970 resultados para Medals, Renaissance.
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Das Jahr 1989 markiert nicht nur den Beginn entscheidender geopolitischer Veränderungen, sondern gleichzeitig den Ursprung eines bedeutsamen Wandels in der internationalen Entwicklungszusammenarbeit. Mit der viel beachteten Studie ‚Sub-Saharan Africa – From Crisis to Sustainable Growth’ initiierte die Weltbank eine Debatte über die Relevanz institutioneller Faktoren für wirtschaftliche Entwicklung, die in den folgenden Jahren unter dem Titel ‚Good Governance’ erhebliche Bedeutung erlangte. Nahezu alle zentralen Akteure begannen, entsprechende Aspekte in ihrer praktischen Arbeit zu berücksichtigen, und entwickelten eigene Konzepte zu dieser Thematik. Wenn auch mit der Konzentration auf Institutionen als Entwicklungsdeterminanten eine grundlegende Gemeinsamkeit der Ansätze festzustellen ist, unterscheiden sie sich jedoch erheblich im Hinblick auf die Einbeziehung politischer Faktoren, so dass von einem einheitlichen Verständnis von ‚Good Governance’ nicht gesprochen werden kann. Während die meisten bilateralen Akteure sowie DAC und UNDP Demokratie und Menschenrechte explizit als zentrale Bestandteile betrachten, identifiziert die Weltbank einen Kern von Good Governance, der unabhängig von der Herrschaftsform, also sowohl in Demokratien wie auch in Autokratien, verwirklicht werden kann. Die Implikationen dieser Feststellung sind weit reichend. Zunächst erlaubt erst diese Sichtweise der Bank überhaupt, entsprechende Aspekte aufzugreifen, da ihr eine Berücksichtigung politischer Faktoren durch ihre Statuten verboten ist. Bedeutsamer ist allerdings, dass die Behauptung der Trennbarkeit von Good Governance und der Form politischer Herrschaft die Möglichkeit eröffnet, Entwicklung zu erreichen ohne eine demokratische Ordnung zu etablieren, da folglich autokratische Systeme in gleicher Weise wie Demokratien in der Lage sind, die institutionellen Voraussetzungen zu verwirklichen, welche als zentrale Determinanten für wirtschaftlichen Fortschritt identifiziert wurden. Damit entfällt nicht nur ein bedeutsamer Rechtfertigungsgrund für demokratische Herrschaft als solche, sondern rekurrierend auf bestimmte, dieser zu attestierende, entwicklungshemmende Charakteristika können Autokratien nun möglicherweise als überlegene Herrschaftsform verstanden werden, da sie durch jene nicht gekennzeichnet sind. Die Schlussfolgerungen der Weltbank unterstützen somit auch die vor allem im Zusammenhang mit der Erfolgsgeschichte der ostasiatischen Tigerstaaten vertretene Idee der Entwicklungsdiktatur, die heute mit dem Aufstieg der Volksrepublik China eine Renaissance erlebt. Der wirtschaftliche Erfolg dieser Staaten ist danach auf die überlegene Handlungsfähigkeit autokratischer Systeme zurückzuführen, während Demokratien aufgrund der Verantwortlichkeitsbeziehungen zwischen Regierenden und Regierten nicht in der Lage sind, die notwendigen Entscheidungen zu treffen und durchzusetzen. Die dargestellte Sichtweise der Weltbank ist allerdings von verschiedenen Autoren in Zweifel gezogen worden, die auch für ein im Wesentlichen auf technische Elemente beschränktes Good Governance-Konzept einen Zusammenhang mit der Form politischer Herrschaft erkennen. So wird beispielsweise vertreten, das Konzept der Bank bewege sich ausdrücklich nicht in einem systemneutralen Vakuum, sondern propagiere zumindest implizit die Etablierung demokratischer Regierungsformen. Im Übrigen steht die aus den Annahmen der Weltbank neuerlich abgeleitete Idee der Entwicklungsdiktatur in einem erheblichen Widerspruch zu der von multilateralen wie bilateralen Akteuren verstärkt verfolgten Förderung demokratischer Herrschaft als Mittel für wirtschaftliche Entwicklung sowie der fortschreitenden Verbreitung der Demokratie. Besteht nun doch ein Einfluss der Herrschaftsform auf die Verwirklichung von Good Governance als zentraler Entwicklungsdeterminante und kann zudem davon ausgegangen werden, dass Demokratien diesbezüglich Vorteile besitzen, dann ist eine Entwicklungsdiktatur keine denkbare Möglichkeit, sondern im Gegenteil demokratische Herrschaft der gebotene Weg zu wirtschaftlichem Wachstum bzw. einer Verbesserung der Lebensverhältnisse. Aufgrund der mit den Schlussfolgerungen der Weltbank verbundenen bedeutsamen Implikationen und der bisher weitestgehend fehlenden ausführlichen Thematisierung dieses Gegenstands in der Literatur ist eine detaillierte theoretische Betrachtung der Zusammenhänge zwischen den zentralen Elementen von Good Governance und demokratischer Herrschaft notwendig. Darüber hinaus sollen die angesprochenen Beziehungen auch einer empirischen Analyse unterzogen werden. Gegenstand dieser Arbeit ist deshalb die Fragestellung, ob Good Governance eine von demokratischer Herrschaft theoretisch und empirisch unabhängige Entwicklungsstrategie darstellt.
