924 resultados para 620.4 Ingegneria per specifici tipi di ambiente geografico
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La tesi nasce da una collaborazione di ricerca, attiva da anni, tra il DISTART - Area Topografia ed il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, impegnato da lungo tempo in scavi archeologici nella regione egiziana del Fayyum. Lo scopo di questa tesi è offrire un contributo alla creazione di un database multiscala di informazioni georeferenziate, che possa essere di supporto ad ulteriori approfondimenti sul territorio del Fayyum. Il raggiungimento degli obiettivi preposti è stato perseguito mediante l’utilizzo sistematico di algoritmi di classificazione su immagini satellitari a media risoluzione registrate ed ortorettificate. Per quanto riguarda la classificazione litologica, sulla base delle informazioni presenti in letteratura, è stata ottenuta una mappa della fascia desertica che circonda l’oasi, in cui sono distinte diverse tipologie: sabbie sciolte recenti, arenarie mioceniche, calcareniti dell’Eocene superiore, calcari dell’Eocene medio, basalti tardo-oligocenici. Inoltre è stata messa a punto una procedura per giungere ad una classificazione almeno in parte automatica di anomalie sul terreno che presentano una forma lineare. L’applicazione di questa procedura potrà rivelarsi utile per ulteriori indagini finalizzate alla individuazione di paleocanali, naturali o artificiali, ed alla ricostruzione dell’assetto idrografico nel passato.
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La tecnica di ozonolisi viene applicata ai fanghi biologici derivanti da impianti di depurazione acque reflue urbane, e consiste nell'ottenere, grazie all'ozono, una minor massa fangosa da smaltire e una miglior trattabilità del fango residue. In questo elaborato si prendono in esame le sperimentazioni effettuate a Marina di Ravenna e si estraggono le prime conclusioni gestionali, economiche e ambientali sull'applicabilità del metodo a questo tipo di fango.
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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.
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Understanding the interaction of sea ice with offshore structures is of primary importance for the development of technology in cold climate regions. The rheological properties of sea ice (strength, creep, viscosity) as well as the roughness of the contact surface are the main factors influencing the type of interaction with a structure. A device was developed and designed and small scale laboratory experiments were carried out to study sea ice frictional interaction with steel material by means of a uniaxial compression rig. Sea-ice was artificially grown between a stainless steel piston (of circular cross section) and a hollow cylinder of the same material, coaxial to the former and of the same surface roughness. Three different values for the roughness were tested: 1.2, 10 and 30 μm Ry (maximum asperities height), chosen as representative values for typical surface conditions, from smooth to normally corroded steel. Creep tests (0.2, 0.3, 0.4 and 0.6 kN) were conducted at T = -10 ºC. By pushing the piston head towards the cylinder base, three different types of relative movement were observed: 1) the piston slid through the ice, 2) the piston slid through the ice and the ice slid on the surface of the outer cylinder, 3) the ice slid only on the cylinder surface. A cyclic stick-slip motion of the piston was detected with a representative frequency of 0.1 Hz. The ratio of the mean rate of axial displacement to the frequency of the stick-slip oscillations was found to be comparable to the roughness length (Sm). The roughness is the most influential parameter affecting the amplitude of the oscillations, while the load has a relevant influence on the their frequency. Guidelines for further investigations were recommended. Marco Nanetti - seloselo@virgilio.it
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La tesi verte sulle procedure di verifica delle prestazioni di potenza degli aerogeneratori. Si è realizzato un test di verifica su una centrale eolica in esercizio, sito nella provincia di Salerno, utilizzando diverse metodologie di verifica, delineate dai più importanti centri di ricerca internazionali, al fine di valutare l'affidabilità di ognuna di esse.
