996 resultados para Le Corbusier 1887-1965.
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Il mio lavoro di Tesi prende in considerazione la possibilità di riportare alla vita un antico luogo che ha smarrito il suo senso nella città contemporanea. Si tratta dell’area della vasca dello Hauz-i-Shamsi,suggestiva per il legame forte con l’elemento acqua. Il tema progettuale è quello di mantenere questa zona come fonte attrattiva turistica poiché sede del Museo della città di Delhi, riconnettendolo con le altre aree di interesse e con i villaggi circostanti, diventando insieme al parco archeologico di Mehrauli un grande luogo socio culturale della collettività. Risulta evidente di conseguenza, che l'architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente edificio pubblico, si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. In tal senso l'analisi storica è il primo momento di un lavoro che tende a definirsi nell'ambito più propriamente disciplinare, progettuale, attraverso l'analisi del ruolo urbano di tali edifici. Per questo motivo i capitoli sono così suddivisi: nel primo si riportano brevi cenni sulla storia dell’India, per poi concentrarsi sulla storia delle evoluzioni urbane di Delhi fino ad arrivare alla progettazione nel XX secolo di Nuova Delhi, esempio di città di fondazione. Nel secondo capitolo si riporta un’analisi dell’area di Mehrauli con un breve elenco dei principali monumenti, fondamentali per capire l’importanza del Parco archeologico, luogo indicato come Patrimonio dell’UNESCO. Ritengo che il viaggio in India sia per un architetto un’esperienza travolgente: non a caso questa tappa ha segnato profondamente le opere e il lavoro di due maestri quali Louis I. Kahn e Le Corbusier. Ho dedicato, infatti, il terzo capitolo ad alcune considerazioni su quest’argomento. Il quarto capitolo vuole essere un’analisi delle principali architetture indiane quali padiglioni, moschee, templi sacri. Nella cultura indiana l’architettura è legata alle religioni del paese e credo che si possano capire le architetture solo dopo aver compreso la complessità del panorama religioso. Si sono analizzati anche i principi compositivi in particolare il ruolo delle geometrie sia nelle architetture tipiche, sia nella pianificazione delle città di fondazione. Il quinto capitolo è un approfondimento sul rapporto architettura-acqua. Prima con brevi cenni e foto suggestive sul rapporto nella storia dell’architettura, poi con spiegazioni sul ruolo sacro dell’acqua in India. Il sesto capitolo, infine, è un approfondimento sul progetto del Museo della città di Delhi.
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Oggetto della ricerca è lo studio del National Institute of Design (NID), progettato da Gautam Sarabhai e sua sorella Gira, ad Ahmedabad, assunta a paradigma del nuovo corso della politica che il Primo Ministro Nehru espresse nei primi decenni del governo postcoloniale. Obiettivo della tesi è di analizzare il fenomeno che unisce modernità e tradizione in architettura. La modernità indiana, infatti, nacque e si sviluppò con i caratteri di un Giano bifronte: da un lato, la politica del Primo Ministro Nehru favorì lo sviluppo dell’industria e della scienza; dall’altro, la visione di Gandhi mirava alla riscoperta del locale, delle tradizioni e dell’artigianato. Questi orientamenti influenzarono l’architettura postcoloniale. Negli anni ‘50 e ’60 Ahmedabad divenne la culla dell’architettura moderna indiana. Kanvinde, i Sarabhai, Correa, Doshi, Raje trovarono qui le condizioni per costruire la propria identità come progettisti e come intellettuali. I motori che resero possibile questo fermento furono principalmente due: una committenza di imprenditori illuminati, desiderosi di modernizzare la città; la presenza ad Ahmedabad, a partire dal 1951, dei maestri dell’architettura moderna, tra cui i più noti furono Le Corbusier e Kahn, invitati da quella stessa committenza, per la quale realizzarono edifici di notevole rilevanza. Ad Ahmedabad si confrontarono con forza entrambe le visioni dell’India moderna. Lo sforzo maggiore degli architetti indiani si espresse nel tentativo di conciliare i due aspetti, quelli che derivavano dalle influenze internazionali e quelli che provenivano dallo spirito della tradizione. Il progetto del NID è uno dei migliori esempi di questo esercizio di sintesi. Esso recupera nella composizione spaziale la lezione di Wright, Le Corbusier, Kahn, Eames ibridandola con elementi della tradizione indiana. Nell’uso sapiente della struttura modulare e a padiglione, della griglia ordinatrice a base quadrata, dell’integrazione costante fra spazi aperti, natura e architettura affiorano nell’edificio del NID echi di una cultura millenaria.
