957 resultados para Heelu, Jan van.
Resumo:
L’analisi del movimento umano ha come obiettivo la descrizione del movimento assoluto e relativo dei segmenti ossei del soggetto e, ove richiesto, dei relativi tessuti molli durante l’esecuzione di esercizi fisici. La bioingegneria mette a disposizione dell’analisi del movimento gli strumenti ed i metodi necessari per una valutazione quantitativa di efficacia, funzione e/o qualità del movimento umano, consentendo al clinico l’analisi di aspetti non individuabili con gli esami tradizionali. Tali valutazioni possono essere di ausilio all’analisi clinica di pazienti e, specialmente con riferimento a problemi ortopedici, richiedono una elevata accuratezza e precisione perché il loro uso sia valido. Il miglioramento della affidabilità dell’analisi del movimento ha quindi un impatto positivo sia sulla metodologia utilizzata, sia sulle ricadute cliniche della stessa. Per perseguire gli obiettivi scientifici descritti, è necessario effettuare una stima precisa ed accurata della posizione e orientamento nello spazio dei segmenti ossei in esame durante l’esecuzione di un qualsiasi atto motorio. Tale descrizione può essere ottenuta mediante la definizione di un modello della porzione del corpo sotto analisi e la misura di due tipi di informazione: una relativa al movimento ed una alla morfologia. L’obiettivo è quindi stimare il vettore posizione e la matrice di orientamento necessari a descrivere la collocazione nello spazio virtuale 3D di un osso utilizzando le posizioni di punti, definiti sulla superficie cutanea ottenute attraverso la stereofotogrammetria. Le traiettorie dei marker, così ottenute, vengono utilizzate per la ricostruzione della posizione e dell’orientamento istantaneo di un sistema di assi solidale con il segmento sotto esame (sistema tecnico) (Cappozzo et al. 2005). Tali traiettorie e conseguentemente i sistemi tecnici, sono affetti da due tipi di errore, uno associato allo strumento di misura e l’altro associato alla presenza di tessuti molli interposti tra osso e cute. La propagazione di quest’ultimo ai risultati finali è molto più distruttiva rispetto a quella dell’errore strumentale che è facilmente minimizzabile attraverso semplici tecniche di filtraggio (Chiari et al. 2005). In letteratura è stato evidenziato che l’errore dovuto alla deformabilità dei tessuti molli durante l’analisi del movimento umano provoca inaccuratezze tali da mettere a rischio l’utilizzabilità dei risultati. A tal proposito Andriacchi scrive: “attualmente, uno dei fattori critici che rallentano il progresso negli studi del movimento umano è la misura del movimento scheletrico partendo dai marcatori posti sulla cute” (Andriacchi et al. 2000). Relativamente alla morfologia, essa può essere acquisita, ad esempio, attraverso l’utilizzazione di tecniche per bioimmagini. Queste vengono fornite con riferimento a sistemi di assi locali in generale diversi dai sistemi tecnici. Per integrare i dati relativi al movimento con i dati morfologici occorre determinare l’operatore che consente la trasformazione tra questi due sistemi di assi (matrice di registrazione) e di conseguenza è fondamentale l’individuazione di particolari terne di riferimento, dette terne anatomiche. L’identificazione di queste terne richiede la localizzazione sul segmento osseo di particolari punti notevoli, detti repere anatomici, rispetto ad un sistema di riferimento solidale con l’osso sotto esame. Tale operazione prende il nome di calibrazione anatomica. Nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento viene implementata una calibrazione anatomica a “bassa risoluzione” che prevede la descrizione della morfologia dell’osso a partire dall’informazione relativa alla posizione di alcuni repere corrispondenti a prominenze ossee individuabili tramite palpazione. Attraverso la stereofotogrammetria è quindi possibile registrare la posizione di questi repere rispetto ad un sistema tecnico. Un diverso approccio di calibrazione anatomica può essere realizzato avvalendosi delle