990 resultados para Leygues, Georges (1857-1933) -- Correspondance
Resumo:
Oggetto di questa tesi è l’analisi delle modalità di rappresentazione del trauma nel romanzo del Novecento e, in particolare, nelle opere di Samuel Beckett, Georges Perec e Agota Kristof. Fondamento dello studio sarà una disamina dei procedimenti linguistici e narrativi di rappresentazione del trauma nelle prose degli autori citati, al fine tracciare le linee di un’estetica in grado di descrivere le caratteristiche peculiari delle narrazioni in cui la dimensione antinarrativa della memoria traumatica assume il ruolo di principio estetico guida. L’analisi si soffermerà sulla cruciale relazione esistente, in tutti e tre gli autori, tra rappresentazione del trauma e sviluppo di strategie narrativi definibili come “denegative”. L’analisi dei testi letterari è condotta sulla base del corpus critico dei Trauma Studies, dell’ermeneutica della narrazione di stampo ricœuriano e della teoria del linguaggio psicoanalitica e affiancata, ove possibile, da uno studio filologico-genetico dei materiali d’autore. Alla luce di tali premesse, intendo rivalutare il carattere rappresentativo e testimoniale della letteratura del secolo scorso, in contrasto con la consuetudine a vedere nel romanzo novecentesco il trionfo dell’antimimesi e il declino del racconto. Dal momento che le narrazioni traumatiche si costruiscono intorno e attraverso i vuoti di linguaggio, la tesi è che siano proprio questi vuoti linguistici e narrativi (amnesie, acronie, afasie, lapsus, omissioni e mancanze ancora più sofisticate come nel caso di Perec) a rappresentare, in modo mimetico, la realtà apparentemente inaccessibile del trauma. Si tenterà di dimostrare come questi nuovi canoni di rappresentazione non denuncino l’impossibilità del racconto, bensì una sfida al silenzio, celata in più sottili e complesse convenzioni narrative, le quali mantengono un rapporto di filiazione indiretto − per una via che potremmo definire denegativa − con quelle del romanzo tradizionale.
Resumo:
This paper explores the religious implications of eroticism in Western culture since the Sexual Revolution, a period at once applauded for its open and immanent view of sexuality and denounced for its shamelessness and promiscuity. After discussing the work and effects of Alfred C. Kinsey, the father of the Sexual Revolution, I focus on a critical appraisal of Kinsey written by French theorist Georges Bataille (“Kinsey, the Underworld and Work,” in L’Erotisme, 1957). Bataille situates contemporary Western sexuality within a larger historical movement towards the “desacralization” of all aspects of human life: sex, under the scientific gaze of the Kinsey team, became simply another “object” to be analyzed and classified, and “good” sex defined solely in terms of frequency and explosiveness of orgasm. For many, including Hugh Hefner, this approach to sex occasioned a refreshing awakening from the long dark night of Victorian sexual repression. However, as Bataille’s protégé Foucault has shown, the scientific approach to sexuality often masks a desire to control and delimit sexual behaviour, not “liberate” it. Moreover, Bataille makes the point that the desacralization of sexuality denudes sex of a vital component—eroticism—which is necessary for real pleasure and ecstasy. Beyond the “moral” critiques one often hears leveled against Kinsey and his work, Bataille provides a “religious” critique, one that stands, perhaps surprisingly, on the “near side” of sexuality.