967 resultados para Bronzes, Renaissance


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Con le "Imagini degli dei degli antichi", pubblicate a Venezia nel 1556 e poi in più edizioni arricchite e illustrate, l’impegnato gentiluomo estense Vincenzo Cartari realizza il primo, fortunatissimo manuale mitografico italiano in lingua volgare, diffuso e tradotto in tutta l’Europa moderna. Cartari rimodula, secondo accenti divulgativi ma fedeli, fonti latine tradizionali: come le ricche "Genealogie deorum gentilium" di Giovanni Boccaccio, l’appena precedente "De deis gentium varia et multiplex historia" di Lilio Gregorio Giraldi, i curiosi "Fasti" ovidiani, da lui stesso commentati e tradotti. Soprattutto, però, introduce il patrimonio millenario di favole ed esegesi classiche, di aperture egiziane, mediorientali, sassoni, a una chiave di lettura inedita, agile e vitalissima: l’ecfrasi. Le divinità e i loro cortei di creature minori, aneddoti leggendari e attributi identificativi si susseguono secondo un taglio iconico e selettivo. Sfilano, in trionfi intrisi di raffinato petrarchismo neoplatonico e di emblematica picta poesis rinascimentale, soltanto gli aspetti figurabili e distintivi dei personaggi mitici: perché siano «raccontate interamente» tutte le cose attinenti alle figure antiche, «con le imagini quasi di tutti i dei, e le ragioni perché fossero così dipinti». Così, le "Imagini" incontrano il favore di lettori colti e cortigiani eleganti, di pittori e ceramisti, di poeti e artigiani. Allestiscono una sorta di «manuale d’uso» pronto all’inchiostro del poeta o al pennello dell’artista, una suggestiva raccolta di «libretti figurativi» ripresi tanto dalla maniera di Paolo Veronese o di Giorgio Vasari, quanto dal classicismo dei Carracci e di Nicolas Poussin. Si rivelano, infine, summa erudita capace di attirare appunti e revisioni: l’antiquario padovano Lorenzo Pignoria, nel 1615 e di nuovo nel 1626, vi aggiunge appendici archeologiche e comparatistiche, interessate al remoto regno dei faraoni quanto agli esotici idoli orientali e dei Nuovi Mondi.

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The project of this Ph.D. thesis is based on a co-supervised collaboration between Università di Bologna, ALMA MATER STUDIORUM (Italy) and Instituto de Tecnología Química, Universitat Politècnica de València ITQ-UPV (Spain). This Ph.D. thesis is about the synthesis, characterization and catalytic testing of complex mixed-oxide catalysts mainly related to the family of Hexagonal Tungsten Bronzes (HTBs). These materials have been little explored as catalysts, although they have a great potential as multifunctional materials. Their peculiar acid properties can be coupled to other functionalities (e.g. redox sites) by isomorphous substitution of tungsten atoms with other transition metals such as vanadium, niobium and molybdenum. In this PhD thesis, it was demonstrated how it is possible to prepare substituted-HTBs by hydrothermal synthesis; these mixed-oxide were fully characterize by a number of physicochemical techniques such as XPS, HR-TEM, XAS etc. They were also used as catalysts for the one-pot glycerol oxidehydration to acrylic acid; this reaction might represent a viable chemical route to solve the important issue related to the co-production of glycerin along the biodiesel production chain. Acrylic acid yields as high as 51% were obtained and important structure-reactivity correlations were proved to govern the catalytic performance; only fine tuning of acid and redox properties as well as the in-framework presence of vanadium are fundamental to achieve noteworthy yields into the acid monomer. The overall results reported herein might represent an important contribution for future applications of HTBs in catalysis as well as a general guideline for a multifaceted approach for their physicochemical characterization.

