70 resultados para Varanus griseus


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L’allevamento in cattività dei rettili è in costante crescita negli ultimi anni e richiede conoscenze mediche sempre più specialistiche per far fronte ai numerosi problemi legati a questi animali. Il corretto approccio medico prevede una profonda conoscenza delle specie prese in esame dal momento che la maggior parte delle problematiche riproduttive di questi animali sono legate ad una non corretta gestione dei riproduttori. L’apparato riproduttore dei rettili è estremamente vario a seconda delle specie prese in considerazione. Sauri ed ofidi possiedono due organi copulatori denominati emipeni e posizionati alla base della coda caudalmente alla cloaca che vengono estroflessi alternativamente durante l’accoppiamento per veicolare lo spera all’interno della cloaca della femmina. In questi animali il segmento posteriore renale è chiamato segmento sessuale, perché contribuisce alla formazione del fluido seminale. Tale porzione, durante la stagione dell’accoppiamento, diventa più voluminosa e cambia drasticamente colore, tanto che può essere confusa con una manifestazione patologica. I cheloni al contrario possiedono un unico pene che non viene coinvolto nella minzione. In questi animali. I testicoli sono due e sono situati all’interno della cavità celomatica in posizione cranioventrale rispetto ai reni. I testicoli possono variare notevolmente sia come forma che come dimensione a seconda del periodo dell’anno. Il ciclo estrale dei rettili è regolato, come pure nei mammiferi, dagli ormoni steroidei. La variazione di questi ormoni a livello ematico è stata studiato da diversi autori con il risultato di aver dimostrato come la variazione dei dosaggi degli stessi determini l’alternanza delle varie fasi del ciclo riproduttivo. La relazione tra presenza di uova (anche placentari) ed alti livelli di progesterone suggerisce che questo ormone gioca un ruolo importante nelle riproduzione delle specie ovipare per esempio stimolando la vascolarizzazione degli ovidutti durante i tre mesi in cui si ha lo sviluppo delle uova. Il 17-beta estradiolo è stato descritto come un ormone vitellogenico grazie alla sua capacità di promuovere lo sviluppo dei follicoli e la formazione di strati protettivi dell’uovo. L’aumento del livello di estradiolo osservato esclusivamente nelle femmine in fase vitellogenica è direttamente responsabile della mobilizzazione delle riserve materne in questa fase del ciclo. Va sottolineato come il progesterone sia in effetti un antagonista dell’estradiolo, riducendo la vitellogenesi e intensificando gli scambi materno fetali a livello di ovidutto. Le prostaglandine (PG) costituiscono un gruppo di molecole di origine lipidica biologicamente attive, sintetizzate sotto varie forme chimiche. Sono noti numerosi gruppi di prostaglandine ed è risputo che pesci, anfibi, rettili e mammiferi sintetizzano una o più prostaglandine partendo da acidi grassi precursori. Queste sostanze anche nei rettili agiscono sulla mucosa dell’utero aumentandone le contrazioni e sui corpi lutei determinandone la lisi. La maturità sessuale dei rettili, dipende principalmente dalla taglia piuttosto che dall’età effettiva dell’animale. In cattività, l’alimentazione e le cure dell’allevatore, possono giocare un ruolo fondamentale nel raggiungimento della taglia necessaria all’animale per maturare sessualmente. Spesso, un animale d’allevamento raggiunge prima la maturità sessuale rispetto ai suoi simili in natura. La maggior parte dei rettili sono ovipari, ovvero depongono uova con guscio sulla sabbia o in nidi creati appositamente. La condizione di ovoviviparità è riscontrabile in alcuni rettili. Le uova, in questo caso, vengono ritenute all’interno del corpo, fino alla nascita della progenie. Questa può essere considerata una strategia evolutiva di alcuni animali, che in condizioni climatiche favorevoli effettuano l’ovo deposizione, ma se il clima non lo permette, ritengono le uova fino alla nascita