tecniche ad “alta risoluzione”, ovvero attraverso l’uso di bioimmagini. In questo caso è necessario disporre di una rappresentazione digitale dell’osso in un sistema di riferimento morfologico e localizzare i repere d’interesse attraverso palpazione in ambiente virtuale (Benedetti et al. 1994 ; Van Sint Jan et al. 2002; Van Sint Jan et al. 2003). Un simile approccio è difficilmente applicabile nella maggior parte dei laboratori di analisi del movimento, in quanto normalmente non si dispone della strumentazione necessaria per ottenere le bioimmagini; inoltre è noto che tale strumentazione in alcuni casi può essere invasiva. Per entrambe le calibrazioni anatomiche rimane da tenere in considerazione che, generalmente, i repere anatomici sono dei punti definiti arbitrariamente all’interno di un’area più vasta e irregolare che i manuali di anatomia definiscono essere il repere anatomico. L’identificazione dei repere attraverso una loro descrizione verbale è quindi povera in precisione e la difficoltà nella loro identificazione tramite palpazione manuale, a causa della presenza dei tessuti molli interposti, genera errori sia in precisione che in accuratezza. Tali errori si propagano alla stima della cinematica e della dinamica articolare (Ramakrishnan et al. 1991; Della Croce et al. 1999). Della Croce (Della Croce et al. 1999) ha inoltre evidenziato che gli errori che influenzano la collocazione nello spazio delle terne anatomiche non dipendono soltanto dalla precisione con cui vengono identificati i repere anatomici, ma anche dalle regole che si utilizzano per definire le terne. E’ infine necessario evidenziare che la palpazione manuale richiede tempo e può essere effettuata esclusivamente da personale altamente specializzato, risultando quindi molto onerosa (Simon 2004). La presente tesi prende lo spunto dai problemi sopra elencati e ha come obiettivo quello di migliorare la qualità delle informazioni necessarie alla ricostruzione della cinematica 3D dei segmenti ossei in esame affrontando i problemi posti dall’artefatto di tessuto molle e le limitazioni intrinseche nelle attuali procedure di calibrazione anatomica. I problemi sono stati affrontati sia mediante procedure di elaborazione dei dati, sia apportando modifiche ai protocolli sperimentali che consentano di conseguire tale obiettivo. Per quanto riguarda l’artefatto da tessuto molle, si è affrontato l’obiettivo di sviluppare un metodo di stima che fosse specifico per il soggetto e per l’atto motorio in esame e, conseguentemente, di elaborare un metodo che ne consentisse la minimizzazione. Il metodo di stima è non invasivo, non impone restrizione al movimento dei tessuti molli, utilizza la sola misura stereofotogrammetrica ed è basato sul principio della media correlata. Le prestazioni del metodo sono state valutate su dati ottenuti mediante una misura 3D stereofotogrammetrica e fluoroscopica sincrona (Stagni et al. 2005), (Stagni et al. 2005). La coerenza dei risultati raggiunti attraverso i due differenti metodi permette di considerare ragionevoli le stime dell’artefatto ottenute con il nuovo metodo. Tale metodo fornisce informazioni sull’artefatto di pelle in differenti porzioni della coscia del soggetto e durante diversi compiti motori, può quindi essere utilizzato come base per un piazzamento ottimo dei marcatori. Lo si è quindi utilizzato come punto di partenza per elaborare un metodo di compensazione dell’errore dovuto all’artefatto di pelle che lo modella come combinazione lineare degli angoli articolari di anca e ginocchio. Il metodo di compensazione è stato validato attraverso una procedura di simulazione sviluppata ad-hoc. Relativamente alla calibrazione anatomica si è ritenuto prioritario affrontare il problema associato all’identificazione dei repere anatomici perseguendo i seguenti obiettivi: 1. migliorare la precisione nell’identificazione dei repere e, di conseguenza, la ripetibilità dell’identificazione delle terne anatomiche e della cinematica articolare, 2. diminuire il tempo richiesto, 3. permettere che