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In the current study, we analyze the effectiveness of an organosilane compound, 3-mercapto-propyl-tri-methoxy-silane (abbreviated PropS-SH), in the corrosion protection of fire-gilded bronzes. Firstly, the coating was applied on as-gilded bronze. Subsequently, it was also applied on pre-patinated bronze, because the substrate on which protective coatings are applied in real conservation interventions are corroded artifacts (cleaning procedures never remove all the corrosion products). Aiming to obtain results that simulate the situation of real artifacts, a dropping test that simulates outdoor exposure in runoff conditions (unsheltered areas of monuments) was employed in order to prepatinate the gilded bronze samples, which are the substrate for applying the protective coating. The preparation of the samples by applying the protective coating was performed in collaboration with the Corrosion Studies Centre “Aldo Daccò” from Ferrara University. After the artificial exposure cycles the samples underwent investigations through a variety of spectroscopic methods including SEM, Raman, FIB, AAS and color measurements. In order to evaluate the possible removal of the organosilane coating, protected samples were subjected to laser cleaning tests and characterized by SEM/EDS so as to assess the changes in composition and morphology of the treated surfaces. The laser cleaning treatment was performed at the Institute of Applied Physics “Nello Carrara” (CNR Sesto Fiorentino (FI)). The morphology and chemical composition of the samples was observed before and after the operation in order to obtain information about the fluence and type of laser which are best suited to the removal of this type of coating.

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Il progetto si concentra sull’analisi ed il commento del libro dei conti di Lorenzo Lotto. Esso viene conservato nell’Archivio storico della Santa Casa di Loreto, ed è meglio conosciuto con il nome apocrifo di Libro di spese diverse. Possiamo considerarlo uno dei più significativi documenti del Rinascimento italiano: infatti esso ci parla dei rapporti che l’artista ha intessuto con committenti, colleghi ed amici, rivelando tanto la sua condotta di vita che la sua attività. È una ricerca che tenta di concentrarsi sull’artista attraverso una lettura più corretta di questa fonte: infatti in passato il Libro di spese diverse era considerato un diario e studiato attraverso una visione non consona al genere di riferimento.

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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.

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La tesi ha come oggetto il rinnovamento urbano che fu realizzato a Faenza per opera del suo signore Carlo II Manfredi tra il 1468 e il 1477, d’accordo con il fratello, il vescovo Federico. La prima opera realizzata da Carlo fu il portico a due livelli che dotò di una nuova facciata il suo palazzo di residenza, di origini medievali. Questa architettura sarebbe stata il preludio di un riordino generale della piazza principale della città, probabilmente allo scopo di ricreare un foro all’antica, come prescritto dai trattati di Vitruvio e di Alberti. L’aspetto originale del loggiato rinascimentale, desumibile da documentazione archivistica e iconografica, permette di attribuirlo con una certa probabilità a Giuliano da Maiano. Oltre alla piazza, Carlo riformò profondamente il tessuto urbano, demolendo molti portici lignei di origine medievale, rettificando le principali strade, completando la cerchia muraria. Federico Manfredi nel 1474 diede inizio alla fabbrica della Cattedrale, ricostruita dalle fondamenta su progetto dello stesso Giuliano da Maiano. L’architettura della chiesa ha uno stile largamente debitore all’architettura sacra di Brunelleschi, ma con significative differenze (come la navata definita da un’alternanza tra pilastri e colonne, o la copertura composta da volte a vela). L’abside della cattedrale, estranea al progetto maianesco, fu realizzata nel 1491-92 e mostra alcuni dettagli riconducibili alla coeva architettura di Bramante. A Faenza si realizza in un periodo di tempo brevissimo una profonda trasformazione del volto della città: loggiato, riforma della piazza, riordino delle strade, una nuova cattedrale, tutto contribuisce a dare lustro ai Manfredi e a fare di Faenza una città moderna e in cui si mettono in pratica, forse per la prima volta nell’Italia settentrionale, i dettami di Vitruvio e di Alberti.

