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Resumo:
La filosofia del lean thinking ha dimostrato in numerose occasioni, dalla sua nascita ad oggi, di poter apportare reali e consistenti benefici all’interno degli ambienti aziendali rivoluzionando a volte non solo il modo di produrre delle aziende ma anche quello di pensare, generando un profondo cambiamento culturale. La filosofia lean nasce come esigenza di riadattamento del sistema produttivo in contrapposizione a quello della mass production per questo molti dei testi di riferimento storici sul lean thinking citano prassi e casi aziendali che toccano esclusivamente l’ambito della produzione, tuttavia tale ambito rappresenta solamente uno dei tanti che si possono osservare in ambito aziendale. Successivamente si è compreso come il lean thinking rappresenti in realtà un sistema, composto da: principi, tecniche, metodi e strumenti in grado di garantire il miglioramento dei processi. Si tratta di fatto di un framework adattabile alle diverse funzioni aziendali e che per massimizzare la propria efficacia deve essere assimilato dall’intera organizzazione e non solo dall’ambiente produttivo. Negli anni infatti l’aggettivo “lean” è stato accostato agli ambiti più vari: lean sales, lean accounting, lean services, lean managment, lean organization, lean enterprise, lean office e molti altri. Tuttavia raramente ci si imbatte nel termine “lean warehousing” e ancora più raramente ci si imbatte in casi di applicazioni di strumenti lean in ambito logistico o a testi di riferimento che trattino l’argomento. In un mercato sempre più̀ competitivo è fondamentale per qualsiasi azienda avere una logistica efficiente e flessibile che consenta di offrire un alto livello di servizio per il cliente. Il magazzino rappresenta il punto di arrivo e di partenza per ogni flusso logistico e data la rilevanza che ancora oggi la sua funzione detiene per le aziende risulta fondamentale per il successo dell’interno sistema implementare anche in questa divisione la filosofia lean.
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Il primo modello matematico in grado di descrivere il prototipo di un sistema eccitabile assimilabile ad un neurone fu sviluppato da R. FitzHugh e J. Nagumo nel 1961. Tale modello, per quanto schematico, rappresenta un importante punto di partenza per la ricerca nell'ambito neuroscientifico delle dinamiche neuronali, ed è infatti capostipite di una serie di lavori che hanno puntato a migliorare l’accuratezza e la predicibilità dei modelli matematici per le scienze. L’elevato grado di complessità nello studio dei neuroni e delle dinamiche inter-neuronali comporta, tuttavia, che molte delle caratteristiche e delle potenzialità dell’ambito non siano ancora state comprese appieno. In questo lavoro verrà approfondito un modello ispirato al lavoro originale di FitzHugh e Nagumo. Tale modello presenta l’introduzione di un termine di self-coupling con ritardo temporale nel sistema di equazioni differenziali, diventa dunque rappresentativo di modelli di campo medio in grado di descrivere gli stati macroscopici di un ensemble di neuroni. L'introduzione del ritardo è funzionale ad una descrizione più realistica dei sistemi neuronali, e produce una dinamica più ricca e complessa rispetto a quella presente nella versione originale del modello. Sarà mostrata l'esistenza di una soluzione a ciclo limite nel modello che comprende il termine di ritardo temporale, ove tale soluzione non può essere interpretata nell’ambito delle biforcazioni di Hopf. Allo scopo di esplorare alcune delle caratteristiche basilari della modellizzazione del neurone, verrà principalmente utilizzata l’impostazione della teoria dei sistemi dinamici, integrando dove necessario con alcune nozioni provenienti dall’ambito fisiologico. In conclusione sarà riportata una sezione di approfondimento sulla integrazione numerica delle equazioni differenziali con ritardo.
