1000 resultados para Artists -- Africa


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In Sub-Saharan Africa, non-democratic events, like civil wars and coup d'etat, destroy economic development. This study investigates both domestic and spatial effects on the likelihood of civil wars and coup d'etat. To civil wars, an increase of income growth is one of common research conclusions to stop wars. This study adds a concern on ethnic fractionalization. IV-2SLS is applied to overcome causality problem. The findings document that income growth is significant to reduce number and degree of violence in high ethnic fractionalized countries, otherwise they are trade-off. Income growth reduces amount of wars, but increases its violent level, in the countries with few large ethnic groups. Promoting growth should consider ethnic composition. This study also investigates the clustering and contagion of civil wars using spatial panel data models. Onset, incidence and end of civil conflicts spread across the network of neighboring countries while peace, the end of conflicts, diffuse only with the nearest neighbor. There is an evidence of indirect links from neighboring income growth, without too much inequality, to reduce the likelihood of civil wars. To coup d'etat, this study revisits its diffusion for both all types of coups and only successful ones. The results find an existence of both domestic and spatial determinants in different periods. Domestic income growth plays major role to reduce the likelihood of coup before cold war ends, while spatial effects do negative afterward. Results on probability to succeed coup are similar. After cold war ends, international organisations seriously promote democracy with pressure against coup d'etat, and it seems to be effective. In sum, this study indicates the role of domestic ethnic fractionalization and the spread of neighboring effects to the likelihood of non-democratic events in a country. Policy implementation should concern these factors.

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L'oggetto del presente lavoro è la traduzione dal francese in italiano di “Femmes d'Afrique: bâtisseuses d'avenir”, una raccolta di “racconti di vita” di donne dell'Africa subsahariana. Sono proprio le donne le protagoniste del nostro studio: raccontano i soprusi, le violenze o le ingiustizie che hanno subito. Sono donne di successo che lottano affinché anche altre donne africane possano diventarlo. Prima di arrivare alla traduzione, si è compiuto un percorso riflessivo sul testo di partenza che porterà alla luce le condizioni di vita delle donne africane e permetterà la costruzione del Thesaurus delle donne d'Africa. Nel primo capitolo, verrà approfondito il tema principale del nostro lavoro: la condizione di vita delle donne dell’Africa subsahariana. In primo luogo, delineeremo il quadro generale della situazione attuale; in secondo luogo, ci occuperemo dei diritti fondamentali dell’uomo che vengono negati alle donne tramite la pratica di antiche usanze discriminatorie e lesive, quali le mutilazioni genitali femminili o la concessione in sposa delle bambine a uomini molto più grandi di loro. Nel secondo capitolo vengono presentate la storia e le missioni di alcune delle associazioni che lottano affinché le donne d’Africa vedano riconosciuti i propri diritti. Nel terzo capitolo, ci si focalizzerà sull’analisi dei racconti di vita. Partendo dalla definizione del genere testuale, analizzeremo la sezione “droits des femmes” scelta dal libro in esame e, infine, creeremo il Thesaurus delle donne d'Africa. Nel quarto capitolo, si delineerà un quadro generale della storia della traduzione e introdurremo gli studi di teoria della traduzione spiegando tre tipi di approcci alla materia. Infine, proporremo la traduzione e il commento di due lettere di presentazione e della sezione “droits des femmes”. Nelle conclusioni si ripercorrerà lo studio svolto cercando di metterne in evidenza i punti salienti. Infine, in appendice troveremo il testo di partenza della traduzione.

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Lo studio dell’utilizzo dell’habitat, sebbene ci dia principalmente informazioni di come gli organismi interagiscono con esso o indirettamente tra di loro, è un aspetto molto importante dell’ecologia sia terrestre che marina in quanto può essere utilizzato per scopi conservativi ma anche per uno sviluppo di quello che può essere un turismo legato alla presenza di tali organismi. Scopo del presente lavoro è verificare come la presenza di un predatore come lo squalo bianco possa modificare la distribuzione dei delfinidi nell’area di Mossel Bay, Sudafrica. A tal fine si sono analizzati i dati relativi alle presenze di squalo bianco e di delfinidi per un periodo di circa un anno e si sono analizzate le distribuzioni delle specie considerate e le eventuali sovrapposizioni, per valutare come le due specie interagiscono e si influenzano a vicenda. Da quanto osservato nella presente ricerca si può concludere che le specie di cetacei considerate adottino una strategia di avoidance dagli squali basata principalmente sull’utilizzo di acque a profondità diversa rispetto a quelle utilizzate dagli elasmobranchi. L’aver considerato la batimetria come parametro di discriminazione tra le specie ha evitato di valutare in maniera non corretta le distribuzioni delle stesse, in quanto ha fornito una sorta di terza dimensione che ha permesso di dettagliare meglio la stratificazione nella colonna d’acqua delle specie considerate. L’analisi effettuata ha interessato i dati relativi ad un solo anno di monitoraggio, e quindi non possono essere presi come riferimento assoluto per valutare la reale distribuzione delle specie considerate. Può però essere ritenuta un primo step per meglio comprendere quali siano le strategie difensive messe in atto dai cetacei nei confronti degli attacchi da squalo e, con ulteriori analisi e monitoraggi, quali invece possono essere le strategie attuate dagli elasmobranchi.