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Bei der vorliegenden Arbeit handelt es sich um ein Überblickswerk zum Christusbild, dem Aussehen Christi in der deutschen Bildkunst des 19. Jahrhunderts und dessen Wandlungen. Grundlage der Arbeit bildet eine von der Autorin zusammengetragene Materialsammlung und deren Auswertung, basierend auf der Kenntnis von Originalen sowie der Sichtung von Literatur (insbesondere von Lexika, Museums- und Ausstellungskatalogen, Werkverzeichnissen sowie maßgeblichen deutschen Kunstzeitschriften des 19. Jahrhunderts). Das hieraus resultierende systematische Bildverzeichnis umfasst 1.914 Werke in Form von Staffeleibildern, Druckgraphik, wandgebundenen Gemälden (und auch Skulpturen); davon sind 729 mit Abbildungen in der Arbeit dokumentiert. In alphabetischer Reihenfolge abgefasst, enthält das Verzeichnis zu jedem Eintrag Kurzinformationen zu Werk und Künstler, sowie Literatur- und ggf. Abbildungsnachweise. Auf dieser Basis geht die Untersuchung über den bisher relativ kleinen Kreis einschlägig bekannter Christusbilder weit hinaus und gibt erstmals einen umfassenden und für das 19. Jahrhundert repräsentativen Überblick.rnDer auf dieses Material gestützte Hauptteil befasst sich mit der eingehenden Betrachtung der „Grundtypen“ des Christusbildes, womit das Aussehen Christi (Physiognomie, Gesamtgestalt, Gewandung, Habitus und Gestik) gemeint ist. Schwerpunkte der Arbeit bilden zunächst das an der Renaissance (insbesondere an Raffael) orientierte „milde“ Christusbild des Klassizismus und die „inniglich-schöne“ Idealgestalt der Romantik (variiert auch mit altdeutschen Elementen), aus der schließlich das bis in die Gegenwart verwendete, kitschig-süßliche Devotionalienbild resultierte. Eine historisierende, ethnologische Rekonstruktion eines „jüdischen“ Jesus, erschien besonders in der „Orientmalerei“ seit den vierziger Jahren des 19. Jahrhunderts. Die Ablehnung und Abgrenzung der Orientmalerei führte zu einer „historischen Reformationsmalerei“ mit altdeutschen Elementen und auch teilweise zu einer Tendenz der „Germanisierung“ des Bildes Jesu mit genrehaften Zügen. Zum Jahrhundertende hin wurden außerdem vielfältige Versuche beobachtet, den Gottmenschen Jesus in „zeitgenössischem“ Aussehen volksnah in die Gegenwart der Gläubigen einzubinden. Im Symbolismus traten hingegen heroisierende Tendenzen auf bis hin zu einer „Entwirklichung“ der Gestalt Christi. Zusammenfassende Beobachtungen zu den häufig verwendeten und „beliebten“ Themen der Christusdarstellung im 19. Jahrhundert runden die Arbeit ab, in der eine bislang ungekannte Differenzierung und Vielfalt der Darstellungsmöglichkeiten Christi in der religiösen Kunst des 19. Jahrhunderts aufgezeigt werden konnte.

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Arnt van Tricht, gest. 1570, unterhielt bis in die späten 50er Jahre des 16. Jahrhunderts, wahrschein-lich aus Antwerpen kommend, in Kalkar am Niederrhein eine sehr erfolgreiche Werkstatt. Die bis dahin vorherrschende spätgotische Formensprache der langjährig ansässigen Bildhauer löste er durch die der Renaissance ab, führte jedoch deren Arbeitsfelder und Materialwahl weiter. Arnt van Tricht schuf Arbeiten sowohl religiöser als auch profaner Natur innerhalb des Gebiets der damals sehr bedeutenden Vereinigten Herzogtümer Kleve-Mark-Jülich-Berg und Geldern. Seine wohlhabenden Auftraggeber entstammten dem Klerus, der Bürgerschaft und dem Adel.rnIm Rahmen der Arbeit zeigte sich, dass sich für den Künstler die Verlegung der herzoglichen Residenz nach Düsseldorf und der wirtschaftliche Niedergang der Region letztlich stärker auswirkte als die religiösen Veränderungen durch die Reformation.rnArnt van Tricht schuf die meisten seiner religiösen Bildwerke für die Stiftskirche St. Viktor in Xanten, die durch die Bürgerschaft ausgestattete Pfarrkirche von St. Nicolai in Kalkar und umliegende Gemeinden. Einzelne Stücke sind, wohl über familiäre Verflechtungen vermittelt, in einem weiteren Radius zu finden. Van Tricht arbeitete Schnitzretabel mitsamt ihrer ornamentalen und figuralen Aus-stattung sowie Skulpturen(-gruppen) in Eichenholz. Daneben finden sich im Werk zahlreiche in Sandstein gearbeitete Skulpturen, die teilweise an Pfeilern und Portalen der Kirchen architektur-gebunden sind. Neben diesen rundplastischen Werken schuf Arnt van Tricht eine große Anzahl an steinernen Reliefarbeiten. Hierbei nehmen die überwiegend für die lokalen Kanoniker gearbeiteten Epitaphien mit biblischem Reliefbild in Ornamentrahmen den größten Teil ein.rnEin zweiter, gleichwertiger Werkkomplex, überwiegend in Sandstein gearbeitet, ist profaner Natur und fällt durch die Größe der Aufträge ins Gewicht. Arnt van Tricht war an einigen groß angelegten Modernisierungsprojekten an Stadthäusern und Kastellen des lokalen Adels beschäftigt. Für mehrere aufwendig gestaltete Fassadendekorationen arbeitete er Architekturglieder mit figürlicher Darstellung oder Ornament, Büsten und freiplastische Skulpturen. Arnt van Tricht war aber auch an der Aus-gestaltung der Innenräume beteiligt. Aufwendig skulptierte und reliefverzierte Kaminverkleidungen stehen dabei neben reduzierteren Arbeiten für offensichtlich weniger repräsentative Räume. Neben in Eichenholz gearbeiteter Vertäfelung schuf Arnt van Tricht hölzerne figurale Handtuchhalter. Diese zeigen, wie auch die Reliefbilder der Kamine, die darüber hinaus Wappen und Porträts der Bauherren aufnehmen, eine religiöse oder profane, auch antikisierende Thematik, bei der ein moralisierender Unterton mitschwingt.rnIn dieser Arbeit werden erstmals alle Werkstücke des Künstlers zusammengeführt dargestellt, so dass ein Werkkatalog mit einem Überblick über das sehr breit gefächerte Spektrum des Opus Arnt van Trichts vorliegt. Häufig durch bloße Nennung mit Arnt van Tricht in Verbindung gebrachte Arbeiten werden bewertet und die Zu- oder Abschreibung begründet. Auch können einige Stücke neu zugeschrieben werden.