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Nell’ambito del Laboratorio di sintesi finale “ Progetto Buenos Aires”, siamo entrati in contatto con la realtà sociale, culturale ed architettonica sudamericana, che si presenta attualmente molto complessa e dinamica. Partendo dalle dieci conferenze tenute in Sudamerica dal demiurgico Le Corbusier nel 1929, abbiamo intrapreso un’analisi critica dei progetti proposti dall’architetto svizzero al fine di comprendere il suo approccio progettuale in relazione alle specificità urbane di Buenos Aires, Montevideo, San Paolo e Rio de Janeiro. L’obiettivo del corso è stato poi quello di sviluppare un progetto di architettura individuale per la realtà urbana di Buenos Aires e a tal scopo, nel mese di maggio, abbiamo intrapreso un primo viaggio per comprendere direttamente alcuni aspetti legati alla “natura” della città. Con la volontà di cogliere al meglio le articolate ed eterogenee sfaccettature che una metropoli come Buenos Aires può offrire, siamo tornati, nei mesi di ottobre e novembre, per vivere, osservare e studiare la città. Tale esperienza ci ha permesso di acquisire una migliore visione critica e di comprendere con maggiore consapevolezza le sue molteplici sfumature. Al fine di avviare il progetto abbiamo inizialmente svolto ricerche documentali presso la Biblioteca Nacional, la biblioteca del FADU (Facultad de Arquitectura, Disegno y Urbanismo di Buenos Aires), e la biblioteca della Societad Central de Arquitectos ed altri archivi, che ci hanno acconsentito di reperire testi e materiali essenziali non disponibili in Italia. Il percorso è stato arricchito da una serie d’incontri e dibattiti sulla città, i suoi continui cambiamenti e le sue criticità, con architetti e professori della FADU e della Facultad de Arquitectura y Urbanismo de la Universidad de La Plata, quali il professor Miguel Angel Roca, Javier Fernandez Castro e Fernando Aliata. Intrecci che hanno rappresentato un momento di riflessione importante per una visione generale dell’ambiente culturale in cui stavamo lavorando, e hanno proposto alcune chiare idee per un ridisegno generale della città di Buenos Aires e alcune suggestioni per i progetti portati avanti individualmente. Abbiamo avuto inoltre il grande onore di esporre e mostrare i nostri primi elaborati davanti agli studenti e professori delle suddette facoltà, avviando così un momento di scambio e confronto sui diversi approcci metodologici adottati nei due paesi, al tempo stesso così lontani e così vicini. Il coronamento di questa esperienza è stato l’incontro con due figure fondamentali nel processo architettonico argentino del secondo Novecento, l’architetto Justo Solsona e l’architetto Clorindo Testa. La tesi si articola in cinque diversi momenti. Il primo, a scala territoriale, propone una suggestione sui possibili sviluppi della Ciudad autonoma de Buenos Aires, mentre gli altri, sulla base di un’idea di fondo, rappresentano i progetti architettonici sviluppati individualmente.