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In diesem Arbeitspapier will ich zur künftigen Forschung über soziale Stratifikation in Afrika beitragen, indem ich die theoretischen Implikationen und empirischen Herausforderungen der Konzepte "Elite" und "Mittelklasse" untersuche. Diese Konzepte stammen aus teilweise miteinander konkurrierenden Theorietraditionen. Außerdem haben Sozialwissenschaftler und Historiker sie zu verschiedenen Zeiten und mit Bezug auf verschiedene Regionen unterschiedlich verwendet. So haben Afrikaforscher und -forscherinnen soziale Formationen, die in anderen Teilen der Welt als Mittelklasse kategorisiert wurden, meist als Eliten aufgefasst und tun dies zum Teil noch heute. Elite und Mittelklasse sind aber nicht nur Begriffe der sozialwissenschaftlichen Forschung, sondern zugleich Kategorien der sozialen und politischen Praxis. Die Art und Weise, wie Menschen diese Begriffe benutzen, um sich selbst oder andere zu beschreiben, hat wiederum Rückwirkungen auf sozialwissenschaftliche Diskurse und umgekehrt. Das Arbeitspapier setzt sich mit beiden Aspekten auseinander: mit der Geschichte der theoretischen Debatten über Elite und Mittelklasse und damit, was wir aus empirischen Studien über die umstrittenen Selbstverortungen sozialer Akteure lernen können und über ihre sich verändernden Auffassungen und Praktiken von Elite- oder Mittelklasse-Sein. Weil ich überzeugt bin, dass künftige Forschung zu sozialer Stratifikation in Afrika außerordentlich viel von einer historisch und regional vergleichenden Perspektive profitieren kann, analysiert dieses Arbeitspapier nicht nur Untersuchungen zu afrikanischen Eliten und Mittelklassen, sondern auch eine Fülle von Studien zur Geschichte der Mittelklassen in Europa und Nordamerika sowie zu den neuen Mittelklassen im Globalen Süden.

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Gli squali bianchi sono tra i più importanti predatori dei Pinnipedi (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). La loro principale strategia di caccia consiste nel pattugliare le acque circostanti ad una colonia di otarie e nell’attaccarle quando queste sono in movimento, mentre si allontanano o avvicinano all’isola (Klimley et al., 2001; Kock, 2002). Tuttavia, la strategia e la dinamica della predazione osservate anche in relazione al ciclo riproduttivo della preda e le tattiche comportamentali messe in atto dalla preda per ridurre la probabilità di predazione, e quindi diminuire la sua mortalità, sono ancora poco conosciute. Con questo studio, effettuato nell’area di Seal Island all’interno della baia di Mossel Bay in Sud Africa, abbiamo cercato di definire proprio questi punti ancora poco conosciuti. Per studiare la strategia e le dinamica di predazione dello squalo bianco abbiamo utilizzato il sistema di monitoraggio acustico, in modo da poter approfondire le conoscenze sui loro movimenti e quindi sulle loro abitudini. Per dare un maggiore supporto ai dati ottenuti con la telemetria acustica abbiamo effettuato anche un monitoraggio visivo attraverso l’attrazione (chumming) e l’identificazione fotografica degli squali bianchi. Per comprendere invece i loro movimenti e le tattiche comportamentali messi in atto dalle otarie orsine del capo per ridurre la probabilità di predazione nella baia di Mossel Bay, abbiamo utilizzato il monitoraggio visivo di 24 ore, effettuato almeno una volta al mese, dalla barca nell’area di Seal Island. Anche se gli squali bianchi sono sempre presenti intorno all’isola i dati ottenuti suggeriscono che la maggior presenza di squali/h si verifica da Maggio a Settembre che coincide con l’ultima fase di svezzamento dei cuccioli delle otarie del capo, cioè quando questi iniziano a foraggiare lontano dall'isola per la prima volta; durante il sunrise (alba) durante il sunset (tramonto) quando il livello di luce ambientale è bassa e soprattutto quando la presenza delle prede in acqua è maggiore. Quindi possiamo affermare che gli squali bianchi a Seal Island prendono delle decisioni che vanno ad ottimizzare la loro probabilità di catturare una preda. I risultati preliminari del nostro studio indicano anche che il numero di gruppi di otarie in partenza dall'isola di notte sono di gran lunga maggiori di quelle che partono durante il giorno, forse questo potrebbe riflettere una diminuzione del rischio di predazione; per beneficiare di una vigilanza condivisa, le otarie tendono in media a formare gruppi di 3-5 o 6-9 individui quando si allontanano dall’isola e questo probabilmente le rende meno vulnerabili e più attente dall’essere predate. Successivamente ritornano all’isola da sole o in piccoli gruppi di 2 o 3 individui. I gruppi più piccoli probabilmente riflettono la difficoltà delle singole otarie a riunirsi in gruppi coordinati all'interno della baia.

