885 resultados para Pi 3-kinase
Resumo:
L’analisi del movimento umano ha come obiettivo la descrizione del movimento assoluto e relativo dei segmenti ossei del soggetto e, ove richiesto, dei relativi tessuti molli durante l’esecuzione di esercizi fisici. La bioingegneria mette a disposizione dell’analisi del movimento gli strumenti ed i metodi necessari per una valutazione quantitativa di efficacia, funzione e/o qualità del movimento umano, consentendo al clinico l’analisi di aspetti non individuabili con gli esami tradizionali. Tali valutazioni possono essere di ausilio all’analisi clinica di pazienti e, specialmente con riferimento a problemi ortopedici, richiedono una elevata accuratezza e precisione perché il loro uso sia valido. Il miglioramento della affidabilità dell’analisi del movimento ha quindi un impatto positivo sia sulla metodologia utilizzata, sia sulle ricadute cliniche della stessa. Per perseguire gli obiettivi scientifici descritti, è necessario effettuare una stima precisa ed accurata della posizione e orientamento nello spazio dei segmenti ossei in esame durante l’esecuzione di un qualsiasi atto motorio. Tale descrizione può essere ottenuta mediante la definizione di un modello della porzione del corpo sotto analisi e la misura di due tipi di informazione: una relativa al movimento ed una alla morfologia. L’obiettivo è quindi stimare il vettore posizione e la matrice di orientamento necessari a descrivere la collocazione nello spazio virtuale 3D di un osso utilizzando le posizioni di punti, definiti sulla superficie cutanea ottenute attraverso la stereofotogrammetria. Le traiettorie dei marker, così ottenute, vengono utilizzate per la ricostruzione della posizione e dell’orientamento istantaneo di un sistema di assi solidale con il segmento sotto esame (sistema tecnico) (Cappozzo et al. 2005). Tali traiettorie e conseguentemente i sistemi tecnici, sono affetti da due tipi di errore, uno associato allo strumento di misura e l’altro associato alla presenza di tessuti molli interposti tra osso e cute. La propagazione di quest’ultimo ai risultati finali è molto più distruttiva rispetto a quella dell’errore strumentale che è facilmente minimizzabile attraverso semplici tecniche di filtraggio (Chiari et al. 2005). In letteratura è stato evidenziato che l’errore dovuto alla deformabilità dei tessuti molli durante l’analisi del movimento umano provoca inaccuratezze tali da mettere a rischio l’utilizzabilità dei risultati. A tal proposito Andriacchi scrive: “attualmente, uno dei fattori critici che rallentano il progresso negli studi del movimento umano è la misura del movimento scheletrico partendo dai marcatori posti sulla cute” (Andriacchi et al. 2000). Relativamente alla morfologia, essa può essere acquisita, ad esempio, attraverso l’utilizzazione di tecniche per bioimmagini. Queste vengono fornite con riferimento a sistemi di assi locali in generale diversi dai sistemi tecnici. Per integrare i dati relativi al movimento con i dati morfologici occorre determinare l’operatore che consente la trasformazione tra questi due sistemi di assi (matrice di registrazione) e di conseguenza è fondamentale l’individuazione di particolari terne di riferimento, dette terne anatomiche. L’identificazione di queste terne richiede la localizzazione sul segmento osseo di particolari punti notevoli, detti repere anatomici, rispetto ad un sistema di riferimento solidale con l’osso sotto esame. Tale operazione prende il nome di calibrazione anatomica. Nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento viene implementata una calibrazione anatomica a “bassa risoluzione” che prevede la descrizione della morfologia dell’osso a partire dall’informazione relativa alla posizione di alcuni repere corrispondenti a prominenze ossee individuabili tramite palpazione. Attraverso la stereofotogrammetria è quindi possibile registrare la posizione di questi repere rispetto ad un sistema tecnico. Un diverso approccio di calibrazione anatomica può essere realizzato avvalendosi delle tecniche ad “alta risoluzione”, ovvero attraverso l’uso di bioimmagini. In questo caso è necessario disporre di una rappresentazione digitale dell’osso in un sistema di riferimento morfologico e localizzare i repere d’interesse attraverso palpazione in ambiente virtuale (Benedetti et al. 1994 ; Van Sint Jan et al. 2002; Van Sint Jan et al. 2003). Un simile approccio è difficilmente applicabile nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento, in quanto normalmente non si dispone della strumentazione necessaria per ottenere le bioimmagini; inoltre è noto che tale strumentazione in alcuni casi può essere invasiva. Per entrambe le calibrazioni anatomiche rimane da tenere in considerazione che, generalmente, i repere anatomici sono dei punti definiti arbitrariamente all’interno di un’area più vasta e irregolare che i manuali di anatomia definiscono essere il repere anatomico. L’identificazione dei repere attraverso una loro descrizione verbale è quindi povera in precisione e la difficoltà nella loro identificazione tramite palpazione manuale, a causa della presenza dei tessuti molli interposti, genera errori sia in precisione che in accuratezza. Tali errori si propagano alla stima della cinematica e della dinamica articolare (Ramakrishnan et al. 1991; Della Croce et al. 1999). Della Croce (Della Croce et al. 1999) ha inoltre evidenziato che gli errori che influenzano la collocazione nello spazio delle