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Although Recovery is often defined as the less studied and documented phase of the Emergency Management Cycle, a wide literature is available for describing characteristics and sub-phases of this process. Previous works do not allow to gain an overall perspective because of a lack of systematic consistent monitoring of recovery utilizing advanced technologies such as remote sensing and GIS technologies. Taking into consideration the key role of Remote Sensing in Response and Damage Assessment, this thesis is aimed to verify the appropriateness of such advanced monitoring techniques to detect recovery advancements over time, with close attention to the main characteristics of the study event: Hurricane Katrina storm surge. Based on multi-source, multi-sensor and multi-temporal data, the post-Katrina recovery was analysed using both a qualitative and a quantitative approach. The first phase was dedicated to the investigation of the relation between urban types, damage and recovery state, referring to geographical and technological parameters. Damage and recovery scales were proposed to review critical observations on remarkable surge- induced effects on various typologies of structures, analyzed at a per-building level. This wide-ranging investigation allowed a new understanding of the distinctive features of the recovery process. A quantitative analysis was employed to develop methodological procedures suited to recognize and monitor distribution, timing and characteristics of recovery activities in the study area. Promising results, gained by applying supervised classification algorithms to detect localization and distribution of blue tarp, have proved that this methodology may help the analyst in the detection and monitoring of recovery activities in areas that have been affected by medium damage. The study found that Mahalanobis Distance was the classifier which provided the most accurate results, in localising blue roofs with 93.7% of blue roof classified correctly and a producer accuracy of 70%. It was seen to be the classifier least sensitive to spectral signature alteration. The application of the dissimilarity textural classification to satellite imagery has demonstrated the suitability of this technique for the detection of debris distribution and for the monitoring of demolition and reconstruction activities in the study area. Linking these geographically extensive techniques with expert per-building interpretation of advanced-technology ground surveys provides a multi-faceted view of the physical recovery process. Remote sensing and GIS technologies combined to advanced ground survey approach provides extremely valuable capability in Recovery activities monitoring and may constitute a technical basis to lead aid organization and local government in the Recovery management.
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Nell’ambito dell’analisi computazionale delle strutture il metodo degli elementi finiti è probabilmente uno dei metodi numerici più efficaci ed impiegati. La semplicità dell’idea di base del metodo e la relativa facilità con cui può essere implementato in codici di calcolo hanno reso possibile l’applicazione di questa tecnica computazionale in diversi settori, non solo dell’ingegneria strutturale, ma in generale della matematica applicata. Ma, nonostante il livello raggiunto dalle tecnologie ad elementi finiti sia già abbastanza elevato, per alcune applicazioni tipiche dell’ingegneria strutturale (problemi bidimensionali, analisi di lastre inflesse) le prestazioni fornite dagli elementi usualmente utilizzati, ovvero gli elementi di tipo compatibile, sono in effetti poco soddisfacenti. Vengono in aiuto perciò gli elementi finiti basati su formulazioni miste che da un lato presentano una più complessa formulazione, ma dall’altro consentono di prevenire alcuni problemi ricorrenti quali per esempio il fenomeno dello shear locking. Indipendentemente dai tipi di elementi finiti utilizzati, le quantità di interesse nell’ambito dell’ingegneria non sono gli spostamenti ma gli sforzi o più in generale le quantità derivate dagli spostamenti. Mentre i primi sono molto accurati, i secondi risultano discontinui e di qualità scadente. A valle di un calcolo FEM, negli ultimi anni, hanno preso piede procedure di post-processing in grado, partendo dalla soluzione agli elementi finiti, di ricostruire lo sforzo all’interno di patch di elementi rendendo quest’ultimo più accurato. Tali procedure prendono il nome di Procedure di Ricostruzione (Recovery Based Approaches). Le procedure di ricostruzione qui utilizzate risultano essere la REP (Recovery by Equilibrium in Patches) e la RCP (Recovery by Compatibility in Patches). L’obbiettivo che ci si prefigge in questo lavoro è quello di applicare le procedure di ricostruzione ad un esempio di piastra, discretizzato con vari tipi di elementi finiti, mettendone in luce i vantaggi in termini di migliore accurattezza e di maggiore convergenza.