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La VI regio augustea di Roma rappresenta uno dei settori urbani maggiormente investiti dalle modifiche radicali compiute dall’uomo nel processo di urbanizzazione della città che ne hanno modificato profondamente la situazione altimetrica e la conformazione originaria. Questi notevoli cambiamenti ebbero origine sin dall’età antica, ma si intensificarono profondamente soprattutto nel periodo rinascimentale quando a partire da Pio IV e soprattutto con Sisto V, attivo in tante altre zone della città, si svilupparono numerose opere di rinnovamento urbanistico che incisero notevolmente sul volto e sulle caratteristiche della zona in esame. A partire dal Rinascimento fino ad arrivare ai grandi scavi della fine del 1800 tutto il quartiere incominciò a “popolarsi” di numerosi edifici di grande mole che andarono ad intaccare completamente le vestigia del periodo antico: la costruzione del Palazzo del Quirinale e dei vari palazzi nobiliari ma soprattutto la costruzione dei numerosi ministeri e della prima stazione Termini alla fine dell’800 comportarono numerosi sventramenti senza la produzione di una adeguata documentazione delle indagini di scavo. Questa ricerca intende ricostruire, in un’ottica diacronica, la topografia di uno dei quartieri centrali della Roma antica attraverso l’analisi dei principali fenomeni che contraddistinguono l’evoluzione del tessuto urbano sia per quanto riguarda le strutture pubbliche che in particolar modo quelle private. Infatti, il dato principale che emerge da questa ricerca è che questa regio si configura, a partire già dal periodo tardo-repubblicano, come un quartiere a vocazione prevalentemente residenziale, abitato soprattutto dall’alta aristocrazia appartenente alle più alte cariche dello Stato romano; oltre a domus ed insulae, sul Quirinale, vennero costruiti lungo il corso di tutta l’età repubblicana alcuni tra i più antichi templi della città che con la loro mole occuparono parte dello spazio collinare fino all’età tardoantica, rappresentando così una macroscopica e costante presenza nell’ingombro dello spazio edificato.
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Il percorso sui Frammenti di Erodoto è cronologico. L'introduzione presenta criteri di lavoro, un esempio di studio sul Proemio delle Storie e la struttura generale. Per ogni momento è preso in considerazione un fenomeno particolare con un esempio. Il primo caso è contemporaneo ad Erodoto. Si tratta di un test che riguarda la criticità di alcuni concetti chiave tradizionali: intertestualità e riferimenti letterali. Il secondo capitolo è uno studio sulla storiografica di IV secolo a.C., periodo di fioritura e determinazione delle norme del genere. Qui si mettono in luce la criticità dei frammenti multipli aprendo in questo modo ampie possibilità di ricerca. Il capitolo successivo, sulla tradizione papiracea mostra il passaggio storico tra la tradizione indiretta a la tradizione manoscritta e permette uno sguardo all'epoca alessandrina. Include un catalogo ed alcuni aggiornamenti. Il capitolo quinto pone invece problemi tradizionali di trasmissione delle tradizioni storiche affrontando lo studio di FGrHist 104, testo che permette di osservare passaggi della storiografia di quinto e quarto secolo avanti Cristo. I due capitoli sulle immagini e sul Rinascimento, paralleli per quanto riguarda i riferimenti cronologici, offrono un ponte per passare dal discorso storiografico a quello in cui la consapevolezza di Erodoto è già maturata come parte della ”cultura”. Alto Medioevo, Umanesimo e Rinascimento offrono spazio a storie delle Storie che iniziano ad essere quasi di ricezione di Erodoto. Questo tema è l'oggetto dei due capitoli finali, studi legati alla presenza o assenza di Erodoto in discipline e pensieri moderni e contemporanei: il pensiero di genere e l’analisi conversazionale. Le appendici completano soprattutto il capitolo su Aristodemo con uno studio sul codice che lo trasmette, il papiro P.Oxy 2469 e il testo stesso, con traduzione e commento storico. Il lavoro si completa con una premessa, una bibliografia strutturata e indici di persone e passi citati.
