947 resultados para SFM Orario Grafico Materiale Rotabile Gestione Ottimizzata Diagramma di Trazione


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Oggi piu' che mai e' fondamentale essere in grado di estrarre informazioni rilevanti e conoscenza dal grande numero di dati che ci possono arrivare da svariati contesti, come database collegati a satelliti e sensori automatici, repository generati dagli utenti e data warehouse di grandi compagnie. Una delle sfide attuali riguarda lo sviluppo di tecniche di data mining per la gestione dell’incertezza. L’obiettivo di questa tesi e' di estendere le attuali tecniche di gestione dell’incertezza, in particolare riguardanti la classificazione tramite alberi decisionali, in maniera tale da poter gestire incertezza anche sull’attributo di classe.

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Il presente studio ha come obiettivi l’analisi, la modellazione numerica e la caratterizzazione del rischio idrogeologico di due siti dell’Appennino bolognese interessati negli ultimi due anni da colate detritiche, Serraglio (Comune di Castiglione dei Pepoli) e Chiapporato (Comune di Camugnano). Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Servizio Tecnico di Bacino Reno della Regione Emilia-Romagna, che ha reso disponibile la documentazione relativa ai due eventi analizzati. I predetti eventi possono esser definiti “anomali” in relazione sia alla loro collocazione – essendo il fenomeno delle colate detritiche diffuso principalmente in aree montuose caratterizzate da un’altitudine media rilevante, come l’arco alpino – sia al fatto che non sono né catalogati né ricordati a memoria d’uomo eventi, in tali località, precedenti a quelli in esame. Il rischio idrogeologico, indotto dalla possibilità non remota di nuovi eventi, è dato non dal volume o dall’area interessata dai fenomeni, ma piuttosto dall’estrema velocità caratterizzante le colate detritiche, appunto definite come manifestazioni parossistiche lungo la rete idrografica secondaria con trasporto in massa di sedimenti. L’analisi effettuata ha anche fornito l’occasione per effettuare un confronto tra due realtà, quella di Serraglio e quella di Chiapporato, accomunate dalla stessa tipologia di evento, ma differenti in relazione all’uso del suolo, alle caratteristiche geomorfologiche e alle modalità di propagazione nel corso dell’evento. L’abitato di Serraglio, sito nella frazione di Baragazza, è stato colpito da una colata detritica il 20 gennaio 2009. Da un punto di vista geologico e geomorfologico la località è sovrastata da un versante boscato notevolmente acclive, caratterizzato dall’affioramento della cosiddetta Formazione di Cervarola: tali rocce, appartenenti alla categoria delle arenarie e solitamente presenti in strati compatti, in seguito alla naturale degradazione dovuta agli agenti atmosferici hanno dato luogo ad un detrito composto da blocchi e ciottoli di varia dimensione immersi in una matrice sabbiosa. Il distacco è avvenuto proprio in questo materiale detritico, reso instabile dal notevole apporto pluviometrico verificatosi nei giorni precedenti. La colata, sviluppatasi in seguito alla fluidificazione del materiale coinvolto in uno scivolamento di detrito di ridotta volumetria, si è incanalata in uno dei rii effimeri che drenano il versante con traiettorie tra loro pseudo parallele. Il debris flow, accelerato da un dislivello complessivo di 125 m, ha poi raggiunto due abitazioni, fortunatamente non abitate al momento dell’evento, depositando uno spessore detritico di oltre 1,5 m nella zona di transito prima di proseguire verso valle nella sua frazione più fine, incanalandosi di fatto lungo lo stradello asfaltato di accesso alle abitazioni e interessando la strada provinciale che collega Castiglione dei Pepoli all’uscita autostradale di Roncobilaccio. Da un punto di vista meteo-climatico il mese di gennaio 2009 è stato caratterizzato da precipitazioni fortemente superiori alla media, accompagnate da una ridotta insolazione. La continua oscillazione dello zero termico tra 0 e 900 m ha dato luogo alla formazione di uno spessore nivale al suolo di circa 20 cm tre giorni prima dell’evento e poi al suo rapido scioglimento contestualmente all’aumento termico, dato dalla risalita di aria calda umida di origine africana, accompagnata da quella perturbazione che ha poi di fatto innescato il fenomeno. Nelle 48 ore precedenti l’evento sono stati registrati apporti nivo-pluviometrici corrispondenti ad oltre 130 mm, che hanno causato la completa saturazione del detrito superficiale, l’innesco dello scivolamento di detrito e la sua successiva fluidificazione. Il distacco del materiale detritico, la sua movimentazione e la notevole erosione che ha caratterizzato l’alveo del rio durante il fenomeno – quantificata mediamente in 20 cm – sono state favorite dalle mediocri condizioni di salute del castagneto che copre il versante interessato dall’evento: la totale assenza di manutenzione e l’abbandono della coltivazione “a pali” del bosco hanno inibito la naturale funzione stabilizzante del boscato, trasformatosi da fattore inibente a fattore predisponente il fenomeno. La seconda colata detritica analizzata ha invece interessato la strada comunale che collega la frazione di Stagno all’abitato di Chiapporato, splendida borgata cinquecentesca, frequentata soprattutto da turisti ed escursionisti durante la stagione estiva. Il versante sede della colata, occorsa in data 8 novembre 2010, è caratterizzato da numerosi affioramenti della cosiddetta Formazione di Stagno, arenarie intervallate da strati marnoso-pelitici. Tale litotipo, soggetto alla naturale degradazione indotta dagli agenti atmosferici, origina un detrito composto da massi e ciottoli, raccoltisi, nell’area in esame, in un canalone posto ai piedi di una scarpata pseudo verticale delimitante il pianoro di “Val di Sasso”. Tale materiale detritico è stato poi fluidificato dalle abbondanti piogge, depositando, dopo oltre 320 metri di dislivello, circa un metro di detrito sul piano stradale per poi proseguire la sua corsa verso il Torrente Limentra e il Bacino di Suviana. L’evento è stato innescato da precipitazioni intense e persistenti che hanno depositato al suolo oltre 69 mm di pioggia in 25 ore. Nel mese precedente il fenomeno sono stati misurati oltre 530 mm di pioggia, quantitativi superiori alla media climatologica, che hanno sicuramente accelerato anche la degradazione della scarpata e l’accumulo di detriti nell’area sorgente. Le colate sopra descritte sono state poi simulate utilizzando il modello DAN-W (Dynamic ANalysis) del prof. Oldrich Hungr della University of British Columbia (Canada). Tale modello si basa su una discretizzazione della massa movimentata tramite il metodo degli “elementi di contorno” e sulla soluzione alle differenze finite di tipo Lagrangiano dell’equazione di De Saint Venant. L’equazione del moto, integrata verticalmente, è applicata a colonne strette di flusso (elementi di contorno). L’equazione di continuità è invece risolta riferendosi agli elementi di massa delimitati dai predetti elementi di contorno. Il numero di incognite principali eguaglia il numero di equazioni disponibili ed il problema è quindi completamente determinato. Gli altri parametri caratterizzanti la colata sono determinati tramite interpolazioni basate sull’ipotesi che sia la superficie del flusso sia quella della traiettoria siano ragionevolmente