terne anatomiche non dipendono soltanto dalla precisione con cui vengono identificati i repere anatomici, ma anche dalle regole che si utilizzano per definire le terne. E’ infine necessario evidenziare che la palpazione manuale richiede tempo e può essere effettuata esclusivamente da personale altamente specializzato, risultando quindi molto onerosa (Simon 2004). La presente tesi prende lo spunto dai problemi sopra elencati e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità delle informazioni necessarie alla ricostruzione della cinematica 3D dei segmenti ossei in esame affrontando i problemi posti dall’artefatto di tessuto molle e le limitazioni intrinseche nelle attuali procedure di calibrazione anatomica. I problemi sono stati affrontati sia mediante procedure di elaborazione dei dati, sia apportando modifiche ai protocolli sperimentali che consentano di conseguire tale obiettivo. Per quanto riguarda l’artefatto da tessuto molle, si è affrontato l’obiettivo di sviluppare un metodo di stima che fosse specifico per il soggetto e per l’atto motorio in esame e, conseguentemente, di elaborare un metodo che ne consentisse la minimizzazione. Il metodo di stima è non invasivo, non impone restrizione al movimento dei tessuti molli, utilizza la sola misura stereofotogrammetrica ed è basato sul principio della media correlata. Le prestazioni del metodo sono state valutate su dati ottenuti mediante una misura 3D stereofotogrammetrica e fluoroscopica sincrona (Stagni et al. 2005), (Stagni et al. 2005). La coerenza dei risultati raggiunti attraverso i due differenti metodi permette di considerare ragionevoli le stime dell’artefatto ottenute con il nuovo metodo. Tale metodo fornisce informazioni sull’artefatto di pelle in differenti porzioni della coscia del soggetto e durante diversi compiti motori, può quindi essere utilizzato come base per un piazzamento ottimo dei marcatori. Lo si è quindi utilizzato come punto di partenza per elaborare un metodo di compensazione dell’errore dovuto all’artefatto di pelle che lo modella come combinazione lineare degli angoli articolari di anca e ginocchio. Il metodo di compensazione è stato validato attraverso una procedura di simulazione sviluppata ad-hoc. Relativamente alla calibrazione anatomica si è ritenuto prioritario affrontare il problema associato all’identificazione dei repere anatomici perseguendo i seguenti obiettivi: 1. migliorare la precisione nell’identificazione dei repere e, di conseguenza, la ripetibilità dell’identificazione delle terne anatomiche e della cinematica articolare, 2. diminuire il tempo richiesto, 3. permettere che la procedura di identificazione possa essere eseguita anche da personale non specializzato. Il perseguimento di tali obiettivi ha portato alla implementazione dei seguenti metodi: • Inizialmente è stata sviluppata una procedura di palpazione virtuale automatica. Dato un osso digitale, la procedura identifica automaticamente i punti di repere più significativi, nella maniera più precisa possibile e senza l'ausilio di un operatore esperto, sulla base delle informazioni ricavabili da un osso digitale di riferimento (template), preliminarmente palpato manualmente. • E’ stato poi condotto uno studio volto ad indagare i fattori metodologici che influenzano le prestazioni del metodo funzionale nell’individuazione del centro articolare d’anca, come prerequisito fondamentale per migliorare la procedura di calibrazione anatomica. A tale scopo sono stati confrontati diversi algoritmi, diversi cluster di marcatori ed è stata valutata la prestazione del metodo in presenza di compensazione dell’artefatto di pelle. • E’stato infine proposto un metodo alternativo di calibrazione anatomica basato sull’individuazione di un insieme di punti non etichettati, giacenti sulla superficie dell’osso e ricostruiti rispetto ad un TF (UP-CAST). A partire dalla posizione di questi punti, misurati su pelvi coscia e gamba, la morfologia del relativo segmento osseo è stata stimata senza identificare i repere, bensì effettuando un’operazione di matching dei punti misurati con un modello digitale dell’osso in esame. La procedura di individuazione dei punti è stata eseguita da personale non specializzato nell’individuazione dei repere anatomici. Ai soggetti in esame è stato richiesto di effettuare dei cicli di cammino in modo tale da poter indagare gli effetti della nuova procedura di calibrazione anatomica sulla determinazione della cinematica articolare. I risultati ottenuti hanno mostrato, per quel che riguarda la identificazione dei repere, che il metodo proposto migliora sia la precisione inter- che intraoperatore, rispetto alla palpazione convenzionale (Della Croce et al. 1999). E’ stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento, rispetto ad altri protocolli (Charlton et al. 2004; Schwartz et al. 2004), nella ripetibilità della cinematica 3D di anca e ginocchio. Bisogna inoltre evidenziare che il protocollo è stato applicato da operatori non specializzati nell’identificazione dei repere anatomici. Grazie a questo miglioramento, la presenza di diversi operatori nel laboratorio non genera una riduzione di ripetibilità. Infine, il tempo richiesto per la procedura è drasticamente diminuito. Per una analisi che include la pelvi e i due arti inferiori, ad esempio, l’identificazione dei 16 repere caratteristici usando la calibrazione convenzionale richiede circa 15 minuti, mentre col nuovo metodo tra i 5 e i 10 minuti.
