932 resultados para stepwise selection to cefotaxime resistance


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La ricerca oggetto di questa tesi, come si evince dal titolo stesso, è volta alla riduzione dei consumi per vetture a forte carattere sportivo ed elevate prestazioni specifiche. In particolare, tutte le attività descritte fanno riferimento ad un ben definito modello di vettura, ovvero la Maserati Quattroporte. Lo scenario all’interno del quale questo lavoro si inquadra, è quello di una forte spinta alla riduzione dei cosiddetti gas serra, ossia dell’anidride carbonica, in linea con quelle che sono le disposizioni dettate dal protocollo di Kyoto. La necessità di ridurre l’immissione in atmosfera di CO2 sta condizionando tutti i settori della società: dal riscaldamento degli edifici privati a quello degli stabilimenti industriali, dalla generazione di energia ai processi produttivi in senso lato. Nell’ambito di questo panorama, chiaramente, sono chiamati ad uno sforzo considerevole i costruttori di automobili, alle quali è imputata una percentuale considerevole dell’anidride carbonica prodotta ogni giorno e riversata nell’atmosfera. Al delicato problema inquinamento ne va aggiunto uno forse ancor più contingente e diretto, legato a ragioni di carattere economico. I combustibili fossili, come tutti sanno, sono una fonte di energia non rinnovabile, la cui disponibilità è legata a giacimenti situati in opportune zone del pianeta e non inesauribili. Per di più, la situazione socio politica che il medio oriente sta affrontando, unita alla crescente domanda da parte di quei paesi in cui il processo di industrializzazione è partito da poco a ritmi vertiginosi, hanno letteralmente fatto lievitare il prezzo del petrolio. A causa di ciò, avere una vettura efficiente in senso lato e, quindi, a ridotti consumi, è a tutti gli effetti un contenuto di prodotto apprezzato dal punto di vista del marketing, anche per i segmenti vettura più alti. Nell’ambito di questa ricerca il problema dei consumi è stato affrontato come una conseguenza del comportamento globale della vettura in termini di efficienza, valutando il miglior compromesso fra le diverse aree funzionali costituenti il veicolo. Una parte consistente del lavoro è stata dedicata alla messa a punto di un modello di calcolo, attraverso il quale eseguire una serie di analisi di sensibilità sull’influenza dei diversi parametri vettura sul consumo complessivo di carburante. Sulla base di tali indicazioni, è stata proposta una modifica dei rapporti del cambio elettro-attuato con lo scopo di ottimizzare il compromesso tra consumi e prestazioni, senza inficiare considerevolmente queste ultime. La soluzione proposta è stata effettivamente realizzata e provata su vettura, dando la possibilità di verificare i risultati ed operare un’approfondita attività di correlazione del modello di calcolo per i consumi. Il beneficio ottenuto in termini di autonomia è stato decisamente significativo con riferimento sia ai cicli di omologazione europei, che a quelli statunitensi. Sono state inoltre analizzate le ripercussioni dal punto di vista delle prestazioni ed anche in questo caso i numerosi dati rilevati hanno permesso di migliorare il livello di correlazione del modello di simulazione per le prestazioni. La vettura con la nuova rapportatura proposta è stata poi confrontata con un prototipo di Maserati Quattroporte avente cambio automatico e convertitore di coppia. Questa ulteriore attività ha permesso di valutare il differente comportamento tra le due soluzioni, sia in termini di consumo istantaneo, che di consumo complessivo rilevato durante le principali missioni su banco a rulli previste dalle normative. L’ultima sezione del lavoro è stata dedicata alla valutazione dell’efficienza energetica del sistema vettura, intesa come resistenza all’avanzamento incontrata durante il moto ad una determinata velocità. Sono state indagate sperimentalmente le curve di “coast down” della Quattroporte e di alcune concorrenti e sono stati proposti degli interventi volti alla riduzione del coefficiente di penetrazione aerodinamica, pur con il vincolo di non alterare lo stile vettura.