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Lo sviluppo della forma di una città nel corso dei secoli è dettato dall’interazione tra ambiente, uomo e il soddisfacimento dei bisogni del tempo. Non sempre, però, queste tre cose si equilibrano e quelli che ne risultano sono spazi privi di caratteristiche proprie. Ne è esempio l’ingresso nord della stazione di Cesena: nonostante la sua posizione centrale all’interno della città e il numero di pendolari che tutti giorni la attraversano, non è ancora riuscito a definire una forma capace di affermarsi all’interno del tessuto urbano. Compreso tra la ferrovia e il parco novello, il progetto si propone la realizzazione di un nuovo complesso pubblico che possa al tempo stesso connettere le due parti di città e stabilire una relazione concreta con il grande corridoio verde. L’area ospiterà nuovi servizi per i viaggiatori e spazi polifunzionali aperti alla cittadinanza al fine di restituire una nuova immagine alla stazione ferroviaria capace di giocare un ruolo attivo nella dinamica urbana diventando polo attrattore del quartiere.
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Popillia japonica Newman (Coleoptera, Scarabaeidae) o, più volgarmente, scarabeo giapponese, è un insetto che dagli aerali d’origine in Asia orientale è arrivato negli USA a partire dai primi del '900 e infine si è diffuso in numerosi territori nel mondo. In Italia, P. japonica, classificato come insetto da quarantena, si trova principalmente in due regioni: Piemonte e Lombardia; in Emilia-Romagna la presenza è ancora sporadica. Insetto altamente polifago e capace di nutrirsi a spese di molte specie botaniche, può causare danni diretti ed indiretti che vanno a inficiare la produzione e la qualità. Sulla vite, sia europea che americana, il coleottero adulto provoca defogliazioni che, se non controllate, possono portare ad una totale perdita della superfice fogliare. Le larve non attaccano direttamente la vite ma possono causare danni alla vegetazione erbacea di interfila e sottofila. È fondamentale limitare l’espansione di P. japonica sul territorio Italiano, poiché i danni che potrebbe causare ammonterebbero a svariati milioni di euro ogni anno. Le azioni di monitoraggio, che sono eseguite principalmente tramite trappole a feromoni e rilievi visivi, sono quindi di estrema importanza. Esistono vari metodi di gestione utili a contenere le popolazioni di P. japonica sia allo stato larvale che adulto. A oggi, i più efficaci si basano sull’utilizzo di insetticidi di sintesi attivi contro larve e adulti. I metodi di gestione agronomici possono contribuire a ridurre la presenza dell’insetto contenendo soprattutto la popolazione larvale e in parte anche quella adulta. Purtroppo i risultati ottenuti tramite lotta biologica sono, invece, piuttosto scarsi.
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Il lavoro svolto in questa tesi era finalizzato allo studio di 14 ceppi di Companilactobacillus alimentarius isolati da salami spagnoli con un duplice obiettivo: da una parte aumentare la conoscenza relativa a questa specie, le cui informazioni in letteratura sono ancora scarse, dall’altra valutarne i caratteri di sicurezza e le performance tecnologiche per selezionare ceppi da utilizzare eventualmente come colture starter e/o bioprotettive in salumi fermentati o altri prodotti alimentari. I ceppi sono stati prima testati per la loro capacità di produrre ammine biogene, con circa la metà dei ceppi in grado di produrre tiramina, mentre solo 4 accumulavano istamina e due putrescina. Dai dati relativi all’antibiotico resistenza è emerso che la metà dei ceppi erano sensibili agli 8 antibiotici testati. È stata valutata poi la capacità dei ceppi di crescere a diverse temperature (10, 20 e 30°C) e a diverse concentrazioni di NaCl (0, 2,5, 5%). I risultati hanno mostrato un andamento variabile: un solo ceppo non era in grado di crescere a 10°C, mentre a 30°C i ceppi si dividevano in due gruppi, ed i ceppi caratterizzati da maggiori velocità di sviluppo a questa temperatura erano anche quelli dotati delle migliori performance a 20 e 10°C. Mentre per la capacità di crescere a diverse concentrazioni di sale, la variabilità era più evidente alla più alta concentrazione di NaCl (5%). Infine, è stata valutata la capacità di produrre molecole che potessero avere un impatto sul profilo sensoriale del prodotto, tra cui i composti derivanti dall’acido piruvico (acetoino, diacetile, 2-butanone), acido acetico, etanolo, benzeneacetaldeide e benzaldeide, ed anche in questo caso i ceppi hanno mostrato attitudini diverse all’accumulo di questi metaboliti. Sulla base dei dati ottenuti in questo lavoro sperimentale, 2 ceppi tra i 14 testati sono stati scelti per future sperimentazioni, dapprima in vitro e poi in sistemi reali, per valutare il loro potenziale come nuove colture starter.
