934 resultados para Sculpture, Egyptian
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La Tesi Materiale epigrafico per la ricostruzione dei contatti nel Mediterraneo tra il 1200 a.C. e il 500 a.C. si propone di illustrare i complessi rapporti instauratisi tra i vari popoli che si affacciarono sulle rive del Mediterraneo e nelle sue vicinanze, tra il 1200 e il 500 a.C. circa, quali emergono dalle iscrizioni disponibili, principalmente greche e semitiche (soprattutto fenicie, ebraiche, aramaiche e assire), prendendo tuttavia in esame anche iscrizioni ittite, egiziane, frigie, etrusche e celtiche. Le date suddette riguardano due eventi cruciali, che sconvolsero il Mediterraneo: gli attacchi dei Popoli del Mare, che distrussero l'Impero Ittita e indebolirono l'Egitto, e le guerre Persiane. Le iscrizioni riportate sono 1546, quasi sempre traslitterate, tradotte, e accompagnate da un'immagine, da riferimenti bibliografici essenziali e da una breve motivazione del collegamento proposto. Il quadro che si delinea ben testimonia la complessità dei rapporti che si intrecciarono in quel periodo: si pensi alle centinaia di graffiti greci trovati a Naucrati, in Egitto, o alle decine di iscrizioni greche trovate a Gravisca. Anche le iscrizioni aramaiche e assire attestano gli stretti rapporti che si formarono tra Siria e Mesopotamia; ugualmente Iran e Arabia sono, direttamente o indirettamente, collegati a Etruria e Grecia; così troviamo un'iscrizione greca nel cuore dell'Impero Persiano, e un cratere laconico nel centro della Gallia. In realtà lo scopo di questo lavoro è anche quello di mettere in contatto due mondi sostanzialmente separati, ossia quello dei Semitisti e quello dei Grecisti, che solo apparentemente si conoscono e collaborano. Inoltre vorrei soavemente insinuare l'idea che la tesi di Joseph Naveh, che ipotizzò che gli alfabeti greci abbiano tratto origine in prima istanza dalle iscrizioni protocananaiche, nel XII sec. a.C., è valida, e che solo in un secondo tempo i Fenici abbiano dato il loro apporto.
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Il progetto di ricerca si è posto l'obiettivo di analizzare una serie di manufatti egizî e di tradizione egizia della Sicilia preromana e di evidenziare le eventuali sopravvivenze della cultura egittizzante sull’isola fino all'età tardoantica. La realizzazione di un corpus, aggiornato sulla scorta di nuovi rinvenimenti, di recenti riletture e di studi su materiali inediti custoditi nei musei siciliani, ha contribuito a tracciare una mappa distributiva delle aree di rinvenimento e di attestazione, con particolare riferimento alle diverse etnie che recepiscono tali prodotti e alla possibilità di ricostruire l’ambientazione storica della domanda diretta o indiretta. Si è scelto di privilegiare lo studio tipologico, iconografico e iconologico di alcune “categorie” di materiali maggiormente documentati sull’isola, quali amuleti, scarabei e scaraboidi, cretule, ushabti, gioielli, bronzi figurati, gemme, con l’individuazione di riscontri in ambito mediterraneo. La documentazione delle testimonianze antiquarie contenenti notizie su reperti oggi non più reperibili ha permesso, infine, non solo l’acquisizione d’informazioni spesso ritenute perse, ma anche una comprensione storicizzata delle dinamiche del collezionismo siciliano e del suo ruolo nel più vasto ambito europeo dal XVII al XIX secolo. È stato importante, infatti, chiarire anche alcuni aspetti della cultura egittologica del periodo, legata in genere alla circolazione di stereotipi e alla mancanza di una conoscenza diretta della realtà faraonica.