lisce. La soluzione è esplicita ed avviene per step temporali successivi. Al fine della determinazione dei parametri l’utilizzatore ha la possibilità di scegliere tra vari modelli reologici, quantificanti il termine di resistenza caratterizzante il moto. Su indicazione dell’autore del modello sono stati utilizzati il modello frizionale e quello di Voellmy, che, in casi simili, forniscono risultati più realistici (in relazione alla modellizzazione di colate di detrito). I parametri utilizzati per la calibrazione sono lo spessore di detrito depositato sul piano stradale, nel caso di Chiapporato, e a tergo della prima abitazione investita dalla colata nel caso di Serraglio, unitamente alla massima distanza raggiunta dai detriti. I risultati ottenuti utilizzando il modello reologico frizionale mostrano profili di velocità scarsamente rappresentativi, con una costante sovrastima della stessa, a fronte di una migliore capacità descrittiva degli spessori accumulatisi. Il modello di Voellmy ha invece prodotto andamenti di velocità più realistici, confrontabili con i valori forniti dalla letteratura internazionale, riuscendo al contempo a quantificare con precisione l’accumulo di detrito rilevato a seguito degli eventi. I valori dei parametri utilizzati nella modellazione sono stati ricavati dalle indicazioni dell’autore del modello affiancate dai range resi disponibili dalla letteratura. Entrambe le caratterizzazioni reologiche sono poi state oggetto di un’analisi di sensitività ai fini di quantificare il peso dei parametri utilizzati. Il modello frizionale si è rivelato particolarmente sensibile all’andamento del coefficiente di attrito basale e al coefficiente di pressione dei pori, con un lieve preponderanza del primo, mentre il modello reologico di Voellmy si è mostrato fortemente influenzato dal coefficiente di turbolenza e dal coefficiente di attrito, pressoché paritari nell’effettivo condizionamento dei risultati. Gli output ottenuti simulando l’evento di Serraglio sono risultati generalmente meno realistici di quelli ricavati nel caso di Chiapporato: ciò è probabilmente dovuto alle caratteristiche reologiche proprie del fenomeno occorso a Serraglio, classificabile come un ibrido tra un mud flow e un debris flow. Sono state infine avanzate proposte di intervento e di monitoraggio dei siti indagati, al fine di una mitigazione del rischio idrogeologico gravante sulle aree esaminate. Il caso di Serraglio presenta, a parere dello scrivente, un rischio idrogeologico più elevato, se paragonato a quello presente a Chiapporato, dati la vicinanza ad un centro abitato e lo status quo caratterizzante il versante sede del dissesto. Nei circa 18 mesi trascorsi dopo l’evento è stato possibile rilevare un progressivo ampliamento della nicchia di distacco dello scivolamento, poi evolutosi in colata con andamento tipicamente retrogressivo. Lo stato della vegetazione permane in condizioni problematiche, con frequenti ribaltamenti e sradicamenti (processi noti in letteratura come chablis) dei castagni presenti, con un conseguente aumento dell’erosione superficiale del versante e l’apporto detritico all’interno del rio. Tale detrito è poi trattenuto all’interno dell’alveo da una serie di briglie naturali formatesi a seguito della caduta di varie piante all’interno del canale stesso a causa del passaggio del debris flow o a fenomeni di chablis. La forte sovraescavazione occorsa in occasione della colata ha poi favorito l’innesco di una serie di piccoli scivolamenti superficiali confluenti nel rio stesso, anch’essi apportatori di detrito, ingrediente principale per un nuovo debris flow. È inoltre da notare come la zona di runout è tuttora parzialmente occupata dal detrito depositatosi a seguito dell’evento: tale configurazione, causando di fatto una riduzione della potenziale area di “sfogo” di un nuovo debris flow, acuisce il rischio di un’estensione areale verso valle degli effetti di un nuovo fenomeno, con un conseguente possibile maggior coinvolgimento dell’abitato di Serraglio. È stato quindi proposto di attuare un’adeguata regimazione dell’area boschiva caratterizzante il versante, unitamente ad una regimazione fluviale del rio, tramite la realizzazione di briglie in legno e pietrame – essendo l’area non cantierabile – e la rimozione degli accumuli detritici in seno all’alveo stesso. La nicchia di distacco principale e le nicchie secondarie dovranno poi essere oggetto di opportuna stabilizzazione. Più a valle è stata suggerita la rimozione dell’accumulo detritico presente nell’area di runout e la realizzazione di un’adeguata opera di ricezione delle acque del rio e di eventuali nuove colate: a tal fine si è ipotizzato il ripristino dell’antico alveo, successivamente deviato e tombato per permettere l’edificazione dell’abitazione poi investita dalla colata. È stato inoltre proposto un monitoraggio attraverso l’installazione di un pluviometro, tarato con opportune soglie di allarme, dotato di datalogger e modem GPRS al fine di comunicare in tempo reale, ai tecnici incaricati e agli abitanti, un eventuale superamento della soglia di allarme. Il caso di Chiapporato è invece caratterizzato da problematiche connesse al rischio idrogeologico meno rilevanti di quelle presenti a Serraglio. Ciò è dovuto allo scarso traffico caratterizzante la strada comunale e all’assenza di altri edifici o infrastrutture potenzialmente coinvolgibili da un nuovo evento. La probabilità del verificarsi di una nuova colata è però concreta, considerata la forte erosione caratterizzante il versante: trascorsi sei mesi dall’evento, è stato possibile rilevare nell’area sorgente un accumulo medio di detrito di circa mezzo metro di spessore. Le cause del dissesto, a differenza di Serraglio, non sono in alcun modo imputabili all’azione antropica: si tratta infatti della naturale evoluzione del versante sovrastante il piano stradale. Si propone quindi la collocazione di cartelli stradali indicanti il pericolo di caduta massi e colate detritiche agli automobilisti e ai pedoni, unitamente all’installazione di un cavo a strappo posto lungo l’alveo torrentizio collegato ad un semaforo dislocato nei pressi del guado della strada comunale sul rio Casale. L’eventuale verificarsi di un nuovo evento comporterebbe la lacerazione del cavo installato e l’attivazione del semaforo – e di un eventuale allarme acustico – con conseguente inibizione del traffico stradale in occasione del transito del debris flow. Nel contesto geologico e geomorfologico dell’Appennino tosco-emiliano i debris flow rappresentano una tipologia di dissesto da frana poco diffusa, ma comunque potenzialmente presente nelle aree dove i processi di alterazione e degradazione degli ammassi rocciosi affioranti generino accumuli di detrito e in condizioni morfologiche caratterizzate da elevate pendenze dei versanti. Questo studio ha permesso di approfondire la conoscenza di questi fenomeni, che presentano una magnitudo notevolmente inferiore rispetto al contesto alpino, ma la cui interferenza con l’attività antropica acuisce notevolmente il rischio idrogeologico nelle zone interessate. Si sottolinea, inoltre, che nell’attuale contesto climatico caratterizzato da sempre più frequenti piogge brevi ed intense ed eventi cosiddetti di rain on snow, la frequenza sia temporale che spaziale di tali fenomeni di dissesto appare destinata ad aumentare, anche in aree in precedenza non interessate.