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Georg Breitner Simulacra Artis pretio metienda Studien zur Erforschung spätantiker mythologischer Rundplastik Zusammenfassung: Die römische Rundplastik stellt einen zentralen Bestandteil römischer Ausstattung dar. Wirtschaftliche und religionspolitische Veränderungen in der Spätantike beeinflussten nachhaltig ihre Herstellung und Verwendung. In der Forschung stehen sich derzeit zwei Haupttendenzen gegenüber. Während die eine das Ende der römischen Idealplastik im 3.Jh.n.Chr. sehen möchte, schlägt die andere eine nahezu ungebrochene Produktion bis in das späte 4.Jh.n.Chr. vor. Die Arbeit untersucht daher nicht nur den Entwicklungsprozess, sondern auch die Gründe für die heute so unterschiedliche Bewertung. Nach dem einleitenden Teil zum Forschungstand, dem chronologischen Rahmen und der Zielsetzung der Arbeit, wird im zweiten Teil die heidnische Rundplastik in der spätantiken Literatur betrachtet. Ausgehend von der Frage nach dem Bedarf an Rundplastik und dem privaten wie öffentlichen Aufstellungskontextes in der Spätantike, werden Grundlagen für die Bestimmung spätantiker Verhaltensmuster herausgearbeitet, die eine Aussage über die Herstellung von rundplastischen Werken wahrscheinlich macht. Hierzu werden ausgewählte literarische Quellen herangezogen, die Veränderungen im Umgang mit der Präsenz heidnischer Rundplastik in einem zunehmend christlich geprägten gesellschaftlichen Raum nachzeichnen lassen. Die höchst unterschiedlichen Äußerungen spätantiker Autoren weisen auf eine vielschichtige Auseinandersetzung mit dem kulturellen Erbe und seinem Weiterleben. Die Betrachtung der literarischen Quellen zeigt, dass weder Hinweise für ein mangelndes Interesse bestehen, noch die im 4.Jh. einsetzenden religiösen Veränderungen eine Produktion und Aufstellung der mythologischen Rundplastik ausschließen. Vielmehr zeigt sich ein wachsendes Bewusstsein am kulturellen Erbe, das sich in der Auseinandersetzung mit dem Inhalt und dem künstlerischen Schaffensprozess einer Statue ausdrückt. Durch die Loslösung des mythologischen Inhalts der Statuen von der heidnischen Religionsausübung erhalten die Statuen, aber auch ihre Künstler eine neue Wertschätzung, die ihren Erhalt garantieren und neue künstlerische Prozesse auslösen. Mit der Analyse der literarischen Quellen sind die Rahmenbedingungen eines gesellschaftlichen Umfelds bestimmt, die in den folgenden Kapiteln auf ihre Verbindungen mit der realen Existenz spätantiker Statuen mit mythologischem Inhalt geprüft werden. Im dritten Teil werden zunächst methodische Aspekte zu den unterschiedlichen Positionen in der Forschung diskutiert. Die bisherigen Datierungsvorschläge spätantiker Rundplastik stehen dabei ebenso im Zentrum, wie die Vorschläge eigener methodischer Zielsetzungen. Es zeigt sich, dass die Polarisierung der Forschungsmeinung nicht allein durch das untersuchte Material, sondern vom methodischen Umgang mit der archäologischen Stilkritik und der Definition von Modellen kunsthistorischer Entwicklungen bestimmt wird. Es werden daher Wege gesucht, die Datierung spätantiker Kunstentwicklung am Beispiel der mythologischen Rundplastik auf eine neue methodische Basis zu stellen. Ausgehend von der Rundplastik des 3.Jh.n.Chr. werden im dritten Teil der Arbeit anhand ausgewählter Statuengruppen die bisherigen, teilweise kontrovers geführten Überlegungen zur Datierbarkeit und kunsthistorischen Stellung und Entwicklung spätantiker Rundplastik geprüft. Es zeigt sich, dass durch die Einbeziehung eines chronologisch weiter gefassten Rahmens (3.-5.Jh.) Möglichkeiten zur Bestimmung spätantiker Stiltendenzen und ihrer Datierung hinzugewonnen werden können. Auf dieser Grundlage können einige Statuen erstmals der Spätantike zugewiesen werden. Andere Statuen- bislang für spätantik gehalten - werden dagegen deutlich früher datiert. Die zeitstilistischen Bewertungen der Fallbeispiele zeigen, dass grundsätzliche Phänomene und Definitionen spätantiker Kunstentwicklung überdacht werden müssen. So zeugt das Fortbestehen klassischer Formprinzipien in einem gewandelten gesellschaftlichen Umfeld nicht von einer Renaissance, sondern vielmehr von einem andauernden Prozeß im Umgang mit dem kulturellen Erbe. Im fünften Abschnitt der Arbeit werden alle angesprochenen Aspekte nochmals aufgegriffen, um ein Bild von der Wertschätzung, Produktion und damit Fortbestandes römischer Idealplastik zu zeichnen. Die Arbeit schließt mit einem Ausblick ab, der Perspektiven der Stilanalyse spätantiker Rundplastik für die Bewertung nachfolgender Stilentwicklungen aufzeigt.