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Che si parli di tempi passati o del presente, la parola Lambrusco ha sempre avuto la capacità di suscitare notevole curiosità in chi vi si imbatteva. Si voglia perché esso rappresenta uno dei vini italiani con i più alti volumi di produzione, o perché per anni è stato (ed è tuttora) tra i maggiormente esportati in tutto il mondo, o ancora perché si tratta di un vino rosso con le bollicine, attributo tanto originale quanto unico. Questa tesi si propone di presentare sommariamente il vitigno Lambrusco Grasparossa descrivendone gli aspetti storici ma soprattutto quelli territoriali e agronomici, in riferimento ad un’azienda specifica a conduzione famigliare situata nell’areale di Castelvetro di Modena; si farà riferimento dunque alla Denominazione Lambrusco Grasparossa di Castelvetro. L’obiettivo sperimentale della tesi è quello di studiare, attraverso opportune analisi chimico-fisiche ed indagini organolettiche, la differenza tra un Lambrusco Grasparossa che ha subito un processo di microfiltrazione tangenziale in fase di pre-imbottigliamento ed uno che invece è stato imbottigliato senza la filtrazione, in seguito ad una lunga fase di stabilizzazione a freddo. In particolar modo si è cercato di valutare le differenze chimico-fisiche in termini di fenoli totali, profilo del colore e stabilità, oltre alle differenze organolettiche, evidenziate grazie a degustazioni svolte da tecnici professionisti. L’interesse verso questo tipo di indagine è scaturito dalla volontà di comprendere fino a che punto i due campioni potessero differire l’uno dall’altro e valutare, eventualmente, di eliminare l’utilizzo della filtrazione sterile prima dell’imbottigliamento per questo tipo di vino. Tutto ciò potrebbe snellire il processo di vinificazione al fine di: ridurre lo stress sul vino, alleggerire la lavorazione, accorciare i tempi di lavorazione, portare ad un minor consumo di acqua ed energia e ridurre i costi.
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In questa tesi si affronta analiticamente il problema della stabilità di modelli a più specie interagenti, in campo epidemiologico, per la diffusione ed il controllo di infezioni da virus. Vengono considerati non solo modelli governati da Sistemi Dinamici, ma anche modelli parabolici del tipo Diffusione e Reazione. Partendo dal modello pioneristico SIR di Kermak-McKendrick si affrontano in modo approfondito tutti gli aspetti matematici che permettono di prevenire e controllare la formazione e la gravità di una possibile epidemia. Il modello viene poi articolato con l'aggiunta di considerazioni sulla variazione demografica della popolazione, indicato per questo motivo con il termine endemico. Si generalizza poi questo modello a due possibili applicazioni, includendo nella prima gli effetti della vaccinazione, ottenendo così il nuovo sistema dinamico SIRV. La seconda rappresenta invece uno studio avvenuto agli inizi dell'epidemia da COVID-19, quando i vaccini non erano ancora disponibili. Successivamente viene presentato il recente studio di Bellomo, estensione del modello prototipo per la diffusione di virus, un sistema di tipo Diffusione-Reazione con equazione di tipo diffusione-drift, in cui vengono connessi due aspetti importanti: la propagazione di virus e la chemotassi, in forte analogia con il modello SIR e derivante dalla logica del modello pioneristico di Keller-Segel. Infine, a completamento dello studio analitico, vengono proposti alcuni strumenti dell'analisi numerica, utilizzando l'ambiente MATLAB sul classico modello SIR e su altri due modelli che lo generalizzano per tener conto in un primo tempo della diffusione spaziale della coppia SI e poi solo di S, ma con effetto drift, guidato da I.