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Sebbene Anarsia lineatella sia un fitofago ormai da anni introdotto e diffuso in Italia, ancora poco si conosce circa le sue abitudini riproduttive. In considerazione della elevata dannosità di A. lineatella nei pescheti del nord Italia e delle scarse conoscenze sulla sua biologia, si è evidenziata la necessità di approfondire la conoscenza di questo fitofago. Pertanto gli scopi di questa ricerca hanno riguardato l’approfondimento delle conoscenze sui sistemi di comunicazione intraspecifici utilizzati da A. lineatella; la valutazione dell’efficacia di diverse miscele di feromone sintetico, in laboratorio utilizzando anche densità diverse di popolazioni di anarsia e in campo utilizzando gabbie di accoppiamento appositamente costruite, posizionate in frutteti a conduzione biologica nel nord Italia e messe a confronto con gabbie che utilizzavano come fonte attrattiva femmine vergini di tre giorni di età. Sono state condotte prove sul comportamento di maschi di A. lineatella di differenti età in risposta al feromone emesso da femmine vergini di tre giorni di età e al feromone emesso da erogatori di materiale plastico contenenti differenti miscele di feromone sintetico. Sono stati condotti studi per verificare l’influenza del contenuto di alcol ((E)5-10:OH) nella miscela feromonica sulla capacità di inibizione degli accoppiamenti, sottoponendo gli insetti a differenti concentrazioni di feromone in modo da verificare eventuali differenze di attività delle diverse miscele, differenze che emergerebbero con evidenza maggiore alle minori concentrazioni. Alcune prove sono state effettuate anche con differenti densità di popolazione, poiché una maggiore densità di popolazione determina una maggiore probabilità di accoppiamento, evidenziando più chiaramente i limiti di efficacia della miscela utilizzata. Inoltre sono state effettuate prove di campo per confrontare due modelli di erogatore per la confusione sessuale di anarsia contenenti miscele con differenti percentuali di alcol Inoltre, poiché nei pescheti la presenza di A. lineatella è pressoché sempre associata a quella di Cydia molesta e l’applicazione del metodo della confusione deve spesso essere applicato per controllare entrambi gli insetti, può risultare vantaggioso disporre di un unico erogatore contenente entrambi i feromoni; è stato quindi valutato un erogatore contenente una miscela dei due feromoni per verificare eventuali interazioni che possano ridurre l’efficacia.

