975 resultados para Irigarey, Luce
Resumo:
OPA3 è una proteina codificata dal genoma nucleare che, grazie a una sequenza di targeting mitocondriale, viene indirizzata ai mitocondri dopo la sua sintesi. Le mutazioni nel gene OPA3 sono associate a due patologie neurodegenerative: la Sindrome di Costeff, causata da mutazioni recessive, e una forma di atrofia ottica dominante che si manifesta con cataratta e spesso sordità. L’esatta funzione e regolazione della proteina non sono ancora state completamente chiarite, così come la sua localizzazione nella membrana mitocondriale esterna o interna. Lo scopo di questa tesi era quello di fare luce sulla funzione della proteina OPA3, con particolare interesse alla dinamica mitocondriale e all’autofagia, sulla sua localizzazione subcellulare ed infine di definire il meccanismo patogenetico nelle patologie neurodegenerative causate da mutazioni in questo gene. A questo scopo abbiamo utilizzato sia una linea di neuroblastoma silenziata stabilmente per OPA3 che linee cellulari primarie derivate da pazienti. I risultati del presente studio dimostrano che la riduzione di OPA3, indotta nelle cellule del neuroblastoma e presente nei fibroblasti derivati dai pazienti, produce alterazioni nel network mitocondriale con uno sbilanciamento a favore della fusione. Questo fenomeno è probabilmente dovuto all’aumento della forma long della proteina OPA1 che è stato riscontrato in entrambi i modelli cellulari. Inoltre, seppur con direzione apparentemente opposta, in entrambi i modelli abbiamo osservato un’alterata regolazione dell’autofagia. Infine, abbiamo confermato che OPA3 localizza nella membrana mitocondriale interna ed è esposta per gran parte nella matrice. Inoltre, un segnale della proteina è stato trovato anche nelle mitochondrial associated membranes, suggerendo un possibile ruolo di OPA3 nel trasferimento dei lipidi tra i mitocondri e il reticolo endoplasmatico. Abbiamo rilevato un’interazione della proteina OPA3 con l’acido fosfatidico che non era mai stata evidenziata fino ad oggi. Queste osservazioni sono compatibili con le alterazioni della dinamica mitocondriale e la disregolazione dell’autofagia documentate nei modelli studiati.
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La presente tesi di dottorato ha come oggetto principale la catalogazione dei 120 frammenti latini manoscritti rinvenuti all’interno del fondo Parrocchie Soppresse della Città dell’Archivio Generale Arcivescovile di Bologna. Sono di lacerti di pergamena provenienti da antichi codici e documenti dismessi per varie ragioni, riutilizzati come materiale povero di legatoria per il confezionamento di registri parrocchiali di epoca moderna. I frammenti, che ad oggi si trovano tutti in situ, ossia svolgono ancora la loro funzione di riuso, rappresentano un variegato patrimonio manoscritto mutilo totalmente sconosciuto, reso per la prima volta accessibile proprio dal presente strumento descrittivo. In apertura al catalogo si colloca un’ampia sezione dedicata a delineare lo stato degli studi e degli orientamenti di ricerca intrapresi per proporre delle soluzioni alle criticità peculiari connesse alla catalogazione di manoscritti mutili: un dibattito che però ha preso in considerazione, quasi in maniera esclusiva, i frammenti di natura libraria. Pertanto, si è ritenuto necessario dare rilievo alle questioni poste dalla descrizione dei lacerti di documenti, estremamente frequenti tra le tipologie testuali reimpiegate. Tale considerazione appare necessaria, specialmente in un panorama di ricerca che si propone di guardare a grandi corpora frammentari con un approccio interdisciplinare, che si serve, inoltre, dei nuovi strumenti offerti dalle digital humanities. A dimostrazione dell’eterogeneità delle fonti rinvenute, le quali ricoprono un arco temporale che va dalla fine dell’XI secolo agli inizi del XVIII, si propongono due casi di studio rivolti all’analisi paleografica e testuale di un lacerto del De mulieribus claris di Boccaccio e di un testimone di XII sec. della Passio di S. Giuliana. Infine, la realizzazione del presente progetto è stata accompagnata da un parallelo censimento dei disiecta membra all’interno di altri fondi dell’Archivio Arcivescovile , un’operazione che, nonostante sia ancora in corso, ha già portato alla luce quasi 600 nuove maculature del tutto inedite.