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L'elaborato analizza il rapporto tra l'audiovisivo in generale e le disabilità. Nel dettaglio vengono, innanzitutto, illustrati i metodi che rendono accessibile un prodotto audiovisivo, come sottotitoli o interpreti in lingua dei segni per i sordi, oppure audio descrizioni per le persone cieche. Successivamente, attraverso l'approfondimento di numerosi film e serie tv, ma anche spot pubblicitari e cortometraggi, viene affrontato il tema della rappresentazione, che deve essere più trasparente e veritiera nei confronti del pubblico, anche e soprattutto per chi si approccia per la prima volta alle disabilità. Il terzo capitolo è un caso di studio sulla sordità. Si passa da una breve storia fino agli errori più comuni che si effettuano ancora oggi quando si parla di cultura dei sordi. Durante il corso della tesi ci si porrà diverse domande. Quanto conta realmente la persona disabile quando si parla di intrattenimento? Può essere corretto affidare ad un attore normodotato il ruolo di un personaggio disabile? I prodotti audiovisivi al giorno d'oggi presenti sul mercato possono essere al 100% accessibili? La ricerca è arricchita, oltre che con grafici ed immagini, anche con un'intervista a due autori che hanno inserito un personaggio disabile nella loro opera degli anni Duemila. Infine, verranno proposte decine e decine di titoli che spaziano tra diverse disabilità, in modo da permettere un approfondimento ulteriore al di fuori di questo elaborato. Il lavoro finale dimostra come la strada verso un audiovisivo sempre più accessibile ha fatto grandi passi nel corso degli anni, ma è necessaria ancora molta ricerca, informazione e conoscenza in tutte le sfaccettature della disabilità, per permettere un inclusione ed integrazione totale.
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Background:La letteratura dimostra che nei soggetti con insufficienza cardiaca grave l'impianto del Dispositivo di Assistenza Ventricolare (VAD) migliora la sopravvivenza in attesa del trapianto cardiaco. Nei soggetti portatori di VAD si rende sempre più indicato il trattamento fisioterapico, ma esistono ancora poche evidenze circa la sua efficacia. Obiettivo:Obiettivo primario di questa Revisione Sistematica è quello di valutare, nelle persone con VAD, le prove di efficacia della fisioterapia sulla funzionalità cardio-respiratoria, l’autonomia funzionale e la qualità della vita, ma anche l’incidenza di eventi avversi. Obiettivo secondario è la definizione di un possibile protocollo fisioterapico, accompagnato da appropriati strumenti di misura, indicato nei soggetti con VAD. Metodi:Sono stati ricercati dal 1/06 al 30/09/22 nei database PubMed, Cochrane Library, Scopus e PEDro, studi clinici randomizzati e controllati che valutassero l'impatto della fisioterapia dopo impianto di VAD rispetto all’usual care, in seguito stimati nel loro rischio di bias con il Cochrane RoB2tool. La sintesi dei dati è stata effettuata in forma qualitativa. Risultati:Sono stati inclusi 4 RCT per un totale di 82 partecipanti. Negli studi il trattamento è durato fino a 12 settimane ed è consistito in allenamento aerobico e/o esercizi di rinforzo e/o fisioterapia respiratoria, con una frequenza media di 3 vv/settimana. È stato registrato un solo evento avverso legato alla fisioterapia in uno studio. I risultati hanno mostrato miglioramenti nei valori di assorbimento del picco di ossigeno, nella distanza percorsa con il 6MWT e nei punteggi della QoL, senza tuttavia differenze statisticamente significative tra i due gruppi. Conclusioni:La fisioterapia dopo l'impianto di VAD migliora la capacità funzionale e la QoL. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi, preferibilmente multicentrici e con follow-up più lunghi, per valutare i reali benefici clinici della fisioterapia in tale popolazione.