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Ammettere l'eterogeneità di Villa Lugano e Villa Riachuelo significa riconoscere nella totalità di questa zona una serie di realtà differenti, ciascuna delle quali a suo modo ne definisce l'identità. Si possono riconoscere gli interventi di edilizia popolare del secondo dopoguerra, come il Barrio General Belgrano per citare il più vistoso, un tessuto omogeneo di residenze di massimo cinque piani, il grande parco dell'autodromo e quello del campo da golf, la ferrovia in disuso, l'autostrada che taglia in due il quartiere e separa nettamente la parte "civile" da quella considerata illegale: le villas miserias. Rispettare le diverse realtà che convivono all'interno del quartiere è un primo passo per capire la complessità del territorio su cui si opera, e capire come riuscire a farle comunicare e relazionarsi in maniera più diretta ed efficace può essere un modo per risolvere quelle situazioni di isolamento sociale ed economico che si stanno subendo in entrambe le parti. L'idea progettuale è quella di rimediare a questa frattura e di ridare spazio vitale al denso tessuto urbano connettendo con una fascia verde il parco fino a Ciudad Oculta, situata alla parte opposta del barrio.
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Comprensione della città di Bogotá attraverso lo studio del Piano Maestro di Le Corbusier. Trasposizione del sistema di città lineare al caso concreto della città e nuovo modello di settore come metodo di intervento. Piano urbano per la riqualificazione dell’area industriale di Fontibón e approfondimento architettonico e strutturale del grande edificio cruciforme in prossimità della calle 13. Sviluppo di un nuovo isolato residenziale che sia in grado di aumentare la densità abitativa e favorire la socialità.
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Questa tesi si propone di ripensare una parte della città di Bogotà, dopo un’attenta analisi del suo sviluppo storico ed evolutivo. L’intento è sia quello di contrastare lo sprawl urbano e gli effetti negativi che esso produce, sia quello di migliorare la vivibilità delle città, tentando di limitare i problemi della città diffusa. In particolare, studiando i piani urbanistici e il loro concretizzarsi all’interno della città, si sono volute dare soluzioni al crescente bisogno di alloggi, causato dall’aumento di popolazione. L’attenzione si è quindi focalizzata sull’area nord, in cui il carattere urbano è più debole e fortemente frammentato dal passaggio dell’attuale autopista Norte, infrastruttura che separa e divide due parti della città e che il progetto vuole provare a ricollegare dal punto di vista identitario. L’idea del masterplan è stata studiata riferendosi al piano pilota di Le Corbusier e più nello specifico alla sua teoria del settore che prevedeva all’interno di ogni quartiere strutturato da una griglia precisa di strade, differenti funzioni, che il maestro chiama categorie fondamentali dell’urbanistica: abitare, lavorare, circolare e coltivare il corpo e lo spirito; è proprio in relazione a quest’ultima categoria che si è pensato di progettare un nuovo polo accentratore per Bogotá legato alle arti, prevedendo una riconnessione con il centro attraverso, soprattutto, un sistema di aree verdi e pubbliche strutturate a formare un sistema gerarchico di parchi, che vede l’autopista come asse principale di sviluppo. La scelta di progettare un edificio con una vocazione pubblica importante è stata dettata dalla volontà di dislocare in un quartiere meno centrale un nuovo polo attrattore per gli abitanti di tutta la città, in questo modo si è cercato di valorizzare il settore nord, fino ad oggi così marginale e periferico.
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PURPOSE: The aim of the present study was to test the effects of interdental cleansing with dental floss on supragingival biofilm removal in natural dentition during a 3-week period of experimental biofilm accumulation. MATERIALS AND METHODS: The present study was performed as a single-blind, parallel, randomised, controlled clinical trial using the experimental gingivitis model (Löe et al, 1965). Thirty-two students were recruited and assigned to one of the following experimental or control groups: Group A used a fluoride-containing dentifrice (NaF dentifrice) on a toothbrush for 60 s twice a day, Group B used an unwaxed dental floss twice a day, Group C used a waxed dental floss twice a day in every interproximal space and Group D rinsed twice a day for 60 s with drinking water (control). RESULTS: During 21 days of abolished oral hygiene, the groups developed various amounts of plaque and gingivitis. Neither of the cleansing protocols alone allowed the prevention of gingivitis development. Toothbrushing alone yielded better outcomes than did any of the flossing protocols. Interdental cleansing with a waxed floss had better biofilm removal effects than with unwaxed floss. CONCLUSIONS: Toothbrushing without interdental cleansing using dental floss and interdental cleansing alone cannot prevent the development of gingivitis.