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La conoscenza del tasso di crescita di due popolazioni di Pinna nobilis, in due località del Mar Mediterraneo Occidentale, insieme ad una stima d’età, sono un requisito fondamentale per poter comprendere meglio la biologia e l’ecologia di questa specie, al fine di poter istituire specifiche misure di tutela e conservazione. L’obiettivo di questa tesi è quello di utilizzare lo studio della sclerocronologia per comprendere l’origine dei registri interni di crescita e giungere così ad informazioni più accurate sulle modalità di accrescimento. Le valve di individui morti di Pinna nobilis sono state prelevate in due zone della costa Valenciana (Spagna), Calpe e Isola di Tabarca, al fine di valutare la variabilità del processo di crescita. Dalle valve sono state create delle sezioni di 300µm, grazie all’utilizzo di una sega con lama a diamante. Tali sezioni sono state osservate allo stereo-microscopio a luce trasmessa in direzione antero-posteriore. Una stima d’età iniziale è stata effettuata tramite una conta delle lingue di madreperla individuate. Per una stima più precisa è stato analizzato anche lo spessore dello strato di calcite in prossimità dei tre registri interni di crescita più vecchi. Gli individui più longevi appartengono alla popolazione dell’Isola di Tabarca (età max= 25anni), mentre l’età massima raggiunta dagli individui della popolazione di Calpe è 17 anni. Per analizzare l’accrescimento degli individui è stata utilizzata l’equazione di crescita di Von Bertalanffy. Gli individui della popolazione di Calpe hanno un tasso di accrescimento più elevato rispetto a quelli della popolazione di Tabarca, con una lunghezza massima asintotica (Lmax) di 65.2cm per Calpe e 54.9cm per l’Isola di Tabarca. Tali risultati confermano l’esistenza di una forte variabilità di accrescimento fra popolazioni di siti diversi. Le cause son da ricercare nelle caratteristiche dell’area, come il livello trofico, l’esposizione alla forza di onde e correnti o all’impatto antropico.
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Lo scopo del lavoro di tesi consiste nello studio petrografico, dalla scala dell’affioramento a quella della sezione sottile, di rocce di basamento cristallino soggetto a metamorfismo e deformazione polifasiche. La zona di studio è la Spiaggia di Remaiolo, Elba SE. Questo settore da un punto di vista geologico fa parte del Complesso di M. Calamita, all’interno dell’Unità di Porto Azzurro. Gli affioramenti studiati mostrano diversi eventi metamorfici: il basamento metamorfico Ercinico e le sue coperture mesozoiche subiscono una sovraimpronta metamorfica Alpina di età Oligo-Miocenica correlabile alla strutturazione della catena dell’Appenino Settentrionale. Successivamente le rocce subiscono un’ulteriore sovraimpronta termometamorfica Mio-Pliocenica legata all’intrusione del plutone La Serra-Porto Azzurro. Il lavoro di campagna ha comportato un rilevamento di dettaglio per creare una Carta degli affioramenti (Allegato 1) e prelevare dei campioni rappresentativi delle litologie. Il lavoro di laboratorio si è svolto su 6 sezioni sottili, realizzate con i campioni prelevati in campagna, tramite l’ausilio del microscopio ottico a luce polarizzata.