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Questo elaborato si pone l'obiettivo di analizzare e valutare la sostenibilità dell'intera filiera dell'olio di palma, che viene importato da paesi del Sud Est asiatico per essere utilizzato in Europa per scopi sia energetici che alimentari. Nell'introduzione è inquadrata la problematica dei biocombustibili e degli strumenti volontari che possono essere utilizzati per garantire ed incentivare la sostenibilità in generale e dei biocombustibili; è presente inoltre un approfondimento sull'olio di palma, sulle sue caratteristiche e sulla crescita che ha subito negli ultimi anni in termini di produzione e compra/vendita. Per questa valutazione sono stati impiegati tre importanti strumenti di analisi e certificazione della sostenibilità, che sono stati applicati ad uno specifico caso di studio: l'azienda Unigrà SpA. La certificazione RSPO (Roundtable on Sustainable Palm Oil) è uno strumento volontario per la garanzia della sostenibilità della filiera dell'olio di palma in termini economici (vitalità nel mercato), ambientali (risparmio delle emissioni di gas ad effetto serra o GHG, conservazione delle risorse naturali e della biodiversità) e sociali (preservazione delle comunità locali e miglioramento nella gestione delle aree di interesse). La Global Reporting Initiative è un'organizzazione che prevede la redazione volontaria di un documento chiamato bilancio di sostenibilità secondo delle linee guida standardizzate che permettono alle organizzazioni di misurare e confrontare le loro performance economiche, sociali e ambientali nel tempo. La Direttiva Comunitaria 2009/28/CE (Renewable Energy Directive o RED) è invece uno strumento cogente nel caso in cui le organizzazioni intendano utilizzare risorse rinnovabili per ottenere incentivi finanziari. A seguito di un calcolo delle emissioni di GHG, le organizzazioni devono dimostrare determinate prestazioni ambientali attraverso il confronto con delle soglie presenti nel testo della Direttiva. Parallelamente alla valutazione delle emissioni è richiesto che le organizzazioni aderiscano a dei criteri obbligatori di sostenibilità economica, ambientale e sociale, verificabili grazie a degli schemi di certificazione che rientrano all'interno di politiche di sostenibilità globale. Questi strumenti sono stati applicati ad Unigrà, un'azienda che opera nel settore della trasformazione e della vendita di oli e grassi alimentari, margarine e semilavorati destinati alla produzione alimentare e che ha recentemente costruito una centrale da 58 MWe per la produzione di energia elettrica, alimentata in parte da olio di palma proveniente dal sud-est asiatico ed in parte dallo scarto della lavorazione nello stabilimento. L'adesione alla RSPO garantisce all'azienda la conformità alle richieste dell'organizzazione per la commercializzazione e la vendita di materie prime certificate RSPO, migliorando l'immagine di Unigrà all'interno del suo mercato di riferimento. Questo tipo di certificazione risulta importante per le organizzazioni perché può essere considerato un mezzo per ridurre l'impatto negativo nei confronti dell'ambiente, limitando deforestazione e cambiamenti di uso del suolo, oltre che consentire una valutazione globale, anche in termini di sostenibilità sociale. Unigrà ha visto nella redazione del bilancio di sostenibilità uno strumento fondamentale per la valutazione della sostenibilità a tutto tondo della propria organizzazione, perché viene data uguale rilevanza alle tre sfere della sostenibilità; la validazione esterna di questo documento ha solo lo scopo di controllare che le informazioni inserite siano veritiere e corrette secondo le linee guida del GRI, tuttavia non da giudizi sulle prestazioni assolute di una organizzazione. Il giudizio che viene dato sulle prestazioni delle organizzazioni e di tipo qualitativo ma non quantitativo. Ogni organizzazione può decidere di inserire o meno parte degli indicatori per una descrizione più accurata e puntuale. Unigrà acquisterà olio di palma certificato sostenibile secondo i principi previsti dalla Direttiva RED per l'alimentazione della centrale energetica, inoltre il 10 gennaio 2012 ha ottenuto la certificazione della sostenibilità della filiera secondo lo schema Bureau Veritas approvato dalla Comunità Europea. Il calcolo delle emissioni di tutte le fasi della filiera dell'olio di palma specifico per Unigrà è stato svolto tramite Biograce, uno strumento di calcolo finanziato dalla Comunità Europea che permette alle organizzazioni di misurare le emissioni della propria filiera in maniera semplificata ed adattabile alle specifiche situazioni. Dei fattori critici possono però influenzare il calcolo delle emissioni della filiera dell'olio di palma, tra questi i più rilevanti sono: cambiamento di uso del suolo diretto ed indiretto, perché possono provocare perdita di biodiversità, aumento delle emissioni di gas serra derivanti dai cambiamenti di riserve di carbonio nel suolo e nella biomassa vegetale, combustione delle foreste, malattie respiratorie, cambiamenti nelle caratteristiche dei terreni e conflitti sociali; presenza di un sistema di cattura di metano all'oleificio, perché gli effluenti della lavorazione non trattati potrebbero provocare problemi ambientali; cambiamento del rendimento del terreno, che può influenzare negativamente la resa delle piantagioni di palma da olio; sicurezza del cibo ed aspetti socio-economici, perché, sebbene non inseriti nel calcolo delle emissioni, potrebbero provocare conseguenze indesiderate per le popolazioni locali. Per una valutazione complessiva della filiera presa in esame, è necessario ottenere delle informazioni puntuali provenienti da paesi terzi dove però non sono di sempre facile reperibilità. Alla fine della valutazione delle emissioni, quello che emerge dal foglio di Biograce e un numero che, sebbene possa essere confrontato con delle soglie specifiche che descrivono dei criteri obbligatori di sostenibilità, non fornisce informazioni aggiuntive sulle caratteristiche della filiera considerata. È per questo motivo che accanto a valutazioni di questo tipo è necessario aderire a specifici criteri di sostenibilità aggiuntivi. Il calcolo delle emissioni dell'azienda Unigrà risulta vantaggioso in quasi tutti i casi, anche considerando i fattori critici; la certificazione della sostenibilità della filiera garantisce l'elevato livello di performance anche nei casi provvisti di maggiore incertezza. L'analisi del caso Unigrà ha reso evidente come l'azienda abbia intrapreso la strada della sostenibilità globale, che si traduce in azioni concrete. Gli strumenti di certificazione risultano quindi dei mezzi che consentono di garantire la sostenibilità della filiera dell'olio di palma e diventano parte integrante di programmi per la strategia europea di promozione della sostenibilità globale. L'utilizzo e l'implementazione di sistemi di certificazione della sostenibilità risulta per questo da favorire.

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Lo scopo del lavoro è di seguire, attraverso la disamina di fonti edite e inedite, le particolarità che, in età moderna, caratterizzarono la “via veneziana” al riscatto dei sudditi veneti che fossero detenuti a vario titolo dai “turchi”, e soprattutto dagli stati «barbareschi» della costa settentrionale africana. In particolare, lo studio si propone di concentrarsi sull'azione dei Provveditori sopra ospedali e luoghi pii. Tale magistratura, formata da tre patrizi ed esistente fin dal 1561 per tutelare gli ospedali maggiori veneziani e le molte altre istituzioni di ricovero esistenti in città, e nel contempo vigilare sulla loro corretta gestione amministrativa ed economica, dal 1588 e fino alla caduta della Repubblica nel 1797 fu incaricata anche del riscatto, aggiungendo quindi alla propria precedente denominazione la formula e al riscatto degli schiavi. A un organo dello Stato veniva dunque assegnata una funzione di controllo e superiore organizzazione, volta ad evitare il disperdersi delle sollecitate donazioni private ed un’eventuale scorretta gestione delle stesse. Il lavoro si focalizza poi sulle modalità con cui avveniva materialmente il riscatto dei sudditi veneti, o “esteri” ma al servizio veneto, che versassero in una condizione di bisogno, seguendo l'azione degli intermediari (spesso mercanti, cristiani o ebrei, o consoli di varie nazioni) che vivevano o si recavano nel territorio delle Reggenze nordafricane e contrattavano il prezzo necessario. Infine la ricerca, concentrandosi sul XVIII secolo, mira a valutare il quadro dei rapporti tra il governo veneziano, la Scuola veneziana della Trinità, dedita al riscatto, e i padri Trinitari, stabilitisi nel 1723 negli Stati veneti. Solo abbastanza tardi, infatti, e per un limitato arco di anni (fino al 1735), anche Venezia, sulla scorta di quanto da tempo praticato da altre potenze europee, decise – per ragioni principalmente di risparmio – di affidarsi per la gestione delle operazioni di riscatto ai religiosi.