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Tra il V ed il VI secolo, la città di Ravenna, per tre volte capitale, emerge fra i più significativi centri dell’impero, fungendo da cerniera tra Oriente e Occidente, soprattutto grazie ai mosaici parietali degli edifici di culto, perfettamente inseriti in una koinè culturale e artistica che ha come comune denominatore il Mar Mediterraneo, nel contesto di parallele vicende storiche e politiche. Rispetto ai ben noti e splendidi mosaici ravennati, che insieme costituiscono senza dubbio un unicum nel panorama artistico dell’età tardoantica e altomedievale, nelle decorazioni musive parietali dei coevi edifici di culto dei diversi centri dell’impero d’Occidente e d’Oriente, e in particolare in quelli localizzati nelle aree costiere, si possono cogliere divergenze, ma anche simmetrie dal punto di vista iconografico, iconologico e stilistico. Sulla base della letteratura scientifica e attraverso un poliedrico esame delle superfici musive parietali, basato su una metodologia interdisciplinare, si è cercato di chiarire l’articolato quadro di relazioni culturali, ideologiche ed artistiche che hanno interessato e interessano tuttora Ravenna e i vari centri della tarda antichità, insistendo sulla pluralità, sulla complessità e sulla confluenza di diverse esperienze artistiche sui mosaici di Ravenna. A tale scopo, i dati archeologici e artistici sono stati integrati con quelli storici, agiografici ed epigrafici, con opportuni collegamenti all’architettura, alla scultura, alle arti decorative e alle miniature, a testimonianza dell’unità di intenti di differenti media artistici, orientati, pur nella diversità, verso le medesime finalità dogmatiche, politiche e celebrative. Si tratta dunque di uno studio di revisione e di sintesi sui mosaici parietali mediterranei di V e VI secolo, allo scopo di aggiungere un nuovo tassello alla già pur vasta letteratura dedicata all’argomento.
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Questa tesi comprende la ricerca sui materiali provenienti dagli scavi britannici, avvenuti fra il 1911 e il 1920, del sito di Karkemish (Gaziantep - Turchia). Vengono qui studiati gli oggetti (a eccezione delle sculture) databili all’Età del Bronzo e del Ferro, che sono nella quasi totalità inediti. Si sono prese in considerazione i reperti attualmente conservati al British Museum di Londra, nei Musei Archeologici di Istanbul e al Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara.
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Con le "Imagini degli dei degli antichi", pubblicate a Venezia nel 1556 e poi in più edizioni arricchite e illustrate, l’impegnato gentiluomo estense Vincenzo Cartari realizza il primo, fortunatissimo manuale mitografico italiano in lingua volgare, diffuso e tradotto in tutta l’Europa moderna. Cartari rimodula, secondo accenti divulgativi ma fedeli, fonti latine tradizionali: come le ricche "Genealogie deorum gentilium" di Giovanni Boccaccio, l’appena precedente "De deis gentium varia et multiplex historia" di Lilio Gregorio Giraldi, i curiosi "Fasti" ovidiani, da lui stesso commentati e tradotti. Soprattutto, però, introduce il patrimonio millenario di favole ed esegesi classiche, di aperture egiziane, mediorientali, sassoni, a una chiave di lettura inedita, agile e vitalissima: l’ecfrasi. Le divinità e i loro cortei di creature minori, aneddoti leggendari e attributi identificativi si susseguono secondo un taglio iconico e selettivo. Sfilano, in trionfi intrisi di raffinato petrarchismo neoplatonico e di emblematica picta poesis rinascimentale, soltanto gli aspetti figurabili e distintivi dei personaggi mitici: perché siano «raccontate interamente» tutte le cose attinenti alle figure antiche, «con le imagini quasi di tutti i dei, e le ragioni perché fossero così dipinti». Così, le "Imagini" incontrano il favore di lettori colti e cortigiani eleganti, di pittori e ceramisti, di poeti e artigiani. Allestiscono una sorta di «manuale d’uso» pronto all’inchiostro del poeta o al pennello dell’artista, una suggestiva raccolta di «libretti figurativi» ripresi tanto dalla maniera di Paolo Veronese o di Giorgio Vasari, quanto dal classicismo dei Carracci e di Nicolas Poussin. Si rivelano, infine, summa erudita capace di attirare appunti e revisioni: l’antiquario padovano Lorenzo Pignoria, nel 1615 e di nuovo nel 1626, vi aggiunge appendici archeologiche e comparatistiche, interessate al remoto regno dei faraoni quanto agli esotici idoli orientali e dei Nuovi Mondi.
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Gli Atti di Andrea e Bartolomeo sono un testo cristiano apocrifo, probabilmente ascrivibile al V secolo d.C. e collocabile in àmbito egizio. Tale testo è tramandato in greco, copto, arabo ed etiopico e il presente lavoro consiste nell’edizione critica della versione greca, sinora inedita. La storia narra l’evangelizzazione della Partia per opera degli apostoli Andrea e Bartolomeo e di un antropofago dalle sembianze mostruose (Cristomeo/ Cristiano), convertito al cristianesimo e divenuto instrumentum fidei.