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Die traditionelle japanische Architektur mit ihrer Leere und Sachlichkeit wurde zwischen 1930 und 1950 zu einem Referenzmodell für die Moderne. Doch die Wahrnehmung der gestalterischen Qualitäten der japanischen Baukunst in Europa erfolgte spät. Manfred Speidel untersucht in seinem Beitrag die Schritte und die Motive für die Wahrnehmung der japanischen Baukunst in Deutschland – ein Prozess der bis heute vom "Überraschtsein" erzählt, in Asien grundlegende Ziele der Moderne wiederzufinden.
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Auch im Kopieren fremder Vorbilder bleibt Architektur auf technische, materielle und ökonomische Aspekte der Gesellschaft bezogen, in der sie entsteht. Dies unterscheidet "Immobilien"-Architekturen von Produkten, die weltweit verschickt und gehandelt werden. Die Übernahme westlicher, aber auch eigener historischer Architekturvorbilder im chinesischen Immobilenmarkt ist insofern ein Anzeiger für spezifische Bedürfnisse und für ein spezielles Verständnis von Kopie. Die Vermarktung westlicher Architekturkopien ist die Inszenierung einer als fortschrittlich empfunden Lebenswelt, die sich aus dem Umfeld der allgemeinen Entwicklung abhebt und damit exotisch und begehrenswert wirkt. Dabei kommt zum Tragen, dass Architektur in China traditionell nicht als Kunst angesehen, sondern in den Zünften der Handwerker weitergegeben wurde. Das kommunistische Regime tat über Jahrzehnte ein übriges zur Anonymisierung der Entwurfspraxis. Erst seit den letzten Jahren entwickelt sich in China eine Architekturszene, die sowohl die eigene Tradition wie die globale Entwicklung im Blickfeld hat.
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Zwischen 2002 und 2004 hat Christoph Klute in Frankreich und Deutschland sämtliche Unités d'habitation des Architekten Le Corbusier fotografiert. Was in den 50er und 60er Jahren als eine architektonische Verheißung erschien, wirkt heute anders. Die Bilder fangen den genius loci der Orte behutsam ein, ohne Spuren des Alters oder des Gebrauchs oder zu ignorieren.
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Das medienvermittelte Bild von Architektur ist fast ausschließlich ein Bild von Neubauten und technischen Innovationen. Das Zustandekommen dieses Bildes ist eng mit Suggestion und Selbstverständnis einer architektonischen Moderne verbunden, die zu Beginn des 20. Jahrhunderts Traditionsbruch zum Programm erhob, Anlehnung an Methoden der Serienproduktion suchte und schließlich in den 60er und 70er Jahren Architekturproduktion zu einem System sorgenfreien Konsums und unablässiger Innovationen stilisierte. Diese Wunschvorstellung stößt nicht allein angesichts begrenzter Ressourcen an ihre Grenzen. Auch das Ausmaß an psychisch verkraftbarer Umweltveränderung unterliegt einer seelischen Ökonomie. Die menschliche Psyche benötigt Vertrautes als Orientierungsrahmen. Dieser Rahmen ist aber nicht allein auf eigene Erfahrungen bezogen. Auch medienvermittelte Bilder prägen Vorstellungen und Referenzräume. Architektur ist mehr als ein funktionales, konstruktives oder ökonomisch produziertes System – Architektur ist ein Zeichen. Auch die Architektur der Moderne ist längst zu einem Zeichensystem geworden, das in das kulturelle Gedächtnis der Gegenwart eingegangen ist und als Referenzrahmen fortwirkt, wenn heute über Erhalt oder Abriss von Bauten der Nachkriegszeit diskutiert wird.
