956 resultados para 711.0945 Urbanistica - Italia (Pianificazione territoriale - Italia)
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Il Sisma dell’Emilia Romagna ha cambiato di colpo l’assetto territoriale, gli edifici e soprattutto le dotazioni territoriali. L’argomento della tesi di laurea si inserisce nell'ambito delle iniziative mirate a fare fronte all'evento sismico, in particolare riguarda la costruzione dello strumento del Piano dei Servizi del Comune di Cento, quale base conoscitiva e di lavoro per permettere all'amministrazione comunale di procedere all'aggiornamento dei propri strumenti urbanistici nella fase di redazione del Piano di Ricostruzione. Le dotazioni pubbliche sono state notevolmente modificate dall'evento sismico, sconvolgendo tutti i sistemi esistenti. La tesi di laurea, sviluppata in collaborazione con il comune di Cento e la Regione Emilia Romagna, ha come obiettivo l’analisi delle dotazioni territoriali al fine di studiare un piano urbanistico efficace e migliorativo, integrato nel Piano della Ricostruzione, strumento con il quale si può intervenire per ricreare spazi pubblici. Il progetto, che presenta aspetti sia di ricerca che operativi, si è sviluppato effettuando un analisi e un confronto, tra stato pre-sisma e stato post-sisma, di alcuni ambiti d’interesse pubblico: il servizio scolastico, le dotazioni sportive, il sistema del verde pubblico e il sistema della sosta. Si è proceduto con approfondimenti delle tematiche principali che tenessero conto dei principi qualitativi espressi nei piani dei Servizi così da ottenere una base conoscitiva più realistica e maggiormente rispondente alle esigenze della cittadinanza. Il lavoro ha permesso di operare secondo criteri di studio sperimentali, di tipo qualitativo, valutandone l’utilità nelle pianificazioni future del Comune a partire dal Piano della Ricostruzione e dalla redazione della Condizione Limite d’Emergenza. Infine le conoscenze acquisite sono state applicate in alcune aree di studio così da verificarne la possibilità di utilizzo. Si è valutata la complessità dei rapporti vigenti tra i vari sistemi delle dotazioni pubbliche superando il limite di una pianificazione unicamente settoriale.
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Lo studio delle Zone Franche Urbane all’interno del Diritto tributario europeo non ha potuto prescindere da una introduttiva delimitazione del lavoro, capace di distinguere le diverse tipologie di zone franche esistenti nei Paesi intra/extra Ue. Attraversando i casi-studio di Madeira, delle Azzorre, fino alla istituenda Zona Franca di Bruxelles, Zone d’Economie Urbaine stimulée (ZEUS), si è giunti alla constatazione dell’assenza di una definizione di Zona Franca Urbana: analizzando le esperienze normative vissute in Francia e in Italia, si è potuto tratteggiare il profilo territoriale, soggettivo e oggettivo del sistema agevolativo rivolto al recupero delle aree urbane degradate. La funzione strumentale della fiscalità, esplicitata per mezzo delle ZFU, ha condotto ad una verifica di diritto interno per controllare la legittimità delle scelte nazionali in ragione dei principi costituzionali nazionali, come anche una di diritto europeo per evitare che le scelte nazionali, anche se legittime sul piano interno, possano per gli stessi effetti incentivanti alle attività d'impresa presentarsi come una forma territoriale di aiuti di Stato fiscali. Evidenziando il rapporto tra le ZFU e il Mercato europeo si è voluto, da un lato, effettuare una ricostruzione sistemica necessaria per un’interpretazione delle ZFU che metta in luce le componenti di tale strumento orientate al perseguimento di un interesse socioeconomico, che in prima battuta generi una contraddizione, una deroga ai principi costituzionali e comunitari, per poi “sciogliersi” in una coerente applicazione degli stessi; dall’altro, tentare di elevare le ZFU a misura sistemica dell’Ordinamento europeo. Si è svolto, infine, un ragionamento in termini di federalismo fiscale con riferimento alle ZFU, trovando una adeguata collocazione nel percorso di devoluzione intrapreso dal legislatore nazionale, avendo quali interlocutori privilegiati le Regioni a Statuto Speciale.
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Il seguente lavoro analizza lo sviluppo dell’occupazione territoriale dell’area collinare e montana del bolognese e della Romagna nell’età del Bronzo. Si sono censite le attestazioni archeologiche relative all’età del Bronzo nell’area di studio, per analizzare le tendenze insediative e le loro eventuali modificazioni nel corso del tempo, onde individuare le strategie alla base del scelta del luogo da insediare e le eventuali vie di percorrenza. Attraverso l’analisi tipologica del materiale rinvenuto nei vari contesti si è cercato di determinare le influenze culturali provenienti dal centro Italia o dalla zona terramaricola. Per raggiungere questo obbiettivo si sono analizzati i dati di archivio della Soprintendenza ai beni archeologici dell’Emilia Romagna e l’Archivio Renato Scarani, protagonista delle ricerche archeologiche in Emilia Romagna per il periodo degli anni ’50-’70 del XX secolo, recentemente acquisito dall’Università di Bologna. Ai dati desunti dagli archivi, che in molti casi hanno chiarito le vicende concernenti le indagini ed i posizionamenti di molti dei siti segnalati ed esplorati tra la seconda metà del XIX e gli anni ’70 del XX secolo, che costituiscono la maggioranza del campione analizzato, si sono aggiunti i dati recentemente acquisiti a seguito degli scavi a Monterenzio Località Chiesa Vecchia (Bo), uno dei siti più importanti (per stratigrafia conservata e per contesto territoriale) dell'Appennino Bolognese.
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Questa tesi si prepone di indagare quali ricadute positive potrebbe avere, nei confronti della pianificazione urbanistica e il monitoraggio a scala territoriale, l’applicazione delle tecnologie di analisi spaziale assistita dal computer, con particolare riferimento all’analisi tipomorfologica delle forme insediative, sia a scala di quartiere (distinguendo tessuto compatto, a grana fine, grossa, ecc.), che a scala urbana (analisi della densità e delle aggregazioni extraurbane). A tal fine sono state elaborate due ipotesi applicative delle recenti tecnologie di elaborazione object-oriented, sperimentandole sulle principali città romagnole che si collocano sull’asse della via Emilia.