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Transcription is controlled by promoter-selective transcriptional factors (TFs), which bind to cis-regulatory enhancers elements, termed hormone response elements (HREs), in a specific subset of genes. Regulation by these factors involves either the recruitment of coactivators or corepressors and direct interaction with the basal transcriptional machinery (1). Hormone-activated nuclear receptors (NRs) are well characterized transcriptional factors (2) that bind to the promoters of their target genes and recruit primary and secondary coactivator proteins which possess many enzymatic activities required for gene expression (1,3,4). In the present study, using single-cell high-resolution fluorescent microscopy and high throughput microscopy (HTM) coupled to computational imaging analysis, we investigated transcriptional regulation controlled by the estrogen receptor alpha (ERalpha), in terms of large scale chromatin remodeling and interaction with the associated coactivator SRC-3 (Steroid Receptor Coactivator-3), a member of p160 family (28) primary coactivators. ERalpha is a steroid-dependent transcriptional factor (16) that belongs to the NRs superfamily (2,3) and, in response to the hormone 17-ß estradiol (E2), regulates transcription of distinct target genes involved in development, puberty, and homeostasis (8,16). ERalpha spends most of its lifetime in the nucleus and undergoes a rapid (within minutes) intranuclear redistribution following the addition of either agonist or antagonist (17,18,19). We designed a HeLa cell line (PRL-HeLa), engineered with a chromosomeintegrated reporter gene array (PRL-array) containing multicopy hormone response-binding elements for ERalpha that are derived from the physiological enhancer/promoter region of the prolactin gene. Following GFP-ER transfection of PRL-HeLa cells, we were able to observe in situ ligand dependent (i) recruitment to the array of the receptor and associated coregulators, (ii) chromatin remodeling, and (iii) direct transcriptional readout of the reporter gene. Addition of E2 causes a visible opening (decondensation) of the PRL-array, colocalization of RNA Polymerase II, and transcriptional readout of the reporter gene, detected by mRNA FISH. On the contrary, when cells were treated with an ERalpha antagonist (Tamoxifen or ICI), a dramatic condensation of the PRL-array was observed, displacement of RNA Polymerase II, and complete decreasing in the transcriptional FISH signal. All p160 family coactivators (28) colocalize with ERalpha at the PRL-array. Steroid Receptor Coactivator-3 (SRC-3/AIB1/ACTR/pCIP/RAC3/TRAM1) is a p160 family member and a known oncogenic protein (4,34). SRC-3 is regulated by a variety of posttranslational modifications, including methylation, phosphorylation, acetylation, ubiquitination and sumoylation (4,35). These events have been shown to be important for its interaction with other coactivator proteins and NRs and for its oncogenic potential (37,39). A number of extracellular signaling molecules, like steroid hormones, growth factors and cytokines, induce SRC-3 phosphorylation (40). These actions are mediated by a wide range of kinases, including extracellular-regulated kinase 1 and 2 (ERK1-2), c-Jun N-terminal kinase, p38 MAPK, and IkB kinases (IKKs) (41,42,43). Here, we report SRC-3 to be a nucleocytoplasmic shuttling protein, whose cellular localization is regulated by phosphorylation and interaction with ERalpha. Using a combination of high throughput and fluorescence microscopy, we show that both chemical inhibition (with U0126) and siRNA downregulation of the MAP/ERK1/2 kinase (MEK1/2) pathway induce a cytoplasmic shift in SRC-3 localization, whereas stimulation by EGF signaling enhances its nuclear localization by inducing phosphorylation at T24, S857, and S860, known partecipants in the regulation of SRC-3 activity (39). Accordingly, the cytoplasmic localization of a non-phosphorylatable SRC-3 mutant further supports these results. In the presence of ERalpha, U0126 also dramatically reduces: hormone-dependent colocalization of ERalpha and SRC-3 in the nucleus; formation of ER-SRC-3 coimmunoprecipitation complex in cell lysates; localization of SRC-3 at the ER-targeted prolactin promoter array (PRL-array) and transcriptional activity. Finally, we show that SRC-3 can also function as a cotransporter, facilitating the nuclear-cytoplasmic shuttling of estrogen receptor. While a wealth of studies have revealed the molecular functions of NRs and coregulators, there is a paucity of data on how these functions are spatiotemporally organized in the cellular context. Technically and conceptually, our findings have a new impact upon evaluating gene transcriptional control and mechanisms of action of gene regulators.
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The Ph chromosome is the most frequent cytogenetic aberration associated with adult ALL and it represents the single most significant adverse prognostic marker. Despite imatinib has led to significant improvements in the treatment of patients with Ph+ ALL, in the majority of cases resistance developed quickly and disease progressed. Some mechanisms of resistance have been widely described but the full knowledge of contributing factors, driving both the disease and resistance, remains to be defined. The observation of rapid development of lymphoblastic leukemia in mice expressing altered Ikaros (Ik) isoforms represented the background of this study. Ikaros is a zinc finger transcription factor required for normal hemopoietic differentiation and proliferation, particularly in the lymphoid lineages. By means of alternative splicing, Ikaros encodes several proteins that differ in their abilities to bind to a consensus DNA-binding site. Shorter, DNA nonbinding isoforms exert a dominant negative effect, inhibiting the ability of longer heterodimer partners to bind DNA. The differential expression pattern of Ik isoforms in Ph+ ALL patients was analyzed in order to determine if molecular abnormalities involving the Ik gene could associate with resistance to imatinib and dasatinib. Bone marrow and peripheral blood samples from 46 adult patients (median age 55 yrs, 18-76) with Ph+ ALL at diagnosis and during treatment with imatinib (16 pts) or dasatinib (30 pts) were collected. We set up a fast, high-throughput method based on capillary electrophoresis technology to detect and quantify splice variants. 41% Ph+ ALL patients expressed high levels of the non DNA-binding dominant negative Ik6 isoform lacking critical N-terminal zinc-fingers which display abnormal subcellular compartmentalization pattern. Nuclear extracts from patients expressed Ik6 failed to bind DNA in mobility shift assay using a DNA probe containing an Ikaros-specific DNA binding sequence. In 59% Ph+ ALL patients there was the coexistence in the same PCR sample and at the same time of many splice variants corresponded to Ik1, Ik2, Ik4, Ik4A, Ik5A, Ik6, Ik6 and Ik8 isoforms. In these patients aberrant full-length Ikaros isoforms in Ph+ ALL characterized by a 60-bp insertion immediately downstream of exon 3 and a recurring 30-bp in-frame deletion at the end of exon 7 involving most frequently the Ik2, Ik4 isoforms were also identified. Both the insertion and deletion were due to the selection of alternative splice donor and acceptor sites. The molecular monitoring of minimal residual disease showed for the first time in vivo that the Ik6 expression strongly correlated with the BCR-ABL transcript levels suggesting that this alteration could depend on the Bcr-Abl activity. Patient-derived leukaemia cells expressed dominant-negative Ik6 at diagnosis and at the time of relapse, but never during remission. In order to mechanistically demonstrated whether in vitro the overexpression of Ik6 impairs the response to tyrosine kinase inhibitors (TKIs) and contributes to resistance, an imatinib-sensitive Ik6-negative Ph+ ALL cell line (SUP-B15) was transfected with the complete Ik6 DNA coding sequence. The expression of Ik6 strongly increased proliferation and inhibited apoptosis in TKI sensitive cells establishing a previously unknown link between specific molecular defects that involve the Ikaros gene and the resistance to TKIs in Ph+ ALL patients. Amplification and genomic sequence analysis of the exon splice junction regions showed the presence of 2 single nucleotide polymorphisms (SNPs): rs10251980 [A/G] in the exon2/3 splice junction and of rs10262731 [A/G] in the exon 7/8 splice junction in 50% and 36% of patients, respectively. A variant of the rs11329346 [-/C], in 16% of patients was also found. Other two different single nucleotide substitutions not recognized as SNP were observed. Some mutations were predicted by computational analyses (RESCUE approach) to alter cis-splicing elements. In conclusion, these findings demonstrated that the post-transcriptional regulation of alternative splicing of Ikaros gene is defective in the majority of Ph+ ALL patients treated with TKIs. The overexpression of Ik6 blocking B-cell differentiation could contribute to resistance opening a time frame, during which leukaemia cells acquire secondary transforming events that confer definitive resistance to imatinib and dasatinib.
