869 resultados para Conto fantástico
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Il metodo Hartree-Fock permette di determinare approssimativamente la funzione d'onda e l'energia per atomi a più elettroni in uno stato stazionario. Più in generale, si applica a sistemi quantistici a N-corpi, per studiare, ad esempio, gli elettroni nelle molecole e nei solidi. Il punto di partenza di questo metodo è il modello della particella indipendente; sotto questa ipotesi, ogni elettrone del sistema è descritto dalla propria funzione d'onda. Il contributo di D. R. Hartree allo studio della struttura di atomi complessi consiste nell'aver formulato le equazioni per le funzioni d'onda dei singoli elettroni usando argomentazioni intuitive e nell'avere inoltre proposto, per la loro risoluzione, una procedura iterativa basata sul requisito di autoconsistenza. La generalizzazione del suo metodo, che tiene conto del requisito di antisimmetria imposto dal principio di esclusione di Pauli, fu formulata da V. A. Fock e J. C. Slater. Con tale tecnica si assume che la funzione d'onda totale a N-elettroni sia un determinante di Slater, ovvero un prodotto antisimmetrico di orbitali relativi a singoli elettroni. Il determinante di Slater ottimale si ottiene usando il metodo variazionale per individuare i migliori spin-orbitali.
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In this study, the hypothesis was tested that the size of gastrointestinal tract (GIT) mucosal components and rates of epithelial cell proliferation and apoptosis change with increasing age. The aims were to quantitatively examine GIT histomorphology and to determine mucosal epithelial cell proliferation and apoptosis rates in neonatal (<48 h old) and adult (8 to 11.5 yr old) dogs. Morphometrical analyses were performed by light microscopy with a video-based, computer-linked system. Cell proliferation and apoptosis of the GIT epithelium were evaluated by counting the number of Ki-67 and caspase-3-positive cells, respectively, using immunohistochemical methods. Thickness of mucosal, glandular, subglandular, submucosal and muscular layers, crypt depths, villus heights, and villus widths were consistently greater (P < 0.05 to P < 0.001), whereas villus height/crypt depth ratios were smaller (P < 0.001) in adult than in neonatal dogs. The number of Ki-67-positive cells in stomach, small intestine, and colon crypts, but not in villi, was consistently greater (P < 0.01) in neonatal than in adult dogs. In contrast, the number of caspase-3-positive cells in crypts of the stomach, small intestine, and colon and in villi was not significantly influenced by age. In conclusion, canine GIT mucosal morphology and epithelial cell proliferation rates, but not apoptosis rates, change markedly from birth until adulthood is reached.
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Much of biomedical research is observational. The reporting of such research is often inadequate, which hampers the assessment of its strengths and weaknesses and of a study’s generalizability. The Strengthening the Reporting of Observational Studies in Epidemiology (STROBE) Initiative developed recommendations on what should be included in an accurate and complete report of an observational study. We defined the scope of the recommendations to cover three main study designs: cohort, casecontrol, and cross-sectional studies. We convened a 2-day workshop in September 2004, with methodologists, researchers, and journal editors to draft a checklist of items. This list was subsequently revised during several meetings of the coordinating group and in e-mail discussions with the larger group of STROBE contributors, taking into account empirical evidence and methodological considerations. The workshop and the subsequent iterative process of consultation and revision resulted in a checklist of 22 items (the STROBE Statement) that relate to the title, abstract, introduction, methods, results, and discussion sections of articles. Eighteen items are common to all three study designs and four are specific for cohort, case-control, or cross-sectional studies. A detailed “Explanation and Elaboration” document is published separately and is freely available on the web sites of PLoS Medicine, Annals of Internal Medicine, and Epidemiology. We hope that the STROBE Statement will contribute to improving the quality of reporting of observational studies.