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La rapida diffusione di Sistemi Aerei a Pilotaggio Remoto che si è verificata negli ultimi anni ha portato alla necessità di regolamentare ed armonizzare il loro utilizzo. I vari enti regolatori nazionali hanno dovuto trovare una soluzione a fronte di una serie di incidenti che hanno portato alla luce le lacune normative ed organizzative che ancora esistevano in materia. In Italia, in particolare, l’Ente Nazionale Aviazione Civile (ENAC) ha introdotto da fine 2013 un regolamento, più volte aggiornato e in parte ancora in fase di definizione, che impone delle rigide norme agli operatori dei mezzi a pilotaggio remoto. La presente attività riporta quindi lo sviluppo di un processo di certificazione di un Sistema Aereo a Pilotaggio Remoto ad ala fissa con peso massimo al decollo superiore a 25 kg, che si possa adattare alle più recenti norme presenti nel regolamento. Si presenta quindi lo sviluppo del Manuale di volo e del documento di Valutazione del rischio del mezzo, seguiti dallo studio del programma di attività sperimentale necessario per la certificazione. Infine, nella parte finale dell’elaborato si presentano dei test di volo effettuati seguendo il piano di sperimentazione strutturato e atti a dimostrare l’efficacia di tale pianificazione. Tali voli sono stati condotti infatti con un velivolo con caratteristiche similari a quelle del mezzo oggetto di studio, ma avente dimensioni e peso minori.
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Negli ultimi quindici anni il traffico aereo passeggeri in Italia è stato interessato da un cospicuo incremento: si è passati dai 91 milioni di passeggeri nel 2000 ai 150 milioni nel 2014. Le previsioni di crescita per il Paese indicano il possibile raddoppio del traffico entro il 2030, quando si dovrebbe raggiungere la soglia dei 300 milioni di passeggeri, con un aumento soprattutto della quota parte internazionale. Non vi può essere sviluppo economico di uno Stato senza crescita del traffico aereo, la quale si può realizzare solo con un adeguamento e un potenziamento delle capacità delle infrastrutture aeroportuali compatibile con le condizioni ambientali e un’efficace interconnessione degli scali con gli altri modi di trasporto. Infatti la pianificazione e la progettazione degli aeroporti non può prescindere da un’analisi approfondita sugli impatti ambientali prodotti dalle attività svolte all’interno degli scali. Inoltre l’incremento del numero medio di passeggeri per movimento (dal 75 pax/mov nel 2000 a 106 pax/mov nel 2011, dato riferito al traffico nazionale) rappresenta un dato positivo dal punto di vista ambientale: nei cieli vola un minor numero di aeromobili, ma in grado di trasportare un maggior numero di passeggeri, con conseguente diminuzione del numero dei movimenti, quindi del rumore, delle emissioni e dell’inquinamento ambientale provocato dalle operazioni necessarie a garantire l’operatività di ciascun volo. La salvaguardia dell’ambiente per un aeroporto è un compito difficile e oneroso, poiché può creare problemi ambientali come inquinamento acustico, dell’aria, delle acque fondiarie e trattamento dei rifiuti. In particolare, scopo di questo elaborato è studiare l’impatto che le operazioni svolte in air-side provocano sulla qualità delle acque di dilavamento, osservando e analizzando le attività che avvengono presso l’Aeroporto G. Marconi di Bologna. Si intende svolgere un censimento delle operazioni che influenzano la qualità delle acque (sia direttamente sia a seguito del dilavamento delle pavimentazioni aeroportuali), indagando quali siano i soggetti coinvolti, le procedure da eseguire, la frequenza e gli eventuali mezzi impiegati. Poi si vogliono eseguire analisi chimiche e granulometriche con un duplice obiettivo: conoscere la qualità delle acque raccolte dalle caditoie presenti nel piazzale e a bordo pista e verificare l’efficacia delle operazioni eseguite anche per ridurre il build up, cioè il tasso di accumulo in tempo secco e, di conseguenza, l’apporto di inquinanti riversato nelle acque di dilavamento. Infine si propongono interventi volti a incrementare la sostenibilità ambientale dell’infrastruttura aeroportuale, con particolare attenzione alla riduzione dell’inquinamento idrico.