la procedura di identificazione possa essere eseguita anche da personale non specializzato. Il perseguimento di tali obiettivi ha portato alla implementazione dei seguenti metodi: • Inizialmente è stata sviluppata una procedura di palpazione virtuale automatica. Dato un osso digitale, la procedura identifica automaticamente i punti di repere più significativi, nella maniera più precisa possibile e senza l'ausilio di un operatore esperto, sulla base delle informazioni ricavabili da un osso digitale di riferimento (template), preliminarmente palpato manualmente. • E’ stato poi condotto uno studio volto ad indagare i fattori metodologici che influenzano le prestazioni del metodo funzionale nell’individuazione del centro articolare d’anca, come prerequisito fondamentale per migliorare la procedura di calibrazione anatomica. A tale scopo sono stati confrontati diversi algoritmi, diversi cluster di marcatori ed è stata valutata la prestazione del metodo in presenza di compensazione dell’artefatto di pelle. • E’stato infine proposto un metodo alternativo di calibrazione anatomica basato sull’individuazione di un insieme di punti non etichettati, giacenti sulla superficie dell’osso e ricostruiti rispetto ad un TF (UP-CAST). A partire dalla posizione di questi punti, misurati su pelvi coscia e gamba, la morfologia del relativo segmento osseo è stata stimata senza identificare i repere, bensì effettuando un’operazione di matching dei punti misurati con un modello digitale dell’osso in esame. La procedura di individuazione dei punti è stata eseguita da personale non specializzato nell’individuazione dei repere anatomici. Ai soggetti in esame è stato richiesto di effettuare dei cicli di cammino in modo tale da poter indagare gli effetti della nuova procedura di calibrazione anatomica sulla determinazione della cinematica articolare. I risultati ottenuti hanno mostrato, per quel che riguarda la identificazione dei repere, che il metodo proposto migliora sia la precisione inter- che intraoperatore, rispetto alla palpazione convenzionale (Della Croce et al. 1999). E’ stato inoltre riscontrato un notevole miglioramento, rispetto ad altri protocolli (Charlton et al. 2004; Schwartz et al. 2004), nella ripetibilità della cinematica 3D di anca e ginocchio. Bisogna inoltre evidenziare che il protocollo è stato applicato da operatori non specializzati nell’identificazione dei repere anatomici. Grazie a questo miglioramento, la presenza di diversi operatori nel laboratorio non genera una riduzione di ripetibilità. Infine, il tempo richiesto per la procedura è drasticamente diminuito. Per una analisi che include la pelvi e i due arti inferiori, ad esempio, l’identificazione dei 16 repere caratteristici usando la calibrazione convenzionale richiede circa 15 minuti, mentre col nuovo metodo tra i 5 e i 10 minuti.
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Arnt van Tricht, gest. 1570, unterhielt bis in die späten 50er Jahre des 16. Jahrhunderts, wahrschein-lich aus Antwerpen kommend, in Kalkar am Niederrhein eine sehr erfolgreiche Werkstatt. Die bis dahin vorherrschende spätgotische Formensprache der langjährig ansässigen Bildhauer löste er durch die der Renaissance ab, führte jedoch deren Arbeitsfelder und Materialwahl weiter. Arnt van Tricht schuf Arbeiten sowohl religiöser als auch profaner Natur innerhalb des Gebiets der damals sehr bedeutenden Vereinigten Herzogtümer Kleve-Mark-Jülich-Berg und Geldern. Seine wohlhabenden Auftraggeber entstammten dem Klerus, der Bürgerschaft und dem Adel.rnIm Rahmen der Arbeit zeigte sich, dass sich für den Künstler die Verlegung der herzoglichen Residenz nach Düsseldorf und der wirtschaftliche Niedergang der Region letztlich stärker auswirkte als die religiösen Veränderungen durch die Reformation.rnArnt van Tricht schuf die meisten seiner religiösen Bildwerke für die Stiftskirche St. Viktor in Xanten, die durch die Bürgerschaft ausgestattete Pfarrkirche von St. Nicolai in Kalkar und umliegende Gemeinden. Einzelne Stücke sind, wohl über familiäre