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“L’assistenza fornita da Pechino in termini di investimenti e opere di soccorso è mossa dalla sincerità più profonda e non sarà vincolata all’esistenza di particolari condizioni politiche”. Questo è quanto ha dichiarato il primo ministro cinese Wen Jiabao durante la seconda riunione del Forum per la cooperazione tra Cina ed Africa, tenutasi ad Addis Abeba nel 2003. Il contenuto della dichiarazione potrebbe sembrare di trascurabile rilevanza, al contrario invece esso mette in luce uno degli aspetti chiave che hanno contribuito al successo cinese in Africa: l’assenza di condizioni politiche e sociali cui legare l’operato del governo e delle imprese nel territorio

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La tesi considera il discorso di Dakar sotto vari aspetti: tenendo conto delle analisi già pubblicate sull'argomento, pone particolare enfasi sul contesto enunciativo, sulle implicazioni del ruolo socio-politico dell'oratore, sull'utilizzo di determinate scelte linguistiche per trasmettere un messaggio non sempre in linea con quello apertamente dichiarato (e spesso contraddittorio). La tesi analizza inoltre in particolare il concetto di Africa nel discorso, nonché la visione della storia e della colonizzazione nel discorso (e le implicazioni colonialiste).

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Evaluation of antiretroviral treatment (ART) programmes in sub-Saharan Africa is difficult because many patients are lost to follow-up. Outcomes in these patients are generally unknown but studies tracing patients have shown mortality to be high. We adjusted programme-level mortality in the first year of antiretroviral treatment (ART) for excess mortality in patients lost to follow-up.

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Many HIV-infected children in Southern Africa have been started on antiretroviral therapy (ART), but loss to follow up (LTFU) can be substantial. We analyzed mortality in children retained in care and in all children starting ART, taking LTFU into account.

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Objective  To assess the outcome of patients who experienced treatment failure with antiretrovirals in sub-Saharan Africa. Methods  Analysis of 11 antiretroviral therapy (ART) programmes in sub-Saharan Africa. World Health Organization (WHO) criteria were used to define treatment failure. All ART-naive patients aged ≥16 who started with a non-nucleoside reverse transcriptase inhibitor (NNRTI)-based regimen and had at least 6 months of follow-up were eligible. For each patient who switched to a second-line regimen, 10 matched patients who remained on a non-failing first-line regimen were selected. Time was measured from the time of switching, from the corresponding time in matched patients, or from the time of treatment failure in patients who remained on a failing regimen. Mortality was analysed using Kaplan–Meier curves and random-effects Cox models. Results  Of 16 591 adult patients starting ART, 382 patients (2.3%) switched to a second-line regimen. Another 323 patients (1.9%) did not switch despite developing immunological or virological failure. Cumulative mortality at 1 year was 4.2% (95% CI 2.2–7.8%) in patients who switched to a second-line regimen and 11.7% (7.3%–18.5%) in patients who remained on a failing first-line regimen, compared to 2.2% (1.6–3.0%) in patients on a non-failing first-line regimen (P < 0.0001). Differences in mortality were not explained by nadir CD4 cell count, age or differential loss to follow up. Conclusions  Many patients who meet criteria for treatment failure do not switch to a second-line regimen and die. There is an urgent need to clarify the reasons why in sub-Saharan Africa many patients remain on failing first-line ART.