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Der erste Teil der vorliegenden Arbeit beschäftigt sich mit der Modifikation der spontanen Emission im Strong Coupling Regime. Hierzu wurden geeignete optische, organische 'Halbleiter'-Mikroresonatoren präpariert.Zunächst wurde das verwendete optisch aktive Material, das J-Aggregat PIC, spektroskopisch charakterisiert. In Transmissionsmessungen an den Mikroresonatoren wurden Vakuum-Rabi-Splitting-Energien zwischen 26 und 52 meV bestimmt. Es wurde die Abhängigkeit der Vakuum-Rabi-Splitting-Energie von der räumlichen Position der optisch aktiven Schicht innerhalb des Mikroresonators untersucht. Durch eine Simulation konnte nachgewiesen werden, daß der Grund für die Asymmetrie des Rabi-Splittings bei einer Verstimmung von 0 meV durch die Asymmetrie des Absorptionsspektrums des optisch aktiven Materials gegeben ist. Weiterhin wurde die Photolumineszenz der Mikroresonatoren untersucht. Es konnte in temperaturabhängigen Messungen gezeigt werden, daß die hochenergetische Bande gegenüber der niederenergetischen Bande bei steigender Temperatur entsprechend einer Boltzmann-Verteilung stärker besetzt wird.Im zweiten Teil der Arbeit wurden die optischen Eigenschaften von dünnen Filmen N´N´Bis (2,6-xylyl)perylene-3,4:9,10-bis(dicarboximide) (DPP-PTCDI) abhängig von der Schichtdicke untersucht. Die Photolumineszenzspektren der dünnen Filme wurden mit zunehmender Dicke durch eine neue Bande bei kleineren Energien bestimmt. Diese Bande kann mit der Emission aus Fallenzuständen erklärt werden. Durch Photolumineszenz-Anregungsspektroskopie konnte gezeigt werden, daß die Fallenzustände auch im Grundzustand existieren. Exzimere können daher als Ursache ausgeschlossen werden.
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In der vorliegenden Arbeit wurde das Orientierungsverhalten der Mikrophasenseparation von industriellen und eigens synthetisierten Blockcopolymeren unter Extrusion untersucht.Dabei stellte sich heraus, daß bis auf eine Probe mit hexagonaler Morphologie die Mikrophasenseparationen der untersuchten Systeme unter dem Einfluß der Scherströmung derart in Extrusionsrichtung gedehnt werden, daß eine Art 'pseudo-lamellare' Morphologie entsteht. Aus Röntgenstreumessungen wurde die Güte dieser Orientierung in Form von Ordnungsparametern bestimmt. Dabei zeigte sich, daß der Orientierungsgrad der Proben deutlich von der Scherrate der Extrusion abhängt.Mit Hilfe von Zugversuchen konnte die mechanische Festigkeit der untersuchten Extrudate analysiert werden, wobei sich eine dem Ordnungsgrad analoge Scherratenabhängigkeit zeigte. Somit hat die rheologische Beanspruchung der Materialien einen deutlichen Einfluß auf deren mechanische Festigkeit.Im zweiten Teil der vorliegenden Arbeit wurde die Orientierung und die Reorientierung einer lamellaren Morphologie durch oszillatorische Verscherung mit großen Amplituden (LAOS) untersucht.Bei der Untersuchung des Orientierungsexperimentes zeigte sich, daß die exponentielle Abnahme der relativen Intensität des 3. Obertons (I3/I1) des fouriertransformierten Spektrums des Drehmomentes dazu genutzt werden konnte, um die Kinetik des Orientierungsprozesses zu bestimmen.Bei der Untersuchung des Umorientierungsprozesses konnte gezeigt werden, daß die nicht-lineare mechanische Antwort geeignet ist, um die Entwicklung bimodaler Orientierungsverteilungen zu verfolgen.
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Es wurden neue funktionalisierte Carbazole und anellierte Benzo[a]carbazole als potentielle pharmakologische Therapeutika durch 1,6-pi-Elektrocyclisierung auf photo-chemischem, thermischem und sonochemischem Weg synthetisiert und die Synthesemethoden der 1,6-pi-Elektrocyclisierung sowie der 2,3-Divinylindole und der 2-Aryl-3-vinylindole als entsprechende Ausgangsprodukte validiert und evaluiert. Es gelang weder das nach den Woodward-Hoffmann-Regeln erwartete primäre Cyclisierungsprodukt mit Indolochinodimethanstruktur noch die Existenz des in einer photochemischen Abfangreaktion daraus resultierenden Cycloprodukts NMR-spektroskopisch nachzuweisen, um den stereochemischen Verlauf der Cyclisierung vorherzusagen. Ergebnisse der quantenchemischen Berechnungen der Eduktmoleküle (AO-Koeffizienten der MO's, HOMO/LUMO-Energien) sowie der Übergangszustandsgeometrien der Cyclisierungen decken sich mit den experimentellen Daten. Divinyl- und 2-Aryl-3-vinylindole sind als Systeme mit Hexatriensymmetrie aufzufassen, deren Cyclisierungsverhalten sich mit den Woodward-Hoffmann-Regeln beschreiben läßt. Im Vergleich der verschiedenen 1,6-pi-Elektrocyclisierungsmethoden zeigte sich, daß die photochemische Variante eine elegante Synthesemethode darstellt, um funktionalisierte Carbazole und Benzo[a]carbazole mit unterschiedlichen pharmakologischen Aktivitäten unter schonenden Reaktionsbedingungen mit den vergleichbar höchsten Ausbeuten zu erhalten. Demgegenüber lieferten die Ultraschallreaktionen keine nachweisbaren Cyclisierungsprodukte. Die thermische Cyclisierung führte zur Gruppe der 1,2-Dihydrocarbazole. Sie bildeten sich in einer Folgereaktion durch [1,5s]-H-Verschiebung aus dem primär entstandenen Woodward-Hoffmann-Cyclisierungsprodukt. In abschließenden DNA-Bindestudien mit verschiedenen Testsystemen zeigte keine der synthetisierten Testsubstanzen DNA-Bindungsaktivität.