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La presente tesis doctoral trata sobre el contenido de dos antiguas valijas de viaje. En su interior se encontró una serie de documentos originales, pertenecientes al arquitecto Julio Agustín Vilamajó Echaniz, quien nació en Montevideo en 1894 y murió con apenas 53 años, luego de una reconocida y rica trayectoria profesional y docente. Destacado y admirado en su país, Vilamajó alcanzó prestigio internacional luego de haber sido designado para integrar el equipo consultor proyectista de la Sede de las Naciones Unidas en Nueva York. El contenido de sus valijas -legado entregado a la Facultad de Arquitectura 63 años después de su muerte- se constituye en la fuente primaria de esta investigación y en el motivo principal de la misma: la tesis intentará comprender su valor instrumental como representación de la práctica proyectual de Vilamajó, y del hombre-arquitecto mismo. Los registros encontrados en las Valijas son íntimos, y a la vez constituyen en su conjunto un patrimonio que se transmite a nuestras generaciones: ellos dan cuenta de una práctica proyectual prolífica y compleja, que nos permitirá percibir procedimientos intrínsecos a la disciplina. Indagar, buscar con ansiedad y curiosidad al interior de este ámbito cerrado y disperso de información, nos pone en condiciones inmejorables de realizar hallazgos: dibujos, cartas, fotografías o anotaciones que se destacan del resto, asoman del conjunto y reclaman ser puestos en un lugar de privilegio para la investigación. Estos hallazgos son considerados como detonantes en el sentido de su calidad de suceso sorpresivo; como tal, cada uno se convierte en desencadenante de una línea de investigación parcial dentro del marco de la tesis. La sorpresa es generada por anomalía o por novedad, y determina la duda sobre un evento conocido o sobre una creencia colectiva relativa a Vilamajó. Esa duda deberá apaciguarse a través de la observación y la indagación de elementos asociados -internos o externos a las Valijas-, buscando encontrar una posible explicación que responda a la incertidumbre generada. Las líneas de investigación desencadenadas por los detonantes refieren a proyectos, obras o eventos en la vida de Vilamajó, y su desenlace nos permitirá alcanzar nuevos conocimientos sobre el pensamiento y la práctica proyectual del arquitecto: el Almacén Anexo a la Confitería La Americana; su anteproyecto para el concurso del Palacio Legislativo de Quito; la beca de estudio a Europa por la obtención del Gran Premio y la influencia de España; las obras en Villa Serrana; su participación en el grupo consultor para el proyecto de la Sede de las Naciones Unidas en Nueva York; las influencias de Le Corbusier; la obra conjunta con el escultor Antonio Pena; su incursión en la tecnología de la prefabricación; el proyecto para su propia vivienda; los estudios urbanos para Punta del Este; las reproducciones de sus espacios imaginarios; y su afición a los dibujos animados. Luego de realizar un proceso de agrupamiento de la información en capítulos vinculados a los detonantes, y de incorporar los hallazgos al conocimiento existente de las prácticas proyectuales y la obra de Vilamajó, estaremos construyendo un nuevo contexto sintético, y procediendo a componer, desde los caminos proyectuales desarrollados, un nuevo todo: la figura renovada de Vilamajó. Este proceso permitirá comprender con mayor exactitud cuáles fueron los procedimientos que guiaron a Vilamajó en su práctica proyectual, en qué soporte ideológico y teórico se basó al momento de hacer arquitectura, y finalmente, a modo de síntesis, profundizar en la forma de operar de un arquitecto de principios del siglo XX. De cada una de las indagaciones detonadas por los documentos sorpresivos podemos alcanzar algunas explicaciones que incorporan nuevos conocimientos o nuevas lecturas a lo ya conocido, a manera de caminos que nos llevan -en primer lugar- a reconocer y resaltar aspectos parciales de la producción proyectual de Vilamajó, y -al mismo tiempo- a percibir entramados de una actividad de condición compleja. Vilamajó actuó en un momento histórico que transcurrió entre la práctica de la composición como forma de acceder a un producto unitario y el proyecto moderno como una vía hacia una realidad mucho mejor para el ser humano. El arquitecto Vilamajó nos deja su visión del proceder en la disciplina, constituyéndose en un verdadero relato de la práctica arquitectónica, donde la prefiguración de los espacios y las formas es a la vez específica y universal. Las Valijas se constituyen así en su legado, recibido en un momento de la disciplina donde todo se expande, se extiende, se hace más complejo y a la vez más atractivo e incierto, y donde las certezas parecen haberse desvanecido.