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Background: La fibromialgia è una sindrome cronica caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico associato ad altri sintomi quali stanchezza, depressione, ansia e disturbi del sonno. Questa patologia colpisce tra il 2% ed il 4% della popolazione mondiale, con un’incidenza maggiore nel sesso femminile. Chi ne è affetto riferisce un significativo peggioramento delle relazioni sociali e della qualità di vita. Il resistance training, di cui sono noti i molteplici benefici sulla salute fisica e mentale dell’individuo, è stato di recente proposto come strategia terapeutica in questa tipologia di pazienti. Obiettivo: Ricercare in letteratura prove dell’efficacia di un approccio terapeutico basato sul resistance training per ridurre il dolore e migliorare la qualità di vita nei pazienti affetti da fibromialgia. Materiali e metodi: Sono state indagate le banche dati PubMed, PEDro e Cochrane Library utilizzando quattro diverse stringhe di ricerca, ottenute combinando le parole chiave con gli operatori booleani. Per la selezione degli studi è stato impiegato il diagramma di flusso PRISMA. Sono stati inclusi solo gli RCT che proponevano un programma di resistance training non combinato con altre metodiche riabilitative. Risultati: Dei 327 articoli inizialmente individuati sono stati inclusi 3 studi che mettevano a confronto il resistance training con altre metodiche riabilitative. Tutti e tre gli studi hanno dimostrato una riduzione statisticamente significativa dell’intensità del dolore e un miglioramento, seppur non sempre significativo, della qualità di vita. Conclusioni: Gli studi selezionati hanno evidenziato un effetto benefico del resistance training, se effettuato con regolarità e costanza, nel ridurre l’intensità del dolore e migliorare la qualità di vita nei pazienti affetti da fibromialgia. Tuttavia, visto il numero ancora limitato di studi sull’argomento, è auspicabile lo svolgimento di ulteriori trials per poter acquisire maggiori prove di efficacia.
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Introduzione: La spondilite anchilosante è un’infiammazione cronica e progressiva dello scheletro assiale, che colpisce principalmente la spina dorsale e le articolazioni sacro-iliache. Con il tempo, porta ad una riduzione della flessibilità della colonna e ad alterazioni posturali. La gestione della patologia risulta in alti costi da parte del Sistema Sanitario. È risaputo che la fisioterapia sia cruciale per ridurre i sintomi, ma non esiste ancora un protocollo, e gli effetti dei diversi tipi di esercizi rimangono incerti. Obiettivo: L’obiettivo del presente studio è quello di valutare l’efficacia di un programma di esercizi riabilitativi nei soggetti affetti da spondilite anchilosante rispetto al miglioramento del dolore, correlandolo con un eventuale miglioramento della mobilità. Materiali e metodi: Studio randomizzato controllato (RCT) monocentrico condotto in doppio cieco dal 29 Aprile 2021 e attualmente ancora in svolgimento presso l’Unità Operativa Complessa di Medicina Riabilitativa (UOCMR) Presidio Silvio Alvisi - Ausl di Imola. Hanno partecipato 36 soggetti, i quali sono stati randomizzati in due gruppi: 17 nel gruppo sperimentale (T) e 19 nel gruppo di controllo (C). Il gruppo T è stato sottoposto, oltre al trattamento biologico, mentre al gruppo C è stato somministrato il solo trattamento biologico. Risultati: I dati ottenuti denotano cambiamenti statisticamente significativi per quanto riguarda i punteggi BASFI e BASDAI nel breve termine (3 mesi) sia per il gruppo T che per il gruppo C. Non sono stati ottenuti risultati significativi nelle scale NRS e BASMI per il gruppo di trattamento. Conclusioni: Il trattamento riabilitativo si è dimostrato più efficace del solo trattamento biologico nella riduzione dell’attività di malattia e delle limitazioni funzionali. Tuttavia, sono necessari ulteriori studi che testino più approfonditamente l’efficacia dell’esercizio riabilitativo nel risolvere la sintomatologia dolorosa e nel migliorare la mobilità spinale.
