981 resultados para Rete testis


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Progettazione ed implementazione di una strategia di migrazione da IPv4 a IPv6 in una realtà complessa come quella del consorzio interuniversitario CINECA. Sono stati presi in considerazione sia i livelli di rete e trasporto, sia il livello applicativo, cercando di fornire una visione completa delle problematiche incontrate. La strategia di migrazione scelta comprende le scelte tecniche fino ad ora implementate dal CINECA e i successivi passi che verranno intrapresi in futuro.

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Questa tesi tratta dello sviluppo di un progetto chiamato Faxa e di una sua concreta applicazione nell’ambito della domotica (CasaDomotica). Faxa è un framework per la comunicazione via wireless tra dispositivi che supportano il sistema operativo Android e dispositivi Arduino Ethernet, comunicazione che avviene localmente attraverso il wi-fi. Il progetto si inserisce nel panorama più ampio chiamato “Internet of Things”, ovvero internet delle cose, dove ogni oggetto di uso domestico è collegato ad Internet e può essere quindi manipolato attraverso la rete in modo da realizzare una vera e propria “smart house”; perchè ciò si attui occorre sviluppare applicazioni semplici e alla portata di tutti. Il mio contributo comincia con la realizzazione del framework Faxa, così da fornire un supporto semplice e veloce per comporre programmi per Arduino e Android, sfruttando metodi ad alto livello. Il framework è sviluppato su due fronti: sul lato Android è composto sia da funzioni di alto livello, necessarie ad inviare ordini e messaggi all'Arduino, sia da un demone per Android; sul lato Arduino è composto dalla libreria, per inviare e ricevere messaggi. Per Arduino: sfruttando le librerie Faxa ho redatto un programma chiamato “BroadcastPin”. Questo programma invia costantemente sulla rete i dati dei sensori e controlla se ci sono ordini in ricezione. Il demone chiamato “GetItNow” è una applicazione che lavora costantemente in background. Il suo compito è memorizzare tutti i dati contenuti nei file xml inviati da Arduino. Tali dati corrispondono ai valori dei sensori connessi al dispositivo. I dati sono salvati in un database pubblico, potenzialmente accessibili a tutte le applicazioni presenti sul dispositivo mobile. Sul framework Faxa e grazie al demone “GetItNow” ho implementato “CasaDomotica”, un programma dimostrativo pensato per Android in grado di interoperare con apparecchi elettrici collegati ad un Arduino Ethernet, impiegando un’interfaccia video semplice e veloce. L’utente gestisce l’interfaccia per mezzo di parole chiave, a scelta comandi vocali o digitali, e con essa può accendere e spegnere luci, regolare ventilatori, attuare la rilevazione di temperatura e luminosità degli ambienti o quanto altro sia necessario. Il tutto semplicemente connettendo gli apparecchi all’Arduino e adattando il dispositivo mobile con pochi passi a comunicare con gli elettrodomestici.

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Il documento riporta, con prove sperimentali, un confronto tra le prestazioni che diverse tecnologie VPN hanno all'interno dello scenari wired e wireless. Il protocollo di tunneling utilizzato per la creazione delle VPN incide in modo particolare sulle performance della rete. L'obiettivo è proprio quello di valutare il protocollo che fornisce una qualità migliore a livello prestazionale, il tutto tramite un insieme mirato di test.

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Il seguente lavoro di tesi ha come scopo l'illustrazione delle fasi di progetto di un impianto di microcogenerazione nell'ambito territoriale dell'Emilia Romagna. In particolare verrà fatta un'analisi economica di fattibilità, un'analisi energetica di calcolo delle prestazioni dell'impianto mediante norma UNI-TS 11300-IV, il progetto e la scelta dei componenti afferenti l'impianto di riscaldamento delle utenze e un'analisi dei documenti amministrativi disciplinanti la messa in funzione nonché la valorizzazione dell'energia elettrica immessa in rete. Il lavoro è stato eseguito su quindici impianti afferenti ad altrettante utenze con caratteristiche di utilizzo dell'impianto diversificate tra loro.