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Das Experiment zur Überprüfung der Gerasimov-Drell-Hearn(GDH)-Summenregel am Mainzer Mikrotron diente zur Messunghelizitätsabhängiger Eigenschaften der Photoproduktion amProton. Hierbei konnten neben den totalen Photoabsorptionswirkungsquerschnitten auch Querschnitte partieller Kanäle der Einpion-, Zweipion- und Eta-Produktion bestimmt werden. Für die möglichen Doppel-Pion-Reaktionen sind zur Zeit nur wenig Information vorhanden. Daher sind die Reaktionsmechanismen der Doppel-Pion-Photoproduktion weitgehend noch unverstanden. Aus diesem Grund ist die Untersuchung weiterer Observablenerforderlich. Die Helizitätsabhängigkeit stellt eine solcheneue Observable dar und kann dadurch gemessen werden, daßein zirkular polarisiertes Photon mit einem longitudinalpolarisierten Nukleon wechselwirkt. Der Photonspin beträgt1 und der Fermionenspin des Nukleons beträgt 1/2.Die Spins koppeln zu 3/2 und 1/2. Dies liefert diehelizitätsabhängigen Wirkungsquerschnitte.Diese Dissertation beschreibt den Aufbau des Mainzer GDH-Experiments und die technische Realisation der Messung helizitätsabhängiger Photoabsorptionswirkungsquerschnitte. Die Helizitätsabhängigkeit der doppelt geladenen Doppel-Pion-Photoproduktion am Proton wurde anhand der gemessenen Daten untersucht. Diese Reaktion ist ein Zweistufenprozeß, wobei das angeregte Nukleon resonant oder nicht-resonant in die Endzustandsteilchen zerfällt. Durch die helizitätsabhängigen Daten wurden Freiheitsgradein der Doppel-Pion-Photoproduktion eingeschränkt, wodurch eine Verbesserung der Modelle der Gent-Mainz- und der Valencia-Gruppe ermöglicht wurde. Die im Rahmen dieser Arbeit ermittelten Daten haben zusätzlich eine Motivation für weitere Interpretationsansätze durch die genanntenTheoriegruppen geschaffen.
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The comparative genomic sequence analysis of a region in human chromosome 11p15.3 and its homologous segment in mouse chromosome 7 between ST5 and LMO1 genes has been performed. 158,201 bases were sequenced in the mouse and compared with the syntenic region in human, partially available in the public databases. The analysed region exhibits the typical eukaryotic genomic structure and compared with the close neighbouring regions, strikingly reflexes the mosaic pattern distribution of (G+C) and repeats content despites its relative short size. Within this region the novel gene STK33 was discovered (Stk33 in the mouse), that codes for a serine/threonine kinase. The finding of this gene constitutes an excellent example of the strength of the comparative sequencing approach. Poor gene-predictions in the mouse genomic sequence were corrected and improved by the comparison with the unordered data from the human genomic sequence publicly available. Phylogenetical analysis suggests that STK33 belongs to the calcium/calmodulin-dependent protein kinases group and seems to be a novelty in the chordate lineage. The gene, as a whole, seems to evolve under purifying selection whereas some regions appear to be under strong positive selection. Both human and mouse versions of serine/threonine kinase 33, consists of seventeen exons highly conserved in the coding regions, particularly in those coding for the core protein kinase domain. Also the exon/intron structure in the coding regions of the gene is conserved between human and mouse. The existence and functionality of the gene is supported by the presence of entries in the EST databases and was in vivo fully confirmed by isolating specific transcripts from human uterus total RNA and from several mouse tissues. Strong evidence for alternative splicing was found, which may result in tissue-specific starting points of transcription and in some extent, different protein N-termini. RT-PCR and hybridisation experiments suggest that STK33/Stk33 is differentially expressed in a few tissues and in relative low levels. STK33 has been shown to be reproducibly down-regulated in tumor tissues, particularly in ovarian tumors. RNA in-situ hybridisation experiments using mouse Stk33-specific probes showed expression in dividing cells from lung and germinal epithelium and possibly also in macrophages from kidney and lungs. Preliminary experimentation with antibodies designed in this work, performed in parallel to the preparation of this manuscript, seems to confirm this expression pattern. The fact that the chromosomal region 11p15 in which STK33 is located may be associated with several human diseases including tumor development, suggest further investigation is necessary to establish the role of STK33 in human health.