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Partendo dal concetto di 'regionalismo' oppure d' identità regionale nell'interpretazione che ne ha dato Fernand Braudel ci rendiamo conto che il modo di guardare Venezia e l'arte veneziana con una certa ottica si forma a partire del romanticismo. Sono autori quali John Ruskin e Hippolyte Taine che sulla base della teoria del 'milieu' hanno dato inizio a un metodo della storia dell'arte ottocentesca che identifica il carattere del luogo e della sua gente con l'arte che vi viene prodotta. Il concetto teorico che sta alla base di questo modo di interpretare la pittura, deriva però dal Vasari e si riferiva all'opposizione artistica tra Venezia e Firenze, e al loro antagonismo che secondo Vasari vedeva vincitore il disegno. Dopo Vasari questo concetto viene ripreso da altri teorici italiani, ma all'inizio del Settecento il dibattito si sposta in Francia dove de Piles sulla scia del 'debat des anciens et modernes' dando la palma a Rubens invece di Poussin, prende la parte del colore. Grazie alla diffusione del nuovo gusto per il colore che si diffonde dalla Francia per tutta l'Europa, l'arte veneziana acquista una grandissima riputazione dalla quale approfittano soprattutto i pittori moderni veneziani attivi all'estero, durante il Settecento. Davanti questo sfondo viene sottolineata l'importanza di Venezia per il giovane Mengs che deve il suo primo successo al 'ritratto a pastelli', seguendo il gusto del sovrano sassone Augusto III. A causa dell'incarico per il quadro della chiesa cattolica di Dresda il pittore si porta a Venezia dove studia l'Assunta di Tiziano che si rispecchia nel quadro per Dresda. Dall'incontro con l'arte di Tiziano nasce un intenso dialogo teorico con la sua pittura di modo che Tiziano viene incluso da Mengs nella 'trias' dei tre primi pittori della storia della pittura per la perfezione del suo colore. Tale rivalutazione di Tiziano, pubblicata nei suoi scritti, porta alla revisione generale dei pregiudizi accademici verso la scuola veneziana sul livello teorico e pratico. A Venezia è Andrea Memmo, basandosi sui scritti di Mengs, a dare con la sua 'Orazione' davanti l'Accademia nel 1787 una nuova visione quando abbandona la tradizionale gerarchia 'disegno, colore e chiaroscuro' e con essa anche la tradizionale classifica delle scuole. Angelika Kauffmann che ritrae Memmo durante il suo soggiorno veneziano rappresenta forse il tipo di pittura che Memmo intese come ideale ed è una pittura che riunisce le qualità dei grandi maestri del passato facendolo confluire in un gusto universale. Spetterà poi al Lanzi di introdurre l'idea di una nuova pittura di carattere nazionale che si verifica durante l'Ottocento con i 'Macchiaioli' che danno la prevalenza al colore e non al disegno.
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La historia de las fronteras nacionales que se configuran alrededor de la provincia de Misiones posee un complejo devenir de tensi ones ideológicas y políticas. Desde la colonización española y la instalación de la orden jesuita hasta la actual etapa de “integración regional”, pasando por la constitución del Estado Nacional, la llegada de los colonos europeos y la doctrina de segurida d nacional, la frontera que la provincia mantiene con Paraguay y Brasil se ha constituido como un espacio de tensiones político - ideológicas permanentes. Simultáneamente, la frontera ha sido un tópico continuo en los relatos sustentados por diversas instit uciones, entre las que se destacan la educación, la historiografía oficial y los medios masivos de comunicación. La narración sobre la frontera se desplegó en diversos campos del saber que interrelacionados privilegiaron un relato oficial que justificó la intervención central sobre los devenires fronterizos: la escuela, la academia, los medios de comunicación dispusieron una narrativa de héroes y épicas donde el conflicto de las mixturas quedaba, la mayoría de las veces, solapado por una ética de la armoní a y el crisol de razas o melting pot. El proceso histórico de configuración de la frontera dispone un relato sobre su construcción y su necesidad como también una genealogía del territorio cartografiado, pero también otro tipo de relato, más sutil, que ins erta la necesidad del límite en los imaginarios cotidianos de los sujetos que viven en esta semiosfera . Sin embargo, mientras las políticas del Estado promovieron la fijación de identidades en ciertos objetos y prácticas culturales, en especial en la educa ción, en la vida cotidiana las pertenencias se inscriben en imaginarios heterogéneos y paradójicos: las