Verflechtungen vermittelt, in einem weiteren Radius zu finden. Van Tricht arbeitete Schnitzretabel mitsamt ihrer ornamentalen und figuralen Aus-stattung sowie Skulpturen(-gruppen) in Eichenholz. Daneben finden sich im Werk zahlreiche in Sandstein gearbeitete Skulpturen, die teilweise an Pfeilern und Portalen der Kirchen architektur-gebunden sind. Neben diesen rundplastischen Werken schuf Arnt van Tricht eine große Anzahl an steinernen Reliefarbeiten. Hierbei nehmen die überwiegend für die lokalen Kanoniker gearbeiteten Epitaphien mit biblischem Reliefbild in Ornamentrahmen den größten Teil ein.rnEin zweiter, gleichwertiger Werkkomplex, überwiegend in Sandstein gearbeitet, ist profaner Natur und fällt durch die Größe der Aufträge ins Gewicht. Arnt van Tricht war an einigen groß angelegten Modernisierungsprojekten an Stadthäusern und Kastellen des lokalen Adels beschäftigt. Für mehrere aufwendig gestaltete Fassadendekorationen arbeitete er Architekturglieder mit figürlicher Darstellung oder Ornament, Büsten und freiplastische Skulpturen. Arnt van Tricht war aber auch an der Aus-gestaltung der Innenräume beteiligt. Aufwendig skulptierte und reliefverzierte Kaminverkleidungen stehen dabei neben reduzierteren Arbeiten für offensichtlich weniger repräsentative Räume. Neben in Eichenholz gearbeiteter Vertäfelung schuf Arnt van Tricht hölzerne figurale Handtuchhalter. Diese zeigen, wie auch die Reliefbilder der Kamine, die darüber hinaus Wappen und Porträts der Bauherren aufnehmen, eine religiöse oder profane, auch antikisierende Thematik, bei der ein moralisierender Unterton mitschwingt.rnIn dieser Arbeit werden erstmals alle Werkstücke des Künstlers zusammengeführt dargestellt, so dass ein Werkkatalog mit einem Überblick über das sehr breit gefächerte Spektrum des Opus Arnt van Trichts vorliegt. Häufig durch bloße Nennung mit Arnt van Tricht in Verbindung gebrachte Arbeiten werden bewertet und die Zu- oder Abschreibung begründet. Auch können einige Stücke neu zugeschrieben werden.
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L’interazione spin-orbita (SOI) nel grafene è attualmente oggetto di intensa ricerca grazie alla recente scoperta di una nuova classe di materiali chiamati isolanti topologici. Questi materiali, la cui esistenza è strettamente legata alla presenza di una forte SOI, sono caratterizzati dall’interessante proprietà di avere un bulk isolante ed allo stesso tempo superfici conduttrici. La scoperta teorica degli isolanti topologici la si deve ad un lavoro nato con l’intento di studiare l’influenza dell’interazione spin-orbita sulle proprietà del grafene. Poichè questa interazione nel grafene è però intrinsecamente troppo piccola, non è mai stato possibile effettuare verifiche sperimentali. Per questa ragione, vari lavori di ricerca hanno recentemente proposto tecniche volte ad aumentare questa interazione. Sebbene alcuni di questi studi abbiano mostrato un effettivo aumento dell’interazione spin-orbita rispetto al piccolo valore intrinseco, sfortunatamente hanno anche evidenziato una consistente riduzione della qualità del grafene. L’obbiettivo che ci si pone in questa tesi è di determinare se sia possibile aumentare l’interazione spin-orbita nel grafene preservandone allo stesso tempo le qualità. La soluzione proposta in questo lavoro si basa sull’utilizzo di due materiali semiconduttori, diselenio di tungsteno WSe2 e solfuro di molibdeno MoS2, utilizzati da substrato su cui sopra verrà posizionato il grafene formando così un’eterostruttura -nota anche di “van der Waal” (vdW)-. Il motivo di questa scelta è dovuto al fatto che questi materiali, appartenenti alla famiglia dei metalli di transizione dicalcogenuri (TMDS), mostrano una struttura reticolare simile a quella del grafene, rendendoli ideali per formare eterostrutture e ancora più importante, presentano una SOI estremamente grande. Sostanzialmente l’idea è quindi di sfruttare questa grande interazione spin-orbita del substrato per indurla nel grafene aumentandone così il suo piccolo valore intrinseco.