della prole. Alcuni serpenti e lucertole sono vivipari, ciò significa che l’embrione si sviluppa all’interno del corpo dell’animale e che è presente una placenta. I piccoli fuoriescono dal corpo dell’animale vivi e reattivi. La partenogenesi è una modalità di riproduzione asessuata, in cui si ha lo sviluppo dell’uovo senza che sia avvenuta la fecondazione. Trenta specie di lucertole e alcuni serpenti possono riprodursi con questo metodo. Cnemidophorus uniparens, C. velox e C. teselatus alternano la partenogenesi a una riproduzione sessuata, a seconda della disponibilità del maschio. La maggior parte dei rettili non mostra alcuna cura materna per le uova o per i piccoli che vengono abbandonati al momento della nascita. Esistono tuttavia eccezioni a questa regola generale infatti alcune specie di pitoni covano le uova fino al momento della schiusa proteggendole dai predatori e garantendo la giusta temperatura e umidità. Comportamenti di guardia al nido sono poi stati documentati in numerosi rettili, sia cheloni che sauri che ofidi. Nella maggior parte delle tartarughe, la riproduzione è legata alla stagione. Condizioni favorevoli, possono essere la stagione primaverile nelle zone temperate o la stagione umida nelle aree tropicali. In cattività, per riprodurre queste condizioni, è necessario fornire, dopo un periodo di ibernazione, un aumento del fotoperiodo e della temperatura. L’ atteggiamento del maschio durante il corteggiamento è di notevole aggressività, sia nei confronti degli altri maschi, con i quali combatte copiosamente, colpendoli con la corazza e cercando di rovesciare sul dorso l’avversario, sia nei confronti della femmina. Infatti prima della copulazione, il maschio insegue la femmina, la sperona, la morde alla testa e alle zampe e infine la immobilizza contro un ostacolo. Il comportamento durante la gravidanza è facilmente riconoscibile. La femmina tende ad essere molto agitata, è aggressiva nei confronti delle altre femmine e inizia a scavare buche due settimane prima della deposizione. La femmina gravida costruisce il nido in diverse ore. Scava, con gli arti anteriori, buche nel terreno e vi depone le uova, ricoprendole di terriccio e foglie con gli arti posteriori. A volte, le tartarughe possono trattenere le uova, arrestando lo sviluppo embrionale della prole per anni quando non trovano le condizioni adatte a nidificare. Lo sperma, inoltre, può essere immagazzinato nell’ovidotto fino a sei anni, quindi la deposizione di uova fertilizzate può verificarsi senza che sia avvenuto l’accoppiamento durante quel ciclo riproduttivo. I comportamenti riproduttivi di tutte le specie di lucertole dipendono principalmente dalla variazione stagionale, correlata al cambiamento di temperatura e del fotoperiodo. Per questo, se si vuole far riprodurre questi animali in cattività, è necessario valutare per ogni specie una temperatura e un’illuminazione adeguata. Durante il periodo riproduttivo, un atteggiamento caratteristico di diverse specie di lucertole è quello di riprodurre particolari danze e movimenti ritmici della testa. In alcune specie, possiamo notare il gesto di estendere e retrarre il gozzo per mettere in evidenza la sua brillante colorazione e richiamare l’attenzione della femmina. L’aggressività dei maschi, durante la stagione dell’accoppiamento, è molto evidente, in alcuni casi però, anche le femmine tendono ad essere aggressive nei confronti delle altre femmine, specialmente durante l’ovo deposizione. La fertilizzazione è interna e durante la copulazione, gli spermatozoi sono depositati nella porzione anteriore della cloaca femminile, si spostano successivamente verso l’alto, dirigendosi nell’ovidotto, in circa 24-48 ore; qui, fertilizzano le uova che sono rilasciate nell’ovidotto dall’ovario. Negli ofidi il corteggiamento è molto importante e i comportamenti durante questa fase possono essere diversi da specie a specie. I feromoni specie specifici giocano un ruolo fondamentale nell’attrazione del partner, in particolar modo in colubridi e