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Con il presente progetto di tesi si è voluto mettere a confronto due assorbitori UV in film di polietilene per uso agricolo. I film sono stati prodotti con un estrusore multistrato e sono stati caratterizzati, in analisi elementare per la determinazione del contenuto totale di azoto e in cromatografia liquida per la determinazione specifica del contenuto dei due assorbitori UV. I film sono stati esposti in condizioni sperimentali diverse: esposizione in stufa a 60°C con ventilazione forzata, esposizione alla luce artificiale e conservazione a temperatura ambiente. Ad intervalli di tempo prestabiliti sui campioni sono state fatte le seguenti valutazioni: determinazione delle proprietà meccaniche, analisi spettrofotometriche (FT-IR e UV) e determinazione qualitativa della migrazione dell’additivo. Alla fine del periodo di tesi si è potuto concludere che i due UVA mostrano la stessa compatibilità con la matrice polimerica, ma presentano una diversa fotostabilità. L’UVA normalmente impiegato in questo settore infatti ha una fotostabilità leggermente superiore a quella del nuovo UVA testato.
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Dall’inizio del XXI secolo, un’importante rivoluzione tecnologica è in corso nel campo delle neuroscienze: l’idea di base è quella di attivare/inibire con la luce un neurone che normalmente non è in grado di rispondere a tale stimolo. Si tratta di un approccio che integra metodi ottici e genetici per controllare l’attività di cellule eccitabili e di circuiti neuronali. La combinazione di metodi ottici con strumenti fotosensibili geneticamente codificati (optogenetica) offre l’opportunità di modulare e monitorare rapidamente un gran numero di eventi neuronali e la capacità di ricreare i modelli fisiologici, spaziali e temporali dell’attività cerebrale. Le tecniche di stimolazione ottica possono rispondere ad alcune delle problematiche legate alla stimolazione elettrica, fornendo una stimolazione più selettiva, una maggiore risoluzione spaziale e una minore invasività del dispositivo, evitando gli artefatti elettrici che complicano le registrazioni dell’attività neuronale elettricamente indotta. Quest’innovazione ha motivato lo sviluppo di nuovi metodi ottici per la fotostimolazione neuronale, tra cui la fotostimolazione neuronale nell’infrarosso, le tecniche di scansione del fascio e di fotostimolazione parallela, ciascuna con i suoi vantaggi e limiti. Questa tesi illustra i principi di funzionamento delle tecniche di fotostimolazione ed il loro utilizzo in optogenetica, presentandone i vantaggi e gli inconvenienti. Infine, nell’elaborato è presa in considerazione la possibilità di combinare i metodi di fotostimolazione con approcci di imaging ottico funzionale innovativi per un’indagine più ampia, mirata e completa del circuito neuronale. Sebbene siano necessari ulteriori studi, le tecniche di fotostimolazione in optogenetica sono quindi molto promettenti per la comprensione dei disturbi neuronali, svelando la codifica neurale e facilitando nuovi interventi per la diagnosi e terapia di malattie neurologiche.
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La modellazione di una pompa gerotor può essere svolta mediante l'utilizzo di modelli matematici di tipo numerico. Questo tipo di soluzione prevedere la realizzazione di un dominio fluido discretizzato. In questo lavoro l'analisi è stata effettuata mediante il software STAR-CCM+. Sono state applicate due tecniche per la discretizzazione del dominio, l'Overset ed il Morphing, applicabili in problemi di interazione tra fluido e struttura in movimento. Analizzate le due tecniche, la seconda è stata applicata nello studio del comportamento di una pompa gerotor. I risultati ottenuti hanno portato alla definizione di un secondo modello ottimizzato mediante la variazione della luce di aspirazione.