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Ibrahim Kemura. The Muslim Cultural-Educational Society Narodna uzdanica from 1923/4 to 1941 One of the features of the cultural history of the Bosniacs between the two world wars (1918-1941) was a cultural and educational society named Narodna uzdanica, which was a significant institutional and cultural-intellectual centre of the Bosniac people in Bosnia and Herzegovina. Narodna uzdanica expressed the aspirations and needs of the Bosniac citizens who were its main support and axis and was aimed at fulfilling their interests. This was reflected in an ideological-cultural orientation towards the West and the adoption of positive western achievements while at the same time stressing its Slavic origins and individuality, the education of young people and the formation of a European-type civic intelligentsia, adaptation to life in capitalist society, the development of modern trade and crafts, the emancipation of women, and cultural education based on European values. Thus conceived, the programme enjoyed the support of a wider circle of members, the reading public and the cultural consumers of those particular elements such as education and economic prosperity which it sought to achieve. The political involvement of Narodna uzdanica and its use as a platform for the leading Bosniac political party Jugoslovenska muslimanska organizacija (JMO - Yugoslav Muslim Organisation) which had founded the society, played a significant role in the socio-political life and development of Bosniacs. The opposition to the ruling regime, often expressed through close cooperation with similar Croat organisations and through the pro-Croat attitude of some of the society's leading figures, offered both the regime and Narodna uzdanica's political adversaries grounds for describing it as separatist and Croat and served as a pretext for repressive measures to hinder its normal operations. This research proved these accusations to be groundless, showing that the pro-Croat orientation was primarily political and cultural and that throughout its existence Narodna uzdanica was active in the cultural and educational renaissance of Bosniacs, helping to strengthen their national identity.