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Questa relazione finale è stata frutto di un lavoro sperimentale svolto in collaborazione con un’azienda del territorio ed ha avuto come obiettivo principale quello di verificare i parametri qualitativi e compositivi di una nuova tipologia di salume in fase di studio. L’azienda sta studiando una nuova tipologia di “prodotto funzionale” addizionando componenti ad attività nutraceutica al salame ottenuto da sole parti magre di suino. L’intenzione dell’azienda è di arricchire il proprio prodotto con acidi grassi polinsaturi della serie omega-3 (da olio di semi di lino), noti per gli effetti benefici che possono esercitare sulla salute umana. A questo scopo, sul prodotto di nuova formulazione (ed in parallelo sul prodotto a formulazione classica e su un prodotto del tutto simile commercializzato da un’altra azienda) sono state effettuate sia la determinazione della percentuale lipidica, al fine di individuare il quantitativo totale di grasso, che una caratterizzazione gascromatografica del profilo quali-quantitativo in acidi grassi, analsi fondamentale per verificare la conformità con i requisiti indicati dal Reg. 1924/06, e successive modifiche, previsti per le indicazioni da inserire in etichetta (claims). Inoltre, è stato importante controllare che la concentrazione voluta di acido alfa-linolenico si mantenga tale durante tutto il periodo di shelf-life del prodotto (45 gg), perciò per soddisfare quest’ultima finalità, le analisi sono state eseguite sia all’inizio (T0) che alla fine (T1) della vita commerciale del prodotto. E’ apparso poi fondamentale monitorare un possibile decadimento/modifica della qualità organolettica del prodotto di nuova formulazione, a causa del possibile aumento di ossidabilità della frazione lipidica causata da una maggiore presenza di acidi grassi polinsaturi; ed infine, con l’intento di verificare se la nuova formulazione potesse comportare una variazione significativa delle caratteristiche sensoriali del prodotto, sono stati condotti un test descrittivo quantitativo (QDA), in grado di descrivere il profilo sensoriale del prodotto ed un test discriminante qualitativo (metodo triangolare) capace di valutare l’eventuale comparsa di cambiamenti in seguito alle modifiche apportate al prodotto; per ultimo è stato poi eseguito un test affettivo quantitativo (test di preferenza, condotto su scala di laboratorio) in grado fornire informazioni sul gradimento e di evidenziare i principali vettori che guidano le scelte dei consumatori. I risultati delle analisi chimiche e sensoriali, eseguite per soddisfare tali richieste, hanno evidenziato come il salume presenti un quantitativo di tali acidi grassi polinsaturi in linea con il claim “Alimento fonte di acidi grassi omega-3”, (requisiti indicati dal Reg. 1924/06 e successive modifiche), risultato confermato sia all’inizio che al termine della vita commerciale del prodotto (pari a circa 45 giorni). Inoltre, esso risulta essere piuttosto interessante dal punto di vista nutrizionale, poiché caratterizzato da un contenuto di grasso per la categoria dei salumi, relativamente limitato, pari a circa il 15%, con percentuali più favorevoli in acidi grassi insaturi. L’analisi del profilo sensoriale condotta ad inizio shelf-life ha invece evidenziato come questa tipologia di prodotto sia caratterizzata sia al gusto che all’olfatto da note più sapide e speziate , oltre ad una maggiore consistenza della fetta, rispetto agli altri campioni analizzati, mentre i risultati relativi al termine della shelf-life hanno evidenziato come esso tenda ad essere soggetto ad alterazioni sensoriali rilevabili proprio al termine della fase di conservazione dovute nello specifico alla formazione di composti responsabili dell’odore di rancido. I test discriminanti, condotti con giudici non allenati, non hanno invece fatto registrare differenze sensoriali significative tra il prodotto con formulazione classica e quello di nuova formulazione, confrontati ad inizio e a fine shelf-life. Riassumendo, dai risultati ottenuti da questo lavoro sperimentale, il prodotto di nuova formulazione, arricchito in acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, risulta essere in linea con il claim “Alimento fonte di acidi grassi omega-3”, presenta in generale un contenuto di grasso totale inferiore a quello di altre tipologie di salumi ed un rapporto più favorevole tra acidi grassi insaturi e saturi, per questo può essere considerato un prodotto interessante dal punto di vista della salute e della nutrizione. Proprio per la sua formulazione più ricca in acidi grassi polinsaturi, tende però a fine shelf-life a presentare una leggera nota di rancido, riconducibile ad una maggiore ossidabilità della frazione lipidica. Tale variazione sensoriale è risultata comunque percepita solo da un panel allenato, mentre un test di tipo discriminante, condotto con giudici non allenati, non ha messo in luce differenze significative tra il salume di nuova formulazione e quello con formulazione classica né all’inizio, né al termine della vita commerciale del prodotto.
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The quark condensate is a fundamental free parameter of Chiral Perturbation Theory ($chi PT$), since it determines the relative size of the mass and momentum terms in the power expansion. In order to confirm or contradict the assumption of a large quark condensate, on which $chi PT$ is based, experimental tests are needed. In particular, the $S$-wave $pipi$ scattering lengths $a_0^0$ and $a_0^2$ can be predicted precisely within $chi PT$ as a function of this parameter and can be measured very cleanly in the decay $K^{pm} to pi^{+} pi^{-} e^{pm} stackrel{mbox{tiny(---)}}{nu_e}$ ($K_{e4}$). About one third of the data collected in 2003 and 2004 by the NA48/2 experiment were analysed and 342,859 $K_{e4}$ candidates were selected. The background contamination in the sample could be reduced down to 0.3% and it could be estimated directly from the data, by selecting events with the same signature as $K_{e4}$, but requiring for the electron the opposite charge with respect to the kaon, the so-called ``wrong sign'' events. This is a clean background sample, since the kaon decay with $Delta S=-Delta Q$, that would be the only source of signal, can only take place through two weak decays and is therefore strongly suppressed. The Cabibbo-Maksymowicz variables, used to describe the kinematics of the decay, were computed under the assumption of a fixed kaon momentum of 60 GeV/$c$ along the $z$ axis, so that the neutrino momentum could be obtained without ambiguity. The measurement of the form factors and of the $pipi$ scattering length $a_0^0$ was performed in a single step by comparing the five-dimensional distributions of data and MC in the kinematic variables. The MC distributions were corrected in order to properly take into account the trigger and selection efficiencies of the data and the background contamination. The following parameter values were obtained from a binned maximum likelihood fit, where $a_0^2$ was expressed as a function of $a_0^0$ according to the prediction of chiral perturbation theory: f'_s/f_s = 0.133+- 0.013(stat)+- 0.026(syst) f''_s/f_s = -0.041+- 0.013(stat)+- 0.020(syst) f_e/f_s = 0.221+- 0.051(stat)+- 0.105(syst) f'_e/f_s = -0.459+- 0.170(stat)+- 0.316(syst) tilde{f_p}/f_s = -0.112+- 0.013(stat)+- 0.023(syst) g_p/f_s = 0.892+- 0.012(stat)+- 0.025(syst) g'_p/f_s = 0.114+- 0.015(stat)+- 0.022(syst) h_p/f_s = -0.380+- 0.028(stat)+- 0.050(syst) a_0^0 = 0.246+- 0.009(stat)+- 0.012(syst)}+- 0.002(theor), where the statistical uncertainty only includes the effect of the data statistics and the theoretical uncertainty is due to the width of the allowed band for $a_0^2$.
