967 resultados para Eflorescência salina


Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Micro-organismos fotossintetizantes, incluído aqui o gênero Arthrospira, vêm sendo amplamente produzidos em larga escala em vários países, detendo um mercado que gera mais de 1 bilhão de dólares ao ano. A produção industrial utiliza grande volume de água com alta concentração salina para produzir milhares de toneladas de biomassa microalgal. É crescente a utilização de tratamento de águas por processo de separação por membranas, demonstrando ser uma técnica que gera água de ótima qualidade, de instalação compacta e de fácil automação. No presente trabalho, foi avaliada esta tecnologia para o reaproveitamento do meio de cultura em novos cultivos de micro-organismos fotossintetizantes, visando contribuir para a sustentabilidade deste processo produtivo. O efluente do cultivo de Arthrospira platensis oriundo de processo descontínuo em minitanques foi submetido a tratamento por membranas de filtração tangencial, incluindo microfiltração (MF) (porosidades de 0,65 µm e de 0,22 µm) e ultrafiltração (UF) (peso molecular de corte de 5.000 Da), em pressões transmembrana (TMP) de 22,5 a 90 kPa. Os processos de MF levaram a reduções médias de 53,9±1,3 % e 93,1±1,1 % de matéria orgânica natural (NOM) e pigmentos nos meios residuais, respectivamente. Com o uso de processos de UF, cujos meios foram previamente tratados por MF (0,22 µm e 22,5 kPa), as reduções médias de NOM e pigmentos foram de 57,2±0,5 % e 94,0±0,8 %, respectivamente. Os processos de MF com TMP de 22,5 kPa levaram a concentrações celulares máximas (Xm) equivalentes às obtidas com meio novo. O uso de membrana de 0,65 µm e TMP de 22,5 kPa levou a uma perda média de 2,9 %, 22,7 % e 16,4% dos nutrientes carbonato, fosfato e nitrato, respectivamente, mas a correção desses valores aos mesmos do meio padrão levou à obtenção dos mais altos valores de Xm (3586,6±80 mg L-1), produtividade em células (505,0±11,6 mg L-1 d-1) e fator de conversão de nitrogênio em células (29,6±0,7 mg mg-1). O teor protéico da biomassa foi estatisticamente igual ao da biomassa obtida de cultivo com meio padrão novo. Os dados deste trabalho evidenciam que processos de filtração por membrana são promissores para o reuso de meio de micro-organismos fotossintetizantes.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Este estudo possui duas partes distintas: 1. in vivo (randomizado e longitudinal) que teve como objetivo avaliar protocolos de tratamento para hipersensibilidade dentinária com laser de baixa potência (com diferentes dosagens), laser de alta potência e agente dessensibilizante, por um período de 12 e 18 meses; e 2. in vitro que teve como objetivo analisar a perda de estrutura de dois dentifrícios distintos (Colgate Total 12 e Colgate Pró Alívio) e analisar a permeabilidade dentinária dos tratamentos da etapa 01, associados aos dentifrícios, após diferentes ciclos de abrasão. Na parte in vivo, as lesões cervicais não cariosas de 32 voluntários, previamente submetidos aos critérios de elegibilidade ou exclusão, foram divididas em nove grupos (n=10): G1: Gluma Desensitizer (Heraeus Kulzer), G2: Laser de baixa potência com baixa dosagem (Photon Lase, DMC) (três pontos de irradiação vestibulares e um ponto apical: 30 mW, 10 J/cm2, 9 seg por ponto com o comprimento de onda de 810nm). Foram realizadas três sessões com um intervalo de 72 horas), G3: Laser de baixa potência com alta dosagem (um ponto cervical e um ponto apical: 100 mW, 90 J/cm2, 11 seg por ponto com o comprimento de onda de 810nm. Foram realizadas três sessões com um intervalo de 72 horas), G4: Laser de baixa potência com baixa dosagem + Gluma Desensitizer, G5: Laser de baixa potência com alta dosagem + Gluma Desensitizer, G6: Laser de Nd:YAG (Power LaserTM ST6, Lares Research®), em contato com a superfície dental: 1,0W, 10 Hz e 100 mJ, ? 