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Arnt van Tricht, gest. 1570, unterhielt bis in die späten 50er Jahre des 16. Jahrhunderts, wahrschein-lich aus Antwerpen kommend, in Kalkar am Niederrhein eine sehr erfolgreiche Werkstatt. Die bis dahin vorherrschende spätgotische Formensprache der langjährig ansässigen Bildhauer löste er durch die der Renaissance ab, führte jedoch deren Arbeitsfelder und Materialwahl weiter. Arnt van Tricht schuf Arbeiten sowohl religiöser als auch profaner Natur innerhalb des Gebiets der damals sehr bedeutenden Vereinigten Herzogtümer Kleve-Mark-Jülich-Berg und Geldern. Seine wohlhabenden Auftraggeber entstammten dem Klerus, der Bürgerschaft und dem Adel.rnIm Rahmen der Arbeit zeigte sich, dass sich für den Künstler die Verlegung der herzoglichen Residenz nach Düsseldorf und der wirtschaftliche Niedergang der Region letztlich stärker auswirkte als die religiösen Veränderungen durch die Reformation.rnArnt van Tricht schuf die meisten seiner religiösen Bildwerke für die Stiftskirche St. Viktor in Xanten, die durch die Bürgerschaft ausgestattete Pfarrkirche von St. Nicolai in Kalkar und umliegende Gemeinden. Einzelne Stücke sind, wohl über familiäre Verflechtungen vermittelt, in einem weiteren Radius zu finden. Van Tricht arbeitete Schnitzretabel mitsamt ihrer ornamentalen und figuralen Aus-stattung sowie Skulpturen(-gruppen) in Eichenholz. Daneben finden sich im Werk zahlreiche in Sandstein gearbeitete Skulpturen, die teilweise an Pfeilern und Portalen der Kirchen architektur-gebunden sind. Neben diesen rundplastischen Werken schuf Arnt van Tricht eine große Anzahl an steinernen Reliefarbeiten. Hierbei nehmen die überwiegend für die lokalen Kanoniker gearbeiteten Epitaphien mit biblischem Reliefbild in Ornamentrahmen den größten Teil ein.rnEin zweiter, gleichwertiger Werkkomplex, überwiegend in Sandstein gearbeitet, ist profaner Natur und fällt durch die Größe der Aufträge ins Gewicht. Arnt van Tricht war an einigen groß angelegten Modernisierungsprojekten an Stadthäusern und Kastellen des lokalen Adels beschäftigt. Für mehrere aufwendig gestaltete Fassadendekorationen arbeitete er Architekturglieder mit figürlicher Darstellung oder Ornament, Büsten und freiplastische Skulpturen. Arnt van Tricht war aber auch an der Aus-gestaltung der Innenräume beteiligt. Aufwendig skulptierte und reliefverzierte Kaminverkleidungen stehen dabei neben reduzierteren Arbeiten für offensichtlich weniger repräsentative Räume. Neben in Eichenholz gearbeiteter Vertäfelung schuf Arnt van Tricht hölzerne figurale Handtuchhalter. Diese zeigen, wie auch die Reliefbilder der Kamine, die darüber hinaus Wappen und Porträts der Bauherren aufnehmen, eine religiöse oder profane, auch antikisierende Thematik, bei der ein moralisierender Unterton mitschwingt.rnIn dieser Arbeit werden erstmals alle Werkstücke des Künstlers zusammengeführt dargestellt, so dass ein Werkkatalog mit einem Überblick über das sehr breit gefächerte Spektrum des Opus Arnt van Trichts vorliegt. Häufig durch bloße Nennung mit Arnt van Tricht in Verbindung gebrachte Arbeiten werden bewertet und die Zu- oder Abschreibung begründet. Auch können einige Stücke neu zugeschrieben werden.