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Nel presente elaborato si è affrontato il tema dell’utilizzo di biogas per la produzione di energia elettrica e termica; in primo luogo è stata fatta una panoramica sulla diffusione degli impianti di digestione anaerobica in Europa e in Italia, con particolare attenzione alla logica degli incentivi volti alla promozione delle fonti rinnovabili. Il biogas presenta infatti il duplice vantaggio di inserirsi sia nell’ottica del “Pacchetto Clima-Energia” volto alla riduzione di consumi energetici da fonti fossili, sia nella migliore gestione dei rifiuti organici volta alla riduzione del conferimento in discarica. L’allineamento degli incentivi italiani con quelli europei, prevista dal Decreto Ministeriale 6 luglio 2012, presuppone un’espansione del settore biogas più oculata e meno speculativa di quella degli ultimi anni: inoltre la maggiore incentivazione all’utilizzo di rifiuti come materia prima per la produzione di biogas, comporta l’ulteriore vantaggio di utilizzare, per la produzione di energia e compost di qualità, materia organica che nel peggiore dei casi sarebbe inviata in discarica. Il progetto oggetto di studio nasce dalla necessità di trattare una quantità superiore di Frazione Organica di Rifiuti Solidi Urbani da R.D, a fronte di una riduzione drastica delle quantità di rifiuti indifferenziati conferiti ai siti integrati di trattamento di rifiuti non pericolosi. La modifica nella gestione integrata dei rifiuti prevista dal progetto comporta un aumento di efficienza del sito, con una drastica riduzione dei sovvalli conferiti a discariche terze, inoltre si ha una produzione di energia elettrica e termica annua in grado di soddisfare gli autoconsumi del sito e di generare un surplus di elettricità da cedere in rete. Nel contesto attuale è perciò conveniente predisporre nei siti integrati impianti per il trattamento della FORSU utilizzando le Migliori Tecniche Disponibili proposte dalle Linee Guida Italiane ed Europee, in modo tale da ottimizzare gli aspetti ambientali ed economici dell’impianto. Nell’elaborato sono stati affrontati poi gli iter autorizzativi necessari per le autorizzazioni all’esercizio ed alla costruzione degli impianti biogas: a seguito di una dettagliata disamina delle procedure necessarie, si è approfondito il tema del procedimento di Valutazione di Impatto Ambientale, con particolare attenzione alla fase di Studio di Impatto Ambientale. Inserendosi il digestore in progetto in un sito già esistente, era necessario che il volume del reattore fosse compatibile con l’area disponibile nel sito stesso; il dimensionamento di larga massima, che è stato svolto nel Quadro Progettuale, è stato necessario anche per confrontare le tipologie di digestori dry e wet. A parità di rifiuto trattato il processo wet richiede una maggiore quantità di fluidi di diluizione, che dovranno essere in seguito trattati, e di un volume del digestore superiore, che comporterà un maggiore dispendio energetico per il riscaldamento della biomassa all’interno. È risultata perciò motivata la scelta del digestore dry sia grazie al minore spazio occupato dal reattore, sia dal minor consumo energetico e minor volume di reflui da trattare. Nella parte finale dell’elaborato sono stati affrontati i temi ambientali,confrontando la configurazione del sito ante operam e post operam. È evidente che la netta riduzione di frazione indifferenziata di rifiuti, non totalmente bilanciata dall’aumento di FORSU, ha consentito una riduzione di traffico veicolare indotto molto elevato, dell’ordine di circa 15 mezzi pesanti al giorno, ciò ha comportato una riduzione di inquinanti emessi sul percorso più rilevante per l’anidride carbonica che per gli altri inquinanti. Successivamente è stata valutata, in modo molto conservativo, l’entità delle emissioni ai camini dell’impianto di cogenerazione. Essendo queste l’unico fattore di pressione sull’ambiente circostante, è stato valutato tramite un modello semplificato di dispersione gaussiana, che il loro contributo alla qualità dell’aria è generalmente una frazione modesta del valore degli SQA. Per gli ossidi di azoto è necessario un livello di attenzione superiore rispetto ad altri inquinanti, come il monossido di carbonio e le polveri sottili, in quanto i picchi di concentrazione sottovento possono raggiungere frazioni elevate (fino al 60%) del valore limite orario della qualità dell’aria, fissato dal D.Lgs 155/2010. Infine, con riferimento all’ energia elettrica producibile sono state valutate le emissioni che sarebbero generate sulla base delle prestazioni del parco elettrico nazionale: tali emissioni sono da considerare evitate in quanto l’energia prodotta nel sito in esame deriva da fonti rinnovabili e non da fonti convenzionali. In conclusione, completando il quadro di emissioni evitate e indotte dalla modifica dell’impianto, si deduce che l’impatto sull’ambiente non modificherà in maniera significativa le condizioni dell’aria nella zona, determinando una variazione percentuale rispetto agli inquinanti emessi a livello regionale inferiore all’1% per tutti gli inquinanti considerati (CO, PM10, NOX, NMCOV). Il vantaggio più significativo riguarda una riduzione di emissioni di CO2 dell’ordine delle migliaia di tonnellate all’anno; questo risultato è importante per la riduzione di emissione dei gas serra in atmosfera e risulta in accordo con la logica dell’utilizzo di biomasse per la produzione di energia. Dal presente elaborato si evince infine come l’utilizzo del biogas prodotto dalla digestione anaerobica della Frazione Organica dei Rifiuti Solidi Urbani non comporti solo un vantaggio dal punto di vista economico, grazie alla presenza degli incentivi nazionali, ma soprattutto dal punto di vista ambientale, grazie alla riduzione notevole dei gas serra in atmosfera, in accordo con gli obiettivi europei e mondiali, e grazie al recupero di rifiuti organici per la produzione di energia e compost di qualità.