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La tesis está centrada en el patrimonio industrial, y trata de ahondar en los temas enunciados en el título, Criterios de restauración, intervención y revitalización del patrimonio industrial (capítulo 1). La fábrica de gas de San Paolo en Roma (capítulo 2): En el primer capítulo, se profundiza en los criterios institucionalizados de actuación en el patrimonio, pero también se habla sobre la singularidad, los valores originales, estratificados en cada construcción y su contexto. Ello resume la intención de la doctoranda al entender la necesidad del análisis de cada obra en modo profundo, concreto y abierto a novedosos acercamientos, antes de su transformación. Al hablar de intervención frente a restauración, se aborda la conocida polémica que plantea el modo de acercarse al legado histórico. Parece necesario enunciar cómo se consideran en el trabajo estos términos. Mientras la restauración (como diría Cesare Brandi, constituye el momento metodológico del reconocimiento de la obra de arte en su consistencia física y en su doble polaridad estética e histórica, en orden a su transmisión al futuro) es una acción más restrictiva, que implica atención suma a la recuperación y conservación de los valores significativos y únicos del bien, en comunicación con un (posible) equipo interdisciplinar; por intervención se entiende aquí un desarrollo más personal y libre por parte del proyectista, en el que se produce un proceso dialéctico entre la preexistencia y el posicionamiento crítico adoptado a la hora de dar un obligado nuevo uso a ese bien. Es decir, el contraste está en el diferente reconocimiento de la materialidad física y sus significados. En torno a la restauración/intervención, se analizan las perspectivas de actuación en España e Italia, contrastando factores como la formación del arquitecto o el entorno laboral-cultural, y utilizando el método analítico comparativo de casos. Habría un tercer concepto: el de revitalización del patrimonio industrial, Éste hace referencia a su transformación, a sus usos más comunes y compatibles, a la redimensión artística que ha experimentado la arquitectura industrial gracias al arte contemporáneo y a su relación con la Modernidad. Por último, se enuncia en el título el caso de estudio, la Fábrica, que ocupa el segundo capítulo. Se trata de un enorme conjunto industrial singular semi abandonado en el confín del centro histórico, cuyo protagonista es un gran gasómetro, que la autora ha tenido la oportunidad de descubrir en su estancia en la Ciudad Eterna. Este barrio constituyó el primer y único sector industrial de la Roma moderna a inicios del siglo XX. Por varias causas históricas y voluntad política, la ciudad prácticamente no tuvo más desarrollo industrial que el área mencionada, donde se implantaron servicios y actividades de gran transformación (Matadero, Mercados Generales, Almacenes Fluviales, Central Montemartini o esta fábrica). A partir de 1920, se empezó a construir un tejido productivo que la llevó de la situación de posguerra al milagro económico. Frente al mito de la Roma monumental o de la Roma cotidiana, aparece el aspecto industrial como mito de la contemporaneidad. Sin embargo, esta ciudad es demasiado antigua como para convertirse en moderna, y su proceso industrial en contraste con su larga historia resulta breve. La inmediata relación de la fase industrial romana con el resultado de este desarrollo viene identificada con las instalaciones señaladas, más significativas por su excepcionalidad que por la duración del momento irrepetible que representan. Su presencia física perdura a pesar de su abandono, aisladas tras su muro perimetral y casi desconocidas. Esto las hace apetecibles para la especulación inmobiliaria y resultan un caso de estudio ideal para realizar un Plan de Intervención Global, en el que determinar una serie de intervenciones necesarias, usos compatibles y directrices para la ordenación del conjunto, coherentes con los conceptos manejados en el primer capítulo. ABSTRACT The thesis focuses on industrial heritage, delving into the topics listed in its title, Criteria for the restoration, intervention and revitalisation of industrial heritage (chapter 1). The San Paolo gas factory in Rome (chapter 2): Chapter one elaborates on the official criteria to take action on heritage, but also deals with the singularity and original values unique to each construction and its context. This underlines the PhD candidate’s intentions by understanding the need for an in-depth and specific analysis, open to novel approaches to each site before its transformation. When speaking of intervention, as opposed to restoration, we address the well-known controversy that stems from the different ways of approaching historical heritage. It seems necessary to explain how these terms are interpreted in this piece of work. Whereas restoration (as Cesare Brandi would say, constitutes the methodological moment in which the work of art is appreciated in its material form and in its historical and aesthetic duality, with a view to transmitting it to the future) is a more restrictive action, demanding the utmost attention to the recovery and preservation of the piece of heritage’s defining and exceptional values, (ideally) in communication with a interdisciplinary team. By intervention, we hereby understand a more personal and free procedure carried out by the designer in which a dialectical process takes place between preexistence and the critical stance taken in order to give that good a much needed new use. That is, contrast lies in the different recognition of physical materiality and its meanings. As for the restoration/intervention dilemma, the different courses of action followed in Spain and Italy will be analysed, contrasting the architects’ training, the labourcultural environment and taking an analytical comparative case study method. There is a third concept: the revitalisation of industrial heritage, which refers to its transformation, its most common and compatible uses, the artistic redimensioning that industrial architecture has experienced thanks to contemporary art, and its relationship with Modernity. Lastly, the title refers to the case study, i.e., the analysis of the Factory, which makes up chapter 2. It is an enormous and semiabandoned peerless industrial complex on the edge of the historical city centre whose main landmark is a huge gasometer, which the author had the chance to discover during her stay in the Eternal City. This district made up the first and only industrial sector in the modern Rome of the early 20th century. Due to a number of reasons, both historical and political, barely no further industrial development took place in the city beyond the mentioned area, where processing services and activities were set up (Slaughterhouse, General Markets, Riverside Warehouses, Montemartini Power Plant or the said factory). In the 1920s began the construction of the productive fabric that raised the city from its postwar plight to the economic miracle. As opposed to the myth of monumental Rome and daily-life Rome, this industrial Rome rose as contemporaneity’s myth. However, this city is too ancient to become modern, and its industrial process strikes us as brief when confronted with its long history. The close relationship between Rome’s industrial stage and the consequences of this development is best represented by the aforementioned facilities, more relevant due to their uniqueness than the length of the once-in-a-lifetime moment they represent. Their physical presence lives on despite abandonment and isolation, as they stand vastly unknown behind their perimeter walls. This renders them appealing to property speculators, becoming an ideal case study for the creation of a Global Intervention Plan in which to determine a series of necessary actions, compatible uses and directives, all of them consistent with the concepts dealt with in chapter 1. RIASSUNTO La tesi è focalizzata sul patrimonio industriale e cerca di approfondire le tematiche contenute nel titolo, Criteri di restauro, intervento e rivitalizzazione del patrimonio industriale (capitolo 1). La Fabbrica del gas di San Paolo a Roma (capitolo 2): Nel primo capitolo vengono presi in esame i criteri istituzionalizzati di attuazione nel patrimonio, ma si parla anche della unicità, i valori