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L’implementazione di un sistema di gestione può rappresentare un’opportunità di crescita per quelle organizzazioni che riescono ad integrare efficacemente la gestione degli aspetti di salute e sicurezza con gli altri sistemi presenti, quali il sistema di gestione strategica o il sistema di comunicazione interno. Un sistema di gestione non garantisce, in modo diretto, performance migliori, ma se utilizzato con coerenza rispetto ai valori aziendali, stabiliti nella politica di gruppo, permette di gestire le responsabilità, i processi, le tempistiche di attuazione e le non conformità rilevate in maniera adeguata. Alla luce di quanto esposto, l’obiettivo di questo lavoro è stato quello di: 1. esaminare i requisiti del nuovo Standard ISO 45001:2018 e della OHSAS 18001:2007 in via di sostituzione; 2. effettuare la gap analysis, ovvero un’analisi degli scostamenti relativa ai contenuti della ISO 45001:2018 a partire dal sistema di gestione salute e sicurezza aziendale certificato OHSAS 18001:2007; 3. definire le azioni necessarie ad assicurare la transizione della certificazione dall’attuale Standard OHSAS 18001:2007 al suddetto ISO 45001:2018. Il lavoro è scaturito nel corso dello svolgimento di un tirocinio presso Rosetti Marino S.p.A. all’interno del reparto HSSE-Q che si occupa di salute e sicurezza sul lavoro, protezione dell’ambiente e qualità dei processi produttivi.
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Il presente lavoro di Tesi Magistrale nasce dall’esigenza di trovare soluzioni alle problematiche legate alla produzione e smaltimento delle plastiche, prevalentemente provenienti dal packaging alimentare. Una delle strategie maggiormente utilizzate in alternativa all’accumulo in discarica, è il riciclo. Questa soluzione ha però alcuni limiti: basse performance rispetto al materiale vergine e costi di processo troppo elevati a causa dei problemi di contaminazione e delle strutture multistrato. Alla luce di ciò, la ricerca scientifica si è orientata verso nuovi approcci come la sintesi di bioplastiche compostabili. Il poli(butilene furanoato) (PBF), è un buon candidato come materiale plastico per il packaging alimentare, ma possiede scarse caratteristiche di biodegradabilità e proprietà meccaniche non adeguate all’imballaggio flessibile. Per superare tali limitazioni, è stata messa a punto la sintesi di un nuovo poliestere, il poli(dietilene furanoato) (PDEF), un polimero biobased che si differenzia dal PBF per la presenza di un atomo di ossigeno etereo nella sub-unità glicolica. I due polimeri sono stati sottoposti ad una completa caratterizzazione chimico-fisica, con lo scopo di valutare l’effetto dell’introduzione di ossigeni eterei lungo la catena polimerica sulle proprietà finali del materiale. Oltre alla caratterizzazione molecolare e strutturale, è stato studiato anche il comportamento termico, la risposta meccanica e la permeabilità a diversi tipi di gas oltre che le caratteristiche di compostabilità. I risultati ottenuti hanno mostrato come nel PDEF vi sia un netto miglioramento delle proprietà non idonee per applicazioni nel packaging flessibile del PBF, in particolare quelle meccaniche, insieme a un ulteriore potenziamento delle già buone proprietà barriera. Inoltre, aspetto di fondamentale importanza nell’ottica della realizzazione di un materiale ecosostenibile, il PDEF mostra una velocità di degradazione in compost eccezionalmente elevata.
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Argomento di questa tesi è lo studio della reazione di racemizzazione fotochimica di alcuni alchilidenossindoli. Si è tentato di sfruttare l’interazione tra i substrati studiati e la luce in campo sintetico come ad esempio la risoluzione cinetica dinamica. Si è trovata l’evidenza sperimentale che i substrati studiati racemizzano se esposti a radiazione UV-Vis. I risultati ottenuti dai test effettuati per capire il meccanismo che porta alla racemizzazone hanno evidenziato che l’intermedio di reazione non è un enolo.