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Incomplete endothelialization has been found to be associated with late stent thrombosis, a rare but devastating phenomenon, more frequent after drug-eluting stent implantation. Optical coherence tomography (OCT) has 10 times greater resolution than intravascular ultrasound and thus appears to be a valuable modality for the assessment of stent strut coverage. The LEADERS trial was a multi-centre, randomized comparison of a biolimus-eluting stent (BES) with biodegradable polymer with a sirolimus-eluting stent (SES) using a durable polymer. This study sought to evaluate tissue coverage and apposition of stents using OCT in a group of patients from the randomized LEADERS trial.
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The aim of this analysis was to assess the effect of body mass index (BMI) on 1-year outcomes in patients enrolled in a contemporary percutaneous coronary intervention trial comparing a sirolimus-eluting stent with a durable polymer to a biolimus-eluting stent with a biodegradable polymer. A total of 1,707 patients who underwent percutaneous coronary intervention were randomized to treatment with either biolimus-eluting stents (n = 857) or sirolimus-eluting stents (n = 850). Patients were assigned to 1 of 3 groups according to BMI: normal (<25 kg/m(2)), overweight (25 to 30 kg/m(2)), or obese (>30 kg/m(2)). At 1 year, the incidence of the composite of cardiac death, myocardial infarction, and clinically justified target vessel revascularization was assessed. In addition, rates of clinically justified target lesion revascularization and stent thrombosis were assessed. Cox proportional-hazards analysis, adjusted for clinical differences, was used to develop models for 1-year mortality. Forty-five percent of the patients (n = 770) were overweight, 26% (n = 434) were obese, and 29% (n = 497) had normal BMIs. At 1-year follow-up, the cumulative rate of cardiac death, myocardial infarction, and clinically justified target vessel revascularization was significantly higher in the obese group (8.7% in normal-weight, 11.3% in overweight, and 14.5% in obese patients, p = 0.01). BMI (hazard ratio 1.47, 95% confidence interval 1.02 to 2.14, p = 0.04) was an independent predictor of stent thrombosis. Stent type had no impact on the composite of cardiac death, myocardial infarction, and clinically justified target vessel revascularization at 1 year in the 3 BMI groups (hazard ratio 1.08, 95% confidence interval 0.63 to 1.83, p = 0.73). In conclusion, BMI was an independent predictor of major adverse cardiac events at 1-year clinical follow-up. The higher incidence of stent thrombosis in the obese group may suggest the need for a weight-adjusted dose of clopidogrel.
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This study reports the 12-month clinical outcomes of the LEADERS clinical trial which compared a biolimus eluting stent with a biodegradable polymer (BES) to a sirolimus eluting stent with a durable polymer (SES).
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The first generation of the everolimus-eluting bioresorbable vascular scaffold (BVS 1.0) showed an angiographic late loss higher than the metallic everolimus-eluting stent Xience V due to scaffold shrinkage. The new generation (BVS 1.1) presents a different design and manufacturing process than the BVS 1.0. This study sought to evaluate the differences in late shrinkage, neointimal response, and bioresorption process between these two scaffold generations using optical coherence tomography (OCT).