originali, stratificati in ogni costruzione ed il suo contesto. Questo riassume l’intenzione della dottoranda di capire la necessità dell’analisi di ogni opera in modo profondo, concreto e aperto a nuovi approcci, prima della sua trasformazione. Nel parlare di intervento versus restauro, si affronta la famosa polemica che considera il modo di avicinarsi all’eredità storica. Appare necessario precisare come questi termini sono considerati in questo lavoro. Mentre il restauro (come direbbe Cesare Brandi, costituisce il momento metodologico del riconoscimento dell’opera d’arte nella sua consistenza fisica e nella duplice polarità estetica e storica, in vista della sua trasmissione nel futuro) è un’azione più restrittiva, e quindi implica massima attenzione al recupero e conservazione dei valori significativi ed unici del bene, in comunicazione con una (eventuale) squadra interdisciplinare; per intervento si intende qui un processo più personale e libero del progettista, nel quale si produce uno sviluppo dialettico tra la preesistenza e la posizione critica adottata quando si deve dare un nuovo uso di quel bene. Vale a dire che il contrasto risiede nel diverso riconoscimento della materialità fisica e i loro significati. Intorno al restauro / intervento, si analizzano le prospettive di attuazione in Spagna e Italia, contrastando diversi fattori come la formazione dell’architetto o l’ambiente lavorativo-culturale, ed impiegando il metodo analitico comparativo dei casi. Ci sarebbe un terzo concetto: quello della rivitalizzazione del patrimonio industriale. Questo fa riferimento alla sua trasformazione, ai suoi usi più comuni e compatibili, al ridimensionamento artistico vissuto dall’archeologia industriale grazie all’arte contemporanea ed al suo rapporto con la Modernità. In ultimo, si enuncia nel titolo il caso di studio, ovvero l’analisi della Fabbrica, che occupa il secondo capitolo. Si tratta di un enorme complesso industriale semi-abbandonato al confine con il centro storico, il cui protagonista è un grande gasometro, che l’autrice ha avuto modo di scoprire durante il suo soggiorno nella Città Eterna. Questo quartiere costituì il primo e unico moderno settore industriale della Roma moderna all’inizio del Novecento. Per diverse ragioni storiche e volontà politiche, la città praticamente non ha subito ulteriore sviluppo industriale oltre l’area citata, dove si impiantarono servizi e attività di grande trasformazione (Mattatoio, Mercati Generali, Magazzini Generali, Centrale Montemartini o questa fabbrica). Dal 1920, si inizió a costruire un tessuto prodottivo che portò la città dalla situazione post-bellica al miracolo economico. Di fronte al mito della Roma monumentale o della Roma quotidiana, appare questa Roma industriale come mito della contemporaneità. Tuttavia, questa città è troppo antica per diventare moderna, ed il suo processo industriale in contrasto con la sua lunga storia risulta breve. Il rapporto diretto della fase industriale romana con il risultato di questo sviluppo viene identificato con gli impianti segnalati, più significativi per la loro unicità che per la durata del momento irripetibile che rappresentano. La loro presenza fisica perdura nonostante l’abbandono, isolati dietro il loro muro di cinta e quasi sconosciuti. Questo li rende auspicabile per la speculazione immobiliare e sono un caso ideale per eseguire un Piano di Intervento Globale, che determini una serie di interventi necessari, usi compatibili e linee guida per la pianificazione del tutto, in linea con i concetti utilizzati nel primo capitolo.
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Through the tough economic and social situation and the lack of values that has been experienced in recent years, local governments especially in Greece, Portugal, Italy and Spain have been forced to strongly consider the structure and size of their public sector. Despite some initiative to reduce the number of municipalities and provinces, little substantive progress has been made in improving the management of the local public Administration during this crisis. In this study a territorial administrative reorganization is proposed as a strategy to optimize the structure of local government, analyzing the Spanish situation in general, and an autonomous community in particular.
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Changes induced by PA on nucleic acid (NA) conformation and synthesis is proven to be a major reason for PA essentiality (1-3). However, PA interactions with other polyanions, for instance polyanionic membrane lipid bilayers and glyosaminoglycans have received less attention (3-4). The functional importance of these interactions still is an obscure but interesting area of cell and molecular biology, especially in mammalian cells for which specific PA transport systems are not fully characterized (5). In mammals, activity and turnover of the polyamine (PA) synthesis key enzyme is controlled by a set of proteins: Antizymes (OAZ1-3) and antizyme inhibitors (AZIN1 and 2). It is demonstrated that AOZ modulate polyamine uptake (6), and that PA transport to mitochondria is linked to the respiratory chain state and modulates mitochondrial permeability transition (7). Antizyme expression variants have been located in mitochondria, being proposed as a proapoptotic factor (7-8). AZIN 2 is only expressed in a reduced set of tissues that includes mast cells, where it is associated to mast cell granules membrane (9). This fact, together to the abnormalities observed in bone marrow derived mast cell granules when they are differentiated under restricted PA synthesis conditions (10 and unpublished results), point out to important roles of PA and their related proteins in structure and function of mast cell granules. We will also present novel biophysical results on tripartite interactions of PA that remark the interest of the characterization of PA interactions with lipid bilayers for biomedicine and biotechnology. Thus, the information reported in this paper integrates previously reported information with our still unpublished results, all indicating that PA and their related proteins also are important factors for structure and dynamics of biological membranes and their associated functions essential in human physiology; for instance, solute interchange with the environment (uptake and secretion), oxidative metabolism and apoptosis. The importance of these involved processes for human homeostasis claim for further research efforts. 1. Ruiz-Chica J, Medina MA, Sánchez-Jiménez F and Ramírez FJ (2001) Fourier Transform Raman study of the structural specificities on the interaction between DNA and biogenic polyamines. Biophysical J. 80:443-454. 2. Lightfoot HL, Hall J (2014) Endogenous polyamine function--the RNA perspective. Nucleic Acids Res. 42:11275-11290. 3. Igarashi K, Kashiwagi K (2010) Modulation of cellular function by polyamines. Int J Biochem Cell Biol. 42:39-51. 4. Finger S, Schwieger C, Arouri A, Kerth A, Blume A (2014) Interaction of linear polyamines with negatively charged phospholipids: the effect of polyamine charge distance. Biol Chem. 395:769-778. 5. Poulin R, Casero RA, Soulet D. (2012) Recent advances in the molecular biology of metazoan polyamine transport. Amino Acids. 42:711-723. 6. Kahana C (2009) Regulation of cellular polyamine levels and cellular proliferation by antizyme and antizyme inhibitor. Essays Biochem. 4:47-61. 7. Agostinelli E, Marques MP, Calheiros R, Gil FP, Tempera G, Viceconte N, Battaglia V, Grancara S, Toninello A (2010) Polyamines: fundamental characters in chemistry and biology. Amino Acids 38:393-403. 8. Liu GY, Liao YF, Hsu PC, Chang WH, Hsieh MC, Lin CY, Hour TC, Kao MC, Tsay GJ, Hung HC (2006) Antizyme, a natural ornithine decarboxylase inhibitor, induces apoptosis of haematopoietic cells through mitochondrial membrane depolarization and caspases' cascade. Apoptosis 11:1773-1788. 9. Kanerva K, Lappalainen J, Mäkitie LT, Virolainen S, Kovanen PT, Andersson LC (2009). Expression of antizyme inhibitor 2 in mast cells and role of polyamines as selective regulators of serotonin secretion. PLoS One 31:e6858. 10. García-Faroldi G, Rodríguez CE, Urdiales JL, Pérez-Pomares JM, Dávila JC, Pejler G, Sánchez-Jiménez F, Fajardo I (2010) Polyamines are present in mast cell secretory granules and are important for granule homeostasis. PLoS One 30:e15071.