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Uno dei temi più discussi ed interessanti nel mondo dell’informatica al giorno d’oggi è sicuramente il Cloud Computing. Nuove organizzazioni che offrono servizi di questo tipo stanno nascendo ovunque e molte aziende oggi desiderano imparare ad utilizzarli, migrando i loro centri di dati e le loro applicazioni nel Cloud. Ciò sta avvenendo anche grazie alla spinta sempre più forte che stanno imprimendo le grandi compagnie nella comunità informatica: Google, Amazon, Microsoft, Apple e tante altre ancora parlano sempre più frequentemente di Cloud Computing e si stanno a loro volta ristrutturando profondamente per poter offrire servizi Cloud adeguandosi così a questo grande cambiamento che sta avvenendo nel settore dell’informatica. Tuttavia il grande movimento di energie, capitali, investimenti ed interesse che l’avvento del Cloud Computing sta causando non aiuta a comprendere in realtà che cosa esso sia, al punto tale che oggi non ne esiste ancora una definizione univoca e condivisa. La grande pressione inoltre che esso subisce da parte del mondo del mercato fa sì che molte delle sue più peculiari caratteristiche, dal punto di vista dell’ingegneria del software, vengano nascoste e soverchiate da altre sue proprietà, architetturalmente meno importanti, ma con un più grande impatto sul pubblico di potenziali clienti. L’obbiettivo che ci poniamo con questa tesi è quindi quello di esplorare il nascente mondo del Cloud Computing, cercando di comprenderne a fondo le principali caratteristiche architetturali e focalizzando l’attenzione in particolare sullo sviluppo di applicazioni in ambiente Cloud, processo che sotto alcuni aspetti si differenzia molto dallo sviluppo orientato ad ambienti più classici. La tesi è così strutturata: nel primo capitolo verrà fornita una panoramica sul Cloud Computing nella quale saranno date anche le prime definizioni e verranno esposti tutti i temi fondamentali sviluppati nei capitoli successivi. Il secondo capitolo costituisce un approfondimento su un argomento specifico, quello dei Cloud Operating System, componenti fondamentali che permettono di trasformare una qualunque infrastruttura informatica in un’infrastruttura Cloud. Essi verranno presentati anche per mezzo di molte analogie con i classici sistemi operativi desktop. Con il terzo capitolo ci si addentra più a fondo nel cuore del Cloud Computing, studiandone il livello chiamato Infrastructure as a Service tramite un esempio concreto di Cloud provider: Amazon, che fornisce i suoi servizi nel progetto Amazon Web Services. A questo punto, più volte nel corso della trattazione di vari temi saremo stati costretti ad affrontare le problematiche relative alla gestione di enormi moli di dati, che spesso sono il punto centrale di molte applicazioni Cloud. Ci è parso quindi importante approfondire questo argomento in un capitolo appositamente dedicato, il quarto, supportando anche in questo caso la trattazione teorica con un esempio concreto: BigTable, il sistema di Google per la gestione della memorizzazione di grandi quantità di dati. Dopo questo intermezzo, la trattazione procede risalendo lungo i livelli dell’architettura Cloud, ricalcando anche quella che è stata l’evoluzione temporale del Cloud Computing: nel quinto capitolo, dal livello Infrastructure as a Service si passa quindi a quello Platform as a Service, tramite lo studio dei servizi offerti da Google Cloud Platform. Il sesto capitolo costituisce invece il punto centrale della tesi, quello che ne soddisfa l’obbiettivo principale: esso contiene infatti uno studio approfondito sullo sviluppo di applicazioni orientate all’ambiente Cloud. Infine, il settimo capitolo si pone come un ponte verso possibili sviluppi futuri, analizzando quali sono i limiti principali delle tecnologie, dei modelli e dei linguaggi che oggi supportano il Cloud Computing. In esso viene proposto come possibile soluzione il modello ad attori; inoltre viene anche presentato il framework Orleans, che Microsoft sta sviluppando negli ultimi anni con lo scopo appunto di supportare lo sviluppo di applicazioni in ambiente Cloud.

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L’ossido di grafene (GO) è un materiale stratificato prodotto dall'ossidazione di cristalli di grafite con una miscela di acido solforico, nitrato di sodio e permanganato di potassio. A differenza del grafene, l'ossido di grafene è fortemente ossigenato, reca gruppi funzionali ossidrilici ed epossidici sui piani basali, che sono dei punti di attacco ottimali per la funzionalizzazione e la compatibilizzazione del grafene con la matrice polimerica, oltre a gruppi carbonilici e carbossilici situati ai bordi dei piani. Una delle applicazioni più promettenti di questo materiale è nei nanocompositi polimerici, ovvero materiali a matrice polimerica che incorporano materiali riempitivi nanodimensionali. Grazie alle dimensioni estremamente ridotte della carica e della sua elevata area superficiale, che garantisce una elevata interazione interfacciale polimero/riempitivo, basse quantità di nanocariche sono in grado di modificare pesantemente le proprietà della matrice migliorandone notevolmente le performance, così da ottenere notevoli incrementi prestazionali nel polimero. In questo lavoro di tesi, si è studiata la possibilità di aggiungere il GO in matrice poliuretanica al fine di migliorarne le proprietà. Il lavoro di tesi ha dimostrato su scala di laboratorio una produttività compatibile con le esigenze industriali. Potrebbero così essere preparati materiali più leggeri ed estremamente performanti con applicazioni nel campo automobilistico, aerospaziale, aeronautico e dei materiali in generale. L’incremento delle proprietà meccaniche ottenute con l’aggiunta di piccolissime quantità di GO, può essere sfruttato nella costruzione di manufatti che debbano sopportare carichi elevati senza modificare le altre proprietà del materiale (prodotto ad elevato valore aggiunto).