crotalidi. La femmina di queste specie emette una traccia odorifera, percepita e seguita dal maschio. Prima dell’accoppiamento, inoltre, il maschio si avvicina alla femmina e con la sua lingua bifida o con il mento, ne percorre tutto il corpo per captare i feromoni. Dopo tale comportamento, avviene la copulazione vera e propria con la apposizione delle cloache; gli emipeni vengono utilizzati alternativamente e volontariamente dal maschio. Durante l’ovulazione, il serpente aumenterà di volume nella sua metà posteriore e contrazioni muscolari favoriranno lo spostamento delle uova negli ovidotti. In generale, se l’animale è oviparo, avverrà una muta precedente alla ovo deposizione, che avviene prevalentemente di notte. Gli spermatozoi dei rettili sono morfologicamente simili a quelli di forme superiori di invertebrati. La fecondazione delle uova, da parte di spermatozoi immagazzinati nel tratto riproduttivo femminile, è solitamente possibile anche dopo mesi o perfino anni dall’accoppiamento. La ritenzione dei gameti maschili vitali è detta amphigonia retardata e si ritiene che questa caratteristica offra molti benefici per la sopravvivenza delle specie essendo un adattamento molto utile alle condizioni ambientali quando c’è una relativa scarsità di maschi conspecifici disponibili. Nell’allevamento dei rettili in cattività un accurato monitoraggio dei riproduttori presenta una duplice importanza. Permette di sopperire ad eventuali errori di management nel caso di mancata fertilizzazione e inoltre permette di capire quale sia il grado di sviluppo del prodotto del concepimento e quindi di stabilire quale sia il giorno previsto per la deposizione. Le moderne tecniche di monitoraggio e l’esperienza acquisita in questi ultimi anni permettono inoltre di valutare in modo preciso lo sviluppo follicolare e quindi di stabilire quale sia il periodo migliore per l’accoppiamento. Il dimorfismo sessuale nei serpenti è raro e anche quando presente è poco evidente. Solitamente nei maschi, la coda risulta essere più larga rispetto a quella della femmina in quanto nel segmento post-cloacale vi sono alloggiati gli emipeni. Il maschio inoltre, è generalmente più piccolo della femmina a parità di età. Molti cheloni sono sessualmente dimorfici sebbene i caratteri sessuali secondari siano poco apprezzabili nei soggetti giovani e diventino più evidenti dopo la pubertà. In alcune specie si deve aspettare per più di 10 anni prima che il dimorfismo sia evidente. Le tartarughe di sesso maschile tendono ad avere un pene di grosse dimensioni che può essere estroflesso in caso di situazioni particolarmente stressanti. I maschi sessualmente maturi di molte specie di tartarughe inoltre tendono ad avere una coda più lunga e più spessa rispetto alle femmine di pari dimensioni e la distanza tra il margine caudale del piastrone e l’apertura cloacale è maggiore rispetto alle femmine. Sebbene la determinazione del sesso sia spesso difficile nei soggetti giovani molti sauri adulti hanno dimorfismo sessuale evidente. Nonostante tutto comunque anche tra i sauri esistono molte specie come per esempio Tiliqua scincoides, Tiliqua intermedia, Gerrhosaurus major e Pogona vitticeps che anche in età adulta non mostrano alcun carattere sessuale secondario evidente rendendone molto difficile il riconoscimento del sesso. Per garantire un riconoscimento del sesso degli animali sono state messe a punto diverse tecniche di sessaggio che variano a seconda della specie presa in esame. L’eversione manuale degli emipeni è la più comune metodica utilizzata per il sessaggio dei giovani ofidi ed in particolare dei colubridi. I limiti di questa tecnica sono legati al fatto che può essere considerata attendibile al 100% solo nel caso di maschi riconosciuti positivi. L’eversione idrostatica degli emipeni esattamente come l’eversione manuale degli emipeni si basa sull’estroflessione di questi organi dalla base della coda, pertanto può essere utilizzata solo negli ofidi e in alcuni sauri. La procedura prevede l’iniezione di