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Implantation of a coronary stent results in a mechanical enlargement of the coronary lumen with stretching of the surrounding atherosclerotic plaque. Using intravascular ultrasound virtual-histology (IVUS-VH) we examined the temporal changes in composition of the plaque behind the struts (PBS) following the implantation of the everolimus eluting bioresorbable vascular scaffold (BVS). Using IVUS-VH and dedicated software, the composition of plaque was analyzed in all patients from the ABSORB B trial who were imaged with a commercially available IVUS-VH console (s5i system, Volcano Corporation, Rancho Cordova, CA, USA) post-treatment and at 6-month follow-up. This dedicated software enabled analysis of the PBS after subtraction of the VH signal generated by the struts. The presence of necrotic core (NC) in contact with the lumen was also evaluated at baseline and follow-up. IVUS-VH data, recorded with s5i system, were available at baseline and 6-month follow-up in 15 patients and demonstrated an increase in both the area of PBS (2.45 ± 1.93 mm(2) vs. 3.19 ± 2.48 mm(2), P = 0.005) and the external elastic membrane area (13.76 ± 4.07 mm(2) vs. 14.76 ± 4.56 mm(2), P = 0.006). Compared to baseline there was a significant progression in the NC (0.85 ± 0.70 mm(2) vs. 1.21 ± 0.92 mm(2), P = 0.010) and fibrous tissue area (0.88 ± 0.79 mm(2) vs. 1.15 ± 1.05 mm(2), P = 0.027) of the PBS. The NC in contact with the lumen in the treated segment did not increase with follow-up (7.33 vs. 6.36%, P = 0.2). Serial IVUS-VH analysis of BVS-treated lesions at 6-month demonstrated a progression in the NC and fibrous tissue content of PBS.
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OBJECTIVES: We aimed to assess the predictive value of the SYNTAX score (SXscore) for major adverse cardiac events in the all-comers population of the LEADERS (Limus Eluted from A Durable versus ERodable Stent coating) trial. BACKGROUND: The SXscore has been shown to be an effective predictor of clinical outcomes in patients with multivessel disease undergoing percutaneous coronary intervention. METHODS: The SXscore was prospectively collected in 1,397 of the 1,707 patients enrolled in the LEADERS trial (patients after surgical revascularization were excluded). Post hoc analysis was performed by stratifying clinical outcomes at 1-year follow-up, according to 1 of 3 SXscore tertiles. RESULTS: The 1,397 patients were divided into tertiles based on the SXscore in the following fashion: SXscore
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New-generation coronary stents that release zotarolimus or everolimus have been shown to reduce the risk of restenosis. However, it is unclear whether there are differences in efficacy and safety between the two types of stents on the basis of prospectively adjudicated end points endorsed by the Food and Drug Administration.
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This study investigated the differences in clinical outcomes between patients with bifurcation lesions (BL) treated with a biolimus-eluting stent (BES) with a biodegradable polymer, and a sirolimus-eluting stent (SES) with a durable polymer.
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Objective Impaired function of the central gamma-aminobutyric acid (GABA) system, which provides the brain’s major inhibitory pathways, is thought to play an important role in the pathophysiology of anxiety disorders. The effect of acute psychological stress on the human GABA-ergic system is still unknown, however. The purpose of this study was to determine the effect of acute stress on prefrontal GABA levels. Method A recently developed noninvasive magnetic resonance spectroscopy method was used to measure changes in the GABA concentration of the prefrontal cortex in 10 healthy human subjects during a threat-of-shock condition and during a safe condition (two sessions on different days). The main outcome measure was the mean GABA concentration within a 3×3×2-cm3 voxel selected from the medial prefrontal cortex. Results Prefrontal GABA decreased by approximately 18% in the threat-of-shock condition relative to the safe condition. This reduction was specific to GABA, since the concentrations of N-acetyl-aspartate, choline-containing compounds, and glutamate/glutamine levels obtained in the same spectra did not change significantly. Conclusions This result appeared compatible with evidence from preclinical studies in rodents, which showed rapid presynaptic down-regulation of GABA-ergic neurotransmission in response to acute psychological stress. The molecular mechanism and functional significance of this reduced inhibitory effect of acute psychological stress in relation to impaired GABA-ergic function in anxiety disorders merit further investigation.