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Abstract Background: La spondilite anchilosante (SA) è una patologia reumatica cronica infiammatoria. Provoca dolore e rigidità diffusi, con localizzazione principalmente al rachide lombo sacrale, ed impatta gravemente la qualità. Il trattamento d’elezione è di tipo farmacologico, ma viene raccomandato parallelamente un trattamento di tipo fisioterapico, nonostante non sia chiaro se risulta efficace nel migliorare la qualità della vita. Obbiettivo: L’obbiettivo di questo studio è quello di verificare l’efficacia del trattamento riabilitativo sulla qualità della vita nei soggetti affetti da spondilite anchilosante. Materiali e Metodi: Lo studio è un Trial Clinico Controllato Randomizzato, monocentrico, in doppio cieco, condotto presso l’Unità Operativa Complessa di Medicina Riabilitativa (UOCMR) Presidio S. Alvisi dell’Azienda USL di Imola, dal 29 Aprile 2021 ed attualmente ancora in corso. 36 partecipanti sono stati suddivisi in due gruppi: 19 nel gruppo di controllo hanno ricevuto il solo trattamento farmacologico, 17 nel gruppo sperimentale hanno ricevuto in aggiunta il trattamento fisioterapico. Risultati: Dai dati analizzati si evince un miglioramento statisticamente significativo della scala ASQoL nel breve termine (P=0.031), ma non nel lungo termine (P=0.058). Inoltre, in tutto il campione emerge un miglioramento statisticamente significativo dei valori di BASDAI (P<0.001) e BASFI (P<0.001), senza riscontrare differenze statisticamente significative fra il gruppo di controllo e il gruppo di trattamento. Conclusioni: Il trattamento riabilitativo è efficace nel migliorare la qualità della vita dei soggetti con SA nel breve termine, ma non sembra determinare un miglioramento nel lungo termine. Ulteriori studi sono necessari per approfondire l’efficacia della riabilitazione sulla qualità della vita.
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Introduzione: Il COVID-19 colpisce vari apparati e il meccanismo di diffusione non è noto. La quarantena durante la malattia inoltre costringe alla sedentarietà con ripercussioni fisiche e psicologiche. Lo studio indaga se il COVID-19 possa avere un’influenza sugli infortuni e sulla performance sportiva dei podisti e il ruolo della fisioterapia nella riabilitazione post infortunio. Materiali e metodi: La raccolta dati è avvenuta tramite distribuzione di questionari cartacei e digitali nelle società podistiche italiane dal 2 Marzo al 15 Aprile 2022. I criteri di inclusione erano l’essere maggiorenni, allenarsi almeno 1-2 volte a settimana e comprendere la lingua italiana. Risultati: 245 podisti rispettavano i criteri di inclusione. Negli ultimi 3 anni l’81,63% è incorso in infortunio; per la riabilitazione la maggior parte degli atleti si è rivolta a un fisioterapista e il grado di soddisfazione della riabilitazione è molto alto. Il 45,31% ha contratto il COVID-19 e di questi il 47,74% ha riferito una percezione di diminuzione della performance dopo la malattia, la quale non è influenzata dalla durata dell’interruzione degli allenamenti. Il 48,65% è incorso in infortunio dopo il COVID-19 e il tasso d’infortunio è maggiore rispetto al periodo antecedente al contagio. Non vi è invece differenza tra l’incidenza di infortunio di chi ha contratto il COVID-19 e il restante campione. Conclusione: Il COVID-19 potrebbe non predisporre maggiormente l’atleta a infortunio rispetto alla popolazione generale, ma potrebbe aumentare la sua suscettibilità rispetto al periodo antecedente al contagio. Il percorso riabilitativo più efficace per il recupero è quello intrapreso affidandosi a professionisti sanitari del settore. La malattia per molti ha un impatto molto negativo sulla propria performance, ma questo non dipende dall’interruzione prolungata degli allenamenti e quindi potrebbe non essere dovuto al deallenamento ma a qualche aspetto non ancora indagato in letteratura.