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Este Diccionario Biográfico de Matemáticos incluye más de 2040 reseñas de matemáticos, entre las que hay unas 280 de españoles y 36 de mujeres (Agnesi, Blum, Byron, Friedman, Hipatia, Robinson, Scott, etc.), de las que 11 son españolas (Casamayor, Sánchez Naranjo, Sanz-Solé, etc.). Se ha obtenido la mayor parte de las informaciones por medio de los libros recogidos en el apéndice “Bibliografía consultada”; otra parte, de determinadas obras matemáticas de los autores reseñados (estas obras no están incluidas en el citado apéndice, lo están en las correspondientes reseñas de sus autores). Las obras más consultadas han sido las de Boyer, Cajori, Kline, Martinón, Peralta, Rey Pastor y Babini, Wieleitner, las Enciclopedias Espasa, Británica, Larousse, Universalis y Wikipedia. Entre las reseñas incluidas, destacan las siguientes, en orden alfabético: Al-Khuwairizmi, Apolonio, Arquímedes, Jacob y Johann Bernoulli, Brouwer, Cantor, Cauchy, Cayley, Descartes, Diofanto, Euclides, Euler, Fermat, Fourier, Galileo, Gauss, Hilbert, Lagrange, Laplace, Leibniz, Monge, Newton, Pappus, Pascal, Pitágoras, Poincaré, Ptolomeo, Riemann, Weierstrass, etc. Entre los matemáticos españoles destacan las de Echegaray, Etayo, Puig Adam, Rey Pastor, Reyes Prósper, Terradas (de quien Einstein dijo: “Es uno de los seis primeros cerebros mundiales de su tiempo y uno de los pocos que pueden comprender hoy en día la teoría de la relatividad”), Torre Argaiz, Torres Quevedo, los Torroja, Tosca, etc. Se han incluido varias referencias de matemáticos nacidos en la segunda mitad del siglo XX. Entre ellos descuellan nombres como Perelmán o Wiles. Pero para la mayor parte de ellos sería conveniente un mayor distanciamiento en el tiempo para poder dar una opinión más objetiva sobre su obra. Las reseñas no son exhaustivas. Si a algún lector le interesa profundizar en la obra de un determinado matemático, puede utilizar con provecho la bibliografía incluida, o también las obras recogidas en su reseña. En cada reseña se ha seguido la secuencia: nombre, fechas de nacimiento y muerte, profesión, nacionalidad, breve bosquejo de su vida y exposición de su obra. En algunos casos, pocos, no se ha podido encontrar el nombre completo. Cuando sólo existe el año de nacimiento, se indica con la abreviatura “n.”, y si sólo se conoce el año de la muerte, con la abreviatura “m.”. Si las fechas de nacimiento y muerte son sólo aproximadas, se utiliza la abreviatura “h.” –hacia–, abreviatura que también se utiliza cuando sólo se conoce que vivió en una determinada época. Esta utilización es, entonces, similar a la abreviatura clásica “fl.” –floreció–. En algunos casos no se ha podido incluir el lugar de nacimiento del personaje o su nacionalidad. No todos los personajes son matemáticos en sentido estricto, aunque todos ellos han realizado importantes trabajos de índole matemática. Los hay astrónomos como, por ejemplo, Brahe, Copérnico, Laplace; físicos como Dirac, Einstein, Palacios; ingenieros como La Cierva, Shannon, Stoker, Torres Quevedo (muchos matemáticos, considerados primordialmente como tales, se formaron como ingenieros, como Abel