fluido sterile (preferibilmente soluzione salina isotonica) nella coda caudalmente all’eventuale posizione degli emipeni. Questa tecnica deve essere eseguita solo in casi eccezionali in quanto non è scevra da rischi. L’utilizzo di sonde cloacali è il principale metodo di sessaggio per gli ofidi adulti e per i sauri di grosse dimensioni. Per questa metodica si utilizzano sonde metalliche dello spessore adeguato al paziente e con punta smussa. Nei soggetti di genere maschile la sonda penetra agevolmente al contrario di quello che accade nelle femmine. Anche gli esami radiografici possono rendersi utili per il sessaggio di alcune specie di Varani (Varanus achanturus, V. komodoensis, V. olivaceus, V. gouldi, V. salvadorii ecc.) in quanto questi animali possiedono zone di mineralizzazione dei tessuti molli (“hemibacula”) che possono essere facilmente individuate nei maschi. Diversi studi riportano come il rapporto tra estradiolo e androgeni nel plasma o nel liquido amniotico sia un possibile metodo per identificare il genere sessuale delle tartarughe. Per effettuare il dosaggio ormonale, è necessario prelevare un campione di sangue di almeno 1 ml ad animale aspetto che rende praticamente impossibile utilizzare questo metodo di sessaggio nelle tartarughe molto piccole e nei neonati. L’ecografia, volta al ritrovamento degli emipeni, sembra essere un metodo molto preciso, per la determinazione del sesso nei serpenti. Uno studio compiuto presso il dipartimento di Scienze Medico Veterinarie dell’Università di Parma, ha dimostrato come questo metodo abbia una sensibilità, una specificità e un valore predittivo positivo e negativo pari al 100%. La radiografia con mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata possono essere utilizzate nel sessaggio dei sauri, con buoni risultati. Uno studio, compiuto dal dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, dell’Università di Parma, ha voluto mettere a confronto diverse tecniche di sessaggio nei sauri, tra cui l’ecografia, la radiografia con e senza mezzo di contrasto e la tomografia computerizzata con e senza mezzo di contrasto. I risultati ottenuti, hanno dimostrato come l’ecografia non sia il mezzo più affidabile per il riconoscimento degli emipeni e quindi del sesso dell’animale, mentre la radiografia e la tomografia computerizza con mezzo di contrasto siano tecniche affidabili e accurate in queste specie. Un metodo valido e facilmente realizzabile per il sessaggio dei cheloni anche prepuberi è la cistoscopia. In un recente studio la cistoscopia è stata effettuata su quindici cheloni deceduti e venticinque cheloni vivi, anestetizzati. In generale, questo metodo si è dimostrato non invasivo per le tartarughe, facilmente ripetibile in diversi tipi di tartarughe e di breve durata. Tra le principali patologie riproduttive dei rettili le distocie sono sicuramente quelle che presentano una maggior frequenza. Quando si parla di distocia nei rettili, si intendono tutte quelle situazioni in cui si ha una mancata espulsione e deposizione del prodotto del concepimento entro tempi fisiologici. Questa patologia è complessa e può dipendere da diverse cause. Inoltre può sfociare in malattie sistemiche a volte molto severe. Le distocie possono essere classificate in ostruttive e non ostruttive in base alle cause. Si parla di distocia ostruttiva quando si verificano delle condizioni per cui viene impedito il corretto passaggio delle uova lungo il tratto riproduttivo (Fig.13). Le cause possono dipendere dalla madre o dalle caratteristiche delle uova. Nel caso di distocia non ostruttiva le uova rinvenute sono solitamente di dimensioni normali e la conformazione anatomica della madre è fisiologica. L’eziologia è da ricercare in difetti comportamentali, ambientali e patologici. Non esistono sintomi specifici e patognomonici di distocia. La malattia diviene evidente e conclamata solamente in presenza di complicazioni. Gli approcci terapeutici possibili sono vari a seconda della specie animale e della situazione. Fornire un’area