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Il presente lavoro tratta lo studio dei fenomeni aeroelastici di interazione fra fluido e struttura, con il fine di provare a simularli mediante l’ausilio di un codice agli elementi finiti. Nel primo capitolo sono fornite alcune nozioni di fluidodinamica, in modo da rendere chiari i passaggi teorici fondamentali che portano alle equazioni di Navier-Stokes governanti il moto dei fluidi viscosi. Inoltre è illustrato il fenomeno della formazione di vortici a valle dei corpi tozzi dovuto alla separazione dello strato limite laminare, con descrizione anche di alcuni risultati ottenuti dalle simulazioni numeriche. Nel secondo capitolo vengono presi in rassegna i principali fenomeni di interazione fra fluido e struttura, cercando di metterne in luce le fondamenta della trattazione analitica e le ipotesi sotto le quali tale trattazione è valida. Chiaramente si tratta solo di una panoramica che non entra in merito degli sviluppi della ricerca più recente ma fornisce le basi per affrontare i vari problemi di instabilità strutturale dovuti a un particolare fenomeno di interazione con il vento. Il terzo capitolo contiene una trattazione più approfondita del fenomeno di instabilità per flutter. Tra tutti i fenomeni di instabilità aeroelastica delle strutture il flutter risulta il più temibile, soprattutto per i ponti di grande luce. Per questo si è ritenuto opportuno dedicargli un capitolo, in modo da illustrare i vari procedimenti con cui si riesce a determinare analiticamente la velocità critica di flutter di un impalcato da ponte, a partire dalle funzioni sperimentali denominate derivate di flutter. Al termine del capitolo è illustrato il procedimento con cui si ricavano sperimentalmente le derivate di flutter di un impalcato da ponte. Nel quarto capitolo è presentato l’esempio di studio dell’impalcato del ponte Tsing Ma ad Hong Kong. Sono riportati i risultati analitici dei calcoli della velocità di flutter e di divergenza torsionale dell’impalcato e i risultati delle simulazioni numeriche effettuate per stimare i coefficienti aerodinamici statici e il comportamento dinamico della struttura soggetta all’azione del vento. Considerazioni e commenti sui risultati ottenuti e sui metodi di modellazione numerica adottati completano l’elaborato.
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Introduction 1.1 Occurrence of polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) in the environment Worldwide industrial and agricultural developments have released a large number of natural and synthetic hazardous compounds into the environment due to careless waste disposal, illegal waste dumping and accidental spills. As a result, there are numerous sites in the world that require cleanup of soils and groundwater. Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are one of the major groups of these contaminants (Da Silva et al., 2003). PAHs constitute a diverse class of organic compounds consisting of two or more aromatic rings with various structural configurations (Prabhu and Phale, 2003). Being a derivative of benzene, PAHs are thermodynamically stable. In addition, these chemicals tend to adhere to particle surfaces, such as soils, because of their low water solubility and strong hydrophobicity, and this results in greater persistence under natural conditions. This persistence coupled with their potential carcinogenicity makes PAHs problematic environmental contaminants (Cerniglia, 1992; Sutherland, 1992). PAHs are widely found in high concentrations at many industrial sites, particularly those associated with petroleum, gas production and wood preserving industries (Wilson and Jones, 1993). 1.2 Remediation technologies Conventional techniques used for the remediation of soil polluted with organic contaminants include excavation of the contaminated soil and disposal to a landfill or capping - containment - of the contaminated areas of a site. These methods have some drawbacks. The first method simply moves the contamination elsewhere and may create significant risks in the excavation, handling and transport of hazardous material. Additionally, it is very difficult and increasingly expensive to find new landfill sites for the final disposal of the material. The cap and containment method is only an interim solution since the contamination remains on site, requiring monitoring and maintenance of the isolation barriers long into the future, with all the associated costs and potential liability. A better approach than these traditional methods is to completely destroy the pollutants, if possible, or transform them into harmless substances. Some technologies that have been used are high-temperature incineration and various types of chemical decomposition (for example, base-catalyzed dechlorination, UV oxidation). However, these methods have significant disadvantages, principally their technological complexity, high cost , and the lack of public acceptance. Bioremediation, on the contrast, is a promising option for the complete removal and destruction of contaminants. 