85 J/cm2, com o comprimento de onda de 1064nm, G7: Laser de Nd:YAG + Gluma Desensitizer, G8: Laser de Nd:YAG + Laser de baixa potência com baixa dosagem, G9: Laser de Nd:YAG + Laser de baixa potência com alta dosagem. O nível de sensibilidade de cada voluntário foi avaliado através da escala visual analógica de dor (VAS) com auxílio do ar da seringa tríplice e exploração com sonda após 12 e 18 meses do tratamento. Na parte 02, in vitro, foram utilizados terceiros molares humanos não irrompidos e recém-extraídos. Todos foram limpos e tiveram suas raízes separadas das coroas. As raízes foram seccionadas em quadrados de dentina com dimensões de 4x4x2 mm, os quais foram embutidos em resina Epoxi e devidamente polidos até uma curvatura de 0,3 ?m, analisados em perfilometria ótica. Estes foram imersos em solução de EDTA 17% por 2min para abertura dos túbulos e armazenados em uma solução de Soro Fetal Bovino diluído em salina tamponada com fosfato. Os espécimes foram divididos aleatoriamente em 12 grupos (n=10) G1: Sem tratamento de superfície, sem dentifrício; G2: Nd:YAG/sem dentifrício; G3: Gluma/sem dentifrício; G4: Nd:YAG + Gluma/sem dentifrício; G5: Sem tratamento de superfície/Colgate Total 12; G6: Nd:YAG/Colgate Total 12; G7: Gluma/Colgate Total 12; G8: Nd:YAG + Gluma/Colgate Total 12; G9: Sem tratamento de superfície/Colgate Pró Alívio; G10: Nd:YAG/Colgate Pró Alívio; G11: Gluma/Colgate Pró Alívio; G12: Nd:YAG + Gluma/Colgate Pró Alívio. Em seguida, as superfícies receberam a aplicação de fitas adesivas nas duas margens, mantendo uma área central de teste exposta de 4 x 1 mm, onde foram realizados os tratamentos de superfície e os ciclos de abrasão correspondentes a 1, 7, 30 e 90 dias de escovação (52 ciclos, 210 segundos de contato com o slurry; 361 ciclos, 1470 segundos de contato com o slurry; 1545 ciclos, 6300 segundos de contato com o slurry; 4635 ciclos, 18900 segundos de contato com o slurry, respectivamente). A cada etapa de abrasão, foi realizada análise em Perfilometria Ótica. Para as analises de permeabilidade e Microscopia Eletrônica de Varredura, foram utilizadas amostras circulares de 6 mm de diâmetro e 1 mm de espessura de dentina obtidas das coroas dentais. Estas foram divididas aleatoriamente nos mesmos grupos já descritos anteriormente, sendo que 120 espécimes foram utilizados para permeabilidade (n=10) e 36 para MEV (n=3). Ambas as análises foram realizadas após imersão no EDTA; após tratamentos para a sensibilidade; pós 1 dia, 7 dias, 30 dias e 90 dias de escovação. Após análise estatística pode-se concluir que, in vivo, todos os tratamentos foram eficazes para a redução da hipersensibilidade dentinária. Ainda que o nível da sensibilidade dos pacientes aumentou numericamente, estes não são considerados estatisticamente diferentes a partir de 12 meses. Portanto, até a avaliação de 18 meses, podemos concluir que não houve um aumento na sensibilidade dentinária desde a sua diminuição pós-tratamento. In vitro, pode-se concluir que todos os tratamentos foram capazes de diminuir a permeabilidade dentinária. O dentifrício Total 12 apresentou-se como o mais abrasivo em comparação com o dentifrício Pro Alivio, pois este último promoveu uma perda de estrutura menor, porém ambos não apresentaram aumento na permeabilidade nos tempos de escovação. As microscopias eletrônicas de varredura mostram a formação da smear layer, obliterando os túbulos para ambos os dentifricios. Como conclusão, pode-se afirmar que todos os agentes dessensibilizantes foram efetivos, mesmo apresentando estratégias de ação diferentes. Os dentifrícios são igualmente interessantes para o uso caseiro por ocasionarem oclusão tubular e a associação de tratamentos (caseiro e de consultório) parece ser uma alternativa eficaz no tratamento da hipersensibilidade dentinária.