adeguata per la nidiata: se la distocia non è ostruttiva si può cercare di incoraggiare l’animale a deporre autonomamente le uova creando un idoneo luogo di deposizione. Il trattamento medico prevede la stimolazione della deposizione delle uova ritenute mediante l’induzione con ossitocina. L’ossitocina viene somministrata alle dosi di 1/3 UI/kg per via intramuscolare. Uno studio condotto presso l’Università veterinaria di Parma ha comparato le somministrazioni di ossitocina per via intramuscolare e per via intravenosa, confrontando le tempistiche con le quali incominciano le contrazioni e avviene la completa ovodeposizione e dimostrando come per via intravenosa sia possibile somministrare dosi più basse rispetto a quelle riportate solitamente in letteratura ottenendo comunque un ottimo risultato. Nel caso in cui il trattamento farmacologico dovesse fallire o non fosse attuabile, oppure in casi di distocia ostruttiva è possibile ricorrere alla chirurgia. Per stasi follicolare si intende la incapacità di produrre sufficiente quantità di progesterone da corpi lutei perfettamente funzionanti. Come per la distocia, l’eziologia della stasi follicolare è variegata e molto ampia: le cause possono essere sia ambientali che patologiche. La diagnosi clinica viene fatta essenzialmente per esclusione. Come per la distocia, anche in questo caso l’anamnesi e la raccolta del maggior quantitativo di informazioni è fondamentale per indirizzarsi verso il riconoscimento della patologia. Per prolasso si intende la fuoriuscita di un organo attraverso un orifizio del corpo. Nei rettili, diversi organi possono prolassare attraverso la cloaca: la porzione terminale dell’apparato gastroenterico, la vescica urinaria, il pene nel maschio (cheloni) e gli ovidutti nella femmina. In sauri e ofidi gli emipeni possono prolassare dalle rispettive tasche in seguito ad eccesiva attività sessuale97. La corretta identificazione del viscere prolassato è estremamente importante e deve essere effettuata prima di decidere qualsiasi tipologia di trattamento ed intervento. Nei casi acuti e non complicati è possibile la riduzione manuale dell’organo, dopo un accurato lavaggio e attenta pulizia. Se questo non dovesse essere possibile, l’utilizzo di lubrificanti e pomate antibiotiche garantisce all’organo una protezione efficiente. Nel caso in cui non si sia potuto intervenire celermente e l’organo sia andato incontro a infezione e congestione venosa prolungata con conseguente necrosi, l’unica soluzione è l’amputazione

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En el presente trabajo se recopilan veinte años de observaciones realizadas por los servicios de vigilancia de la Reserva Marina y Reserva Natural de las Islas Columbretes, así como aquellas notificadas por embarcaciones de recreo y pesca, desde la creación de la reserva en 1990. Las observaciones fueron realizadas durante todo el año en el interior de la Reserva Marina e inmediaciones. Por avistamiento se ha anotado la especie, el tamaño de grupo, hora y situación aproximada. Para cada especie se ha analizado la presencia a lo largo de los meses del año, la distancia a las islas y el tamaño de los grupos. Se han obtenido datos de un total de 366 observaciones y 4928 individuos. La especie más frecuente ha sido el delfín mular Tursiops truncatus con el 71 % de las observaciones totales, seguida por el rorcual común Balaenoptera physalus (20 %), delfín listado Stenella coeruleoalba (5 %), delfín común Delphinus delphis (1.4 %), y con porcentajes inferiores al 1%: calderón común Globicephala melas, calderón gris Grampus griseus, cachalote Physeter catodon y orca Orcinus orca. La presencia constante de delfín mular en la Reserva Marina durante estos 20 años es una evidencia de que la protección de estas aguas ha contribuido a la conservación de esta especie en la zona. Por otra parte, las observaciones de rorcual común al este de la Reserva Marina indican la existencia de una zona de paso de los individuos en su migración latitudinal.