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Ferrara è tra le città con le quali Piero Bottoni (1903-1973) ha istaurato un rapporto proficuo e duraturo che gli permise di elaborare molti progetti e che fu costante lungo quasi tutta la parabola professionale dell’autore milanese. Giunto nella città estense nei primi anni Trenta, vi lavorò nei tre decenni successivi elaborando progetti che spaziavano dalla scala dell’arredamento d’interni fino a quella urbana; i diciannove progetti studiati, tutti situati all’interno del centro storico della città, hanno come tema comune la relazione tra nuova architettura e città esistente. Osservando un ampio spettro di interventi che abbracciava la progettazione sull'esistente come quella del nuovo, Bottoni propone una visione dell'architettura senza suddivisioni disciplinari intendendo il restauro e la costruzione del nuovo come parti di un processo progettuale unitario. Sullo sfondo di questa vicenda, la cultura ferrarese tra le due guerre e nel Dopoguerra si caratterizza per il continuo tentativo di rendere attuale la propria storia rinascimentale effettuando operazioni di riscoperta che con continuità, a discapito dei cambiamenti politici, contraddistinguono le esperienze culturali condotte nel corso del Novecento. Con la contemporanea presenza durante gli anni Cinquanta e Sessanta di Bottoni, Zevi, Pane, Michelucci, Piccinato, Samonà, Bassani e Ragghianti, tutti impegnati nella costruzione dell’immagine storiografica della Ferrara rinascimentale, i caratteri di questa stagione culturale si fondono con i temi centrali del dibattito architettonico italiano e con quello per la salvaguardia dei centri storici. L’analisi dell’opera ferrarese di Piero Bottoni è così l’occasione per mostrare da un lato un carattere peculiare della sua architettura e, dall’altro, di studiare un contesto cultuale provinciale al fine di mostrare i punti di contatto tra le personalità presenti a Ferrara in quegli anni, di osservarne le reciproche influenze e di distinguere gli scambi avvenuti tra i principali centri della cultura architettonica italiana e un ambito geografico solo apparentemente secondario.
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Negli anni Ottanta si assiste tanto nel vecchio quanto nel nuovo continente alla rinascita del movimento antinucleare. Mentre in Europa l’origine di questa ondata di proteste antinucleari è collegata alla “doppia decisione” NATO del 1979, negli Stati Uniti la genesi si colloca nel contesto dalla mobilitazione dei gruppi ambientalisti in seguito all’incidente alla centrale nucleare di Three Mile Island. Dopo l’elezione di Ronald Reagan, alle proteste contro le applicazioni pacifiche dell’atomo si affiancarono quelle contro la politica nucleare del Paese. La retorica di Reagan, il massiccio piano di riarmo, unitamente al rinnovato deteriorarsi delle relazioni tra USA e URSS contribuirono a diffondere nell’opinione pubblica la sensazione che l’amministrazione Reagan, almeno da un punto di vista teorico, non avesse escluso dalle sue opzioni il ricorso alle armi nucleari nel caso di un confronto con l’URSS. I timori legati a questa percezione produssero una nuova ondata di proteste che assunsero dimensioni di massa grazie alla mobilitazione provocata dalla Nuclear Weapons Freeze Campaign (NWFC). Il target della NWFC era l’ampio programma di riarmo nucleare sostenuto da Reagan, che secondo gli attivisti nucleari, in un quadro di crescenti tensioni internazionali, avrebbe fatto aumentare le possibilità di uno scontro atomico. Per evitare lo scenario dell’olocausto nucleare, la NWFC proponeva «un congelamento bilaterale e verificabile del collaudo, dell’installazione e della produzione di armi nucleari». L’idea del nuclear freeze, che era concepito come un passo per fermare la spirale del riarmo e tentare successivamente di negoziare riduzioni negli arsenali delle due superpotenze, riscosse un tale consenso nell’opinione pubblica americana da indurre l’amministrazione Reagan a formulare una risposta specifica. Durante la primavera del 1982 fu, infatti, creato un gruppo interdipartimentale ad hoc, l’Arms Control Information Policy Group, con il compito di arginare l’influenza della NWFC sull’opinione pubblica americana e formulare una risposta coerente alle critiche del movimento antinucleare.