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Il Paclitaxel (PTX) è un potente agente chemioterapico approvato per il trattamento di numerosi tumori solidi. Tuttavia, la scarsa solubilità in acqua e l’elevata tossicità causano gravi effetti collaterali che pregiudicano severamente la qualità di vita dei pazienti, già compromessa dalla patologia. Il presente lavoro di tesi ha riguardato la preparazione mediante nano-precipitazione di micelle di un pro-farmaco del PTX (PTX2S), caricate con feoforbide a (PheoA), una molecola fotosensibile che illuminata ad una specifica lunghezza d’onda genera specie reattive all’ossigeno (ROS) e ossigeno di singoletto (1O2) capaci di uccidere le cellule tumorali. Le nanomicelle sono state caratterizzate in termini di stabilità in condizioni fisiologiche, capacità di loading e di rilascio del farmaco e sviluppo di ROS a seguito di irraggiamento con luce bianca. Inoltre, test preliminari in vitro eseguiti su cellule staminali mesenchimali umane (MSC) hanno dimostrato che le nanomicelle sono efficacemente internalizzate dalle cellule senza comprometterne la vitalità e la morfologia. Tali dati preliminari dimostrano che le MSC possono essere quindi utilizzate come vettori selettivi delle nanomicelle qui descritte.
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Tra la frutta esotica di recente introduzione nel territorio italiano c’è anche la Pitaya, un frutto tropicale originario del Sud America, che oltre ad essere una novità per quello che è il mercato della frutta alternativa, esso è anche un alimento funzionale. Molti studi mettono in luce gli aspetti nutrizionali e farmacologici di tale frutto, attribuibili principalmente alla presenza di composti minori come le sostanze fenoliche, note per la loro bioattività. Per tale motivo, lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di valutare quali-quantitativamente i composti fenolici presenti in due specie di pitaya (H. undatus e H. megalanthus), analizzate mediante UPLC-ESI-TOF-MS. Nei campioni di pitaya analizzati sono stati identificati tredici composti polari: un acido organico, un derivato amminoacidico e undici derivati fenolici tra cui tre flavonoli glicosilati, due iridoidi di cui uno presenta due isomeri, un acido idrossicinammico aglicone, tre isomeri di un acido idrossicinammico glicosilato e un composto glicosilato scoperto di recente. I risultati ottenuti appaiono soddisfacenti sia dal punto di vista analitico che compositivo. Dal punto di vista analitico sono stati identificati nuovi composti fenolici nella pitaya come caffeoylisocitrate, hydroxyferuloyl hexoside, sinustoside e ligulucidumoside C. Dal punto di vista compositivo è stato possibile ottenere una panoramica di composti polari simili tra i campioni e la bibliografia. La comparazione con altre tipologie di frutta, tropicale e non, ci attesta che il contenuto fenolico della pitaya si posiziona tra i valori intermedi, è importante considerare sempre la variabilità legata alle caratteristiche pedo-climatiche dei frutti presi in esame. Nonostante i buoni risultati ottenuti, è importante sottolineare che questo rappresenta uno screening preliminare della composizione fenolica della pitaya e che seguiranno ricerche più approfondite per migliorare la valutazione quali-quantitativa di tale cromatogramma.