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Com o objetivo de se avaliar a importância do \"clearance\" do dietilenotriamino-pentacetato marcado com Tecnécio 99m (DTPA-Tecnécio-99m) em portadores de pneumopatia por amiodarona foram estudados 40 indivíduos, em quatro grupos. Grupo I: 10 voluntários normais, assintomáticos e não fumantes (8 homens e 2 mulheres), com média de idade de 56,80 anos. Grupo II: 10 voluntários normais, assintomáticos e fumantes (6 homens e 4 mulheres ), com média de idade de 27,50 anos. Grupo III: 10 pacientes não fumantes ( 4 homens e 5 mulheres ), com média de idade de 52,90 anos. Todos faziam uso crônico de amiodarona por via oral. Grupo IV: 10 pacientes portadores de pneumopatia por amiodarona, quatro ex-fumantes, dois fumantes e quatro não fumantes ( 8 homens e 2 mulheres) com média de idade de 52,90 anos. Todos faziam uso de amiodarona por via oral e nenhum fumou nas 4 semanas que precederam o estudo. Após espirometria que constou do registro da curva volume-tempo, todos inalaram 4 ml de solução salina contendo 740 MBq de DTPA Tecnécio-99m, durante cinco minutos. Através de uma c~mara de cintilação computadorizada foram obtidas imagens pulmonares, definindo-se 9 áreas de interesse. Para cada região escolhida foi determinada uma curva de \"clearance\" extraindo-se o valor de meia-vida biológica em minu- tos ( T 1/2 ) e a taxa percentual de \" clearance\" alvéolo capilar do radioaerossol por minuto (K%/min). Observamos que, das variáveis espirométricas consideradas, a capacidade vital forçada (CVF) e o volume expiratório forçado no 1 segundo (VEF1) mostraram diferenças significantes entre os grupos I e IV. A contagem total de radioatividade de ambos os pulmões não mostrou relação com a CVF e o VEF1. O \" clearance \" pulmonar do DTPA Tecnécio-99m foi maior nos grupos 11 e IV, porém não permitindo sua diferenciação. Estes resultados permitem concluir: Os pacientes portadores de pneumonite por amiodaro- na apresentam\" clearance \" alvéolo-capilar de DTPA Tecnécio-99m significativamente maior que os indivíduos do grupo de normais não fumantes. Este fato também se verificou em relação aos pacientes em uso crônico de amiodarona mas sem evidências de pneumopatia. Não é possível diferenciar os fumantes dos portadores de pneumonite por amiodarona através da análise da integridade da barreira alvéolo-epitelial com DTPA Tecnécio-99m. Comparativamente, o estudo da integridade alvéolo-epitelial pelo \"clearance\" pulmonar de DTPA Tecnécio-99m é mais sensível que a espirometria na avaliação da pneumonite por amiodarona, permitindo diferenciar estes pacientes dos que fazem uso crônico da droga

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Os implantes mamários de silicone têm sido empregados, tanto nas cirurgias de aumento das mamas, quanto na reconstrução do tecido mamário após mastectomia. A segurança biológica dos implantes de silicone merece estudo relacionado aos processos de esterilização empregados, pois podem constituir-se em fator de comprometimento da estrutura química do polímero e, conseqüentemente, da biocompatibilidade. Este estudo consistiu na avaliação da biocompatibilidade de implantes mamários de silicone após terem sido submetidos aos processos de esterilização por calor seco, radiação gama e óxido de etileno. O parâmetro avaliado foi a viabilidade celular, empregando o método de difusão em agar e de captura do vermelho neutro. As amostras compreenderam implantes de silicone gel lisos, texturizados e revestidos com poliuretano e implantes texturizados pré-cheios com solução salina. Também foi realizado o teste de endotoxinas bacterianas pelo método do LAL e determinação da taxa de migração do gel de silicone (teste de bleed). Os três métodos de esterilização mostraram-se igualmente eficientes pela comprovação da condição de esterilidade