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Principales aportaciones: Elenco actualizado y más completo de “serlianas” hasta el momento, incluyendo el más amplio repertorio numismático e iconográfico sobre el tema. Visión de conjunto crítica de la “serliana” y motivos afines en la Antigüedad, la Edad Media y el Renacimiento, atendiendo a una selección de ejemplos en todos los formatos posibles (arquitectura e iconografía). Inclusión y explicación de la “serliana” dentro de los avances de la arquitectura romana, con atención a las fuentes escritas. Identificación de las principales áreas de origen y desarrollo de la “serliana”. Explicación de las causas y resultados de los procesos de innovación arquitectónica. Demostración de la llegada de la “serliana” a Hispania mucho antes que el disco de Teodosio. Indagación en las funciones y posibles implicaciones simbólicas de ejemplos de “serliana”. Hipótesis sobre el papel desempeñado por las arquitecturas efímeras. Hipótesis sobre el papel de la arquitectura militar en época romana para la difusión de la “serliana”. Comentario crítico de la situación de la “serliana” en la Antigüedad Tardía y visión general de sus procesos de transferencia y metamorfosis. Demostración de la pervivencia de la “serliana” en la Edad Media. Análisis de la arcada triple como posible sustituto de la “serliana”. Comentario crítico de los dibujos tardomedievales y renacentistas sobre la “serliana” y su relación con el estudio contemporáneo de los monumentos antiguos. Identificación de ejemplos y comentario crítico de la situación de la “serliana” en la Italia del Quattrocento y del Cinquecento. Análisis de las confluencias de la “serliana” Italia-España y evolución del motivo en este último ámbito. Demostración de las novedades propias del ámbito hispano.
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La presente ricerca si occupa della figura di Marco Zoppo, pittore e artista poliedrico, nato a Cento, in Emilia, intorno al 1432. L'indagine si concentra soprattutto sugli esordi e la prima maturità di questo artista, che lo videro attivo in centri importanti come Bologna e Padova e Venezia.
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Con le "Imagini degli dei degli antichi", pubblicate a Venezia nel 1556 e poi in più edizioni arricchite e illustrate, l’impegnato gentiluomo estense Vincenzo Cartari realizza il primo, fortunatissimo manuale mitografico italiano in lingua volgare, diffuso e tradotto in tutta l’Europa moderna. Cartari rimodula, secondo accenti divulgativi ma fedeli, fonti latine tradizionali: come le ricche "Genealogie deorum gentilium" di Giovanni Boccaccio, l’appena precedente "De deis gentium varia et multiplex historia" di Lilio Gregorio Giraldi, i curiosi "Fasti" ovidiani, da lui stesso commentati e tradotti. Soprattutto, però, introduce il patrimonio millenario di favole ed esegesi classiche, di aperture egiziane, mediorientali, sassoni, a una chiave di lettura inedita, agile e vitalissima: l’ecfrasi. Le divinità e i loro cortei di creature minori, aneddoti leggendari e attributi identificativi si susseguono secondo un taglio iconico e selettivo. Sfilano, in trionfi intrisi di raffinato petrarchismo neoplatonico e di emblematica picta poesis rinascimentale, soltanto gli aspetti figurabili e distintivi dei personaggi mitici: perché siano «raccontate interamente» tutte le cose attinenti alle figure antiche, «con le imagini quasi di tutti i dei, e le ragioni perché fossero così dipinti». Così, le "Imagini" incontrano il favore di lettori colti e cortigiani eleganti, di pittori e ceramisti, di poeti e artigiani. Allestiscono una sorta di «manuale d’uso» pronto all’inchiostro del poeta o al pennello dell’artista, una suggestiva raccolta di «libretti figurativi» ripresi tanto dalla maniera di Paolo Veronese o di Giorgio Vasari, quanto dal classicismo dei Carracci e di Nicolas Poussin. Si rivelano, infine, summa erudita capace di attirare appunti e revisioni: l’antiquario padovano Lorenzo Pignoria, nel 1615 e di nuovo nel 1626, vi aggiunge appendici archeologiche e comparatistiche, interessate al remoto regno dei faraoni quanto agli esotici idoli orientali e dei Nuovi Mondi.