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Das Standardmodell (SM) der Teilchenphysik beschreibt sehr präzise die fundamentalen Bausteine und deren Wechselwirkungen (WW). Trotz des Erfolges gibt es noch offene Fragen, die vom SM nicht beantwortet werden können. Ein noch noch nicht abgeschlossener Test besteht aus der Messung der Stärke der schwachen Kopplung zwischen Quarks. Neutrale B- bzw. $bar{B}$-Mesonen können sich innerhalb ihrer Lebensdauer über einen Prozeß der schwachen WW in ihr Antiteilchen transformieren. Durch die Messung der Bs-Oszillation kann die Kopplung Vtd zwischen den Quarksorten Top (t) und Down (d) bestimmt werden. Alle bis Ende 2005 durchgeführten Experimente lieferten lediglich eine untere Grenze für die Oszillationsfrequenz von ms>14,4ps-1. Die vorliegenden Arbeit beschreibt die Messung der Bs-Oszillationsfrequenz ms mit dem semileptonischen Kanal BsD(-)+. Die verwendeten Daten stammen aus Proton-Antiproton-Kollisionen, die im Zeitraum von April 2002 bis März 2006 mit dem DØ-Detektor am Tevatron-Beschleuniger des Fermi National Accelerator Laboratory bei einer Schwerpunktsenergie von $sqrt{s}$=1,96TeV aufgezeichnet wurden. Die verwendeten Datensätze entsprechen einer integrierten Luminosität von 1,3fb-1 (620 millionen Ereignisse). Für diese Oszillationsmessung wurde der Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit der Produktion sowie des Zerfalls bestimmt und die Zerfallszeit wurde gemessen. Nach der Rekonstruktion und Selektion der Signalereignisse legt die Ladung des Myons den Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit des Zerfalls fest. Zusätzlich wurde der Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit der Produktion markiert. b-Quarks werden in $pbar{p}$-Kollisionen paarweise produziert. Die Zerfallsprodukte des zweiten b-Hadrons legen den Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit der Produktion fest. Bei einer Sensitivität von msenss=14,5ps-1 wurde eine untere Grenze für die Oszillationsfrequenz ms>15,5ps-1 bestimmt. Die Maximum-Likelihood-Methode lieferte eine Oszillationsfrequenz ms>(20+2,5-3,0(stat+syst)0,8(syst,k))ps-1 bei einem Vertrauensniveau von 90%. Der nicht nachgewiesene Neutrinoimpuls führt zu dem systematischen Fehler (sys,k). Dieses Resultat ergibt zusammen mit der entsprechenden Oszillation des Bd-Mesons eine signifikante Messung der Kopplung Vtd, in Übereinstimmung mit weiteren Experimenten über die schwachen Quarkkopplungen.
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During central nervous system myelination, oligodendrocytes extend membrane processes towards an axonal contact site which is followed by ensheathment resulting in a compacted multilamellar myelin sheath. The formation of this axon-glial unit facilitates rapid saltatory propagation of action potentials along the axon and requires the synthesis and transport of copious amounts of lipids and proteins to the axon-glial contact site. Fyn is a member of the Src family of non receptor tyrosine kinases and inserted into the inner leaflet of the oligodendrocyte membrane by acylation. Fyn activity plays a pivotal role in the maturation of oligodendrocytes and the myelination process. It was suggested previously that Fyn kinase can be stimulated by binding of a neuronal ligand to oligodendroglial F3/ contactin, a glycosyl-phosphatidyl-inositol anchored immunoglobulin superfamily (IgSF) member protein. It could be shown here, that neuronal cell adhesion molecule L1 binds to oligodendrocytes in an F3-dependent manner and activates glial Fyn. In the search for downstream participants of this novel axon-glial signalling cascade, heterogeneous nuclear ribonucleoprotein (hnRNP) A2 was identified as a novel Fyn target in oligodendrocytes. HnRNP A2 was known to be involved in the localisation of translationally repressed myelin basic protein (MBP) mRNA by binding to a cis acting A2 response element (A2RE) present in the 3’ untranslated region. Transport of MBP mRNAs occurs in RNA-protein complexes termed RNA granules and translational repression during transport is achieved by hnRNP A2-mediated recruitment of hnRNP E1 to the granules. It could be shown here, that Fyn activity leads to enhanced translation of reporter mRNA containing a part of the 3’ UTR of MBP including the A2RE. Furthermore hnRNP E1 seems to dissociate from RNA granules in response to Fyn activity and L1 binding. These findings suggest a novel form of neuron- glial communication: Axonal L1 binding to oligodendroglial F3 activates Fyn kinase. Activated Fyn phosphorylates hnRNP A2 leading to removal of hnRNP E1 from RNA granules initiating the translation of MBP mRNA. MBP is the second most abundant myelin protein and mice lacking this protein show a severe hypomyelination phenotype. Moreover, the brains of Fyn knock out mice contain reduced MBP levels and are hypomyelinated. Hence, L1-mediated MBP synthesis via Fyn as a central molecule could be part of a regulatory mechanism required for myelinogenesis in the central nervous system.