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Process-aware information systems (PAISs) can be configured using a reference process model, which is typically obtained via expert interviews. Over time, however, contextual factors and system requirements may cause the operational process to start deviating from this reference model. While a reference model should ideally be updated to remain aligned with such changes, this is a costly and often neglected activity. We present a new process mining technique that automatically improves the reference model on the basis of the observed behavior as recorded in the event logs of a PAIS. We discuss how to balance the four basic quality dimensions for process mining (fitness, precision, simplicity and generalization) and a new dimension, namely the structural similarity between the reference model and the discovered model. We demonstrate the applicability of this technique using a real-life scenario from a Dutch municipality.
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Diseases caused by the Lancefield group A streptococcus, Streptococcus pyogenes, are amongst the most challenging to clinicians and public health specialists alike. Although severe infections caused by S. pyogenes are relatively uncommon, affecting around 3 per 100,000 of the population per annum in developed countries, the case fatality is high relative to many other infections. Despite a long scientific tradition of studying their occurrence and characteristics, many aspects of their epidemiology remain poorly understood, and potential control measures undefined. Epidemiological studies can play an important role in identifying host, pathogen and environmental factors associated with risk of disease, manifestation of particular syndromes or poor survival. This can be of value in targeting prevention activities, as well directing further basic research, potentially paving the way for the identification of novel therapeutic targets. The formation of a European network, Strep-EURO, provided an opportunity to explore epidemiological patterns across Europe. Funded by the Fifth Framework Programme of the European Commission s Directorate-General for Research (QLK2.CT.2002.01398), the Strep-EURO network was launched in September 2002. Twelve participants across eleven countries took part, led by the University of Lund in Sweden. Cases were defined as patients with S. pyogenes isolated from a normally sterile site, or non-sterile site in combination with clinical signs of streptococcal toxic shock syndrome (STSS). All participating countries undertook prospective enhanced surveillance between 1st January 2003 and 31st December 2004 to identify cases diagnosed during this period. A standardised surveillance dataset was defined, comprising demographic, clinical and risk factor information collected through a questionnaire. Isolates were collected by the national reference laboratories and characterised according to their M protein using conventional serological and emm gene typing. Descriptive statistics and multivariable analyses were undertaken to compare characteristics of cases between countries and identify factors associated with increased risk of death or development of STSS. Crude and age-adjusted rates of infection were calculated for each country where a catchment population could be defined. The project succeeded in establishing the first European surveillance network for severe S. pyogenes infections, with 5522 cases identified over the two years. Analysis of data gathered in the eleven countries yielded important new information on the epidemiology of severe S. pyogenes infections in Europe during the 2000s. Comprehensive epidemiological data on these infections were obtained for the first time from France, Greece and Romania. Incidence estimates identified a general north-south gradient, from high to low. Remarkably similar age-standardised rates were observed among the three Nordic participants, between 2.2 and 2.3 per 100,000 population. Rates in the UK were higher still, 2.9/100,000, elevated by an upsurge in drug injectors. Rates from these northern countries were reasonably close to those observed in the USA and Australia during this period. In contrast, rates of reports in the more central and southern countries (Czech Republic, Romania, Cyprus and Italy) were substantially lower, 0.3 to 1.5 per 100,000 population, a likely reflection of poorer uptake of microbiological diagnostic methods within these countries. Analysis of project data brought some new insights into risk factors for severe S. pyogenes infection, especially the importance of injecting drug users in the UK, with infections in this group fundamentally reshaping the epidemiology of these infections during this period. Several novel findings arose through this work, including the high degree of congruence in seasonal patterns between countries and the seasonal changes in case fatality rates. Elderly patients, those with compromised immune systems, those who developed STSS and those infected with an emm/M78, emm/M5, emm/M3 or emm/M1 were found to be most likely to die as a result of their infection, whereas those diagnosed with cellulitis, septic arthritis, puerperal sepsis or with non-focal infection were associated with low risk of death, as were infections occurring during October. Analysis of augmented data from the UK found use of NSAIDs to be significantly associated with development of STSS, adding further fuel to the debate surrounding the role of NSAIDs in the development of severe disease. As a largely community-acquired infection, occurring sporadically and diffusely throughout the population, opportunities for control of severe infections caused by S. pyogenes remain limited, primarily involving contact chemoprophylaxis where clusters arise. Analysis of UK Strep-EURO data were used to quantify the risk to household contacts of cases, forming the basis of national guidance on the management of infection. Vaccines currently under development could offer a more effective control programme in future. Surveillance of invasive infections caused by S. pyogenes is of considerable public health importance as a means of identifying long and short-term trends in incidence, allowing the need for, or impact of, public health measures to be evaluated. As a dynamic pathogen co-existing among a dynamic population, new opportunities for exploitation of its human host are likely to arise periodically, and as such continued monitoring remains essential.