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Il progetto si concentra sull’analisi ed il commento del libro dei conti di Lorenzo Lotto. Esso viene conservato nell’Archivio storico della Santa Casa di Loreto, ed è meglio conosciuto con il nome apocrifo di Libro di spese diverse. Possiamo considerarlo uno dei più significativi documenti del Rinascimento italiano: infatti esso ci parla dei rapporti che l’artista ha intessuto con committenti, colleghi ed amici, rivelando tanto la sua condotta di vita che la sua attività. È una ricerca che tenta di concentrarsi sull’artista attraverso una lettura più corretta di questa fonte: infatti in passato il Libro di spese diverse era considerato un diario e studiato attraverso una visione non consona al genere di riferimento.
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Questo lavoro si concentra su un particolare aspetto della sfaccettata ricerca scientifica di Johannes Kepler (1571-1630), ossia quello teorico-musicale. I pensieri dell’astronomo tedesco riguardanti tale campo sono concentrati – oltre che in alcuni capitoli del Mysterium cosmographicum (1596) ed in alcune sue lettere – nel Libro III dell’Harmonices mundi libri quinque (1619), che, per la sua posizione mediana all’interno dell’opera, tra i primi due libri geometrici e gli ultimi due astronomici, e per la sua funzione di raccordo tra la «speculazione astratta» della geometria e la concretizzazione degli archetipi geometrici nel mondo fisico, assume la struttura di un vero e proprio trattato musicale sul modello di quelli rinascimentali, nel quale la «musica speculativa», dedicata alla teoria delle consonanze e alla loro deduzione geometrica precede la «musica activa», dedicata alla pratica del canto dell’uomo nelle sue differenze, generi e modi. La tesi contiene la traduzione italiana, con testo latino a fronte, del Libro III dell’Harmonice, e un’ampia introduzione che percorre le tappe fondamentali del percorso biografico e scientifico che hanno portato alla concezione di quest’opera – soffermandosi in particolare sulla formazione musicale ricevuta da Keplero, sulle pagine di argomento musicale del Mysterium e delle lettere, e sulle riflessioni filosofico-armoniche sviluppate negli anni di ricerca – e offre gli elementi fondamentali per poter comprendere l’Harmonice mundi in generale e il Libro III in particolare. A ciò si aggiunge, in Appendice, la traduzione, anch’essa con testo latino a fronte, della Sectio V, dedicata alla musica, del Liber IX dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli (1598-1671), interessante sia dal punto di vista della recezione delle teorie di Keplero che dal punto di vista della storia delle idee musicali.
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La tesi ha come oggetto il rinnovamento urbano che fu realizzato a Faenza per opera del suo signore Carlo II Manfredi tra il 1468 e il 1477, d’accordo con il fratello, il vescovo Federico. La prima opera realizzata da Carlo fu il portico a due livelli che dotò di una nuova facciata il suo palazzo di residenza, di origini medievali. Questa architettura sarebbe stata il preludio di un riordino generale della piazza principale della città, probabilmente allo scopo di ricreare un foro all’antica, come prescritto dai trattati di Vitruvio e di Alberti. L’aspetto originale del loggiato rinascimentale, desumibile da documentazione archivistica e iconografica, permette di attribuirlo con una certa probabilità a Giuliano da Maiano. Oltre alla piazza, Carlo riformò profondamente il tessuto urbano, demolendo molti portici lignei di origine medievale, rettificando le principali strade, completando la cerchia muraria. Federico Manfredi nel 1474 diede inizio alla fabbrica della Cattedrale, ricostruita dalle fondamenta su progetto dello stesso Giuliano da Maiano. L’architettura della chiesa ha uno stile largamente debitore all’architettura sacra di Brunelleschi, ma con significative differenze (come la navata definita da un’alternanza tra pilastri e colonne, o la copertura composta da volte a vela). L’abside della cattedrale, estranea al progetto maianesco, fu realizzata nel 1491-92 e mostra alcuni dettagli riconducibili alla coeva architettura di Bramante. A Faenza si realizza in un periodo di tempo brevissimo una profonda trasformazione del volto della città: loggiato, riforma della piazza, riordino delle strade, una nuova cattedrale, tutto contribuisce a dare lustro ai Manfredi e a fare di Faenza una città moderna e in cui si mettono in pratica, forse per la prima volta nell’Italia settentrionale, i dettami di Vitruvio e di Alberti.