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1) Background: The most common methods to evaluate clarithromycin resistance is the E-Test, but is time consuming. Resistance of Hp to clarithromycin is due to point mutations in the 23S rRNA. Eight different point mutations have been related to CH resistance, but the large majority of the clarithromycin resistance depends on three point mutations (A2142C, A2142G and A2143G). A novel PCR-based clarithromycin resistance assays, even on paraffin-embedded biopsy specimens, have been proposed. Aims: to assess clarithromycin resistance detecting these point mutation (E-Test as a reference method);secondly, to investigate relation with MIC values. Methods: Paraffin-embedded biopsies of patients Hp-positive were retrieved. The A2142C, A2142G and A2143G point mutations were detected by molecular analysis after DNA extraction by using a TaqMan real-time PCR. Results: The study enrolled 86 patients: 46 resistant and 40 sensible to CH. The Hp status was evaluated at endoscopy, by rapid urease test (RUT), histology and hp culture. According to real-time PCR, 37 specimens were susceptible to clarithromycin (wild type dna) whilst the remaining 49 specimens (57%) were resistant. A2143G is the most frequent mutation. A2142C always express a resistant phenotype and A2142G leads to a resitant phenotype only if homozigous. 2) Background: Colonoscopy work-load for endoscopy services is increasing due to colorectal cancer prevention. We tested a combination of faecal tests to improve accuracy and prioritize the access to colonoscopy. Methods: we tested a combination of fecal tests (FOBT, M2-PK and calprotectin) in a group of 280 patients requiring colonoscopy. Results: 47 patients had CRC and 85 had advanced adenoma/s at colonoscopy/histology. In case of single test, for CRC detection FOBT was the test with the highest specificity and PPV, M2-PK had the highest sensitivity and higher NPV. Combination was more interesting in term of PPV. And the best combination of tests was i-FOBT + M2-PK.

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Untersuchungen zur Expression der induzierbaren NO-Synthetase (NOS2) belegen eine häufige Expression dieses Enzyms in Tumoren unterschiedlicher Gewebe. Bislang ist jedoch ungeklärt, ob die Expression der NOS2 in Tumorzellen die apoptotische Eliminierung durch zytotoxische T-Zellen beeinflussen kann. In der vorliegenden Arbeit wurden die Folgen einer endogenen NO-Synthese auf die Apoptosesensitivität von HEK293-Zellen untersucht. Um primäre NO-Wirkungen von NO-induzierten, sekundären (kompensatorischen) Veränderungen zu trennen, wurde mit einem induzierbaren Vektorsystem gearbeitet. Die NOS2 wurde zunächst unter der Kontrolle eines Ecdyson-sensitiven Promoters in HEK293-Zellen kloniert. Es konnten regulierbare NOS2-Klone selektiert werden, die nach Ponasteronbehandlung dosisabhängig die NOS2 exprimieren und NO synthetisieren. Die NOS2-Expression wurde durch Western Blot Analyse und Immunfluoreszenzfärbung dargestellt und die NO-Produktion mit Hilfe der Griess-Reaktion gemessen. An den NOS2-induzierten Zellen wurde dann der Einfluss von NO auf die CD95-vermittelte Apoptose analysiert. Es zeigte sich nach Stimulation des CD95-Rezeptors eine deutliche Korrelation der Apoptoserate mit der NOS2-Expression. In Kokulturexperimenten mit Peptid-spezifischen zytotoxischen T-Zellen zeigte sich, dass NO-produzierende Zielzellen effektiver eliminiert werden konnten. Auch nach Behandlung der Zellen mit TRAIL ergab sich eine höhere Apoptoserate in NO-produzierenden Zellen. Die weitere Analyse der durch NO beeinflussten Signalwege ergab eine Beteiligung von ER-Stress-vermittelten Apoptosewegen. Dies zeigte sich an der Hochregulation des ER-Stress-Proteins Grp78 (BiP) nach NOS2-Expression und der Spaltung der am ER-lokalisierten Caspase-4. Darüber hinaus konnte der schnellere Verlust des mitochondrialen Membranpotentials in Abhängigkeit von der NOS2-Expression nachgewiesen werden. Weiterhin wurde die Wirkung einer dauerhaften NO-Exposition auf die Apoptosesensitivität der Zellen untersucht. Auch ohne zusätzliche CD95-Stimulation induzierte eine kontinuierliche NOS2-Expression nach wenigen Tagen in den EcR293-NOS2-Zellen Apoptose. Diese Dauerbehandlung führte zum nahezu vollständigen Absterben der Kulturen. Einige Zellen überlebten jedoch diese Behandlung und wuchsen zu Zellklonen. Diese NO-resistenten Klone konnten isoliert werden. Sie zeigten eine zusätzliche Resistenz für CD95-vermittelte Apoptosesignale und waren besser vor dem Angriff Peptid-spezifischer CTLs geschützt. Die Apoptoseresistenz blieb auch nach längerer Kultur erhalten und scheint auf NO-induzierter Genotoxizität zu beruhen. Anhand dieser Arbeit konnte gezeigt werden, dass allein durch chronische NO-Behandlung eine Selektion apoptoseresistenter Zellen stattfinden kann.