narraciones de la vida cotidiana en la frontera desarticulan los paradigmas fundantes del relato oficial y los lugares comunes de la cultura massmediáti ca para establecer continuidades entre las vidas de los habitantes del borde político, cultural y semiótico. El locus ubi de los relatos es la frontera, esa estancia desde la cual pensamos la vida cotidiana con extrema paradoja. La narración articula ese universo fronterizo de conexiones heterogéneas donde nada está definido de antemano como explica el relato oficial y donde surgen las aporías de un proyecto político e ideológico, el Estado - Nación, que nunca se puede sentirse seguro y acabado. Ante la asep sia homogénea de las narraciones oficiales, el narrar fronterizo es un contar entre lenguas (Daviña, 2003; Bhabha, 2002), una escenificación de la vida cotidiana - porque ese entre lenguas significa entre mundos : hábitos, creencias, rituales, etc. - , que art icula los sentidos y revitaliza un dialecto de la supervivencia. Por estas circunstancias, nos interesa el multiacentuado relato de la vida cotidiana en la frontera, narración que enfatiza un modo de vivir en el límite, plagado de pasajes y comercios semi óticos y lingüísticos. En este sentido, destacamos dos dimensiones de nuestro problema: la representación de la frontera a través de la producción discursiva de la práctica narrativa y la propia fronteridad de los relatos de la vida cotidiana en el límite. ¿Cómo se configura la fronteridad en esos relatos? ¿Qué procedimientos retóricos o estrategias narrativas características del discurso entre lenguas circulan en esas narraciones? ¿Qué estereotipos de la vida en la frontera se establecen en los relatos o s on explotados por los discursos que los citan e interpretan? ¿Cuáles son los valores semióticos con respecto a la concepción del tiempo, el espacio y los hábitos culturales que circulan en esas narrativas? Estos interrogantes dan cuenta de un dispositivo c omplejo que circula con extrema fluidez en la semiosfera fronteriza misionera y que instala en los umbrales escolares posibles rupturas o continuidades entre los universos semióticos de los niños, caracterizados por mestizajes culturales y lingüísticos, y la dinámica de la vida escolar que propone la enseñanza de una lengua estandarizada y una serie de hábitos culturales en ocasiones reñidos con los procesos semióticos de la vida cotidiana de los sujetos en situación de umbralidad. Teniendo en cuenta las c aracterísticas de esta semiosfera fronteriza y las tensiones que atraviesan su relación con las políticas y los discurso del centro del Estado nacional, nos interesa explorar las narrativas de la vida cotidiana en la frontera y analizar su importancia en el umbral de la alfabetización escolar, espacio de fricción entre una política educativa e institucional que dispone un relato homogéneo y una práctica cultural que despliega una serie heterogénea de narraciones donde el mestizaje semiótico se presenta com o una marca fundacional. Emprender la investigación nos permitirá resaltar que el relato, mediante sus tópicos y recursos retóricos y narrativos constituye un dispositivo (semiótico y cultural) que estructura y semiotiza nuestra cotidianeidad fronteriza . C onsideramos que el juego tensionante entre memoria y olvido produce narraciones que permiten establecer relaciones dialógicas, heterogéneas y políticas en las que emergen representaciones de la identidad y la otredad en la frontera. Existirían múltiples y contradictorios relatos de la experiencia cotidiana de la frontera que destacarían el carácter complejo y paradójico de la vida en el borde . Por otra parte, no podemos soslayar la tensión constante entre los discursos y relatos mediáticos y las redes semió ticas del universo local misionero caracterizado, en muchos casos, por el despliegue de prácticas, hábitos, creencias y modos de relacionarse propios de la ruralidad. En la semiosfera escolar emergen las fricciones entre los discursos mediáticos globales y las experiencias cotidianas de los niños. En las múltiples semiosferas locales - entre ellas la educativa - se presentaría una compleja y tensa fricción entre un modelo narrativo hegemónico, articulado por el discurso mediático, y la heterogeneidad de relat os que los propios protagonistas de la comunidad despliegan. De esta forma, en el umbral escolar alfabetizador, los niños desplegarían relatos de la experiencia cotidiana donde la presencia de lo ficcional, lo mítico y lo fantástico no funcionaría como neg adora del carácter empírico de la experiencia, sino que potenciaría simbólicamente su propia vida.