Das Aussehen Christi in der deutschen Bildkunst des 19. Jahrhunderts : Wandlungen des Christusbildes
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Bei der vorliegenden Arbeit handelt es sich um ein Überblickswerk zum Christusbild, dem Aussehen Christi in der deutschen Bildkunst des 19. Jahrhunderts und dessen Wandlungen. Grundlage der Arbeit bildet eine von der Autorin zusammengetragene Materialsammlung und deren Auswertung, basierend auf der Kenntnis von Originalen sowie der Sichtung von Literatur (insbesondere von Lexika, Museums- und Ausstellungskatalogen, Werkverzeichnissen sowie maßgeblichen deutschen Kunstzeitschriften des 19. Jahrhunderts). Das hieraus resultierende systematische Bildverzeichnis umfasst 1.914 Werke in Form von Staffeleibildern, Druckgraphik, wandgebundenen Gemälden (und auch Skulpturen); davon sind 729 mit Abbildungen in der Arbeit dokumentiert. In alphabetischer Reihenfolge abgefasst, enthält das Verzeichnis zu jedem Eintrag Kurzinformationen zu Werk und Künstler, sowie Literatur- und ggf. Abbildungsnachweise. Auf dieser Basis geht die Untersuchung über den bisher relativ kleinen Kreis einschlägig bekannter Christusbilder weit hinaus und gibt erstmals einen umfassenden und für das 19. Jahrhundert repräsentativen Überblick.rnDer auf dieses Material gestützte Hauptteil befasst sich mit der eingehenden Betrachtung der „Grundtypen“ des Christusbildes, womit das Aussehen Christi (Physiognomie, Gesamtgestalt, Gewandung, Habitus und Gestik) gemeint ist. Schwerpunkte der Arbeit bilden zunächst das an der Renaissance (insbesondere an Raffael) orientierte „milde“ Christusbild des Klassizismus und die „inniglich-schöne“ Idealgestalt der Romantik (variiert auch mit altdeutschen Elementen), aus der schließlich das bis in die Gegenwart verwendete, kitschig-süßliche Devotionalienbild resultierte. Eine historisierende, ethnologische Rekonstruktion eines „jüdischen“ Jesus, erschien besonders in der „Orientmalerei“ seit den vierziger Jahren des 19. Jahrhunderts. Die Ablehnung und Abgrenzung der Orientmalerei führte zu einer „historischen Reformationsmalerei“ mit altdeutschen Elementen und auch teilweise zu einer Tendenz der „Germanisierung“ des Bildes Jesu mit genrehaften Zügen. Zum Jahrhundertende hin wurden außerdem vielfältige Versuche beobachtet, den Gottmenschen Jesus in „zeitgenössischem“ Aussehen volksnah in die Gegenwart der Gläubigen einzubinden. Im Symbolismus traten hingegen heroisierende Tendenzen auf bis hin zu einer „Entwirklichung“ der Gestalt Christi. Zusammenfassende Beobachtungen zu den häufig verwendeten und „beliebten“ Themen der Christusdarstellung im 19. Jahrhundert runden die Arbeit ab, in der eine bislang ungekannte Differenzierung und Vielfalt der Darstellungsmöglichkeiten Christi in der religiösen Kunst des 19. Jahrhunderts aufgezeigt werden konnte.
