919 resultados para Produzione di neutroni, Scattering di neutroni, Small-angle neutron scattering


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Small-angle X-ray scattering (SAXS) was used to study structural characteristics of human serum albumin (HSA) in solution under different pH conditions. Guinier analysis of SAXS results yielded values of the molecular radius of gyration ranging from 26.7 Å to 34.5 Å for pH varying from 2.5 to 7.0. This suggests the existence of significant differences in the overall shape of the molecule at different pH. Molecular models based on subdomains with different spatial configurations were proposed. The distance distribution functions associated with these models were calculated and compared with those determined from the experimental SAXS intensity functions. The conclusion of this SAXS study is that the arrangement of molecular subdomains is clearly pH dependent; the molecule adopting more or less compact configuration for different pH conditions. The conclusions of this systematic study on the modification in molecular shape of HSA as a response to pH changes is consistent with those of previous investigations performed for particular pH conditions.

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Composites formed of a polymer-embedded layer of sub-10 nm gold nanoclusters were fabricated by very low energy (49 eV) gold ion implantation into polymethylmethacrylate. We used small angle x-ray scattering to investigate the structural properties of these metal-polymer composite layers that were fabricated at three different ion doses, both in their original form (as-implanted) and after annealing for 6 h well above the polymer glass transition temperature (150 degrees C). We show that annealing provides a simple means for modification of the structure of the composite by coarsening mechanisms, and thereby changes its properties. (C) 2012 American Institute of Physics. [http://dx.doi.org/10.1063/1.4720464]

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The bioproduction of materials and energy from renewable sources (industrial biotechnology) is getting more and more interest in order to improve environmental sustainability of chemical industrial processes and to decrease their dependence from oil. Anaerobic digestion of organic waste matrices (agricultural and industrial wastes, organic fraction of municipal wastes, sewage sludges etc.) may play an important role in the implementation of industrial biotechnology being a well developed strategy in the valorization of complex matrices, as it can mineralize them while producing bioenergy in the form of a biogas rich in methane. In this research the potential of anaerobic digestion in the treatment of polluted sewage sludge was studied by developing three set of anaerobic microcosms with sludges differently contaminated by xenobiotic compounds. The effect of different incubating temperatures and of exogenous carbon and vitamine sources was investigated along with the role of the occurring microbial populations in the pollutant degradation activity. So, while confirming the potential of anaerobic digestion for the biomethanization of sewage sludges, this work proved the effectiveness of this technology in the removal of pollutants too. Moreover, since the degradation of lignocellulose appears to be a limiting step in the anaerobic treatment of a wide range of biomass, the possibility of optimizing anaerobic digestion of lignocellulosic substrates was also studied. To this aim a research was carried out at the BOKUUniversity of Natural Resources and Applied Life Sciences, Department for Agrobiotechnology, IFA - Tulln, where mixed cellulolytic cultures were isolated from biogas plants while assessing the metabolic pathway leading to cellulose degradation and verifying their capability to grow on lignocellulose too, proving that on the long term such bacterial cultures could be used as inoculum in order to improve the hydrolysis of lignocellulose in anaerobic digestion plants.

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Le acque di vegetazione (AV) costituiscono un serio problema di carattere ambientale, sia a causa della loro elevata produzione sia per l’ elevato contenuto di COD che oscilla fra 50 e 150 g/l. Le AV sono considerate un refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito dell’industria agroalimentare e la loro tossicità è determinata in massima parte dalla componente fenolica. Il presente lavoro si propone di studiare e ottimizzare un processo non solo di smaltimento di tale refluo ma anche di una sua valorizzazione, utlizzandolo come materia prima per la produzione di acidi grassi e quindi di PHA, polimeri biodegradabili utilizzabili in varie applicazioni. A tale scopo sono stati utilizzati due bioreattori anaerobici a biomassa adesa, di identica configurazione, con cui si sono condotti due esperimenti in continuo a diverse temperature e carichi organici al fine di studiare l’influenza di tali parametri sul processo. Il primo esperimento è stato condotto a 35°C e carico organico pari a 12,39 g/Ld, il secondo a 25°C e carico organico pari a 8,40 g/Ld. Si è scelto di allestire e mettere in opera un processo a cellule immobilizzate in quanto questa tecnologia si è rivelata vantaggiosa nel trattamento continuo di reflui ad alto contenuto di COD e carichi variabili. Inoltre si è scelto di lavorare in continuo poiché tale condizione, per debiti tempi di ritenzione idraulica, consente di minimizzare la metanogenesi, mediata da microrganismi con basse velocità specifiche di crescita. Per costituire il letto fisso dei due reattori si sono utilizzati due diversi tipi di supporto, in modo da poter studiare anche l’influenza di tale parametro, in particolare si è fatto uso di carbone attivo granulare (GAC) e filtri ceramici Vukopor S10 (VS). Confrontando i risultati si è visto che la massima quantità di VFA prodotta nell’ambito del presente studio si ha nel VS mantenuto a 25°C: in tale condizione si arriva infatti ad un valore di VFA prodotti pari a 524,668 mgCOD/L. Inoltre l’effluente in uscita risulta più concentrato in termini di VFA rispetto a quello in entrata: nell’alimentazione la percentuale di materiale organico presente sottoforma di acidi grassi volatili era del 54 % e tale percentuale, in uscita dai reattori, ha raggiunto il 59 %. Il VS25 rappresenta anche la condizione in cui il COD degradato si è trasformato in percentuale minore a metano (2,35 %) e questo a prova del fatto che l’acidogenesi ha prevalso sulla metanogenesi. Anche nella condizione più favorevole alla produzione di VFA però, si è riusciti ad ottenere una loro concentrazione in uscita (3,43 g/L) inferiore rispetto a quella di tentativo (8,5 g/L di VFA) per il processo di produzione di PHA, sviluppato da un gruppo di ricerca dell’università “La Sapienza” di Roma, relativa ad un medium sintetico. Si può constatare che la modesta produzione di VFA non è dovuta all’eccessiva degradazione del COD, essendo questa nel VS25 appena pari al 6,23%, ma piuttosto è dovuta a una scarsa concentrazione di VFA in uscita. Questo è di buon auspicio nell’ottica di ottimizzare il processo migliorandone le prestazioni, poiché è possibile aumentare tale concentrazione aumentando la conversione di COD in VFA che nel VS25 è pari a solo 5,87%. Per aumentare tale valore si può agire su vari parametri, quali la temperatura e il carico organico. Si è visto che il processo di acidogenesi è favorito, per il VS, per basse temperature e alti carichi organici. Per quanto riguarda il reattore impaccato con carbone attivo la produzione di VFA è molto ridotta per tutti i valori di temperatura e carichi organici utilizzati. Si può quindi pensare a un’applicazione diversa di tale tipo di reattore, ad esempio per la produzione di metano e quindi di energia.