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Myeloid cell leukemia-1 (Mcl-1) ist ein anti-apoptotisches Mitglied der Bcl-2-Proteinfamilie. Als solches ist es in der Lage, die mitochondriale Aktivierung während der Apoptose zu hemmen. Dadurch schützt es Zellen bei zellulärem Stress (wie z.B. Differenzierung, Proliferation oder Virusinfektion) vor Apoptoseinduktion. Aufgrund dieser Eigenschaft ist es unabkömmlich während der Embryogenese und in verschiedenen hämatopoetischen Zellpopulationen. Des Weiteren ist Mcl-1 als Protoonkogen in verschiedenen humanen Tumorentitäten verstärkt exprimiert und kann so zu einer verminderten Apoptosesensitivität von Tumorzellen beitragen. Auch primäre humane Hepatozyten können nach Mcl-1-Induktion durch Wachstumsfaktorbehandlung gegenüber CD95-vermittelter Apoptose geschützt werden. Daher sollte untersucht werden, welche Bedeutung Mcl-1 im hepatozellulären Karzinom (HCC) und in der gesunden Leber einnimmt. Hierzu wurde zunächst humanes HCC-Gewebe hinsichtlich der Expression von Mcl-1 untersucht. Es konnte gezeigt werden, dass Mcl-1 sowohl auf mRNA- als auch auf Protein-Ebene in HCC-Gewebe verstärkt exprimiert ist im Vergleich zu benachbartem Normalgewebe. Auch in verschiedenen HCC-Zelllinien konnte eine starke Mcl-1-Expression nachgewiesen werden. Diese war vor allem über den PI3K/Akt-Signalweg reguliert. Eine Hemmung dieses Signalwegs führte zu einer Reduktion der Mcl-1-Expression und so zu einer Sensitivierung der Zellen gegenüber verschiedenen Chemotherapeutika und zielgerichteten Therapien. Des Weiteren wurde die Mcl-1-Expression spezifisch durch RNA-Interferenz gehemmt. Auch hier konnte gezeigt werden, dass Zellen mit unterdrückter Mcl-1-Expression deutlich sensitiver gegenüber verschiedenen Apoptose-induzierenden Substanzen reagierten. Eine kombinierte Hemmung der Mcl-1-Expression und der PI3-Kinase führte schließlich zu einer nochmals verstärkten Sensitivierung. Im Gegensatz dazu führte eine Überexpression von Mcl-1 zu einer Hemmung der Apoptoseinduktion. Im zweiten Teil der Arbeit wurde eine Mauslinie etabliert, welche spezifisch in Hepatozyten kein Mcl-1 exprimiert, um so die Bedeutung von Mcl-1 für die Leber in vivo zu untersuchen. Es zeigte sich, dass Mcl-1flox/flox-AlbCre-Mäuse bereits im Alter von acht Wochen eine verminderte Lebergröße aufweisen. Dies wurde verursacht durch spontane Apoptoseinduktion in den Mcl-1 negativen Hepatozyten. Hierdurch kam es zu einer Leberschädigung, ersichtlich durch erhöhte Transaminasenwerte, erhöhte Caspase-3-Aktivierung, und Schädigung der Gewebsstruktur. Zudem war als kompensatorischer Effekt die Zellproliferation erhöht, ohne dass sich jedoch das Lebergewicht an das von Kontrolltieren anglich. Interessanterweise kam es in Mcl-1flox/flox-AlbCre-Mäusen als Folge der chronischen Leberschädigung zur Entwicklung einer Leberfibrose, ersichtlich durch eine verstärkte Collageneinlagerung. Weiterhin reagierten Mcl-1flox/flox-AlbCre-Mäuse wesentlich empfindlicher gegenüber Todesrezeptor-vermittelter Apoptose. Diese Daten zeigen zum einen, dass Mcl-1 zur Apoptoseresistenz von HCC-Zellen beitragen kann. Zielgerichtete Therapien, welche die Expression von Mcl-1 hemmen, könnten folglich für die Therapie des HCCs von Interesse sein. Des Weiteren konnte in dieser Arbeit zum ersten Mal gezeigt werden, dass Mcl-1 ein zentraler anti-apoptotischer Faktor für Hepatozyten in vivo ist.