1.3 Bioremediation of PAH contaminated soil & groundwater Bioremediation is the use of living organisms, primarily microorganisms, to degrade or detoxify hazardous wastes into harmless substances such as carbon dioxide, water and cell biomass Most PAHs are biodegradable unter natural conditions (Da Silva et al., 2003; Meysami and Baheri, 2003) and bioremediation for cleanup of PAH wastes has been extensively studied at both laboratory and commercial levels- It has been implemented at a number of contaminated sites, including the cleanup of the Exxon Valdez oil spill in Prince William Sound, Alaska in 1989, the Mega Borg spill off the Texas coast in 1990 and the Burgan Oil Field, Kuwait in 1994 (Purwaningsih, 2002). Different strategies for PAH bioremediation, such as in situ , ex situ or on site bioremediation were developed in recent years. In situ bioremediation is a technique that is applied to soil and groundwater at the site without removing the contaminated soil or groundwater, based on the provision of optimum conditions for microbiological contaminant breakdown.. Ex situ bioremediation of PAHs, on the other hand, is a technique applied to soil and groundwater which has been removed from the site via excavation (soil) or pumping (water). Hazardous contaminants are converted in controlled bioreactors into harmless compounds in an efficient manner. 1.4 Bioavailability of PAH in the subsurface Frequently, PAH contamination in the environment is occurs as contaminants that are sorbed onto soilparticles rather than in phase (NAPL, non aqueous phase liquids). It is known that the biodegradation rate of most PAHs sorbed onto soil is far lower than rates measured in solution cultures of microorganisms with pure solid pollutants (Alexander and Scow, 1989; Hamaker, 1972). It is generally believed that only that fraction of PAHs dissolved in the solution can be metabolized by microorganisms in soil. The amount of contaminant that can be readily taken up and degraded by microorganisms is defined as bioavailability (Bosma et al., 1997; Maier, 2000). Two phenomena have been suggested to cause the low bioavailability of PAHs in soil (Danielsson, 2000). The first one is strong adsorption of the contaminants to the soil constituents which then leads to very slow release rates of contaminants to the aqueous phase. Sorption is often well correlated with soil organic matter content (Means, 1980) and significantly reduces biodegradation (Manilal and Alexander, 1991). The second phenomenon is slow mass transfer of pollutants, such as pore diffusion in the soil aggregates or diffusion in the organic matter in the soil. The complex set of these physical, chemical and biological processes is schematically illustrated in Figure 1. As shown in Figure 1, biodegradation processes are taking place in the soil solution while diffusion processes occur in the narrow pores in and between soil aggregates (Danielsson, 2000). Seemingly contradictory studies can be found in the literature that indicate the rate and final extent of metabolism may be either lower or higher for sorbed PAHs by soil than those for pure PAHs (Van Loosdrecht et al., 1990). These contrasting results demonstrate that the bioavailability of organic contaminants sorbed onto soil is far from being well understood. Besides bioavailability, there are several other factors influencing the rate and extent of biodegradation of PAHs in soil including microbial population characteristics, physical and chemical properties of PAHs and environmental factors (temperature, moisture, pH, degree of contamination). Figure 1: Schematic diagram showing possible rate-limiting processes during bioremediation of hydrophobic organic contaminants in a contaminated soil-water system (not to scale) (Danielsson, 2000). 1.5 Increasing the bioavailability of PAH in soil Attempts to improve the biodegradation of PAHs in soil by increasing their bioavailability include the use of surfactants , solvents or solubility enhancers.. However, introduction of synthetic surfactant may result in the addition of one more pollutant. (Wang and Brusseau, 1993).A study conducted by Mulder et al. showed that the introduction of hydropropyl-ß-cyclodextrin (HPCD), a well-known PAH solubility enhancer, significantly increased the solubilization of PAHs although it did not improve the biodegradation rate of PAHs (Mulder et al., 1998), indicating that further research is required in order to develop a feasible and efficient remediation method. Enhancing the extent of PAHs mass transfer from the soil phase to the liquid might prove an efficient and environmentally low-risk alternative way of addressing the problem of slow PAH biodegradation in soil.