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Nach Homogenisation ejakulierter Eberspermien und Zentrifugation des Homogenates blieben mehr als 60% der Aktivität des glykolytischen Enzyms Pyruvatkinase (PK) an Zellfragmenten im Sediment gebunden. Diese strukturgebundene PK wurde als PK-S bezeichnet. Das Detergenz Triton X-100 führte nicht zur Ablösung der PK-S; mit Trypsin konnten jedoch rund 80% der PK-S ohne Verlust an Aktivität von den Strukturen gelöst und durch kombinierte Kationenaustausch- und Hydrophobizitätschromatographie gereinigt werden (spezifische Aktivität: 116,7 U/mg Protein). Die lösliche PK aus Eberspermien konnte ebenfalls durch ein ähnliches Verfahren angereichert werden. Im Gel (SDS-PAGE) zeigten die Untereinheiten der PK-S mit 64.400 eine geringfügig größere relative Molekülmasse als die der PK-M1 aus Kaninchenmuskel (62.000). Die kinetischen Eigenschaften der abgelösten PK-S als auch der noch an Spermienstrukturen gebundenen PK-S und der löslichen PK aus Eberspermien waren sehr ähnlich und entsprachen der M1-Isoform der PK. Antikörper gegen Kaninchenmuskel-PK (Anti-PK-M1) reagierten auch mit der löslichen PK und der PK-S aus Eberspermien. Edman-Abbau der ersten 19 Aminosäuren zeigte, dass die tryptisch abgelöste PK-S am N-Terminus um 5 Aminosäuren gegenüber nativer PK-M1 verlängert ist, während der C-Terminus der erhaltenen PK-S-Sequenz mit einem meist nahe dem N-Terminus gelegenen Sequenzabschnitt der PK-M1 und -M2 übereinstimmt. Die N-terminale Verlängerung der nativen PK-S enthält sicherlich mehr als die nach tryptischer Lyse nachgewiesenen 5 Aminosäuren. Vergleiche der Aminosäure- und übersetzten Nukleotidsequenzen sowie die kinetischen Eigenschaften lassen vermuten, dass die PK-S, wie die PK-M1 und PK-M2, vom PKM-Gen codiert wird. Gegen die gereinigte PK-S wurden Antikörper in Kaninchen produziert. Da das Antiserum nicht ausreichend spezifisch für PK-S war, wurden aus ihm affinitätschromatographisch Antikörper (Anti-PK-S) isoliert, die hohe Affinität zu einem synthetisierten PK-S-Peptid (13 N-terminale Aminosäuren der tryptisch abgelösten PK-S) hatten. Dieses Anti-PK-S-Präparat war spezifisch für PK-S; es reagierte weder mit Kaninchenmuskel-PK noch mit löslicher PK oder anderen Proteinen aus Eberspermien. Anti-PK-S und Anti-PK-M1 wurden zur Lokalisierung von PK-S und löslicher PK in Spermien von Eber, Bulle und Mensch sowie in Schnitten von Eberhoden eingesetzt. Mit Anti-PK-S wurden der Bereich des Akrosoms und das lange flagellare Hauptstück sowie der Übergangsbereich zwischen Kopf und Mittelstück von Eberspermien fluoreszenzmarkiert, wogegen das kurze, die Mitochondrien enthaltende Mittelstück des Flagellums und der postakrosomale Kopfbereich nur mit Anti-PK-M1 markiert wurden. Immunogoldmarkierung in elektronenmikroskopischen Bildern bestätigte die Lokalisierung von PK-S im Akrosombereich. Im Hauptstück banden Anti-PK-M1 und Anti-PK-S an die fibröse Scheide. Glyzerinaldehyd-3-phosphat Dehydrogenase (GAPDH) konnte von mir ebenfalls im Akrosombereich, im Übergangsbereich zwischen Kopf und Mittelstück und an der fibrösen Scheide detektiert werden. Auch an Bullen- und Humanspermien konnte über Immunogoldmarkierung PK und vermutlich GAPDH an der fibrösen Scheide gezeigt werden. Im Akrosombereich dieser Spermien waren die Nachweise von PK und GAPDH jedoch nicht sicher. In Eberhodenschnitten war die PK-S erstmals, oder zumindest vermehrt, in den elongierenden Spermatiden über Fluoreszenzmarkierung nachweisbar, während andere, vermutlich somatische PK vermehrt in den früheren Stadien (Spermatogonien, aber auch in den Spermatozyten und runden Spermatiden) auftrat. Für die GAPDH zeigte sich ein ähnlicher Entwicklungsverlauf. Die Ergebnisse zeigen, dass in Eberspermien zwei Isoformen der PK auftreten: eine N-terminal verlängerte, strukturgebundene Form, die PK-S, und eine lösliche Form, die beide der PK-M1 ähneln. Der ungewöhnliche N-Terminus der PK-S dient vermutlich der spezifischen räumlichen Anordnung der PK-S im Akrosombereich und an der fibrösen Scheide, nicht aber der Modulation kinetischer Eigenschaften. Meine Untersuchungen stützen die Hypothese, dass in bestimmten Kompartimenten von Säugerspermien die Glykolyse durch Verankerung einiger ihrer Enzyme strukturell hochgeordnet ist. Dadurch wird vermutlich die Versorgung der Mitochondrien-freien Regionen mit ATP sichergestellt. Man kann diese Organisation als Anpassung des Stoffwechsels von Spermien deuten, bei denen die Mitochondrien in einem kleinen Bereich (Mittelstück) hinter dem Spermienkopf kompartimentiert sind. Im Hauptstück des Flagellums könnte die Glykolyse ATP für die Spermienmotilität liefern, im Akrosombereich für die Verhinderung einer vorzeitigen Akrosomreaktion. Somit käme der strukturierten Glykolyse eine essentielle Bedeutung für die Befruchtungsfähigkeit von Säugerspermien zu.