dos implantes através de metodologia descrita na Farmacopéia Americana 27 edição. Os níveis de endotoxinas bacterianas dos implantes, também atenderam aos requisitos dos compêndios oficiais. Na avaliação da biocompatibilidade todos os implantes, independente dos processos de esterilização utilizados, apresentaram ausência de citotoxicidade. Os resultados do teste de bleed mostraram uma maior taxa de migração de gel para os implantes de superfície lisa em comparação com os implantes de superfície texturizada e revestida com poliuretano, quando esterilizados por calor seco. Ao comparar a taxa de migração do gel para os implantes de superfície lisa esterilizados por calor seco e óxido de etileno, obteve-se uma maior taxa de migração para aqueles implantes esterilizados por óxido de etileno. As diferentes avaliações realizadas neste estudo abrangeram aspectos biológicos, químicos e físicos relevantes para garantir um produto de boa qualidade e que, por assegurar a manutenção da característica de biocompatibilidade, resulta na segurança biológica deste tipo de implante.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

A ausência de terapias eficazes para a caquexia permanece como um problema central para o tratamento do câncer no mundo. Em contrapartida, o treinamento de força (i.e. também conhecido como treinamento resistido) tem sido amplamente utilizado como uma estratégia não farmacológica anticatabólica, prevenindo a perda da massa e da função da musculatura esquelética. Entretanto, o papel terapêutico do treinamento de força na caquexia do câncer permanece apenas especulativo. Portanto, nesse estudo avaliamos se o treinamento de força poderia atenuar a perda da massa e da função da musculatura esquelética em um severo modelo de caquexia do câncer em ratos. Para isso, ratos machos da linhagem Wistar foram randomizados em quatro grupos experimentais: 1) ratos sedentários injetados com solução salina na medula óssea (Controle); 2) ratos injetados com solução salina na medula óssea e submetidos ao treinamento de força (Controle + T); 3) ratos sedentários injetados com células do tumor Walker 256 na medula óssea (Tumor); e 4) ratos injetados com células do tumor Walker 256 na medula óssea e submetidos ao treinamento de força (Tumor + T). Foram avaliados a massa e a área de secção transversa da musculatura esquelética, marcadores de disfunção metabólica e do turnover proteico, a função da musculatura esquelética in vivo e ex vivo, o consumo alimentar, o crescimento tumoral e a sobrevida dos grupos experimentais com tumor. O grupo Tumor apresentou atrofia muscular após quinze dias da injeção das células tumorais como pode ser observado pela redução na massa dos músculos Plantaris (- 20,5%) e EDL (-20%). A atrofia no músculo EDL foi confirmada por análises histológicas, demonstrando uma redução de 43,8% na área de secção transversa. Embora o treinamento de força tenha aumentado o conteúdo proteico da lactato desidrogenase e revertido totalmente o conteúdo da forma fosforilada de 4EBP-1 (i.e. repressor da transcrição de mRNA), ele não atuou na morfologia da musculatura esquelética nos animais com tumor. Além disso, o treinamento de força não atenuou a perda de função da musculatura esquelética, a anorexia, o crescimento tumoral ou a taxa de mortalidade. Contudo, a força muscular, avaliada pelo teste de 1RM, apresentou uma correlação negativa com a sobrevida dos animais (p = 0,02), sugerindo que a perda de força prediz a mortalidade nesse modelo experimental de caquexia do câncer. Em suma, a injeção de células do tumor Walker 256 na medula óssea induz caquexia do câncer em ratos. O treinamento de força não foi eficaz em atenuar a perda de massa e função da musculatura esquelética nesse modelo. Entretanto, a força muscular prediz a sobrevida dos animais, sugerindo que novos estudos são necessários para elucidar o possível efeito terapêutico do treinamento de força para atenuar a caquexia do câncer e a progressão tumoral