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Il presente lavoro mira ad analizzare l’organizzazione della gestione aeroportuale come venutasi a delineare a seguito dei processi di privatizzazione nella gestione stessa e di liberalizzazione nella prestazione dei servizi nonché ad esaminare gli effetti di tali processi sulla concorrenza tra aeroporti. Per affrontare tali profili di ricerca, il lavoro è suddiviso in quattro capitoli. Nel primo capitolo viene analizzata l’organizzazione amministrativa dell’aviazione civile e quindi i principali soggetti che operano e/o interagiscono nel mercato aeroportuale e le relative competenze. Nel secondo capitolo si analizza il ruolo del gestore aeroportuale quale soggetto a cui è affidato il compito di amministrare e gestire le infrastrutture aeroportuali e di coordinare e controllare le attività dei vari operatori privati presenti nello scalo. Pertanto si prenderà in esame l’evoluzione dei modelli di gestione aeroportuale, il rapporto tra concessionario e concedente, la qualificazione dell’attività di gestione dell’infrastruttura come servizio pubblico e la regolazione pubblicistica della stessa, volta a correggere le imperfezioni che possono distorcere il normale funzionamento dei meccanismi di mercato e a perseguire il benessere sociale. Nel terzo capitolo, si affronta il tema della liberalizzazione dei servizi, in particolari aerei e c.d. di handling. Infine, nel quarto e ultimo capitolo, si studia la concorrenza tra aeroporti e la sua interrelazione con l’infrastruttura ferroviaria.

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Scopo del lavoro della presente tesi è stato quello di valutare la prevalenza di Chlamydiaceae, ed in particolare Chlamydia psittaci, in una popolazione aviare con caratteristiche sinantropiche quale il colombo di città (Columba livia var. domestica) dell’areale veneziano. Per evidenziare il patogeno sono state utilizzate metodiche sierologiche, d’isolamento e biomolecolari tradizionali. Contestualmente, mediante tecnologie molecolari innovative, quali microarray ed MLVA (Multilocus VNTR Assay) sono stati valutati i genotipi di C. psittaci e le eventuali altre specie di Chlamydia presenti in tale popolazione. Inoltre, si è proceduto ad una classificazione delle lesioni anatomo-patologiche ed ad una loro correlazione con la presenza del patogeno. I risultati dimostrano che la prevalenza di C. psittaci nella popolazione oggetto dello studio è del 10%. Durante tale studio è stata dimostrata la presenza di un ceppo di C. psittaci atipico, in quanto non classificabile con le attuali tecniche a disposizione. La genotipizzazione dei ceppi di C. psittaci conferma la presenza nel colombo di città del genotipo B, E ed E/B, che solitamente risultano essere coinvolti con minore frequenza in episodi di infezione umana. Inoltre sono stati dimostrati alcuni ceppi classificati come Chlamydia spp., in quanto le metodologie applicate e le conoscenze attuali non permettono ulteriori distinzioni, prospettando la possibilità di un nuovo ceppo. Infine, attraverso l’analisi dei dati raccolti durante la prima fase di campionamenti e successivamente confermati durante la seconda fase, siamo riusciti a strutturare un sistema di selezione, basato su caratteristiche funzionali ed anatomopatologiche, che permette di selezionare in sede necroscopica i colombi molto probabilmente infetti, permettendo conseguentemente una migliore organizzazione e gestione dei campioni di interesse contenendo nel contempo i costi ma mantenendo elevati gli standards diagnostici.

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Lo scopo del progetto è di calcolare, tramite un modello agli elementi finiti, lo stato di sollecitazione delle parti costituenti l’ala di un velivolo ultraleggero, e di visualizzare i risultati della soluzione del calcolo in maniera grafica. L’aeromobile oggetto di studio è lo Yuma 912 S commercializzato da Alisport, un velivolo di categoria ULM (UltraLeggero Motorizzato) con capacità STOL (Short TakeOff and Landing – decollo ed atterraggio corti). Tutto il lavoro di progettazione, modellazione e calcolo è stato eseguito con un’unica tipologia di programma, CATIA V5, disponibile commercialmente, al fine di evitare conflitti tra diversi programmi CAD (per disegno assistito dal calcolatore) e CAE/FEA (per analisi ingegneristica del prodotto). Il lavoro si è articolato nelle seguenti fasi: progettazione assistita dal calcolatore, sviluppo del modello, valutazione della soluzione. I carichi introdotti nell’analisi sono stati scelti considerando le caratteristiche del velivolo ed il proprio diagramma di manovra, quindi calcolati in maniera teorica e successivamente applicati al modello in esame. La soluzione è stata poi visualizzata tramite simulazione della struttura deformata ed applicazione di una scala di colori sulle zone sottoposte ai diversi stati di sollecitazione.