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Arnt van Tricht, gest. 1570, unterhielt bis in die späten 50er Jahre des 16. Jahrhunderts, wahrschein-lich aus Antwerpen kommend, in Kalkar am Niederrhein eine sehr erfolgreiche Werkstatt. Die bis dahin vorherrschende spätgotische Formensprache der langjährig ansässigen Bildhauer löste er durch die der Renaissance ab, führte jedoch deren Arbeitsfelder und Materialwahl weiter. Arnt van Tricht schuf Arbeiten sowohl religiöser als auch profaner Natur innerhalb des Gebiets der damals sehr bedeutenden Vereinigten Herzogtümer Kleve-Mark-Jülich-Berg und Geldern. Seine wohlhabenden Auftraggeber entstammten dem Klerus, der Bürgerschaft und dem Adel.rnIm Rahmen der Arbeit zeigte sich, dass sich für den Künstler die Verlegung der herzoglichen Residenz nach Düsseldorf und der wirtschaftliche Niedergang der Region letztlich stärker auswirkte als die religiösen Veränderungen durch die Reformation.rnArnt van Tricht schuf die meisten seiner religiösen Bildwerke für die Stiftskirche St. Viktor in Xanten, die durch die Bürgerschaft ausgestattete Pfarrkirche von St. Nicolai in Kalkar und umliegende Gemeinden. Einzelne Stücke sind, wohl über familiäre Verflechtungen vermittelt, in einem weiteren Radius zu finden. Van Tricht arbeitete Schnitzretabel mitsamt ihrer ornamentalen und figuralen Aus-stattung sowie Skulpturen(-gruppen) in Eichenholz. Daneben finden sich im Werk zahlreiche in Sandstein gearbeitete Skulpturen, die teilweise an Pfeilern und Portalen der Kirchen architektur-gebunden sind. Neben diesen rundplastischen Werken schuf Arnt van Tricht eine große Anzahl an steinernen Reliefarbeiten. Hierbei nehmen die überwiegend für die lokalen Kanoniker gearbeiteten Epitaphien mit biblischem Reliefbild in Ornamentrahmen den größten Teil ein.rnEin zweiter, gleichwertiger Werkkomplex, überwiegend in Sandstein gearbeitet, ist profaner Natur und fällt durch die Größe der Aufträge ins Gewicht. Arnt van Tricht war an einigen groß angelegten Modernisierungsprojekten an Stadthäusern und Kastellen des lokalen Adels beschäftigt. Für mehrere aufwendig gestaltete Fassadendekorationen arbeitete er Architekturglieder mit figürlicher Darstellung oder Ornament, Büsten und freiplastische Skulpturen. Arnt van Tricht war aber auch an der Aus-gestaltung der Innenräume beteiligt. Aufwendig skulptierte und reliefverzierte Kaminverkleidungen stehen dabei neben reduzierteren Arbeiten für offensichtlich weniger repräsentative Räume. Neben in Eichenholz gearbeiteter Vertäfelung schuf Arnt van Tricht hölzerne figurale Handtuchhalter. Diese zeigen, wie auch die Reliefbilder der Kamine, die darüber hinaus Wappen und Porträts der Bauherren aufnehmen, eine religiöse oder profane, auch antikisierende Thematik, bei der ein moralisierender Unterton mitschwingt.rnIn dieser Arbeit werden erstmals alle Werkstücke des Künstlers zusammengeführt dargestellt, so dass ein Werkkatalog mit einem Überblick über das sehr breit gefächerte Spektrum des Opus Arnt van Trichts vorliegt. Häufig durch bloße Nennung mit Arnt van Tricht in Verbindung gebrachte Arbeiten werden bewertet und die Zu- oder Abschreibung begründet. Auch können einige Stücke neu zugeschrieben werden.