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El presente estudio tiene por objetivo comprobar la gravitación de determinados referentes de la cultura clásica en “Funes el memorioso". Estos referentes se incorporan estratégicamente en la versión definitiva del relato. Los elementos fundamentales son la articulación retórica y mnemotécnica, el latín como lengua de cultura y los libros que hacen posible su aprendizaje, el capítulo XIV del libro VII de la Historia natural de Plinio el Viejo y el inicio de la “Oda XXX" del Libro tercero, de Horacio. Estos elementos no operan sólo como fuentes sino que inciden los dos momentos básicos de la enunciación, en la construcción de la fábula, en la configuración de los personajes y en la organización del discurso. A la vez, proveen ciertas incitaciones en cuanto a la correlación de los contenidos y determinan la comprensión de la memoria por contraste a la del protagonista. La presencia de determinados referentes de la cultura clásica está relacionada con experiencias del propio Borges quien las transforma ficcionalmente y las pone en boca del narrador, para generar un pacto de lectura autobiográfico con efectos específicos de realce de lo fantástico.
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Cortázar es un autor que ha sido estudiado parcialmente. Los textos críticos que ha suscitado su producción literaria dejan aspectos importantes sin considerar. La originalidad de su obra ficcional ha sido destacada de manera más unánime que la lucidez teórica de sus escritos no ficcionales. La dificultad tal vez se encuentre en el hecho de que no hay un volumen especifico de Cortázar que recoja su singular teoría del cuento sino que sus reflexiones se hallan diseminadas en sus ensayos, ficciones y en las entrevistas que el autor concede a la prensa. Creo pues necesario sistematizar, de manera sintética, su concepción del cuento para considerar su aporte tanto en la investigación del género cuento como en su original teoría de lo fantástico.
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El propósito de estas páginas es demostrar que el modo gótico ingresa a la literatura argentina para poner en evidencia la inestabilidad de la estructura de género y consecuentemente provocar una revisión del sistema literario. En segundo lugar se establecen las afiliaciones del gótico con lo fantástico cuya característica particular en la literatura argentina es que no abandona la referencia a lo real. Como ejemplo se propondrá una lectura de la obra Ganarse la muerte, de Griselda Gambaro.
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En este artículo se analiza la figura del autómata en la narrativa rioplatense reciente, a partir de los escritos ensayísticos de Edgar Allan Poe y de Lewis Mumford entre otros. Lejos del ideal romántico de progreso indefinido, la figura del autómata concentra un conjunto de ideas contradictorias sobre el sujeto, la sexualidad, el conocimiento científico, la creación y las costumbres sociales adquiridas y no; se trata de un conjunto de ideas que han sido exploradas tanto por el psicoanálisis como por el surrealismo francés y que ciertos textos de la escena literaria contemporánea ponen singularmente en foco
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Debido a su carácter en cierta medida descentrado con respecto al canon del XIX hispánico, las novelas de Rosalía de Castro permiten problematizar categorías críticas fundacionales de la historiografía decimonónica tales como "romanticismo", "realismo", "costumbrismo" o, en el plano de los géneros literarios, "novela sentimental" y "folletín". Más conocida como poeta, la dedicación de la autora a la narrativa no fue un empeño marginal. Así lo demuestran obras como La hija del mar (1859), Flavio (1861), Ruinas (1866), El caballero de las botas azules (1867) y El primer loco (1880), estampas costumbristas como El cadiceño (1866), relatos breves como Conto gallego (1903) y otras incursiones prosísticas, a veces no ajenas al marco ficcional del relato epistolar como Las literatas (1865). Resulta innegable que la narrativa de Castro participa de algunas de las principales convenciones de la literatura decimonónica. Se acogió claramente al molde genérico del folletín en sus novelas Flavio y Ruinas, y trató en su obra el modo en que las nuevas condiciones de producción editorial transformaron la circulación de los libros de ficción en la segunda mitad del siglo XIX. Sin embargo, el tratamiento que la autora confiere a las emociones en su novelística difiere notablemente del canon sentimental propio de la novela por entregas. No es de extrañar, a esta luz, que a menudo en sus novelas se establezca una correlación explícita entre quienes sienten y quienes escriben. Esta correlación entre sentimiento y creación verbal permite establecer una compleja teoría literaria del sentir de la que, a su vez, surgen nuevas implicaciones políticas. El vínculo entre historia de las emociones y teoría de la ficción, como fundamento de una nueva "comunidad del sentir", podría arrojar nuevas perspectivas en el estudio de la novelística de Rosalía de Castro.