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

INTRODUÇÃO: O transplante de pulmão é parte fundamental no tratamento das doenças terminais do pulmão, constituindo uma modalidade terapêutica eficaz para pacientes com doença pulmonar incapacitante, progressiva e em estágio final. No entanto, as drogas imunossupressoras usadas para evitar a rejeição do enxerto podem causar efeitos colaterais em diversos tecidos. O sistema mucociliar, presente nas vias aéreas, é um dos principais mecanismos de defesa do trato respiratório e pode ser alterado por ação das drogas imunossupressoras. Desta forma, o objetivo deste estudo foi avaliar o sistema mucociliar traqueobrônquico de ratos submetidos a dois esquemas de terapia tríplice imunossupressora. MÉTODOS: Foram utilizados 90 ratos machos Wistar distribuídos em 3 grupos conforme o tratamento: controle (C) = solução salina; terapia 1 (TI) = tacrolimus + micofenolato de mofetil + prednisona; terapia 2 (TII) = ciclosporina + azatioprina + prednisona. Após o período de tratamento (7, 15 ou 30 dias), os animais foram sacrificados e realizadas as seguintes medidas: transportabilidade do muco (TM), frequência de batimento ciliar (FBC), quantificação de muco neutro e ácido, velocidade de transporte mucociliar (VTMC), e contagem total e diferencial de células no lavado broncoalveolar (LBA). RESULTADOS: A TM não foi afetada pelas terapias em nenhum dos tempos estudados. Ambas as terapias causaram significativa redução da FBC dos animais tratados por 7 e 15 dias. A produção de muco neutro foi menor nos animais tratados com a TI por 7, 15 e 30 dias. Porém, com a TII, essa redução ocorreu apenas aos 7 dias. Por outro lado, a quantidade de muco ácido foi significativamente maior em todos os animais tratados com as duas terapias. Todos os animais tratados com as terapias imunossupressoras apresentaram redução da VTMC nos três tempos. Houve aumento do número total de células e de macrófagos e neutrófilos no grupo TI em 7 dias. CONCLUSÕES: Ambas as terapias imunossupressoras foram prejudiciais ao transporte mucociliar das vias aéreas de ratos, tanto pela redução da FBC e da VTMC, quanto pela maior produção de muco ácido e menor produção de muco neutro. A TI foi mais prejudicial ao sistema mucociliar em comparação à TII

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Introdução: Demonstramos previamente que em modelo experimental de enfisema pulmonar induzido por instilação de elastase, o inibidor de serinoprotease rBmTI-A promoveu a melhora da destruição tecidual em camundongos. Considerando que o tabagismo é o principal fator de risco para o desenvolvimento da Doença Pulmonar Obstrutiva Crônica (DPOC) e que o modelo de exposição à fumaça de cigarro é considerado o que melhor mimetiza esta doença em humanos, este estudo teve por objetivo verificar a ação do inibidor para serinoproteases rBmTI-A sobre os processos fisiopatológicos envolvidos no desenvolvimento do enfisema pulmonar, em modelo de exposição ao tabaco. Métodos: Para a indução do enfisema pulmonar, os animais foram expostos à fumaça de cigarro (duas vezes ao dia/ 30 minutos/ 5 dias por semana/ durante 12 semanas), e os animais controle permaneceram expostos ao ar ambiente. Dois protocolos de tratamento com o inibidor rBmTI-A foram realizados. No primeiro, os animais receberam duas administrações do inibidor rBmTI-A ou de seu veículo (Solução Salina 0,9%) por via intranasal, sendo a primeira após 24h do término das exposições ao cigarro e outra, 7 dias após à primeira instilação do inibidor. No segundo protocolo, os animais receberam 3 administrações do inibidor rBmTI-A, durante o tempo de exposição (1ª dose: 24h antes do início da exposição à fumaça de