality Campaign. She manages a growing partnership among national organizations collaborating to improve the quality, accessibility and use of education data to improve student achievement. Working with 10 Founding Partners, Aimee launched the DQC in 2005 with the goal of every state having a robust longitudinal data system in place by 2009. The Campaign is now in the midst of its second phase focusing on State Actions to ensure effective data use. Aimee joined the National Center for Educational Accountability as Director of the Washington, DC office in 2003. During her eight previous years in various roles at the National Alliance of Business, Aimee supported the corporate community's efforts to increase achievement at all levels of learning. As NAB Vice President of Programs, she managed the Business Coalition Network, comprised of over 1,000 business led coalitions focused on improving education in communities across the country. Prior to joining the Alliance, Aimee focused on school readiness, academic standards, education goals and accountability systems while in the Center for Best Practices at the National Governors Association. She taught for the Japanese Ministry of Education in five Hiroshima high schools where she interviewed educators and studied the Japanese education system immediately after receiving her AB from Princeton University’s Woodrow Wilson School of Public & International Affairs. Aimee also holds a Masters Degree in Public Policy from Harvard’s John F. Kennedy School of Government.