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En las aguas del golfo de Mazarrón se realizaron campañas para avistar cetáceos durante los años 1998, 1999, 2004, 2005, 2006, 2007 y 2008 a bordo de la goleta M/S Karyam, perteneciente a la empresa “Cetáceos y Navegación S.L.”. En todas las campañas de avistamiento las especies objetivo fueron las siguientes: Delfín mular (Tursiops truncatus), delfín listado, (Stenella coeruleoalba), delfín común (Delphinus delphis), calderón común (Globicephala melas), calderón gris (Grampus griseus), cachalote (Physeter macrocephalus), rorcual común (Balaenoptera physalus). Durante el periodo de muestreo se han realizado un total de 819 avistamientos con una estima aproximada de 21387 cetáceos, sin contar las salidas de avistamiento que aún se pueden hacer de octubre a diciembre del presente año. En los años comprendidos entre 2004 y 2008 las salidas de avistamientos exceden de las 100, repartidas entre los meses de marzo y diciembre, siendo la mayoría en los meses correspondientes a la estación de verano. En los años 1998 y 1999 se realizaron 31 y 67 días de campaña respectivamente, distribuidos prácticamente a lo largo de todo el año. Aún así se tienen en cuenta para establecer comparativas con años posteriores, ya que la diferencia en la abundancia de las especies avistadas es bastante notable. Con la información procedente de estas jornadas de avistamiento se realiza actualmente una caracterización de los cetáceos de las aguas de la Región de Murcia, en la que se detallan las características de cada una de las especies avistadas, una comparativa por años del número de individuos avistado por jornada, cantidad de grupos avistados por año, diversidad de especies por época del año y número de avistamiento por salida.

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Differential heart rates during heating and cooling (heart rate hysteresis) are an important thermoregulatory mechanism in ectothermic reptiles. We speculate that heart rate hysteresis has evolved alongside vascularisation, and to determine whether this phenomenon occurs in a lineage with vascularised circulatory systems that is phylogenetically distant from reptiles, we measured the response of heart rate to convective heat transfer in the Australian freshwater crayfish, Cherax destructor. Heart rate during convective heating (from 20 to 30 degreesC) was significantly faster than during cooling for any given body temperature. Heart rate declined rapidly immediately following the removal of the heat source, despite only negligible losses in body temperature. This heart rate 'hysteresis' is similar to the pattern reported in many reptiles and, by varying peripheral blood flow, it is presumed to confer thermoregulatory benefits particularly given the thermal sensitivity of many physiological rate functions in crustaceans. (C) 2004 Published by Elsevier Inc.

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Body size is a fundamental structural characteristic of organisms, determining critical life history and physiological traits, and influencing population dynamics, community structure, and ecosystem function. For my dissertation, I focused on effects of body size on habitat use and diet of important coastal fish predators, as well as their influence on faunal communities in Bahamian wetlands. First, using acoustic telemetry and stable isotope analysis, I identified high variability in movement patterns and habitat use among individuals within a gray snapper (Lutjanus griseus) and schoolmaster snapper (L. apodus) population. This intrapopulation variation was not explained by body size, but by individual behavior in habitat use. Isotope values differed between individuals that moved further distances and individuals that stayed close to their home sites, suggesting movement differences were related to specific patterns of foraging behavior. Subsequently, while investigating diet of schoolmaster snapper over a two-year period using stomach content and stable isotope analyses, I also found intrapopulation diet variation, mostly explained by differences in size class, individual behavior and temporal variability. I then developed a hypothesis-testing framework examining intrapopulation niche variation between size classes using stable isotopes. This framework can serve as baseline to categorize taxonomic or functional groupings into specific niche shift scenarios, as well as to help elucidate underlying mechanisms causing niche shifts in certain size classes. Finally, I examined the effect of different-sized fish predators on epifaunal community structure in shallow seagrass beds using exclusion experiments at two spatial scales. Overall, I found that predator effects were rather weak, with predator size and spatial scale having no impact on the community. Yet, I also found some evidence of strong interactions on particular common snapper prey. As Bahamian wetlands are increasingly threatened by human activities (e.g., overexploitation, habitat degradation), an enhanced knowledge of the ecology of organisms inhabiting these systems is crucial for developing appropriate conservation and management strategies. My dissertation research contributed to this effort by providing critical information about the resource use of important Bahamian fish predators, as well as their effect on faunal seagrass communities.