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Objective: In South Africa, many HIV-infected patients experience delays in accessing antiretroviral therapy (ART). We examined pretreatment mortality and access to treatment in patients waiting for ART. Design: Cohort of HIV-infected patients assessed for ART eligibility at 36 facilities participating in the Comprehensive HIV and AIDS Management (CHAM) program in the Free State Province. Methods: Proportion of patients initiating ART, pre-ART mortality and risk factors associated with these outcomes were estimated using competing risks survival analysis. Results: Forty-four thousand, eight hundred and forty-four patients enrolled in CHAM between May 2004 and December 2007, of whom 22 083 (49.2%) were eligible for ART; pre-ART mortality was 53.2 per 100 person-years [95% confidence interval (CI) 51.8–54.7]. Median CD4 cell count at eligibility increased from 87 cells/ml in 2004 to 101 cells/ml in 2007. Two years after eligibility an estimated 67.7% (67.1–68.4%) of patients had started ART, and 26.2% (25.6–26.9%) died before starting ART. Among patients with CD4 cell counts below 25 cells/ml at eligibility, 48% died before ART and 51% initiated ART. Men were less likely to start treatment and more likely to die than women. Patients in rural clinics or clinics with low staffing levels had lower rates of starting treatment and higher mortality compared with patients in urban/peri-urban clinics, or better staffed clinics. Conclusions: Mortality is high in eligible patients waiting for ART in the Free State Province. The most immunocompromised patients had the lowest probability of starting ART and the highest risk of pre-ART death. Prioritization of these patients should reduce waiting times and pre-ART mortality.

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Little is known about the temporal impact of the rapid scale-up of large antiretroviral therapy (ART) services on programme outcomes. We describe patient outcomes [mortality, loss-to-follow-up (LTFU) and retention] over time in a network of South African ART cohorts.

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Background Prognostic models have been developed for patients infected with HIV-1 who start combination antiretroviral therapy (ART) in high-income countries, but not for patients in sub-Saharan Africa. We developed two prognostic models to estimate the probability of death in patients starting ART in sub-Saharan Africa. Methods We analysed data for adult patients who started ART in four scale-up programmes in Côte d'Ivoire, South Africa, and Malawi from 2004 to 2007. Patients lost to follow-up in the first year were excluded. We used Weibull survival models to construct two prognostic models: one with CD4 cell count, clinical stage, bodyweight, age, and sex (CD4 count model); and one that replaced CD4 cell count with total lymphocyte count and severity of anaemia (total lymphocyte and haemoglobin model), because CD4 cell count is not routinely measured in many African ART programmes. Death from all causes in the first year of ART was the primary outcome. Findings 912 (8·2%) of 11 153 patients died in the first year of ART. 822 patients were lost to follow-up and not included in the main analysis; 10 331 patients were analysed. Mortality was strongly associated with high baseline CD4 cell count (≥200 cells per μL vs <25; adjusted hazard ratio 0·21, 95% CI 0·17–0·27), WHO clinical stage (stages III–IV vs I–II; 3·45, 2·43–4·90), bodyweight (≥60 kg vs <45 kg; 0·23, 0·18–0·30), and anaemia status (none vs severe: 0·27, 0·20–0·36). Other independent risk factors for mortality were low total lymphocyte count, advanced age, and male sex. Probability of death at 1 year ranged from 0·9% (95% CI 0·6–1·4) to 52·5% (43·8–61·7) with the CD4 model, and from 0·9% (0·5–1·4) to 59·6% (48·2–71·4) with the total lymphocyte and haemoglobin model. Both models accurately predict early mortality in patients starting ART in sub-Saharan Africa compared with observed data. Interpretation Prognostic models should be used to counsel patients, plan health services, and predict outcomes for patients with HIV-1 infection in sub-Saharan Africa.

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Several studies have documented women's use of vaginal practices in South Africa to enhance their desirability to men. This article describes a little known practice of this kind among women in KwaZulu-Natal. It involves the use of small incisions in the genital area (and often abdomen and breasts) to introduce herbal substances, described as love medicines, into the body through the incisions. In-depth interviews were carried out with 20 key informants and 20 women, and eight focus group discussions with women and men, in a rural and urban site in 2005-06. A province-wide household survey was then conducted using a multi-stage cluster sample design among 867 women aged 18-60. Forty-two per cent of the women in the household survey had heard of genital incisions; only 3% had actually used them. The main motivation was the enhancement of sexual attractiveness and long-term partner commitment. It appears to be a very recent practice, but may be an extension of an older healing practice not involving the genitals. It was most prevalent among rural women aged 24-29 (although not significant), those with less education, and those who suspected their partners of having other partners. It is linked to the modern popularity of love medicines, which in turn illustrates the troubling state of gender relations in KwaZulu-Natal today.

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