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Post-soviet countries are in the process of transformation from a totalitarian order to a democratic one, a transformation which is impossible without a profound shift in people's way of thinking. The group set themselves the task of determining the essence of this shift. Using a multidisciplinary approach, they looked at concrete ways of overcoming the totalitarian mentality and forming that necessary for an open democratic society. They studied the contemporary conceptions of tolerance and critical thinking and looked for new foundations of criticism, especially in hermeneutics. They then sought to substantiate the complementary relation between tolerance and criticism in the democratic way of thinking and to prepare a a syllabus for teaching on the subject in Ukrainian higher education. In a philosophical exploration of tolerance they began with relgious tolerance as its first and most important form. Political and social interests often lay at the foundations of religious intolerance and this implicitly comprised the transition to religious tolerance when conditions changed. Early polytheism was more or less indifferent to dogmatic deviations but monotheism is intolerant of heresies. The damage wrought by the religious wars of the Reformations transformed tolerance into a value. They did not create religious tolerance but forced its recognition as a positive phenomenon. With the weakening of religious institutions in the modern era, the purely political nature of many conflicts became evident and this stimulated the extrapolation of tolerance into secular life. Each historical era has certain acts and operations which may be interpreted as tolerant and these can be classified as to whether or not they are based on the conscious following of the principle of tolerance. This criterion requires the separation of the phenomenon of tolerance from its concept and from tolerance as a value. Only the conjunction of a concept of tolerance with a recognition of its value can transform it into a principle dictating a norm of conscious behaviour. The analysis of the contemporary conception of tolerance focused on the diversity of the concept and concluded that the notions used cannot be combined in the framework of a single more or less simple classification, as the distinctions between them are stimulated by the complexity of the realty considered and the variety of its manifestations. Notions considered in relation to tolerance included pluralism, respect and particular-universal. The rationale of tolerance was also investigated and the group felt that any substantiation of the principle of tolerance must take into account human beings' desire for knowledge. Before respecting or being tolerant of another person different from myself, I should first know where the difference lies, so knowledge is a necessary condition of tolerance.The traditional division of truth into scientific (objective and unique) and religious, moral, political (subjective and so multiple) intensifies the problem of the relationship between truth and tolerance. Science was long seen as a field of "natural" intolerance whereas the validity of tolerance was accepted in other intellectual fields. As tolerance eemrges when there is difference and opposition, it is essentially linked with rivaly and there is a a growing recognition today that unlimited rivalry is neither able to direct the process of development nor to act as creative matter. Social and economic reality has led to rivalry being regulated by the state and a natural requirement of this is to associate tolerance with a special "purified" form of rivalry, an acceptance of the actiivity of different subjects and a specification of the norms of their competition. Tolerance and rivalry should therefore be subordinate to a degree of discipline and the group point out that discipline, including self-discipline, is a regulator of the balance between them. Two problematic aspects of tolerance were identified: why something traditionally supposed to have no positive content has become a human activity today, and whether tolerance has full-scale cultural significance. The resolution of these questions requires a revision of the phenomenon and conception of tolerance to clarify its immanent positive content. This involved an investigation of the contemporary concept of tolerance and of the epistemological foundations of a negative solution of tolerance in Greek thought. An original soution to the problem of the extrapolation of tolerance to scientific knowledge was proposed based on the Duhem-Quine theses and conceptiion of background knowledge. In this way tolerance as a principle of mutual relations between different scientific positions gains an essential epistemological rationale and so an important argument for its own universal status. The group then went on to consider the ontological foundations for a positive solution of this problem, beginning with the work of Poincare and Reichenbach. The next aspect considered was the conceptual foundations of critical thinking, looking at the ideas of Karl Popper and St. Augustine and at the problem of the demarcation line between reasonable criticism and apologetic reasoning. Dogmatic and critical thinking in a political context were also considered, before an investigation of critical thinking's foundations. As logic is essential to critical thinking, the state of this discipline in Ukrainian and Russian higher education was assessed, together with the limits of formal-logical grounds for criticism, the role of informal logical as a basis for critical thinking today, dialectical logic as a foundation for critical thinking and the universality of the contemporary demand for criticism. The search for new foundations of critical thinking covered deconstructivism and critical hermeneutics, including the problem of the author. The relationship between tolerance and criticism was traced from the ancient world, both eastern and Greek, through the transitional community of the Renaissance to the industrial community (Locke and Mill) and the evolution of this relationship today when these are viewed not as moral virtues but as ordinary norms. Tolerance and criticism were discussed as complementary manifestations of human freedom. If the completeness of freedom were accepted it would be impossible to avoid recognition of the natural and legal nature of these manifestations and the group argue that critical tolerance is able to avoid dismissing such negative phenomena as the degradation of taste and manner, pornography, etc. On the basis of their work, the group drew up the syllabus of a course in "Logic with Elements of Critical Thinking, and of a special course on the "Problem of Tolerance".