Transon, Bombelli, Cauchy, Poincaré); geólogos, cristalógrafos y mineralogistas como Barlow, Buerger, Fedorov; médicos y fisiólogos como Budan, Cardano, Helmholtz, Recorde; naturalistas y biólogos como Bertalanfly, Buffon, Candolle; anatomistas y biomecánicos como Dempster, Seluyanov; economistas como Black, Scholes; estadísticos como Akaike, Fisher; meteorólogos y climatólogos como Budyko, Richardson; filósofos como Platón, Aristóteles, Kant; religiosos y teólogos como Berkeley, Santo Tomás; historiadores como Cajori, Eneström; lingüistas como Chomsky, Grassmann; psicólogos y pedagogos como Brousseau, Fishbeim, Piaget; lógicos como Boole, Robinson; abogados y juristas como Averroes, Fantet, Schweikart; escritores como Aristófanes, Torres de Villarroel, Voltaire; arquitectos como Le Corbusier, Moneo, Utzon; pintores como Durero, Escher, Leonardo da Vinci (pintor, arquitecto, científico, ingeniero, escritor, lingüista, botánico, zoólogo, anatomista, geólogo, músico, escultor, inventor, ¿qué es lo que 6 no fue?); compositores y musicólogos como Gugler, Rameau; políticos como Alfonso X, los Banu Musa, los Médicis; militares y marinos como Alcalá Galiano, Carnot, Ibáñez, Jonquières, Poncelet, Ulloa; autodidactos como Fermat, Simpson; con oficios diversos como Alcega (sastre), Argand (contable), Bosse (grabador), Bürgi (relojero), Dase (calculista), Jamnitzer (orfebre), Richter (instrumentista), etc. También hay personajes de ficción como Sancho Panza (siendo gobernador de la ínsula Barataria, se le planteó a Sancho una paradoja que podría haber sido formulada por Lewis Carroll; para resolverla, Sancho aplicó su sentido de la bondad) y Timeo (Timeo de Locri, interlocutor principal de Platón en el diálogo Timeo). Se ha incluido en un apéndice una extensa “Tabla Cronológica”, donde en columnas contiguas están todos los matemáticos del Diccionario, las principales obras matemáticas (lo que puede representar un esbozo de la historia de la evolución da las matemáticas) y los principales acontecimientos históricos que sirven para situar la época en que aquéllos vivieron y éstas se publicaron. Cada matemático se sitúa en el año de su nacimiento, exacto o aproximado; si no se dispone de este dato, en el año de su muerte, exacto o aproximado; si no se dispone de ninguna de estas fechas, en el año aproximado de su florecimiento. Si sólo se dispone de un periodo de tiempo más o menos concreto, el personaje se clasifica en el año más representativo de dicho periodo: por ejemplo, en el año 250 si se sabe que vivió en el siglo III, o en el año -300 si se sabe que vivió hacia los siglos III y IV a.C. En el apéndice “Algunos de los problemas y conjeturas expuestos en el cuerpo del Diccionario”, se ha resumido la situación actual de algunos de dichos problemas y conjeturas. También se han incluido los problemas que Hilbert planteó en 1900, los expuestos por Smale en 1997, y los llamados “problemas del milenio” (2000). No se estudian con detalle, sólo se indica someramente de qué tratan. Esta segunda edición del Diccionario Biográfico de Matemáticos tiene por objeto su puesta a disposición de la Escuela de Ingenieros de Minas de la Universidad Politécnica de Madrid.