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L’insorgenza di fenomeni coinvolti nello sviluppo della farmacoresistenza costituisce al momento la principale causa di mancata risposta al trattamento chemioterapico nell’osteosarcoma. Questo è in parte dovuto ad una sovraespressione di diversi trasportatori ABC nelle cellule tumorali che causano un aumento dell’efflusso extracellulare del chemioterapico e pertanto una ridotta risposta al trattamento farmacologico. L'oncogene C-MYC è coinvolto nella resistenza al metothrexate, alla doxorubicina e al cisplatino ed è un fattore prognostico avverso, se sovraespresso al momento della diagnosi, in pazienti affetti da osteosarcoma. C-MYC è in grado di regolare l'espressione di diversi trasportatori ABC, probabilmente coinvolti nella resistenza ai farmaci nell’osteosarcoma, e questo potrebbe spiegare l’impatto prognostico avverso dell’oncogene in questo tumore. L’espressione genica di C-MYC e di 16 trasportatori ABC, regolati da C-MYC e / o responsabili dell'efflusso di diversi chemioterapici, è stata valutata su due diverse casistiche cliniche e su un pannello di linee cellulari di osteosarcoma umano mediante real-time PCR. L'espressione della proteina è stata valutata per i 9 trasportatori ABC risultati più rilevanti.Infine l'efficacia in vitro di un inibitore, specifico per ABCB1 e ABCC1, è stata valutata su linee cellulari di osteosarcoma. ABCB1 e ABCC1 sono i trasportatori più espressi nelle linee cellulari di osteosarcoma. ABCB1 è sovraespresso al momento della diagnosi in circa il 40-45% dei pazienti affetti da osteosarcoma e si conferma essere un fattore prognostico avverso se sovraespresso al momento della diagnosi. Pertanto ABCB1 diventa il bersaglio di elezione per lo sviluppo di strategie terapeutiche alternative, nel trattamento dell’osteosarcoma, atte al superamento della farmacoresistenza. L’inibizione dell'attività di tale trasportatore causa un aumento della sensibilità al trattamento chemioterapico nelle linee cellulari di osteosarcoma farmacoresistenti, indicando questo approccio come una possibile strategia per superare il problema della mancata risposta al trattamento farmacologico nei pazienti con osteosarcoma che sovraesprimono ABCB1.

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La Sindrome da Immunodeficienza Acquisita (AIDS o SIDA) causata da HIV-1 (Virus dell'Immunodeficienza umana) è caratterizzata dalla graduale compromissione del sistema immunitario del soggetto colpito. Le attuali terapie farmacologiche, purtroppo, non riescono a eliminare l'infezione a causa della comparsa di continui ceppi resistenti ai farmaci, e inoltre questi trattamenti non sono in grado di eliminare i reservoir virali latenti e permettere l'eradicazione definitiva del virus dall’organismo. E' in questo ambito che si colloca il progetto a cui ho lavorato principalmente in questi anni, cioè la creazione di una strategia per eradicare il provirus di HIV integrato nel genoma della cellula ospite. L'Integrasi di HIV-1 è un enzima che media l'integrazione del cDNA virale nel genoma della cellula ospite. La nostra idea è stata, quindi, quella di associare all'attività di legame dell'IN stessa, un'attività catalitica. A tal fine abbiamo creato una proteina chimerica costituita da un dominio DNA-binding, dato dall'Integrasi, e da un dominio con attività nucleasica fornito dall'enzima FokI. La chimera ottenuta è stata sottoposta a mutagenesi random mediante UV, ed è stata oggetto di selezione in vivo, al fine di ottenere una chimera capace di riconoscere, specificamente le LTR di HIV-1, e idrolizzare i siti di inserzione. Questo lavoro porterà a definire pertanto se l'IN di HIV può essere riprogrammata a catalizzare una nuova funzione mediante la sostituzione dell'attività del proprio dominio catalitico con quello di FokI.