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Georg Breitner Simulacra Artis pretio metienda Studien zur Erforschung spätantiker mythologischer Rundplastik Zusammenfassung: Die römische Rundplastik stellt einen zentralen Bestandteil römischer Ausstattung dar. Wirtschaftliche und religionspolitische Veränderungen in der Spätantike beeinflussten nachhaltig ihre Herstellung und Verwendung. In der Forschung stehen sich derzeit zwei Haupttendenzen gegenüber. Während die eine das Ende der römischen Idealplastik im 3.Jh.n.Chr. sehen möchte, schlägt die andere eine nahezu ungebrochene Produktion bis in das späte 4.Jh.n.Chr. vor. Die Arbeit untersucht daher nicht nur den Entwicklungsprozess, sondern auch die Gründe für die heute so unterschiedliche Bewertung. Nach dem einleitenden Teil zum Forschungstand, dem chronologischen Rahmen und der Zielsetzung der Arbeit, wird im zweiten Teil die heidnische Rundplastik in der spätantiken Literatur betrachtet. Ausgehend von der Frage nach dem Bedarf an Rundplastik und dem privaten wie öffentlichen Aufstellungskontextes in der Spätantike, werden Grundlagen für die Bestimmung spätantiker Verhaltensmuster herausgearbeitet, die eine Aussage über die Herstellung von rundplastischen Werken wahrscheinlich macht. Hierzu werden ausgewählte literarische Quellen herangezogen, die Veränderungen im Umgang mit der Präsenz heidnischer Rundplastik in einem zunehmend christlich geprägten gesellschaftlichen Raum nachzeichnen lassen. Die höchst unterschiedlichen Äußerungen spätantiker Autoren weisen auf eine vielschichtige Auseinandersetzung mit dem kulturellen Erbe und seinem Weiterleben. Die Betrachtung der literarischen Quellen zeigt, dass weder Hinweise für ein mangelndes Interesse bestehen, noch die im 4.Jh. einsetzenden religiösen Veränderungen eine Produktion und Aufstellung der mythologischen Rundplastik ausschließen. Vielmehr zeigt sich ein wachsendes Bewusstsein am kulturellen Erbe, das sich in der Auseinandersetzung mit dem Inhalt und dem künstlerischen Schaffensprozess einer Statue ausdrückt. Durch die Loslösung des mythologischen Inhalts der Statuen von der heidnischen Religionsausübung erhalten die Statuen, aber auch ihre Künstler eine neue Wertschätzung, die ihren Erhalt garantieren und neue künstlerische Prozesse auslösen. Mit der Analyse der literarischen Quellen sind die Rahmenbedingungen eines gesellschaftlichen Umfelds bestimmt, die in den folgenden Kapiteln auf ihre Verbindungen mit der realen Existenz spätantiker Statuen mit mythologischem Inhalt geprüft werden. Im dritten Teil werden zunächst methodische Aspekte zu den unterschiedlichen Positionen in der Forschung diskutiert. Die bisherigen Datierungsvorschläge spätantiker Rundplastik stehen dabei ebenso im Zentrum, wie die Vorschläge eigener methodischer Zielsetzungen. Es zeigt sich, dass die Polarisierung der Forschungsmeinung nicht allein durch das untersuchte Material, sondern vom methodischen Umgang mit der archäologischen Stilkritik und der Definition von Modellen kunsthistorischer Entwicklungen bestimmt wird. Es werden daher Wege gesucht, die Datierung spätantiker Kunstentwicklung am Beispiel der mythologischen Rundplastik auf eine neue methodische Basis zu stellen. Ausgehend von der Rundplastik des 3.Jh.n.Chr. werden im dritten Teil der Arbeit anhand ausgewählter Statuengruppen die bisherigen, teilweise kontrovers geführten Überlegungen zur Datierbarkeit und kunsthistorischen Stellung und Entwicklung spätantiker Rundplastik geprüft. Es zeigt sich, dass durch die Einbeziehung eines chronologisch weiter gefassten Rahmens (3.-5.Jh.) Möglichkeiten zur Bestimmung spätantiker Stiltendenzen und ihrer Datierung hinzugewonnen werden können. Auf dieser Grundlage können einige Statuen erstmals der Spätantike zugewiesen werden. Andere Statuen- bislang für spätantik gehalten - werden dagegen deutlich früher datiert. Die zeitstilistischen Bewertungen der Fallbeispiele zeigen, dass grundsätzliche Phänomene und Definitionen spätantiker Kunstentwicklung überdacht werden müssen. So zeugt das Fortbestehen klassischer Formprinzipien in einem gewandelten gesellschaftlichen Umfeld nicht von einer Renaissance, sondern vielmehr von einem andauernden Prozeß im Umgang mit dem kulturellen Erbe. Im fünften Abschnitt der Arbeit werden alle angesprochenen Aspekte nochmals aufgegriffen, um ein Bild von der Wertschätzung, Produktion und damit Fortbestandes römischer Idealplastik zu zeichnen. Die Arbeit schließt mit einem Ausblick ab, der Perspektiven der Stilanalyse spätantiker Rundplastik für die Bewertung nachfolgender Stilentwicklungen aufzeigt.