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Contarina è un’azienda che si occupa della gestione dei rifiuti in 49 Comuni della Provincia di Treviso. L’esperienza di tirocinio svoltasi presso tale realtà aziendale, ha avuto come obiettivo l’analisi della tracciabilità dei principali rifiuti trattati dagli impianti di Contarina, al fine di comprendere l’efficienza del sistema di gestione integrata del rifiuto urbano. Dopo un breve inquadramento normativo, si è proceduto a descrivere il modello di gestione messo in atto dall’azienda, analizzandone anche le modalità operative. Oltre al calcolo della percentuale di materiale raccolto in maniera differenziata, secondo differenti metodologie e all’analisi quantitativa e qualitativa dei rifiuti prodotti, per stimare l’effettivo quantitativo di materiale avviato a recupero, sono stati elaborati dei bilanci di massa per le seguenti filiere di rifiuto: vetro, plastica, metalli, carta e cartone, frazioni biodegradabili e indifferenziato. Tali categorie di rifiuto infatti, costituiscono la maggior parte dei rifiuti raccolti e trattati da Contarina. L’analisi dei dati ha rivelato una buona efficienza di captazione del sistema di raccolta differenziata ed anche un’elevata qualità merceologica del rifiuto gestito. In merito all’efficienza di trattamento e alla quantità del materiale avviato a recupero, alcune filiere si sono dimostrate più virtuose di altre, come ad esempio quella relativa al rifiuto cartaceo, dove il 99.3% del materiale trattato è diventato materia prima seconda. L’elaborato ha messo in luce inoltre come il quantitativo di materiale recuperabile venga influenzato, oltre che dalla qualità e tipologia di rifiuto trattato, anche dalla modalità di conferimento e dall’efficienza separativa degli impianti. Complessivamente, attraverso il trattamento delle principali categorie di rifiuto raccolte tramite il sistema porta a porta e gestite all’interno degli impianti Contarina, l’azienda trevigiana ha avviato a recupero, più dell’85% del materiale selezionato.
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Gli ologrammi sono parte integrante della cultura pop a partire dagli anni 50, tanto che ad oggi sentirne parlare non desta più scalpore. Dal lato pratico, invece, solo negli ultimi anni sono state fatte ricerche approfondite con lo scopo di realizzarli. Fra i dispositivi attualmente in commercio, in pochi sono degni di nota e presentano numerose limitazioni, questo perché è molto difficile riuscire a progettare un sistema che permetta di illuminare dei punti specifici in uno spazio tridimensionale per lunghi periodi. In questa tesi si illustrano i principi di funzionamento ed il progetto per un nuovo dispositivo, diverso da quelli fino ad ora realizzati, che sfrutti il decadimento spontaneo di atomi di rubidio eccitati tramite due fasci laser opportunamente incrociati. Nel punto di incrocio si produce luce visibile a 420 nm. Con un opportuno sistema di specchi che muovono velocemente il punto di intersezione tra i due fasci è possibile realizzare un vero ologramma tridimensionale visibile da quasi ogni angolazione.
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Scopo del presente lavoro di tesi è la sintesi di un complesso di manganese contenente un legante bis N-eterociclico e la sua applicazione come catalizzatore nelle reazioni di idrosililazione e idroborazione di doppi e tripli legami. I composti organici sililati e borilati sono importanti prodotti intermedi in diversi settori della chimica fine grazie alla loro stabilità e alla loro capacità di essere ampiamente funzionalizzati. Idroborazione e idrosililazione, grazie allo sviluppo di catalizzatori appositi, permettono di ottenere questi composti riducendo coprodotti, sottoprodotti e condizioni operative estreme. Generalmente i catalizzatori impiegati industrialmente contengono metalli di transizione costosi, rari e non biocompatibili. Per questo motivo negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sullo sviluppo di nuovi catalizzatori a base di metalli della prima serie di transizione tra cui il manganese, noto per essere abbondante sulla crosta terrestre, economico e biocompatibile. I composti N-eterociclici (NHC) sono una classe di leganti tra le più utilizzate poiché oltre a una grossa variabilità di caratteristiche steriche ed elettroniche, consentono di stabilizzare la specie metallica. I complessi N-eterociclici di manganese sono stati scarsamente applicati nelle reazioni di idroborazione e idrosililazione. Per questo motivo, il gruppo dove ho svolto il mio tirocinio si è dedicato a questo tipo di ricerca, sintetizzando e testando un complesso bis-NHC di manganese nell’idrosililazione di carbonili e solfossidi. Il mio lavoro si inserisce all’interno di questo ampio progetto, applicando nuovamente lo stesso complesso su una serie di substrati e reazioni differenti. In particolare, l’idrosililazione è stata applicata su alchini, alcheni e su carbonili (in questo caso attivando il complesso con la luce visibile). Inoltre, si è testata l’attività catalitica del complesso nell’idroborazione di alchini.