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Das metastasierende maligne Melanom ist durch eine geringe p53-Mutations-Rate und eine hohe Resistenz gegenüber Chemotherapie mit alkylierenden Agenzien wie Fotemustin (FM) und Temozolomid (TMZ) gekennzeichnet. In der vorliegenden Arbeit wurde die Rolle von p53 in der Resistenz von malignen Melanomzellen gegenüber FM untersucht und Möglichkeiten zur Sensitivierung von Melanomzellen gegenüber TMZ und FM aufgezeigt.rnAusgangspunkt war die Beobachtung, dass p53 Wildtyp (p53wt) Melanomzellen resistenter gegenüber FM sind als p53 mutierte (p53mt) Zellen. In der vorliegenden Arbeit wurde gezeigt, dass eine FM-Behandlung in p53wt Zellen eine Stabilisierung von p53 und eine Induktion des p53-Zielproteins p21 bewirkte. Mithilfe einer p53wt Zelllinie, welche einen p53 Knockdown trägt, konnte gezeigt werden, dass p53 für die geringe Apoptose-Rate nach FM-Behandlung verantwortlich ist. Eine Untersuchung der Interstrang-Crosslink (ICL)-Reparaturkapazität zeigte, dass p53mt Zellen im Gegensatz zu p53wt Zellen nicht in der Lage sind, FM-induzierte ICL zu reparieren. Dies ging mit einer im Vergleich zu p53wt Zellen starken DNA-Schadensantwort einher. Die Gene für die Proteine DDB2 und XPC wurden als durch FM regulierte DNA-Reparatur-Gene identifiziert, deren Induktion p53-abhängig und lang anhaltend (bis zu 144 h) erfolgt. Da XPC Knockdown-Zellen sensitiver als ihre Kontrollzellen gegenüber FM reagierten, konnte die biologische Relevanz von XPC bei der ICL-Reparatur bestätigt werden. Anhand von Xenograft-Tumoren wurde gezeigt, dass FM auch in situ eine Induktion von DDB2 und XPC auslöst. Die Beobachtung, dass DNA-Reparatur-Gene nach FM-Behandlung hochreguliert werden, liefert eine Erklärung für das schlechte Ansprechen von Melanomen auf eine Therapie mit ICL-induzierenden Chemotherapeutika.rnDes Weiteren befasste sich die vorliegende Arbeit mit Möglichkeiten zur Sensitivierung von Melanomzellen gegenüber den Chemotherapeutika TMZ und FM. In diesem Zusammenhang wurde Valproinsäure (VPA), ein in der Epilepsie-Therapie verwendetes Medikament und Histondesacetylase (HDAC)-Hemmer, bezüglich der chemosensitivierenden Wirkung untersucht. Zunächst konnte der in der Literatur häufig beschriebene stabilisierende Effekt von VPA auf „wildtypisches“ p53-Protein und destabilisierende Effekt auf mutiertes p53-Protein bestätigt werden. Zwei der vier untersuchten Zelllinien konnten mithilfe von VPA gegenüber TMZ sensitiviert werden, während nur eine der vier untersuchten Zelllinien gegenüber FM sensitiviert werden konnte. VPA begünstigt die Induktion von Apoptose, während der Effekt auf die Induktion von Nekrose nur gering ausfiel. Eine Wirkung von VPA auf die Aktivität des Resistenz-vermittelnden Enzyms O6-Methylguanin-DNA-Methyltransferase (MGMT) wurde nicht beobachtet. Zudem wurde ausgeschlossen, dass die Sensitivierung gegenüber TMZ und FM, welche S-Phase abhängige Gentoxine sind, auf einer VPA-induzierten Erhöhung der Proliferation beruht. Mithilfe einer Zelllinie, welche stabil dominant-negatives FADD (Fas-associated death domain) exprimiert, konnten keine Hinweise auf eine Beteiligung des extrinsischen Apoptose-Signalwegs an der VPA-vermittelten Sensitivierung gewonnen werden. Gleichzeitig wurde gezeigt, dass VPA keine Induktion der niedrig exprimierten Procaspase-8 verursachte. Mithilfe eines PCR-Arrays wurden transaktivierende und –reprimierende Effekte von VPA auf die Genexpression gezeigt, wobei das proapoptotische Protein BAX (Breakpoint cluster-2-associated x protein) als ein in der Sensitivierung involviertes Kandidatengen identifiziert wurde. Obwohl eine vollständige Aufklärung der dem Sensitivierungseffekt von VPA zu Grunde liegenden Mechanismen nicht erbracht werden konnte, zeigen die in dieser Arbeit erlangten Beobachtungen einen vielversprechenden Weg zur Überwindung der Resistenz von Melanomzellen gegenüber DNA-alkylierenden Zytostatika auf.rn