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Georg Breitner Simulacra Artis pretio metienda Studien zur Erforschung spätantiker mythologischer Rundplastik Zusammenfassung: Die römische Rundplastik stellt einen zentralen Bestandteil römischer Ausstattung dar. Wirtschaftliche und religionspolitische Veränderungen in der Spätantike beeinflussten nachhaltig ihre Herstellung und Verwendung. In der Forschung stehen sich derzeit zwei Haupttendenzen gegenüber. Während die eine das Ende der römischen Idealplastik im 3.Jh.n.Chr. sehen möchte, schlägt die andere eine nahezu ungebrochene Produktion bis in das späte 4.Jh.n.Chr. vor. Die Arbeit untersucht daher nicht nur den Entwicklungsprozess, sondern auch die Gründe für die heute so unterschiedliche Bewertung. Nach dem einleitenden Teil zum Forschungstand, dem chronologischen Rahmen und der Zielsetzung der Arbeit, wird im zweiten Teil die heidnische Rundplastik in der spätantiken Literatur betrachtet. Ausgehend von der Frage nach dem Bedarf an Rundplastik und dem privaten wie öffentlichen Aufstellungskontextes in der Spätantike, werden Grundlagen für die Bestimmung spätantiker Verhaltensmuster herausgearbeitet, die eine Aussage über die Herstellung von rundplastischen Werken wahrscheinlich macht. Hierzu werden ausgewählte literarische Quellen herangezogen, die Veränderungen im Umgang mit der Präsenz heidnischer Rundplastik in einem zunehmend christlich geprägten gesellschaftlichen Raum nachzeichnen lassen. Die höchst unterschiedlichen Äußerungen spätantiker Autoren weisen auf eine vielschichtige Auseinandersetzung mit dem kulturellen Erbe und seinem Weiterleben. Die Betrachtung der literarischen Quellen zeigt, dass weder Hinweise für ein mangelndes Interesse bestehen, noch die im 4.Jh. einsetzenden religiösen Veränderungen eine Produktion und Aufstellung der mythologischen Rundplastik ausschließen. Vielmehr zeigt sich ein wachsendes Bewusstsein am kulturellen Erbe, das sich in der Auseinandersetzung mit dem Inhalt und dem künstlerischen Schaffensprozess einer Statue ausdrückt. Durch die Loslösung des mythologischen Inhalts der Statuen von der heidnischen Religionsausübung erhalten die Statuen, aber auch ihre Künstler eine neue Wertschätzung, die ihren Erhalt garantieren und neue künstlerische Prozesse auslösen. Mit der Analyse der literarischen Quellen sind die Rahmenbedingungen eines gesellschaftlichen Umfelds bestimmt, die in den folgenden Kapiteln auf ihre Verbindungen mit der realen Existenz spätantiker Statuen mit mythologischem Inhalt geprüft werden. Im dritten Teil werden zunächst methodische Aspekte zu den unterschiedlichen Positionen in der Forschung diskutiert. Die bisherigen Datierungsvorschläge spätantiker Rundplastik stehen dabei ebenso im Zentrum, wie die Vorschläge eigener methodischer Zielsetzungen. Es zeigt sich, dass die Polarisierung der Forschungsmeinung nicht allein durch das untersuchte Material, sondern vom methodischen Umgang mit der archäologischen Stilkritik und der Definition von Modellen kunsthistorischer Entwicklungen bestimmt wird. Es werden daher Wege gesucht, die Datierung spätantiker Kunstentwicklung am Beispiel der mythologischen Rundplastik auf eine neue methodische Basis zu stellen. Ausgehend von der Rundplastik des 3.Jh.n.Chr. werden im dritten Teil der Arbeit anhand ausgewählter Statuengruppen die bisherigen, teilweise kontrovers geführten Überlegungen zur Datierbarkeit und kunsthistorischen Stellung und Entwicklung spätantiker Rundplastik geprüft. Es zeigt sich, dass durch die Einbeziehung eines chronologisch weiter gefassten Rahmens (3.-5.Jh.) Möglichkeiten zur Bestimmung spätantiker Stiltendenzen und ihrer Datierung hinzugewonnen werden können. Auf dieser Grundlage können einige Statuen erstmals der Spätantike zugewiesen werden. Andere Statuen- bislang für spätantik gehalten - werden dagegen deutlich früher datiert. Die zeitstilistischen Bewertungen der Fallbeispiele zeigen, dass grundsätzliche Phänomene und Definitionen spätantiker Kunstentwicklung überdacht werden müssen. So zeugt das Fortbestehen klassischer Formprinzipien in einem gewandelten gesellschaftlichen Umfeld nicht von einer Renaissance, sondern vielmehr von einem andauernden Prozeß im Umgang mit dem kulturellen Erbe. Im fünften Abschnitt der Arbeit werden alle angesprochenen Aspekte nochmals aufgegriffen, um ein Bild von der Wertschätzung, Produktion und damit Fortbestandes römischer Idealplastik zu zeichnen. Die Arbeit schließt mit einem Ausblick ab, der Perspektiven der Stilanalyse spätantiker Rundplastik für die Bewertung nachfolgender Stilentwicklungen aufzeigt.