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The construction of artificial reefs in the oligotrophic seagrass meadows of central Florida Bay attracted large aggregations of fish and invertebrates, and assays of nutrient availability indicated increases in availability of nutrients to sediment microalgae, periphyton, and seagrasses around reefs. An average of 37.8 large (> 10 cm) mobile animals were observed on each small artificial reef. The dominant fish species present was the gray snapper (Lutjanus griseus Linnaeus, 1758). Four yrs after the establishment of the artificial reefs, microphytobenthos abundance was twice as high in reef plots (1.7 ± 0.1 μg chl-a cm-2) compared to control plots (0.9 ± 0.1 μg chl-a cm-2). The accumulation of periphyton on glass periphytometers was four times higher in artificial reef plots (200.1 ± 45.8 mg chl-a m-2) compared to control plots (54.8 ± 6.8 mg chl-a m-2). The seagrass beds surrounding the artificial reefs changed rapidly, from a sparse Thalassia testudinum (Banks & Soland. ex König) dominated community, which persisted at control plots, to a community dominated by Halodule wrightii (Ascherson). Such changes mirror the changes induced in experimentally fertilized seagrass beds in Florida, strongly suggesting that the aggregations of animals attracted by artificial reefs concentrated nutrients in this oligotrophic seascape, favoring the growth of fast-growing primary producers like microphytobenthos and periphyton, and changing the competitively dominant seagrass from slow-growing T. testudinum to faster-growing H. wrightii in the vicinity of the reefs.

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Seascape ecology provides a useful framework from which to understand the processes governing spatial variability in ecological patterns. Seascape context, or the composition and pattern of habitat surrounding a focal patch, has the potential to impact resource availability, predator-prey interactions, and connectivity with other habitats. For my dissertation research, I combined a variety of approaches to examine how habitat quality for fishes is influenced by a diverse range of seascape factors in sub-tropical, back-reef ecosystems. In the first part of my dissertation, I examined how seascape context can affect reef fish communities on an experimental array of artificial reefs created in various seascape contexts in Abaco, Bahamas. I found that the amount of seagrass at large spatial scales was an important predictor of community assembly on these reefs. Additionally, seascape context had differing effects on various aspects of habitat quality for the most common reef species, White grunt Haemulon plumierii. The amount of seagrass at large spatial scales had positive effects on fish abundance and secondary production, but not on metrics of condition and growth. The second part of my dissertation focused on how foraging conditions for fish varied across a linear seascape gradient in the Loxahatchee River estuary in Florida, USA. Gray snapper, Lutjanus griseus, traded food quality for quantity along this estuarine gradient, maintaining similar growth rates and condition among sites. Additional work focused on identifying major energy flow pathways to two consumers in oyster-reef food webs in the Loxahatchee. Algal and microphytobenthos resource pools supported most of the production to these consumers, and body size for one of the consumers mediated food web linkages with surrounding mangrove habitats. All of these studies examined a different facet of the importance of seascape context in governing ecological processes occurring in focal habitats and underscore the role of connectivity among habitats in back-reef systems. The results suggest that management approaches consider the surrounding seascape when prioritizing areas for conservation or attempting to understand the impacts of seascape change on focal habitat patches. For this reason, spatially-based management approaches are recommended to most effectively manage back-reef systems.