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In Leber und Dünndarm bauen CYP3A-Enzyme eine Vielzahl von Fremdstoffen ab, die in den Körper gelangt sind. Zudem aber sind diese Enzyme auch in anderen Organen, wie der Haut exprimiert. Doch weder die genaue Zusammensetzung der CYP3A-Isozyme noch deren physiologische Rolle in der Haut sind bisher bekannt. Basierend auf begrenzten in vitro-Daten ist eine Rolle der CYP3A in der kutanen Vitamin D-Synthese denkbar. Auf der anderen Seite könnten die kutanen CYP3A auch lokal oder systemisch verabreichte Medikamente in der Haut verstoffwechseln und so zur Entstehung immunologischer und nicht-immunologischer unerwünschter Arzneimittelwirkungen beitragen, von denen sich bis zu 45 % in der Haut manifestieren.rnDie Arbeitshypothese dieses Projekts war, dass die CYP3A die kutane Synthese von Vitamin D regulieren. In dieser Funktion wurden sie zur Vermeidung von Vitamin D-Mangel-Erkrankungen wie Rachitis oder Osteomalazie in Europäern negativ selektiert. rnDie Expression und Regulation der CYP3A wurde in Hautbiopsien, einer Zelllinie epidermalen Ursprungs und primären Hautzellen wie auch in transgenen Mäusen untersucht. Die metabolische Aktivität der CYP3A gegenüber den kutanen Vitamin D-Vorstufen wurde mit Hilfe rekombinant exprimierter Enzyme untersucht. CYP3A5-mRNA war die häufigste der CYP3A in humanen Hautproben und überstieg die von CYP3A4 um das Dreifache, die von CYP3A7 um das 130-Fache. Damit entsprach diese 1,3 %, 0,01 % bzw. 0,01 % der jeweiligen hepatischen Genexpression. Die Expression von CYP3A43 war zu vernachlässigen. CYP3A5 zeigte eine bimodale Expression sowohl auf mRNA- als auch auf Proteinebene. So zeigten Träger der Wildtyp-Allels *1 eine 3,3-fach höhere mRNA- und 1,8-fach höhere Proteinmenge als homozygote Träger des Nullallels *3. CYP3A4/7- und CYP3A5-Protein wurde v. a. in den Keratinozyten der Epidermis und den Talgdrüsen, also den Bereichen der kutanen Vitamin D-Synthese lokalisiert. Die CYP3A5-Expression wurde ferner in der Haut transgener Mäusen gezeigt, die das Reportergen Luziferase unter Kontrolle des humanen CYP3A5-Promoters exprimieren. Verglichen mit der Leber war die kutane Expression des Vitamin D-Rezeptors (VDR) 100-fach höher, die der Xenosensoren CAR und PXR vergleichbar bzw. zu vernachlässigen. Dementsprechend erhöhte die Behandlung mit 1,25-Dihydroxyvitamin D, dem aktiven Vitamin D-Hormon, und dessen Vorstufen außer 7-Dehydrocholesterol, jedoch nicht der PXR-Ligand Rifampicin, die Expression der CYP3A. Wie in Zwei-Hybrid-Experimenten gezeigt, wurden die Effekte des 1,25-Dihydroxyvitamin D und dessen Vorstufen alleinig durch VDR vermittelt. Die Effektstärke hingegen war abhängig von Zellspender, Zellpassage und Zelltypus. Alle drei CYP3A-Isozyme metabolisieren Vitamin D zu einem oder mehreren unbekannten Metaboliten, jedoch nicht zu 25-Hydroxyvitamin D, dem direkten Vorläufer des aktiven Vitamin D. rnZusammengefasst legen die Daten nahe, dass die kutanen CYP3A, allen voran CYP3A5, die Vitamin D-Homöostase durch VDR-vermittelte Induktion des Abbaus von Vitamin D-Vorstufen regulieren. Dies zusammen mit Sequenzdaten liefert starke Indizien für Vitamin D als treibende Kraft der Selektion des CYP3A-Lokus in Europäern. Der Einfluss der CYP3A-Expression auf selektiv wirksame, klinisch relevante Knochenveränderungen wie Rachitis oder Osteomalazie müssen folgen.rn