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[Book] The potential of electric light as a new building “material” was recognized in the 1920s and became a useful design tool by the mid-century. Skillful lighting allowed for theatricality, narrative, and a new emphasis on structure and space. The Structure of Light tells the story of the career of Richard Kelly, the field’s most influential figure. Six historians, architects, and practitioners explore Kelly’s unparalleled influence on modern architecture and his lighting designs for some of the 20th century’s most iconic buildings: Philip Johnson’s Glass House; Louis Kahn’s Kimbell Art Museum; Eero Saarinen’s GM Technical Center; and Mies van der Rohe’s Seagram Building, among many others. This beautifully illustrated history demonstrates the range of applications, building types, and artistic solutions he employed to achieve a “nocturnal modernity” that would render buildings evocatively different at night. The survival of Kelly’s rich correspondence and extensive diaries allows an in-depth look at the triumphs and uncertainties of a young profession in the making. The first book to focus on the contributions of a master in the field of architectural lighting, this fascinating volume celebrates the practice’s significance in modern design.
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Tiivistelmä Maaraportin tavoitteena on luoda yleiskatsaus Italian kolmanteen sektoriin ja tutkimus kohdistuu erityisesti Pohjois-Italiassa sijaitsevan Veneton läänin kolmannen sektorin palvelutuotantoon. Raportissa tarkastellaan erityisesti kolmannen sektorin ja julkisen palvelutuotantosektorin sekä julkishallinnon toiminnallisia suhteita. Kolmannen sektorin mahdollisuuksia vastata maaseutualueiden palvelujen tarjonnan haasteisiin on pyritty analysoimaan. Italia on julkishallinnon ja kolmannen sektorin palvelutuotannon kannalta tarkasteltuna nykytilanteessa mielenkiintoinen testilaboratorio koko Euroopan mittakaavassa johtuen maan historiallisista, kulttuuri-sista, kieli- ja maantieteellisistä sekä itse väestöpohjan tarjoamista haasteista. Italiasta ei voida puhua yhden homogeenisen valtiokäsitteen alla, koska maa toimii kulttuurisista perinteistään johtuen kolmella eri nopeudella. Itse valtio käsitettäkin tulkitaan Italiassa monin eri tavoin pohjautuen ”valtiona” nähdyn organisaation käytännön funktioon sitoutuneena alueellisiin ja kulttuurisiin tekijöihin. Teollinen, dynaaminen yritysten varakas Pohjois-Italia henkilöityneenä Milanoon, hallinnon ja kulttuurin leimaama Keski-Italia kiteytyneenä ikuiseen kaupunkiin Roomaan ja Napolin alapuolinen Etelä-Italia, joka painii ”järjestelmässä sisällä olevan järjestelmänsä” kanssa eivät ole koskaan muodos-taneet oikeasti yhtenäistä Italian valtiota. Italiassa erillisinä itsehallinnollisina alueina toimivat lääneiksi luettavat Sisilia, Trentino Alto-Adige, Val di Aosta, Sardegna ja Friuli-Venezia Giulia, mikä lisää hallinnollista kirjavuutta. Viimeisten vuosien aikana Italian julkishallinto on ollut jatkuvassa transitiotilassa yrittäessään kohdata uudistumisen vaateita globalisoituvassa maailmassa. Italiassa on meneillään hidas siirtyminen liittovaltiomaiseen järjestelmään ja jopa syvempään paikallisuuteen. Massiivinen ja raskas julkishallintokoneisto neljällä eri tasolla (valtio - lääninhallinnolliset alueet - vahvat maakunnat - kunnat) on erittäin hankalasti modernisoitavissa, mutta poliittinen tahtotila on vaihtumassa klassista vahvaa keskushallintoa kannattavasta ajattelutavasta hyväksymään federalistisia, alueellisia hallintoratkaisuja. Italiassa on herätty havaitsemaan, että ongelmien ratkaisu täytyy viedä itse alueille ja niiden ihmisille, koska unilateraalinen keskushallinnointitapa ei enää vastaa monikerroksisiin, moniulotteisiin alueellisiin haasteisiin. Jokaisella alueella on erilaiset lähtökohdat ongelmien ratkaisuihin myös globalisoitumisen asettamissa yhteisissä haasteissa. Kolmannen sektorin asema arvostettuna italialaisten kansalaispalvelujen täydentäjänä ja tuottajana alkaa olla nykypäivää. Kolmannen sektorin elintärkeä osuus uusien palvelutarpeiden tunnistamisessa on jo yleisesti tunnustettu tosiasia Italiassa. Vapaaehtoisjärjestöt toimivat eturivissä kansalaisten arkipäivässä ja pystyvät näin kanavoimaan ensimmäisinä sosiaalista kehityskulkua ja kohottamaan esiin erilaisia marginaalistenkin ryhmien tarpeita sekä vastaamaan niihin. Kolmas sektori laajentaa, tuottaa ja paikkaa paikallista julkista palvelutuotantoa. Ratkaiseva askel lainsäädännölliseltä kannalta on ollut rahoitusvirtojen ohjaaminen kolmannen sektorin ns. ONLUS-organisaatioille ja ONLUS-statuksen perustaminen vuonna 1997. Italiassa on 60 231.214 asukasta (31.7.2009) ja se on hallinnollisesti jakaantuneena 8 100 kuntaan. Suomessa vastaavat luvut ovat 5 350 712 asukasta ja 348 kuntaa (11/2009). Maantieteelliseltä kooltaan Italia ei eroa 301 338 km2:n pinta-alallaan paljonkaan Suomesta (338 424 km2). Väestömäärän erojen vuoksi Italiassa on keskimäärin 199,9 asukasta neliökilometrillä ja Suomessa 17,1. Maiden välinen suora vertailu ei ollut mittakaavaerojen vuoksi järkevää. Kuntien hallinnollinen rooli on Italiassa painotukseltaan erilainen kuin Suomessa. Suomessa kuntien vastuulla oleva sosiaali-, terveydenhuolto- ja koulutoimi eivät ole samassa laajuudessa italialaisten