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Ansatz zur Generierung einer konditionalen, reversiblen Wt1 k.o.-Maus Der Wilms-Tumor (WT, Nephroblastom) ist ein embryonaler Nierentumor, der durch die maligne Transformation von undifferenziertem Nierengewebe, sog. nephrogenen Resten, entsteht. WT treten mit einer Inzidenz von 1 in 10.000 Lebendgeburten auf. Das Hauptmanifestationsalter, der normalerweise einseitig und sporadisch auftretenden Tumore, liegt zwischen dem 3. und 4. Lebensjahr. Etwa 10 % der Patienten entwickeln jedoch bilaterale Tumore. In diesen Fällen ist eine Assoziation mit komplexen genetischen Krankheitsbildern (u. a. WAGR-, Denys-Drash-, Frasier- und Beckwith-Wiedemann-Syndrom) festzustellen. In 15 % der sporadischen WT sind Mutationen im WT1 (Wilms-Tumor 1)-Gen beschrieben. WT1 besteht aus zehn Exons und weist typische Merkmale von Transkriptionsfaktoren (z. B. vier Zinkfinger) auf. Zwei alternative Spleißereignisse betreffen Exon 5 (+/−Exon 5) und Exon 9 (Transkripte mit bzw. ohne die codierenden Sequenzen für die AS Lysin-Threonin-Serin; +/−KTS). Die Lage der drei alternativ vorhandenen AS zwischen den Zinkfingern 3 und 4 bestimmt die verschiedenen Funktionen der WT1-Proteine (4 Isoformen) als Transkriptionsfaktor (−KTS) bzw. als RNA-bindendes Protein (+KTS). Das zunächst im Zusammenhang mit WT als Tumorsuppressorgen identifizierte WT1 ist ein Entwicklungsgen mit einem sehr komplexen Expressionsmuster in der Embryonalentwicklung. Dabei ist v. a. die Bedeutung in der Urogenitalentwicklung entscheidend. Konstitutive, homozygote Wt1−/− k.o.-Mäuse sind embryonal (~ E12,5 dpc) letal und bilden u. a. keine Gonaden und keine Nieren. Aus diesem Grund existiert bisher kein Wilms-Tumormodell. Die Herstellung eines konditionalen murinen Tiermodells auf Basis des Tet on/off-Systems zur Untersuchung der Nierenentwicklung bzw. zur Analyse der Wilms-Tumorpathogenese war Ziel dieser Arbeit. Hierfür wurden drei Mauslinien generiert: Zwei transgene sog. Responder-Linien, die eine chimäre spleißbare Wt1-cDNA der Variante musWt1+Exon 5;+/−KTS unter der Kontrolle eines Tet-responsiven Promotors im Genom tragen. Dieses tTA/Dox-abhängig regulierbare Wt1-Transgen (tgWt1) sollte (exogen regulierbar) die Expression des endogenen Wt1-Lokus ausreichend nachahmen, um die kritischen Phasen der Embryogenese zu überwinden und lebensfähige Tiere zu erhalten. Parallel dazu wurde die Wt1-Effektor-Mauslinie (WE2) generiert. Diese trägt einen tetrazyklinabhängigen Transaktivator (tTA) zur Steuerung Tet-regulierbarer Transgene unter der Kontrolle des endogenen Wt1-Promotors. Die durch homologe Rekombination in ES-Zellen