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Die mittlere Überlebenszeit nach Erkennung eines Glioblastoms ohne Behandlung liegt bei 3 Monaten und kann durch die Behandlung mit Temozolomid (TMZ) auf etwa 15 Monate gesteigert werden. Neben TMZ sind die chlorethylierenden Nitrosoharnstoffe die meistversprechendsten und am häufigsten eingesetzten Chemotherapeutika in der Gliomtherapie. Hier liegt die mittlere Überlebenszeit bei 17,3 Monaten. Um die Therapie des Glioblastoms noch effektiver zu gestalten und Resistenzen zu begegnen, werden unterschiedlichste Ansätze untersucht. Eine zentrale Rolle spielen hierbei das activator protein 1 (AP-1) und die mitogen aktivierten Proteinkinasen (MAPK), deren Funktion in bisherigen Arbeiten noch unzureichend beleuchtet wurde.rnBesonders mit der Rolle des AP-1-bildenden Proteins FRA-1 in der Therapie des Glioblastoms haben sich bisher nur wenige Arbeiten beschäftigt, weshalb im ersten Teil der vorliegenden Arbeit dessen Funktion in der Regulation der Chemosensitivität gegenüber dem chlorethylierenden Agenz ACNU genauer untersucht wurde. Es konnte gezeigt werden, dass die FRA 1-Expression durch Behandlung mit ACNU induziert wird. Die Induktion erfolgte über die beiden MAPKs ERK1/2 und p38K. JNK hatte keinen Einfluss auf die Induktion. Durch die Herunterregulation der FRA-1-Expression mit Hilfe von siRNA und eines shRNA exprimierenden Plasmids kam es zu einer signifikanten Sensitivierung gegenüber ACNU. Dabei konnte gezeigt werden, dass die Herunterregulation der FRA-1-Expression in einer verminderten AP 1-Bildung, bedingt durch eine reduzierte Menge an FRA-1 im AP-1-Komplex resultiert. Die Sensitivierung gegenüber ACNU ist weder durch eine Veränderung in der DNA-Reparatur, noch in der Modulation der FAS-Ligand- bzw. FAS-Rezeptor-Expression bedingt. Auch die hier untersuchten BCL 2-Familienmitglieder wiesen keine Unterschiede in der Expression durch Modulation der FRA 1-Expression auf. Allerdings kam es durch die verminderte FRA-1-Expression zu einer Reduktion der Zellzahl in der G2/M-Phase nach Behandlung mit ACNU. Diese ging einher mit einer reduzierten Menge an phosphoryliertem und unphosphoryliertem CHK1, weshalb davon auszugehen ist, dass FRA 1 nach ACNU-Behandlung in Gliomzellen vor der Apoptose schützt, indem es modulierend auf die Zellzykluskontrolle einwirkt.rnIm zweiten Teil dieser Arbeit wurde die Regulation der apoptotischen Antwort nach Behandlung mit ACNU und TMZ genauer beleuchtet, wobei ein spezielles Augen¬merk auf AP 1 und die MAPKs gelegt wurde. Hier konnte gezeigt werden, dass die Apoptose nach Behandlung mit ACNU bzw. TMZ sowohl durch Spaltung von Pro-Caspase 8, als auch Pro-Caspase 9 eingeleitet wird. Dabei akkumulierte in beiden Fällen p53 vermehrt im Zellkern. Eine Inhibierung der transkriptionellen Aktivität von p53 führte nach ACNU-Behandlung zu einer Sensitivierung der Zellen, nach TMZ-Behandlung kam es zu einem leichten Anstieg in der Vitälität. Der FAS-Rezeptor wurde nach ACNU- und nach TMZ-Behandlung aktiviert und auch die DNA-Reparaturproteine DDB2 und XPC wurden in beiden Fällen vermehrt exprimiert. Für die MAPKs JNK und ERK1/2 konnte gezeigt werden, dass diese pro-apoptotisch wirken. Die AP-1-Bildung nach ACNU-Behandlung erfolgte bereits nach 24 h und war von langer Dauer, wohingegen nach TMZ-Behandlung nur eine transiente AP 1-Bildung zu relativ späten Zeitpunkten detektiert werden konnte. Ebenso konnte für das AP-1-Zielgen FAS-Ligand nach ACNU-Behandlung eine relativ schnelle, lang anhaltende Aktivierung detektiert werden, wohingegen nach TMZ-Behandlung zu einem späten Zeitpunkt ein kurzer Anstieg im Signal zu verzeichnen war. In späteren Experimenten konnte gezeigt werden, dass das BCL-2-Familienmitglied BIM eine zentrale Rolle in der Regulation des intrinsischen Apoptosesignalweges nach Behandlung mit ACNU und TMZ spielt. Die hier entstanden Ergebnisse tragen entscheidend zum Verständnis der durch diese beiden Agenzien gesteuerten, apoptotischen Signalwege bei und bieten eine fundierte Grundlage für weitere Untersuchungen.rn

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Intramyocellular lipids (IMCL) are flexible fuel stores that are depleted by physical exercise and replenished by fat intake. IMCL or their degradation products are thought to interfere with insulin signaling thereby contributing to insulin resistance. From a practical point of view it is desirable to deplete IMCL prior to replenishing them. So far, it is not clear for how long and at which intensity subjects have to exercise in order to deplete IMCL. We therefore aimed at developing a standardized exercise protocol that is applicable to subjects over a broad range of exercise capacity and insulin sensitivity and allows measuring reliably reduced IMCL levels.Twelve male subjects, including four diabetes type 2 patients, with wide ranges of exercise capacity (VO(2)peak per total body weight 27.9-55.8 ml x kg(-1) x min(-1)), insulin sensitivity (glucose infusion rate per lean body mass 4.7-15.3 mg x min(-1) x kg(-1)), and BMI (21.7-31.5 kg x m(-2)), respectively, were enrolled. Using (1)H magnetic resonance spectroscopy ((1)H-MRS), IMCL was measured in m.tibialis anterior and m.vastus intermedius before and during a depletion protocol of a week, consisting of a moderate additional physical activity (1 h daily at 60% VO(2)peak) and modest low-fat (10-15%) diet.Absolute IMCL-levels were significantly reduced in both muscles during the first 3 days and stayed constant for the next 3 days of an identical diet/exercise-scheme. These reduced IMCL levels were independent of insulin sensitivity, yet a tendency to lower depleted IMCL levels has been observed in subjects with higher VO(2)peak.The proposed protocol is feasible in subjects with large differences in exercise capacity, insulin sensitivity, and BMI, leading to reduced IMCL levels that neither depend on the exact duration of the depletion protocol nor on insulin sensitivity. This allows for a standardized preparation of IMCL levels either for correlation with other physiological parameters or for replenishment studies.