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Il lavoro di tesi, svolto presso l’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (ISTEC-CNR, Faenza, RA), ha affrontato la produzione e la caratterizzazione di ceramici a base di boruro di zirconio (ZrB2) con lo scopo di valutare l’efficacia delle fibre corte di carbonio come potenziale rinforzo. Il boruro di zirconio appartiene a una famiglia di materiali noti come UHTC (Ultra-High Temperature Ceramics) caratterizzati da elevato punto di fusione e in grado di mantenere la resistenza meccanica e operare con limitata ossidazione a temperature superiori ai 2000°C. Il principale ostacolo nella produzione dei materiali a base di ZrB2 è il processo di sintesi, infatti, a causa della loro elevata temperatura di fusione, per ottenere un materiale completamente denso è necessario utilizzare processi a temperatura e pressione elevati (T > 2000°C e P > 30 MPa), condizioni che vanno ad influenzare la microstruttura della matrice e delle fibre e di conseguenza le proprietà meccaniche del materiale. L’aggiunta di additivi di sinterizzazione idonei permette di ottenere materiali perfettamente densi anche a temperature e pressioni inferiori. Tuttavia lo ZrB2 non viene ampiamente utilizzato per applicazioni strutturali a causa della sua fragilità, per far fronte alla sua bassa tenacità il materiale viene spesso rinforzato con una fase allungata (whiskers o fibre). È già oggetto di studi l’utilizzo di fibre corte e whiskers di SiC per tenacizzare lo ZrB2, tuttavia la forte interfaccia che viene a crearsi tra fibra e matrice, che non permette il pull-out delle fibre, ci porta a credere che una fibra che non tenda a reagire con la matrice, presentando un’interfaccia più debole, possa portare ad una tenacizzazione più efficace. Per questo scopo sono stati realizzati mediante pressatura a caldo due materiali rinforzati con fibre corte di carbonio: ZrB2 + 5% vol MoSi2 + 8% vol fibre di carbonio e [ZrB2 + 2 % peso C] + 8% vol fibre di carbonio, indicati rispettivamente con Z5M_Cf e Z2C_Cf. Sono stati analizzati e discussi diversi aspetti del materiale rinforzato tra cui: il comportamento di densificazione durante la pressatura a caldo, l’evoluzione della microstruttura della matrice, la distribuzione e la morfologia delle fibre, l’influenza del rinforzo sulle proprietà meccaniche di durezza e tenacità e sulla resistenza all’ossidazione. L’elaborato è strutturato come segue: inizialmente sono state introdotte le caratteristiche generali dei ceramici avanzati tra cui le proprietà, la produzione e le applicazioni; successivamente è stata approfondita la descrizione dei materiali a base di boruro di zirconio, in particolare i processi produttivi e l’influenza degli additivi di sinterizzazione sulla densificazione e sulle proprietà; ci si è poi concentrati sull’effetto di una seconda fase allungata per il rinforzo del composito. Per quanto riguarda la parte sperimentale vengono descritte le principali fasi della preparazione e caratterizzazione dei materiali: le materie prime, disperse in un solvente, sono state miscelate mediante ball-milling, successivamente è stato evaporato il solvente e la polvere ottenuta è stata formata mediante pressatura uniassiale. I campioni, dopo essere stati sinterizzati mediante pressatura uniassiale a caldo, sono stati tagliati e lucidati a specchio per poter osservare la microstruttura. Quest’ultima è stata analizzata al SEM per studiare l’effetto dell’additivo di sinterizzazione (MoSi2 e carbonio) e l’interfaccia tra matrice e fase rinforzante. Per approfondire l’effetto del rinforzo sulle proprietà meccaniche sono state misurate la durezza e la tenacità del composito; infine è stata valutata la resistenza all’ossidazione mediante prove in aria a 1200°C e 1500°C. L’addizione di MoSi2 ha favorito la densificazione a 1800°C mediante formazione di una fase liquida transiente, tuttavia il materiale è caratterizzato da una porosità residua di ~ 7% vol. L’addizione del carbonio ha favorito la densificazione completa a 1900°C grazie alla reazione dall’additivo con gli ossidi superficiali dello ZrB2. La microstruttura delle matrici è piuttosto fine, con una dimensione media dei grani di ~ 2 μm per entrambi i materiali. Nel caso del materiale con Z5M_Cf sono presenti nella matrice particelle di SiC e fasi MoB derivanti dalla reazione dell’additivo con le fibre e con la matrice; invece nel materiale Z2C_Cf sono presenti grani di carbonio allungati tra i bordi grano, residui delle reazioni di densificazione. In entrambi i materiali le fibre sono distribuite omogeneamente e la loro interfaccia con la matrice è fortemente reattiva. Nel caso del materiale Z5M_Cf si è formata una struttura core-shell con lo strato più esterno formato da SiC, formato dalla reazione tra il siliciuro e la fibra di C. Nel caso del materiale Z2C_Cf non si forma una vera e propria interfaccia, ma la fibra risulta fortemente consumata per via dell’alta temperatura di sinterizzazione. I valori di durezza Vickers dei materiali Z5M_Cf e Z2C_Cf sono rispettivamente 11 GPa e 14 GPa, valori inferiori rispetto al valore di riferimento di 23 GPa dello ZrB2, ma giustificati dalla presenza di una fase meno dura: le fibre di carbonio e, nel caso di Z5M_Cf, anche della porosità residua. I valori di tenacità dei materiali Z5M_Cf e Z2C_Cf, misurati con il metodo dell’indentazione, sono rispettivamente 3.06 MPa·m0.5 e 3.19 MPa·m0.5. L’osservazione, per entrambi i materiali, del fenomeno di pull-out della fibra, sulla superficie di frattura, e della deviazione del percorso della cricca, all’interno della fibra di carbonio, lasciano supporre che siano attivi questi meccanismi tenacizzanti a contributo positivo, unitamente al contributo negativo legato allo stress residuo. La resistenza all’ossidazione dei due materiali è confrontabile a 1200°C, mentre dopo esposizione a 1500°C il materiale Z5M_Cf risulta più resistente rispetto al materiale Z2C_Cf grazie alla formazione di uno strato di SiO2 protettivo, che inibisce la diffusione dell’ossigeno all’interno della matrice. Successivamente, sono stati considerati metodi per migliorare la densità finale del materiale e abbassare ulteriormente la temperatura di sinterizzazione in modo da minimizzare la degenerazione della fibra. Da ricerca bibliografica è stato identificato il siliciuro di tantalio (TaSi2) come potenziale candidato. Pertanto è stato prodotto un terzo materiale a base di ZrB2 + Cf contenente una maggiore quantità di siliciuro (10% vol TaSi2) che ha portato ad una densità relativa del 96% a 1750°C. Questo studio ha permesso di approcciare per la prima volta le problematiche legate all’introduzione delle fibre di carbonio nella matrice di ZrB2. Investigazioni future saranno mirate alla termodinamica delle reazioni che hanno luogo in sinterizzazione per poter analizzare in maniera più sistematica la reattività delle fibre nei confronti della matrice e degli additivi. Inoltre riuscendo ad ottenere un materiale completamente denso e con fibre di carbonio poco reagite si potrà valutare la reale efficacia delle fibre di carbonio come possibili fasi tenacizzanti.

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In questo studio si esamina la ricostruzione di Porta Aurea a Ravenna, edificio di epoca romana ormai scomparsa ma di cui rimangono molti documenti sia a livello di tradizione storica locale che per quanto riguarda disegni di illustri architetti come Andrea Palladio. Il processo di ricostruzione si articola sull’uso di materiale distintamente catalogato a seconda di diversi gradi di incertezza. Per giungere alla costruzione sono state effettuate anche due campagne di rilievo con la tecnica di acquisizione del Laser Scanner Leica C10 all-in-one. La prima presso il Museo Nazionale di Ravenna, dove sono tutt’oggi conservati alcuni frammenti architettonici di pregio provenienti da Porta Aurea. Una seconda indagine di rilievo è stata invece effettuata presso le mura di Ravenna in Via di Porta Aurea ove rimangono i resti delle porzioni di mura o meglio torrioni verticali che incorniciavano il monumento ravennate. Sintesi finale di questo lavoro è il raggiungimento di un modello “possibile” ma comunque ideale desunto dall’intreccio di diverse fonti iconografiche al fine di una possibile fruizione museale presso lo stesso Museo Nazionale di Ravenna.