kuntien vastuulla vaan näiden toimialojen vastuulliset tahot ovat läänit terveydenhoitopiireineen sekä maakuntahallinto koulupiirien osalta. Italialaisten kuntien vastuualueet voivat myös vaihdella mittavasti perustuslaissa määriteltyjen perustoimien lisäksi. Tutkimuksen kohteeksi on rajattu Koillis-Italiassa sijaitseva Veneton läänin alue, koska se on väkimäärältään lähes yhtä suuri kuin Suomi, 4 893 309 asukasta (31.3.2009). Kuntien lukumäärä on huimaava 581 kpl. Veneto on maantieteelliseltä alueeltaan pieni ja harvaan asuttua maaseutua on pinta-alasta melko niukasti. Pohjoisen osan vuoristoalueet karuine olosuhteineen muodostavat palvelutuotannollisesti haas-teellisen ympäristön, joka on verrattavissa suomalaisten maaseutualueiden tilanteeseen. Venetossa on omaksuttu Italian mittakaavassa innovatiivisia ratkaisuja julkishallinnon palvelutuotannon ja kolmannen sektorin toiminnan osalta. Veneton alue on luokiteltu maailman pienyritysintensiivisimmäksi alueeksi, mikä heijastuu myös alueen palvelutuotantoratkaisuissa. Raportti esittelee ensin Italian hallintoa, keskushallinnon, paikallishallinnon ja tutkimuksen asettelulle olennaisten kolmannen sektorin toimijoiden osalta. Tämä on välttämätöntä, sillä kolmannen sektorin toiminta on Italiassa hyvin pitkälle lainsäädännöllä ohjattua ja rajattua. Kolmannen sektorin käsitteistöä, toimijoita, järjestäytymistä ja sen toimintaa säätelevää lainsäädäntöä esitellään tarkemmin. Veneton läänin osalta kolmanteen sektoriin perehdytään sekä hallinnon että toimijakentän näkökulmia tulkiten. Raportin lopussa esitellään kolmannen sektorin palvelutuotantoon ja hallinnointiin liittyviä case-esimerkkitapauksia.
Resumo:
The dissertation examines the foreign policies of the United States through the prism of science and technology. In the focal point of scrutiny is the policy establishing the International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA) and the development of the multilateral part of bridge building in American foreign policy during the 1960s and early 1970s. After a long and arduous negotiation process, the institute was finally established by twelve national member organizations from the following countries: Bulgaria, Canada, Czechoslovakia, Federal Republic of Germany (FRG), France, German Democratic Republic (GDR), Great Britain, Italy, Japan, Poland, Soviet Union and United States; a few years later Sweden, Finland and the Netherlands also joined. It is said that the goal of the institute was to bring together researchers from East and West to solve pertinent problems caused by the modernization process experienced in industrialized world. It originates from President Lyndon B. Johnson s bridge building policies that were launched in 1964, and was set in a well-contested and crowded domain of other international organizations of environmental and social planning. Since the distinct need for yet another organization was not evident, the process of negotiations in this multinational environment enlightens the foreign policy ambitions of the United States on the road to the Cold War détente. The study places this project within its political era, and juxtaposes it with other international organizations, especially that of the OECD, ECE and NATO. Conventionally, Lyndon Johnson s bridge building policies have been seen as a means to normalize its international relations bilaterally with different East European countries, and the multilateral dimension of the policy has been ignored. This is why IIASA s establishment process in this multilateral environment brings forth new information on US foreign policy goals, the means to achieve these goals, as well as its relations to other advanced industrialized societies before the time of détente, during the 1960s and early 1970s. Furthermore, the substance of the institute applied systems analysis illuminates the differences between European and American methodological thinking in social planning. Systems analysis is closely associated with (American) science and technology policies of the 1960s, especially in its military administrative applications, thus analysis within the foreign policy environment of the United States proved particularly fruitful. In the 1960s the institutional structures of European continent with faltering, and the growing tendencies of integration were in flux. One example of this was the long, drawn-out process of British membership in the EEC, another is de Gaulle s withdrawal from NATO s military-political cooperation. On the other hand, however, economic cooperation in Europe between East and West, and especially with the Soviet Union was expanding rapidly. This American initiative to form a new institutional actor has to be seen in that structural context, showing that bridge building was needed not only to the East, but also to the West. The narrative amounts to an analysis of how the United States managed both cooperation and conflict in its hegemonic aspirations in the emerging modern world, and how it used its special relationship with the United Kingdom to achieve its goals. The research is based on the archives of the United States, Great Britain, Sweden, Finland, and IIASA. The primary sources have been complemented with both contemporary and present day research literature, periodicals, and interviews.