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Social structure is a key determinant of population biology and is central to the way animals exploit their environment. The risk of predation is often invoked as an important factor influencing the evolution of social structure in cetaceans and other mammals, but little direct information is available about how cetaceans actually respond to predators or other perceived threats. The playback of sounds to an animal is a powerful tool for assessing behavioral responses to predators, but quantifying behavioral responses to playback experiments requires baseline knowledge of normal behavioral patterns and variation. The central goal of my dissertation is to describe baseline foraging behavior for the western Atlantic short-finnned pilot whales (Globicephala macrohynchus) and examine the role of social organization in their response to predators. To accomplish this I used multi-sensor digital acoustic tags (DTAGs), satellite-linked time-depth recorders (SLTDR), and playback experiments to study foraging behavior and behavioral response to predators in pilot whales. Fine scale foraging strategies and population level patterns were identified by estimating the body size and examining the location and movement around feeding events using data collected with DTAGs deployed on 40 pilot whales in summers of 2008-2014 off the coast of Cape Hatteras, North Carolina. Pilot whales were found to forage throughout the water column and performed feeding buzzes at depths ranging from 29-1176 meters. The results indicated potential habitat segregation in foraging depth in short-finned pilot whales with larger individuals foraging on average at deeper depths. Calculated aerobic dive limit for large adult males was approximately 6 minutes longer than that of females and likely facilitated the difference in foraging depth. Furthermore, the buzz frequency and speed around feeding attempts indicate this population pilot whales are likely targeting multiple small prey items. Using these results, I built decision trees to inform foraging dive classification in coarse, long-term dive data collected with SLTDRs deployed on 6 pilot whales in the summers of 2014 and 2015 in the same area off the coast of North Carolina. I used these long term foraging records to compare diurnal foraging rates and depths, as well as classify bouts with a maximum likelihood method, and evaluate behavioral aerobic dive limits (ADLB) through examination of dive durations and inter-dive intervals. Dive duration was the best predictor of foraging, with dives >400.6 seconds classified as foraging, and a 96% classification accuracy. There were no diurnal patterns in foraging depth or rates and average duration of bouts was 2.94 hours with maximum bout durations lasting up to 14 hours. The results indicated that pilot whales forage in relatively long bouts and the ADLB indicate that pilot whales rarely, if ever exceed their aerobic limits. To evaluate the response to predators I used controlled playback experiments to examine the behavioral responses of 10 of the tagged short-finned pilot whales off Cape Hatteras, North Carolina and 4 Risso’s dolphins (Grampus griseus) off Southern California to the calls of mammal-eating killer whales (MEK). Both species responded to a subset of MEK calls with increased movement, swim speed and increased cohesion of the focal groups, but the two species exhibited different directional movement and vocal responses. Pilot whales increased their call rate and approached the sound source, but Risso’s dolphins exhibited no change in their vocal behavior and moved in a rapid, directed manner away from the source. Thus, at least to a sub-set of mammal-eating killer whale calls, these two study species reacted in a manner that is consistent with their patterns of social organization. Pilot whales, which live in relatively permanent groups bound by strong social bonds, responded in a manner that built on their high levels of social cohesion. In contrast, Risso’s dolphins exhibited an exaggerated flight response and moved rapidly away from the sound source. The fact that both species responded strongly to a select number of MEK calls, suggests that structural features of signals play critical contextual roles in the probability of response to potential threats in odontocete cetaceans.

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Seascape ecology provides a useful framework from which to understand the processes governing spatial variability in ecological patterns. Seascape context, or the composition and pattern of habitat surrounding a focal patch, has the potential to impact resource availability, predator-prey interactions, and connectivity with other habitats. For my dissertation research, I combined a variety of approaches to examine how habitat quality for fishes is influenced by a diverse range of seascape factors in sub-tropical, back-reef ecosystems. In the first part of my dissertation, I examined how seascape context can affect reef fish communities on an experimental array of artificial reefs created in various seascape contexts in Abaco, Bahamas. I found that the amount of seagrass at large spatial scales was an important predictor of community assembly on these reefs. Additionally, seascape context had differing effects on various aspects of habitat quality for the most common reef species, White grunt Haemulon plumierii. The amount of seagrass at large spatial scales had positive effects on fish abundance and secondary production, but not on metrics of condition and growth. The second part of my dissertation focused on how foraging conditions for fish varied across a linear seascape gradient in the Loxahatchee River estuary in Florida, USA. Gray snapper, Lutjanus griseus, traded food quality for quantity along this estuarine gradient, maintaining similar growth rates and condition among sites. Additional work focused on identifying major energy flow pathways to two consumers in oyster-reef food webs in the Loxahatchee. Algal and microphytobenthos resource pools supported most of the production to these consumers, and body size for one of the consumers mediated food web linkages with surrounding mangrove habitats. All of these studies examined a different facet of the importance of seascape context in governing ecological processes occurring in focal habitats and underscore the role of connectivity among habitats in back-reef systems. The results suggest that management approaches consider the surrounding seascape when prioritizing areas for conservation or attempting to understand the impacts of seascape change on focal habitat patches. For this reason, spatially-based management approaches are recommended to most effectively manage back-reef systems.