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El trabajo ensaya una aproximación a la narrativa de Roberto Bolaño a partir de la novela Amuleto (1999) para definir su propuesta estética en relación con los debates en torno a los nuevos realismos en el Cono Sur: los cambios y desplazamientos en torno a la categoría "realismo" en la posdictadura. Bolaño articula un realismo particular, el "realismo visceral"; posicionándose en el campo literario latinoamericano, en diálogo con los debates actuales en el marco de los denominados nuevos realismos, o "realismos adjetivados". Atravesado por el fantástico, funciona como matriz para relatar la experiencia de las dictaduras y sus significaciones en el presente. El análisis explora, entonces, cómo la narrativa de Roberto Bolaño abre otras posibilidades de representación y constituye una posición diferenciada en el campo literario chileno, a la vez que participa de las discusiones en torno al realismo latinoamericano y a la pregunta sobre "cómo narrar" el pasado traumático de la dictadura militar. Las huellas de la violencia en América Latina exigen nuevos modos de abordar lo "real" porque la experiencia adquirió dimensiones inefables. El realismo visceral de Bolaño evidencia los cambios estéticos de los 60 a los 90, al fracturar el optimismo de las narrativas del boom, al debilitar las certezas del testimonio, y sobre todo, al incluir el fantástico que opera como espacio de lo siniestro, del fantasma (metáfora del desaparecido) y sus significaciones en el contexto del terrorismo de Estado
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Este trabajo parte de dos cuentos de Borges: "El libro de arena" y "El Zahir". El primero comienza así: "La línea consta de un número infinito de puntos; el plano, de un número infinito de líneas; el volumen, de un número infinito de planos; el hipervolumen, de un número infinito de volúmenes... No, decididamente no es éste, more geométrico, el mejor modo de iniciar mi relato". Inmediatamente, dice: "Afirmar que es verídico es ahora una convención de todo relato fantástico; el mío, sin embargo es verídico". Por más que decir en un cuento que es verdadero podría ser falso, la primera afirmación es verdadera: una línea está compuesta de infinitos puntos, un plano de infinitas líneas... ¿Qué pasaría entonces si trasladamos esa premisa a un relato realista? En principio la convención se desarticula, ese relato podría ser al fin el más nuevo, la innovación, la buena nueva. Después, la suspensión de nuestra idea de realidad que un relato fantástico necesita para tener efecto, se cambia por una tautología: algo que en la realidad es verdadero (la línea está compuesta por un número infinito de puntos, etc.) se hace verdadero. Nada entonces sería más real, está allí lo real de la realidad. Así funciona la literatura de Aira. El sistema que se expone en el primer cuento es eminentemente geométrico y el que define el valor del dinero en "El Zahir", podría nombrarse como económico. Los mismos dos sistemas producen las novelas de Aira. La geometría o sus extensiones -la física, la química, la óptica (las ciencias que trabajan con el tiempo y el espacio, la dimensión y el tamaño)- y la economía, son los dispositivos del realismo airiano porque igual que en la novela realista (en Balzac, sobre todo, quizás), pero también igual que en la realidad, producen las cosas