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Background: Il termine “disturbi associati al colpo di frusta” indica l’insieme di sintomi che insorgono in seguito ad un trauma con accelerazione-decelerazione del rachide cervicale durante un incidente automobilistico. Un anno dopo l’infortunio, circa il 50% degli individui riferisce ancora la presenza di cervicalgia. Sono state proposte diverse strategie di intervento per la gestione conservativa di questa condizione, fra cui l’esercizio terapeutico, ma le prove a sostegno sono ancora incerte. Obiettivo: Valutare l’efficacia dell’esercizio terapeutico nel trattamento dei disturbi cronici associati al colpo di frusta rispetto ad altri interventi o a nessun trattamento, in termini di miglioramento del dolore, disabilità e kinesiofobia. Materiali e metodi: È stata condotta una revisione sistematica della letteratura seguendo la checklist del PRISMA Statement 2020. La ricerca è stata effettuata su tre banche dati: PubMed, PEDro, Cochrane Library. Sono stati selezionati solo Trial Clinici Randomizzati Controllati che includessero pazienti adulti con disturbi cronici associati al colpo di frusta di grado I-III. Risultati: Sono stati inclusi 6 studi. Il rischio di bias è stato valutato con la PEDro Scale, ottenendo per tutti un punteggio ≥ 6, che riflette un’alta qualità metodologica. L’esercizio terapeutico si è rivelato significativamente più efficace nel migliorare gli outcome indagati, sia nel breve che nel lungo termine, rispetto all’attività fisica prescritta, all’educazione e a nessun trattamento, ma non alla terapia di base per la consapevolezza del corpo. Conclusioni: I risultati suggeriscono che l’esercizio terapeutico potrebbe rappresentare un approccio riabilitativo efficace per gli individui con dolore e disabilità cronici dopo un trauma da colpo di frusta. Tuttavia, non è possibile affermare che esso costituisca la scelta più valida. Pertanto, sono necessari ulteriori studi per determinare quale tipologia di pazienti possa effettivamente beneficiarne.
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Background:La gonartrosi è una patologia degenerativa che colpisce l’articolazione del ginocchio. Rappresenta un grave problema di salute pubblica mondiale e comporta dolore e riduzione della funzionalità. Sono presenti studi che confrontano l’uso di iniezioni intra articolari con la fisioterapia per ridurre il dolore, ma ad oggi non vi è ancora un gold standard per la gestione della malattia. Scopo della ricerca:Valutare l’efficacia della fisioterapia rispetto all’uso di iniezioni intra articolari in pazienti affetti da gonartrosi, sul dolore e sulla qualità di vita. Disegno dello studio:Revisione Sistematica della Letteratura effettuata seguendo il PRISMA Statement. Metodi:La ricerca è stata condotta nelle banche dati PubMed, PEDro, Cochrane Library. Sono stati inclusi trial randomizzati controllati (RCT) in lingua inglese e italiana, che confrontavano l’efficacia del trattamento fisioterapico rispetto all’utilizzo di iniezioni intra articolari, con outcome relativi a riduzione del dolore e al miglioramento della qualità di vita. La qualità metodologica e il rischio di bias sono stati valutati utilizzando la PEDro Scale. Risultati:Cinque studi sono stati inclusi in questa Revisione Sistematica. Ci sono stati due studi che hanno dimostrato la maggiore efficacia di altri trattamenti rispetto alla fisioterapia. Altri due trials hanno confrontato il trattamento fisioterapico con l’uso di iniezioni di acido ialuronico e si sono osservati risultati pressoché uguali tra i gruppi. Solo uno studio ha dimostrato la superiorità del trattamento combinato di iniezioni e programma riabilitativo nella gestione della gonartrosi, rispetto al solo utilizzo di iniezioni intra articolari. Conclusioni:I risultati contrastanti che si sono osservati non permettono di affermare con certezza la superiorità della fisioterapia rispetto all’utilizzo di iniezioni intra articolari, sebbene rappresenti una valida scelta terapeutica grazie al suo basso costo e alla sua ridotta invasività.