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as aportaciones más significativas que, a mi entender, presenta la tesis doctoral que ahora considero y que, en mi opinión, tienen mayor originalidad, frente a los lugares comunes corrientemente admitidos, son las siguientes; 1.Propuesta de una nueva valoración no racionalista de la arquitectura de vanguardia proyectada en, Madrid durante las décadas de los años 1920 y 1930; 2 . Abandono del enfoque único hecho hasta ahora de toda la arquitectura de ese período, a la luz de un supuesto racionalismo unívocamente aceptado, sin análisis riguroso del término; 3. Consideración de una definición del Racionalismo Arquitectónico, entendido como culminación de un proceso histórico, aclarando sus principios y rechazando un nominalismo apresurado y no siempre coherente; 4. Planteamiento del "Movimiento Moderno" como salida posible del imposible Racionalismo Arquitectónico Puro, con generalización del fenómeno que se manifiesta en Madrid, al resto de España y a toda Europa; 5. Poner de manifiesto la radical incoherencia deformadora de la realidad que supone la asimilación del concepto "Racionalismo Arquitectónico" y la "Solución poética" propugnada por Le Corbusier en sus escritos, manifestaciones y realizaciones; 6. Mantener la idea de que el apartamiento de los radicales principios del Sediciente "Movimiento Racionalista" por parte de los arquitectos madrileños del "Movimiento Moderno", fué un abandono crítico y voluntario más que una dejación o incapacidad, como ha venido repitiéndose sin mayores análisis; 7. Rechazo del tópico de una pretendida falta de interés y movimiento por parte de los arquitectos madrileños en ese momento de cuanto en el terreno de la arquitectura moderna ocurría en aquel período en el resto de Europa, como reflejo de una generalizada desinformación y un desinterés español por lo "europeo", confundiendo Europa con Francia e ignorando el constante interés de los intelectuales madrileños por la actividad cultural austríaca, alemana, holandesa e inglesa, y no tan sólo por Italia o Francia; 8. Afirmación crítica objetiva de la subjetividad de lo autores que han escrito sobre estos temas en los últimos años en España, en determinados casos de sectarismo que se hace patente; 9. Defensa de la independencia y libertad de criterio de los Arquitectos del Movimiento Modernos madrileño frente a los fenómenos coyunturales políticos que se sucedieron en España durante las décadas de los años veinte y treinta del siglo XX; 10. Constatación, con aportación de datos concretos, de la Intensa Relación mantenida por los arquitectos del "Movimiento Moderno" en Madrid con los arquitectos de igual tendencia general en el resto de Europa, a través de contactos recíprocos y continuos; 11. Nueva valoración de los arquitectos madrileños de este movimiento y de sus obras, con independencia de su adhesión a los postulados de Le Corbusier (identificados con el pretendido racionalismo arquitectónico), subrayando su carácter de adelantados de la arquitectura contemporánea española y el consecuente reconocimiento y agradecimiento que su valor merece. No quiero dejar de señalar tampoco la importante documentación que la tesis aporta, en muchos casos inédita hasta este momento y, en todo caso, nunca reunida en un "corpus"unitario hasta el presente, así como los escritos originales redactados para esta tesis por algunos de los arquitectos estudiados, documentos que tienen un indudable interés crítico y que arrojan nueva luz sobre el tema estudiado en esta tesis, y apoyan,incuestionablemente, las conclusiones que en ella se mantienen
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El material recopilado permite la reconstrucción del proceso de proyecto. Una edificación “abierta y tan ligera que no cueste trabajo demoler”, desarrollando un pabellón-itinerario a partir de los objetos expuestos, son “criterios” expresados en la memoria. La restitución del pabellón en el contexto de los años 50, a partir de la relación entre arquitectos y artistas plásticos, se concreta en el grupo de la calle Bretón de los Herreros culminando con la instalación interior del pabellón de Bruselas de J.A Corales y R.V. Molezún, en 1958. La similitud de temas con Le Corbusier y experiencias del Independent Group, con la incorporación directa de alusiones al Constructivismo, Dadaismo y Neoplasticismo, en contraste con el pensamiento de otros arquitectos expresado en las Sesiones de Crítica de Arquitectura, permiten concluir que este “eslabón perdido” es imprescindible en el proceso de depuración formal del arquitecto, que concluirá con los cubos o “cajas mágicas”.