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The Bedouin of South Sinai have been significantly affected by the politics of external powers for a long time. However, never had the interest of external powers in Sinai been so strong as since the Israeli-Egyptian wars in the second half of the 20th century when Bedouin interests started to collide with Egypt’s plans for a development of luxury tourism in South Sinai. rnrnThe tourism boom that has started in the 1980s has brought economic and infrastructure development to the Bedouin and tourism has become the most important source of income for the Bedouin. However, while the absolute increase of tourists to Sinai has trickled down to the Bedouin to some extent, the participation of Bedouin in the overall tourism development is under-proportionate. Moreover, the Bedouin have become increasingly dependent on monetary income and consequently from tourism as the only significant source of income while at the same time they have lost much of their land as well as their self-determination.rnrnIn this context, the Bedouin livelihoods have become very vulnerable due to repeated depressions in the tourism industry as well as marginalization. Major marginalization processes the Bedouin are facing are the loss of land, barriers to market entry, especially increasingly strict rules and regulations in the tourism industry, as well as discrimination by the authorities. Social differentiation and Bedouin preferences are identified as further factors in Bedouin marginalization.rnrnThe strategies Bedouin have developed in response to all these problems are coping strategies, which try to deal with the present problem at the individual level. Basically no strategies have been developed at the collective level that would aim to actively shape the Bedouin’s present and future. Collective action has been hampered by a variety of factors, such as the speed of the developments, the distribution of power or the decay of tribal structures.rnWhile some Bedouin might be able to continue their tourism activities, a large number of informal jobs will not be feasible anymore. The majority of the previously mostly self-employed Bedouin will probably be forced to work as day-laborers who will have lost much of their pride, dignity, sovereignty and freedom. Moreover, with a return to subsistence being impossible for the majority of the Bedouin, it is likely that an increasing number of marginalized Bedouin will turn to illegal income generating activities such as smuggling or drug cultivation. This in turn will lead to further repression and discrimination and could escalate in a serious violent conflict between the Bedouin and the government.rnrnDevelopment plans and projects should address the general lack of civil rights, local participation and protection of minorities in Egypt and promote Bedouin community development and the consideration of Bedouin interests in tourism development.rnrnWether the political upheavals and the resignation of president Mubarak at the beginning of 2011 will have a positive effect on the situation of the Bedouin remains to be seen.rn
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This paper studies the “eye” as a religious phenomenon from the multiple traditions of ancient Egypt compared with rabbinic Judaism in late antiquity using a semiotic approach based upon the theories of Umberto Eco. This method was chosen because the eye is a graphic as well as a linguistic sign which both express religious concepts. Generally, the eye represented an all-seeing and omnipresent divinity. In other words, the god was reduced to an eye, whereby the form of the symbol suggests a meaning to the viewer or religious practitioner. In this manner the eye represented the whole body of a deity in Egyptian and the power of a discerning God in rabbinic texts. By focusing upon the semantic aspect of the eye metaphor in both Egyptian and rabbinic texts two religious traditions of the visually perceivable are analyzed from a semiotic perspective.
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In der vorliegenden Besprechung von Peter Paul Rubens’ Lehrschrift De imitatione statuarum (um 1610) und Sir Joshua Reynolds’ Discourse on Sculpture (1780) wird der Versuch unternommen, das Lehrgerüst der Grammatik als ein gemeinsames Referenzmodell herauszuarbeiten und die Position dieser beiden Malergrößen innerhalb der neuzeitlichen Kunsttheorie genauer zu verorten. Hierbei werden besonders die medienspezifischen Eigenschaften von Skulptur im Verhältnis zur Malerei diskutiert, die Maler bei der Nachahmung von antiker Skulptur zu beachten haben.