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Patients with GH deficiency (GHD) are insulin resistant with an increase in visceral fat mass (FM). Whether this holds true when sedentary control subjects (CS) are matched for waist has not been documented. GH replacement therapy (GHRT) results in a decrease in FM. Whether the decrease in FM is mainly related to a reduction in visceral FM remains to be proven. The aim was to separately assess visceral and subcutaneous FM in relation to insulin resistance (IR) in GHD patients before and after GHRT and in sedentary CS.

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The lower intestine of adult mammals is densely colonized with nonpathogenic (commensal) microbes. Gut bacteria induce protective immune responses, which ensure host-microbial mutualism. The continuous presence of commensal intestinal bacteria has made it difficult to study mucosal immune dynamics. Here, we report a reversible germ-free colonization system in mice that is independent of diet or antibiotic manipulation. A slow (more than 14 days) onset of a long-lived (half-life over 16 weeks), highly specific anticommensal immunoglobulin A (IgA) response in germ-free mice was observed. Ongoing commensal exposure in colonized mice rapidly abrogated this response. Sequential doses lacked a classical prime-boost effect seen in systemic vaccination, but specific IgA induction occurred as a stepwise response to current bacterial exposure, such that the antibody repertoire matched the existing commensal content.

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HIV virulence, i.e. the time of progression to AIDS, varies greatly among patients. As for other rapidly evolving pathogens of humans, it is difficult to know if this variance is controlled by the genotype of the host or that of the virus because the transmission chain is usually unknown. We apply the phylogenetic comparative approach (PCA) to estimate the heritability of a trait from one infection to the next, which indicates the control of the virus genotype over this trait. The idea is to use viral RNA sequences obtained from patients infected by HIV-1 subtype B to build a phylogeny, which approximately reflects the transmission chain. Heritability is measured statistically as the propensity for patients close in the phylogeny to exhibit similar infection trait values. The approach reveals that up to half of the variance in set-point viral load, a trait associated with virulence, can be heritable. Our estimate is significant and robust to noise in the phylogeny. We also check for the consistency of our approach by showing that a trait related to drug resistance is almost entirely heritable. Finally, we show the importance of taking into account the transmission chain when estimating correlations between infection traits. The fact that HIV virulence is, at least partially, heritable from one infection to the next has clinical and epidemiological implications. The difference between earlier studies and ours comes from the quality of our dataset and from the power of the PCA, which can be applied to large datasets and accounts for within-host evolution. The PCA opens new perspectives for approaches linking clinical data and evolutionary biology because it can be extended to study other traits or other infectious diseases.

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The hypothesis of sympatric speciation by sexual selection has been contentious. Several recent theoretical models of sympatric speciation by disruptive sexual selection were tailored to apply to African cichlids. Most of this work concludes that the genetic architecture of female preference and male trait is a key determinant of the likelihood of disruptive sexual selection to result in speciation. We investigated the genetic architecture controlling male nuptial colouration in a sympatric sibling species pair of cichlid fish from Lake Victoria, which differ conspicuously in male colouration and female mating preferences for these. We estimated that the difference between the species in male nuptial red colouration is controlled by a minimum number of two to four genes with significant epistasis and dominance effects. Yellow colouration appears to be controlled by one gene with complete dominance. The two colours appear to be epistatically linked. Knowledge on how male colouration segregates in hybrid generations and on the number of genes controlling differences between species can help us assess whether assumptions made in simulation models of sympatric speciation by sexual selection are realistic. In the particular case of the two sister species that we studied a small number of genes causing major differences in male colouration may have facilitated the divergence in male colouration associated with speciation.

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A total of 167 sheep belonging to the Estonian whiteheaded mutton, Estonian blackheaded mutton, Lithuanian coarsewool native, Lithuanian blackface and Latvian darkheaded mutton breeds, and a population of sheep kept isolated on the Estonian island of Ruhnu, were sequence-analysed for polymorphisms in the prion protein (PrP) gene, to determine their genotype and the allele frequencies of polymorphisms in PrP known to confer resistance to scrapie. A 939 base pair fragment of exon 3 from the PrP gene was amplified by pcr and analysed by direct sequencing. For animals showing polymorphism at two nucleotide positions, both haplotypes of these double-heterozygous genotypes were further verified by pcr cloning and sequence analysis. Known polymorphisms were observed at codons 136, 154 and 171, and six different haplotypes (arr, ahq, arh, ahr, arq and vrq) were determined. On the basis of these polymorphisms, the six populations of sheep possessed the resistant arr haplotype at different frequencies. The high-risk arq haplotype occurred in high frequencies in all six populations, but vrq, the haplotype carrying the highest risk, occurred at low frequencies and in only three of the populations.