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Il lavoro di questa tesi è incentrato sulla crescita e lo studio delle proprietà strutturali di sistemi nanostrutturati di titanio e ossido di titanio, prodotti mediante la tecnica della condensazione in gas inerte. Lo studio è finalizzato in particolare ad ottenere un materiale idoneo per la produzione di idrogeno tramite la foto-elettrolisi. Nel primo capitolo viene descritto a livello teorico il processo di scissione dell’acqua all’interno di celle foto-elettrochimiche, in cui viene impiegato il TiO2 (titania) come foto-anodo. Nel secondo capitolo viene introdotta la tecnica di crescita, viene descritta la macchina utilizzata illustrandone vantaggi e limitazioni. Inoltre viene fornita una descrizione teorica del tipo di crescita che avviene all’interno della camera di evaporazione. Allo scopo di comprendere meglio questi processi, vengono riportati nel capitolo 3 alcuni studi, basati su principi primi, riguardanti la stabilità di fase e le trasformazioni di fase per i tre principali polimorfi del TiO2. Nel capitolo 4 sono illustrate le tecniche impiegate per l’indagine strutturale: diffrazione e assorbimento di raggi X con relativa analisi dati, microscopia elettronica a scansione. Prima di misurare l’attività fotocatalitica dei campioni di nanoparticelle di titania, è necessario condurre delle misure di fotocorrente in una cella foto-elettrochimica, i risultati di queste analisi di tipo funzionale sono presentati nel capitolo 5. Nel capitolo 6 sono riportate le conclusioni del lavoro di tesi.

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Tutte le attività che utilizzano acqua nel ciclo produttivo, inevitabilmente la sporcano, l'acqua che si prende pulita deve essere restituire "pulita". Basta pensare agli scarichi fognari: ognuno di noi prende a casa propria acqua pulita dall'acquedotto e la restituisce alla rete fognaria sporca. Pensiamo allo scarico della lavastoviglie, della lavatrice, della doccia e via di seguito. Gli impianti di depurazione sono quegli impianti che hanno il compito di depurare l'acqua, sia per il rispetto dei corpi ricettori allo scarico, sia per il possibile riutilizzo. Naturalmente le normative regolano la qualità dell'acqua e gli enti di controllo vigilano sul rispetto delle leggi. Ovviamente ogni carico inquinante insieme ai volumi giornalieri e agli spazi a disposizione, impone una scelta tecnica diversa per la depurazione. In un impianto di trattamento inerti, materiale di cava a basso valore di mercato, è importante riutilizzare ogni prodotto ricavato dal processo. Di seguito viene considerato il caso specifico dei limi di lavaggio inerti: “patata bollente” per tutte le aziende e soggetto di numerose discussioni in quanto è un argomento complesso da più punti di vista. Il materiale in esame, denominato “limo da lavaggio inerti”, rappresenta lo scarto della lavorazione degli inerti stessi provenienti dalle cave di ghiaia e sabbia in un impianto di produzione di inerti. Questi impianti eseguono sui materiali di cava le operazioni di macinazione, vagliatura, classificazione, slimatura e recupero dei fini. Dunque l’acqua, che proviene dai processi di macinazione, vagliatura e lavaggio del materiale, trascina con sé impurità di origine organica e argillosa, ma soprattutto finissimi in sospensione: i limi. Essi generano un inquinamento dell’acqua il cui aspetto visibile (la colorazione dell’acqua) è il meno pericoloso, infatti suddette sospensioni, dopo lo scarico delle torbide in fiumi, laghi o mare, generano depositi sulle rive che possono causare deviazioni del corso stesso nel caso dei corsi d’acqua; o ancor più grave la impermeabilizzazione dei terreni attraversati con le relative conseguenze in campo agricolo, e ancora il mancato approvvigionamento delle falde acquifere per l’impossibilità da parte dell’acqua superficiale di penetrare nel terreno. Essa dunque, necessita di trattamenti specifici per separare questi solidi in sospensione e consentirne il suo reimpiego nell’impianto stesso almeno in buona percentuale e di conseguenza la diminuzione di nuova acqua fresca necessaria. Per fortuna l’inquinamento è solo “fisico” e molto si può fare per ridurlo, esistono infatti macchinari specifici per eliminare dall’acqua gli elementi inquinanti e restituirla (quasi) limpida.

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I crescenti volumi di traffico che interessano le pavimentazioni stradali causano sollecitazioni tensionali di notevole entità che provocano danni permanenti alla sovrastruttura. Tali danni ne riducono la vita utile e comportano elevati costi di manutenzione. Il conglomerato bituminoso è un materiale multifase composto da inerti, bitume e vuoti d'aria. Le proprietà fisiche e le prestazioni della miscela dipendono dalle caratteristiche dell'aggregato, del legante e dalla loro interazione. L’approccio tradizionalmente utilizzato per la modellazione numerica del conglomerato bituminoso si basa su uno studio macroscopico della sua risposta meccanica attraverso modelli costitutivi al continuo che, per loro natura, non considerano la mutua interazione tra le fasi eterogenee che lo compongono ed utilizzano schematizzazioni omogenee equivalenti. Nell’ottica di un’evoluzione di tali metodologie è necessario superare questa semplificazione, considerando il carattere discreto del sistema ed adottando un approccio di tipo microscopico, che consenta di rappresentare i reali processi fisico-meccanici dai quali dipende la risposta macroscopica d’insieme. Nel presente lavoro, dopo una rassegna generale dei principali metodi numerici tradizionalmente impiegati per lo studio del conglomerato bituminoso, viene approfondita la teoria degli Elementi Discreti Particellari (DEM-P), che schematizza il materiale granulare come un insieme di particelle indipendenti che interagiscono tra loro nei punti di reciproco contatto secondo appropriate leggi costitutive. Viene valutata l’influenza della forma e delle dimensioni dell’aggregato sulle caratteristiche macroscopiche (tensione deviatorica massima) e microscopiche (forze di contatto normali e tangenziali, numero di contatti, indice dei vuoti, porosità, addensamento, angolo di attrito interno) della miscela. Ciò è reso possibile dal confronto tra risultati numerici e sperimentali di test triassiali condotti su provini costituiti da tre diverse miscele formate da sfere ed elementi di forma generica.