Resumo:
Desde 1988, como parte de las medidas adoptadas por la Política Agraria Común (PAC) de la UE, se ha aplicado la retirada de tierras de la producción, diseñada inicialmente como una medida con carácter estabilizador estructural. El tema de retirada de tierras es de vigente actualidad, pues la UE ha optado por el sistema, como una medida coyuntural y voluntaria, a partir de 1992, para limitar los excedentes de producción agrícola. En los cuatro años de aplicación del régimen plurianual de 1988, de retiradas de tierras de la producción, en España, la Comunidad de Aragall es la que ha presentado mayor número de solicitudes para retirar superficies de la producción (41,7% del total seguida por Castilla Leal (21,1 %) y Castilla-Mancha (18,5 %). El principal destino solicitado para las 41 592 ha de tierras retiradas de la producción, por los productores en Aragón, fue el barbecho, es decir el sistema tradicional de producción (cereal-barbecho), dada la carencia de acciones que vincularán el programa de retirada de tierras con otras alternativas. tales como los programas de reforestación o siembra de cultivos no alimenticios. La superficie retirada de la producción representó el 4,93 % de la superficie de cereales en Aragón, y está muy por debajo de la media de los países con mayor superficie retirada, como son Holanda, Italia y Alemania con un 16,79 %, 12,75% y 7,85% respectivamente, con respecto a la superficie de cereales, sin embargo es semejante a la media comunitaria (4,39 %) y superior a la media española (0,86 %). Las provincias de Huesca (21 966 ha) y Zaragoza (11 491 ha), presentaron mayor número de solicitudes de hectáreas acogidas, 53 % y 42 % respectivamente. Hay que tener en cuenta que, en ambas provincias, se siembra el 81 %de los cereales de Aragón y que en la provincia de Truel solo se aplicó la medida en dos de sus seis comarcas . La superficie retirada correspondió a la vez al 23 % del total de la superficie de las 795 explotaciones acogidas a la medida. A pesar de ser la Comunidad Autónoma con el mayor porcentaje de solicitudes para retirar tierras, no se acogieron las tierras en regadío más productivas (solo el 18% del área total retirada, 3.389 ha), mientras que las tierras menos productivas o de secano, y por lo tanto con mayor riesgo de pérdidas económicas durante la cosecha, representaron el 92% de la superficie retirada (38 203 ha), de las cuales el 38 % (14 362 ha) correspondió a zonas desfavorecidas y el 62 % (23 841 ha) a zonas de secano no desfavorecidas. Una de las causas de esta situación fue la baja cuantía de las ayudas destinadas a la retirada de tierras, de tal manera que solo resultó atractivo para los productores con explotaciones situadas en zonas marginales. En 1992 a través de las declaraciones efectuadas por los agricultores aragoneses, para la petición de pagos compensatorios, en la aplicación de las nuevas medidas establecidas por la PAC, se ha visto reflejada la información referente al total del superficie retirada en el programa quinquenal de 1988, hasta la campaña agrícola 1992/93. Para el caso de Aragón los agricultores declararon un total de 30 579 ha de barbecho (28 016 ha en cultivos de secano y 2 562 ha en cultivo de regadío) pertenecientes al programa de retirada de tierras de 1988, muy por debajo de las superficies correspondientes a las solicitudes aprobadas (41 592 ha). Con la reforma de la PAC de 1992, se prevé una disminución progresiva y •severa de los precios de intervención de los cultivos herbáceos, con el fin de aproximarlos a los precios mundiales, para compensar las pérdidas de renta por parte de los agricultores se ha establecido un conjunto de ayudas. Estas ayudas tienen diferentes modalidades dependiendo de la consideración de pequeño o mediano y gran agricultor (con un límite entre ambos grupos de 92 t de producción). Los agricultores cuyas explotaciones ‘superan las 92 t de producción están sujetos a la condición de retirar como mínimo un 15% o un 20% de la superficie de cultivos, según escojan el sistema rotacional o no, respectivamente, y hasta un máximo voluntario del 50% de la superficie de cultivos herbáceos a partir de 1994. La superficie basa regional para los cultivos herbáceos de secano, exceptuando el maíz, aprobada por la UE para Aragón, ha sido de 724 000 hectáreas. Esta superficie ha sido superada en un 0,8% en Aragón, para la campaña 1992/93. A la vez el Estado español ha legislado sobre los barbechos tradicionales que se practican en los cultivos de secano, estableciendo índices comarcales, para así evitar que los productores abandonen esta práctica para incrementar las superficies subvenciónales. Hay que destacar el alto porcentaje (57 % sobre la superficie de cereales) que representan los tres tipos de barbechos existentes (barbecho tradicional y barbechos por retirada de tierras, de 1988 y 1992) en los secanos aragoneses, determinando primordialmente por el barbecho tradicional. El 15% de la superficie de tierras retiradas en el sistema rotacional en Aragon, establecida por la Reforma de la PAC en 1992, ha sido de 73 732 ha, por lo que el 78% de la superficie de cereales de secano corresponde a explotaciones con una producción superior a 92 t por lo que con ambos sistemas de retiradas de tierras, se obtendrá prácticamente resultados iguales en Jo referente a la disminución de la producción. Se realiza también un análisis económico de la variación de los ingresos del agricultor, según se acoja o no a la condición de pequeño agricultor, tal como define el programa de retirada de tierras, en el contexto de la PAC de 1992, mediante el cálculo de la superficie umbral. Es decir, la superficie bajo la cual se obtiene el mismo margen bruto por unidad de superficie para los dos sistemas (simplificado y general) de declaración de ayudas y pagos y pagos compensatorios. A efectos de cálculo se utiliza el margen bruto resultante de la diferencia, entre los ingresos obtenidos por el valor de la producción y las ayudas y pagos compensatorios, menos los costos directos pagados en los cultivos de secano en Aragón, considerando que este margen bruto es el que determina la posición competitiva del productor frente al mercado. Para las explotaciones cuyas superficies sean inferiores a la superficie umbral, se obtienen un mayor margen bruto por unidad de superficie realizando la declaración de ayudas en el sistema simplificado que en el sistema general. Una explotación con las características definidas como la una explotación tipo de la comunidad de Aragón (rendimiento medio 1 953 kg/ha), rendimiento regional de referencia 1,8 t/ha y costos medios directos pagados por hectárea de cultivo, con un 75% de cebada y un 25 % de teigo, de 33 275 pts/ha), que siembre cereales de secano, no es rentable retirar tierras de la producción -acogerse al sistema general- para recibir a cambio los pagos y ayudas compensatorios a la producción, cuando la superficie de cultivo no excede las 52,95 ha,49,84 ha y 50,33 ha en las campañas de siembra 1992/93 a 1994/95, respectivamente. Una explotación en la que supera las 92 t de producción, cuando se incrementa el margen bruto por unidad de superficie y disminuyen los rendimientos de referencia regionales, es menos rentable retirar tierras de la producción para recibir las ayudas establecidas por la PAC, a medida que se incrementa la superficie de cultivo de la explotación.