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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.

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Con questo studio si è volto effettuare un confronto tra la generazione di energia termica a partire da cippato e da pellet, con particolare riferimento agli aspetti di carattere ambientale ed economico conseguenti la produzione delle due differenti tipologie di combustibile. In particolare, si sono ipotizzate due filire, una di produzione del cippato, una del pellet, e per ciascuna di esse si è condotta un'Analisi del Ciclo di Vita, allo scopo di mettere in luce, da un lato le fasi del processo maggiormente critiche, dall'altro gli impatti sulla salute umana, sugli ecosistemi, sul consumo di energia e risorse. Quest'analisi si è tradotta in un confronto degli impatti generati dalle due filiere al fine di valutare a quale delle due corrisponda il minore. E' stato infine effettuato un breve accenno di valutazione economica per stimare quale tipologia di impianto, a cippato o a pellet, a parità di energia prodotta, risulti più conveniente.

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Beet soil-borne mosaic virus (BSBMV) and Beet necrotic yellow vein virus (BNYVV) are members of Benyvirus genus. BSBMV has been reported only in the United States while BNYVV has a worldwide distribution. Both viruses are vectored by Polymyxa betae, possess similar host ranges, particles number and morphology. Both viruses are not serologically related but have similar genomic organizations. Field isolates consist of four RNA species but some BNYVV isolates contain a fifth RNA. RNAs 1 and 2 are essential for infection and replication while RNAs 3 and 4 play important roles on plant and vector interactions, respectively. Nucleotide and amino acid analyses revealed BSBMV and BNYVV are different enough to be classified in two different species. Additionally in BNYVV/BSBMV mixed infections, a competition was previous described in sugar beet, where BNYVV infection reduces BSBMV accumulation in both susceptible and resistant cultivars. Considering all this observations we hypothesized that BNYVV and BSBMV crossed study, exploiting their similarities and divergences, can improve investigation of molecular interactions between sugar beets and Benyviruses. The main achievement of our research is the production of a cDNA biologically active clones collection of BNYVV and BSBMV RNAs, from which synthetic copies of both Benyviruses can be transcribed. Moreover, through recombination experiments we demonstrated, for the first time, the BNYVV RNA 1 and 2 capability to trans-replicate and encapsidate BSBMV RNA 3 and 4, either the BSBMV RNA 1 and 2 capability to replicate BNYVV RNA2 in planta. We also demonstrated that BSBMV RNA3 support long-distance movement of BNYVV RNA 1 and 2 in B. macrocarpa and that 85 foreign sequence as p29HA, GFP and RFP, are successfully expressed, in C. quinoa, by BSBMV RNA3 based replicon (RepIII) also produced by our research. These results confirm the close correlation among the two viruses. Interestingly, the symptoms induced by BSBMV RNA-3 on C. quinoa leaves are more similar to necrotic local lesions caused by BNYVV RNA-5 p26 than to strongly chlorotic local lesions or yellow spot induced by BNYVV RNA- 3 encoded p25. As previous reported BSBMV p29 share 23% of amino acid sequence identity with BNYVV p25 but identity increase to 43% when compared with sequence of BNYVV RNA-5 p26. Based on our results the essential sequence (Core region) for the longdistance movement of BSBMV and BNYVV in B. macrocarpa, is not only carried by RNA3s species but other regions, perhaps located on the RNA 1 and 2, could play a fundamental role in this matter. Finally a chimeric RNA, composed by the 5’ region of RNA4 and 3’ region of RNA3 of BSBMV, has been produced after 21 serial mechanically inoculation of wild type BSBMV on C. quinoa plants. Chimera seems unable to express any protein, but it is replicated and transcript in planta. It could represent an important tool to study the interactions between Benyvirus and plant host. In conclusion different tools, comprising a method to study synthetic viruses under natural conditions of inoculum through P. Betae, have been produced and new knowledge are been acquired that will allow to perform future investigation of the molecular interactions between sugar beets and Benyviruses.