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L’enzima IDO interviene nella via di degradazione del triptofano, essenziale per la vita cellulare; l’iperespressione di IDO favorisce la creazione di un microambiente immunotollerante. Nelle LAM IDO è funzionalmente attivo nelle cellule blastiche e determina l’acquisizione di un fenotipo regolatorio da parte delle cellule T alloreattive; l’espressione della proteina aumenta in modo consensuale con l’evoluzione clinica della patologia. Scopo della Tesi è indagare l’esistenza di una correlazione tra l’iperespressione di IDO da parte delle cellule leucemiche, le caratteristiche di rischio alla diagnosi e l’outcome dei pazienti. Sono stati esaminati 45 pazienti adulti affetti da LAM afferiti all’Istituto di Ematologia di Bologna. I pazienti sono stati stratificati a seconda di: età di insorgenza della leucemia, secondarietà a Mielodisplasia o radio chemioterapia, iperleucocitosi, citogenetica, biologia molecolare (sono state valutate le alterazioni a carico dei geni FLT3 ed NPM). I pazienti sono stati analizzati per l’espressione del gene IDO mediante RT-PCR, seguita da Western Blot, allo scopo di stabilire la presenza di una proteina attiva; successivamente si è proceduto a verificare l’esistenza di una correlazione tra l’espressione di IDO e le caratteristiche di rischio alla diagnosi per identificare una relazione tra l’espressione del gene ed un subset di pazienti a prognosi favorevole o sfavorevole. Dei 45 pazienti adulti affetti da LAM il 28,9% è risultato negativo per l’espressione di IDO, mentre il rimanente 71,1% è risultato positivo ed è stato suddiviso in tre ulteriori categorie, in base ai livelli di espressione. I dati non sembrano al momento suggerire l’esistenza di una correlazione tra l’espressione di IDO e le caratteristiche di rischio alla diagnosi. Nel gruppo di pazienti ad elevata espressione di IDO si riscontra un rate di resistenza alla chemioterapia di induzione più elevato, con una quota di pazienti resistenti pari al 71,4%, contro il 23,1% nel gruppo di pazienti IDO-negativi.
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DcuS is a membrane-integral sensory histidine kinase involved in the DcuSR two-component regulatory system in Escherichia coli by regulating the gene expression of C4-dicarboxylate metabolism in response to external stimuli. How DcuS mediates the signal transduction across the membrane remains little understood. This study focused on the oligomerization and protein-protein interactions of DcuS by using quantitative Fluorescence Resonance Energy Transfer (FRET) spectroscopy. A quantitative FRET analysis for fluorescence spectroscopy has been developed in this study, consisting of three steps: (1) flexible background subtraction to yield background-free spectra, (2) a FRET quantification method to determine FRET efficiency (E) and donor fraction (fD = [donor] / ([donor]+[acceptor])) from the spectra, and (3) a model to determine the degree of oligomerization (interaction stoichiometry) in the protein complexes based on E vs. fD. The accuracy and applicability of this analysis was validated by theoretical simulations and experimental systems. These three steps were integrated into a computer procedure as an automatic quantitative FRET analysis which is easy, fast, and allows high-throughout to quantify FRET accurately and robustly, even in living cells. This method was subsequently applied to investigate oligomerization and protein-protein interactions, in particular in living cells. Cyan (CFP) and yellow fluorescent protein (YFP), two spectral variants of green fluorescent protein, were used as a donor-acceptor pair for in vivo measurements. Based on CFP- and YFP-fusions of non-interacting membrane proteins in the cell membrane, a minor FRET signal (E = 0.06 ± 0.01) can be regarded as an estimate of direct interaction between CFP and YFP moieties of fusion proteins co-localized in the cell membrane (false-positive). To confirm if the FRET occurrence is specific to the interaction of the investigated proteins, their FRET efficiency should be clearly above E = 0.06. The oligomeric state of DcuS was examined both in vivo (CFP/YFP) and in vitro (two different donor-acceptor pairs of organic dyes) by three independent experimental systems. The consistent occurrence of FRET in vitro and in vivo provides the evidence for the homo-dimerization of DcuS as full-length protein for the first time. Moreover, novel interactions (hetero-complexes) between DcuS and its functionally related proteins, citrate-specific sensor kinase CitA and aerobic dicarboxylate transporter DctA respectively, have been identified for the first time by intermolecular FRET in vivo. This analysis can be widely applied as a robust method to determine the interaction stoichiometry of protein complexes for other proteins of interest labeled with adequate fluorophores in vitro or in vivo.
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The standard model (SM) of particle physics is a theory, describing three out of four fundamental forces. In this model the Cabibbo-Kobayashi-Maskawa (CKM) matrix describes the transformation between the mass and weak eigenstates of quarks. The matrix properties can be visualized as triangles in the complex plane. A precise measurement of all triangle parameters can be used to verify the validity of the SM. The least precisely measured parameter of the triangle is related to the CKM element |Vtd|, accessible through the mixing frequency (oscillation) of neutral B mesons, where mixing is the transition of a neutral meson into its anti-particle and vice versa. It is possible to calculate the CKM element |Vtd| and a related element |Vts| by measuring the mass differences Dmd (Dms ) between neutral Bd and bar{Bd} (Bs and bar{Bs}) meson mass eigenstates. This measurement is accomplished by tagging the initial and final state of decaying B mesons and determining their lifetime. Currently the Fermilab Tevatron Collider (providing pbar{p} collisions at sqrt{s}=1.96 TeV) is the only place, where Bs oscillations can be studied. The first selection of the "golden", fully hadronic decay mode Bs->Ds pi(phi pi)X at DØ is presented in this thesis. All data, taken between April 2002 and August 2007 with the DØ detector, corresponding to an integrated luminosity of int{L}dt=2.8/fb is used. The oscillation frequency Dms and the ratio |Vtd|/|Vts| are determined as Dms = (16.6 +0.5-0.4(stat) +0.4-0.3(sys)) 1/ps, |Vtd|/|Vts| = 0.213 +0.004-0.003(exp)pm 0.008(theor). These results are consistent with the standard model expectations and no evidence for new physics is observable.