cigarro; 2ª dose: um mês após o início da exposição; 3ª dose: dois meses após o início). Após o término dos protocolos de exposição e tratamento, os animais foram submetidos aos procedimentos para coleta dos dados de mecânica respiratória e avaliação do Intercepto Linear Médio (Lm). Para o segundo protocolo, realizamos também as medidas para quantificação de fibras de colágeno e elástica, da densidade de células positivas para MAC-2, MMP-12 e 9, TIMP-1, Gp91phox e TNFalfa; no parênquima através de imunohistoquímica, contagem de células polimorfonucleares além da expressão gênica de MMP-12 e 9 no pulmão através de RT-qPCR. Resultados e Discussão: O tratamento com o inibidor para serinoprotease rBmTI-A atenuou o desenvolvimento do enfisema pulmonar apenas no segundo protocolo, quando foi administrado durante a exposição à fumaça de cigarro. Embora os grupos Fumo-rBmTIA e Fumo-VE apresentem aumento de Lm comparados aos grupos controles, houve uma redução deste índice no grupo Fumo-rBmTIA comparado ao grupo Fumo-VE. O mesmo comportamento foi observado para as análises de proporção em volume de fibras de elástica e colágeno no parênquima. Além disto, observamos aumento de macrófagos, MMP-12, MMP-9 e TNFalfa; nos grupos expostos à fumaça de cigarro, mas o tratamento com o inibidor rBmTI-A diminuiu apenas a quantidade de células positivas para MMP-12. Na avaliação da expressão gênica para MMP-12 e 9, não observamos diferença entre os grupos experimentais e o mesmo comportamento foi observado para a quantidade de células polimorfonucleares no parênquima. Além disso, observamos aumento de GP91phox e TIMP-1 nos grupos tratados com rBmTIA. Conclusões: Tais resultados sugerem que o inibidor rBmTI-A não foi efetivo como tratamento da lesão após a doença instalada. Entretanto, atenuou o desenvolvimento da doença quando administrado durante a indução do enfisema, possivelmente através do aumento de GP91phox e TIMP-1, acompanhados pela diminuição de MMP-12.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Este estudo avaliou a eficiência da oleuropeína (OLE) (composto fenólico extraído das folhas de Oliveira) isolada e associada aos sanitizantes comerciais ácido peracético 2% (APA), hipoclorito de sódio 2% (HS), peróxido de hidrogênio 3% (PH), digluconato de clorexidina 2% (DC), cloreto de benzalcônio 1% (CB) e iodofor 2% (IO), para inativação de células em suspensão e biofilmes monoespécie e multiespécie formados em superfícies de aço inoxidável ou microplaca de poliestireno por Listeria monocytogenes (ATCC 7644), Staphylococcus aureus (ATCC 25923) e Escherichia coli (ATCC 25922), todas classificadas como fortes produtores de biofilmes. Os isolados foram semeados em caldo TSB (caldo tripticase soja), incubados (37°C/24h) e corrigidos a ~108células/mL (escala 0,5 McFarland). Para bactérias em suspensão, a resistência a sanitizantes foi determinada pela Concentração Inibitória Mínima (CIM) em tubos e pelo método de Disco Difusão em Ágar (DDA), no qual as bactérias foram plaqueadas em ágar TSA contendo discos de 6mm de papel filtro embebidos nos sanitizantes. Após a incubação, a medição dos halos de inibição foi feita com paquímetro. Para os ensaios de resistência dos biofilmes aos compostos sanitizantes, foram utilizadas microplacas de poliestireno 96 poços, as quais foram preparadas para incubação-fixação dos biofilmes e submetidas à leitura em espectrofotômetro de ELISA (600 nm). Em seguida, as placas foram lavadas com solução salina tamponada (PBS, pH 7.4) e os sanitizantes inseridos por 1 minuto. Após neutralização com tiossulfato de sódio (5 minutos), as placas foram lavadas com PBS e metanol, coradas com cristal violeta 1% e coradas com ácido acético glacial (33%) para nova leitura a 570nm. A eficácia da remoção do biofilme pelos sanitizantes foi comparada pelo índice de formação de biofilme (IFB). As imagens do aço inoxidável após tratamento com sanitizante foram feitas através de Microscopia Eletrônica de Varredura (MEV) e Microscopia Confocal, para visualizar a persistência dos biofilmes. Os valores de CIM (diluição 1:2) mostraram que OLE não teve atividade bactericida. No método DDA, L. monocytogenes, foi resistente à OLE, enquanto E. coli e S. aureus apresentaram resistência intermediária. Os sanitizantes comerciais apresentaram boa atividade bactericida nos ensaios de CIM e DDA, sendo que as associações de OLE aos sanitizantes comerciais aumentaram o efeito germicida. Nos ensaios com biofilmes em monoespécie, somente os sanitizantes comerciais, isolados ou associados com OLE, foram eficazes de reduzir o valor de BFI em microplaca de poliestireno. Em biofilmes multiespécie, OLE apresentou efeito antimicrobiano, sobretudo sobre a associação de L. monocytogenes + E. coli + S. aureus (redução: 91,49%). Nenhum dos compostos avaliados foi capaz de inativar completamente os biofilmes nas superfícies de aço inoxidável, uma vez que células viáveis foram observadas após os tratamentos com os sanitizantes, indicando persistência dos biofilmes. Os resultados indicam que a oleuropeína apresentou potencial para incrementar o efeito bactericida de sanitizantes comerciais para eliminação de biofilmes em superfícies inertes, sendo necessários estudos para compreender os mecanismos de ação dessas combinações.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

Una dieta que aporte la adecuada nutrición, tanto a las larvas como a los reproductores, favorece la disminución de la duración del desarrollo larvario y la supervivencia a situaciones de mayor estrés fisiológico, como pueden ser determinadas mudas. Por ello, en este trabajo se ha valorado la supervivencia de larvas de Lysmata amboinensis al alimentarlas con dos tipos de variedades de Artemia salina: una de 430 μ y un contenido en ácidos grasos de 19 mg/g, y otra de 480 μ y un contenido en ácidos grasos de 25 mg/g. En los resultados existe una tendencia según la cual el porcentaje de larvas, es mayor con la dieta de Artemia salina 480μ, resultado de la mejora en la captura del alimento por parte de las larvas, y del mayor aporte nutritivo de este tipo de Artemia.

Relevância:

10.00% 10.00%

Publicador:

Resumo:

OBJECTIVE: Acute bronchiolitis is a common disorder of infants that often results in hospitalization. Apart from supportive care, no therapy has been shown to influence the course of the disease, except for a possible effect of nebulized hypertonic saline (HS). To determine whether this does have beneficial effects on length of stay in hospital or on severity scores, we undertook a double-blind, randomized, controlled trial in a pediatric department of a Portuguese hospital. METHODS: Previously healthy infants, younger than 12 months, hospitalized with mild-to-moderate acute viral bronchiolitis were randomized to receive either nebulized 3% (hypertonic, HS) or 0.9% (normal, NS) saline during their entire hospital stay. Primary endpoints were: length of hospital stay and severity scores on each day of hospitalization. Need for supplemental oxygen, further add-on medications and adverse effects were also analyzed. RESULTS: Sixty-eight patients completed the study (HS: 33; NS: 35). The median length of hospital stay did not differ between groups: HS: 5.6 ± 2.3 days; NS: 5.4 ± 2.1 days (P = 0.747). We found no difference between groups in severity scores from day 1 to day 4. There were no differences in need for supplemental oxygen or add-on medications. Patients in HS group had significantly more cough (46% vs. 20%, P = 0.025) and rhinorrhoe (58% vs. 31%, P = 0.30). CONCLUSION: This study does not support the use of nebulized HS over NS in therapy of hospitalized children with mild-to-moderate acute viral bronchiolitis