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En 1935, Carlos Muzio Saénz Peña, el director de El Mundo, envía a Roberto Arlt como corresponsal a Europa desde donde remite casi a diario y por avión sus impresiones de viajero. Entre julio y agosto de 1935 se publican en el diario las aguafuertes que documentan y describen su recorrido por el norte de Africa. Es relevante destacar que la intervención de Arlt en el diario no sólo se llevó a cabo a partir de sus crónicas, sino también a partir de su labor como fotógrafo. Estas notas de viaje fueron publicadas, en su gran mayoría, junto a dos o tres fotografías tomadas por el mismo autor. Posteriormente, en 1938, Arlt retoma el escenario africano y sus personajes los relatos que componen El criador de gorilas.1 La siguiente ponencia se propone indagar, a este respecto, el modo en que la experiencia oriental es plasmada por el autor a través de tres manifestaciones artísticas diferentes- fotografía, discurso periodístico, cuento fantástico- que al mismo tiempo que demuestran el impacto de la cultura africana en el pensamiento del autor, también postulan un recorrido que se inicia con la instantaneidad de la imagen fotográfica y desemboca, años más tarde, en la relaboración fantástica de los relatos de El criador de gorilas
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Siempre me interesaron las relaciones entre la Primera Parte de El Eternauta, de Héctor Oesterheld y Solano López (1957), y sus "malogradas" continuaciones. Por su carácter fantástico, el argumento de la historieta admite laposibilidad de múltiples continuaciones y derivaciones; sin embargo -y la Segunda Parte de la obra (escrita por el mismo Oesterheld en 1976) es una buena prueba al respecto-, la realización efectiva de una continuación planteó y plantea innumerables dificultades. En este punto, creo que la clave para pensar el problema pasa por la cuestión de la "memoria" y el lugar del "futuro" en la ficción. Muchos olvidan que, en el final de esa Primera Parte, la intriga se hace circular: para recuperar vida y hogar, el héroe olvida o anula su experiencia aventurera. La recuperación del pasado está basada en el olvido del futuro, que necesaria y trágicamente va a ser catastrófico. En cambio, y este es el gran acierto poético, junto al héroe está su autor, el "guionista", cuya escritura sí se orienta hacia el futuro (¿podrá evitar la catástrofe publicando todo lo que el héroe le contó: "será posible"?). Para continuar su historia, Juan Salvo tiene que recuperar la memoria de su experiencia, y en ese trance no podrá evitar dejar de ser quien es: ¿cómo continuar, entonces, la historia de un sujeto que ha dejado irremisiblemente de ser lo que era? ¿Transformándolo en un "super-hombre"? En todo caso, queda claro que El Eternauta es un texto diferente aun dentro de la producción de Oesterheld; casi no es un buen ejemplo de esa producción: contra los supuestos y protocolos de la "literatura de masas", dicha historieta obliga al lector, empuja a la ficción (y a sus continuadores), a preguntarse por el estatuto de la memoria y su relación con el futuro
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"A terceira margem do rio", conto de Joao Guimaraes Rosa, é objeto de análise deste trabalho, que se utiliza do referencial teórico da semiótica francesa que, desde os anos 1980, constrói uma semântica da dimensao passional dos discursos e passa a considerar a paixao "como efeito de sentido inscrito e codificado na linguagem". Nosso texto focaliza os estados de alma do sujeito da história, que, projetado no presente da enunciaçao, ao rememorar o passado, já entrado em anos, toma consciência da anulaçao de sua existência, que foi marcada pela ausência do pai. Focalizamos o percurso patêmico do "eu" narrador, como sujeito do enunciado, em cenas enunciativas do texto nas quais se manifestam variantes da paixao da cólera , tendo em vista o modo como Jacques Fontanille (2005) a descreve em Dictionnaire de passsions Littéraires. Nossa hipótese é que o eu nao teve consciencia da raiva e da revolta que sentiu em relaçao ao distanciamento do pai e, nesse sentido, observamos como essa revolta, ao final, provoca-lhe o sentimento de culpa e de medo. Logo, o estado afetivo de medo o impede de seguir o percurso do pai ao final da história