erreichte Integration des tTA direkt am Translationsstartpunkt des Wt1-Lokus hat in den Tieren einen heterozygoten Wt1 knock out/tTA knock in zur Folge. Die bisher vorgenommenen Verpaarungen doppelt transgener Wt1-tTA+/−/Resp-Mäuse ergaben keinen Rescue des letalen Wt1 k.o. und es konnten bislang keine Wilms-Tumore induziert werden. Alle im Verlauf der Arbeit generierten Mauslinien wurden umfassend charakterisiert. So konnte für die Tiere der Responder-Linien Wt1-Resp1 (mit zusätzlichen Isolator-Sequenzen zum Schutz des Transgens vor Positionseffekten) und Wt1-Resp2 (ohne Isolatoren) konnte die Tet-induzierbare Expression und die Spleißbarkeit des tgWt1 in MEF-Assays und mittels Effektor-Mäusen auf RNA-Ebene nachgewiesen werden. Die genomische Charakterisierung der WE2-Linie ergab eine ungeklärte etwa 120 kb große Inversion am Wt1-Lokus, die alle 5'-regulatorischen Sequenzen mitsamt des tTA vom Rest von Wt1 trennt. Tiere dieser Linie weisen aber dennoch einen funktionalen Wt1 k.o. auf: Unter den Nachkommen aus Intercross-Verpaarungen von Wt1-tTA+/−-Mäusen lassen sich auf Grund der Letalität keine Wt1−/−-Genotypen nachweisen. Die Charakterisierung der Effektor-Linie auf RNA-Ebene und mittels Reporter-Mäusen liefert ein Wt1-analoges tTA-Expressionsmuster: So findet man eine deutliche tTA-Expression u. a. in Niere (Glomeruli), Uterus, Ovar und Testis. Die hier vorgestellten Experimente ergeben darüber hinaus eindeutige Hinweise einer Beteiligung von Wt1 in der Entstehung der glatten Muskulatur bzw. in der Vaskulogenese.

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L’obiettivo di questa tesi è stato lo svilippo di un convertitore di potenza per applicazioni di energy harvesting in grado di convogliare l’energia estratta da diversi tipi di trasduttori di grandezze ambientali in un unico dispositivo di storage, ad es. un condensatore, utilizzabile per alimentare circuiti a basso consumo. L’idea di base è stata quella di ottimizzare il trasferimento di energia, attraverso una rete logica in grado di gestire le priorità di conversione dalle diverse tipologie di sorgenti e grazie ad una implementazione di un algoritmo di Maximum Power Point Tracking. In base alle specifiche di progetto, in una prima fase è stata sviluppata la rete a livello funzionale, poi sono stati scelti i componenti più opportuni ed infine si è verificato il funzionamento attraverso simulazioni circuitali.

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Il termine cloud ha origine dal mondo delle telecomunicazioni quando i provider iniziarono ad utilizzare servizi basati su reti virtuali private (VPN) per la comunicazione dei dati. Il cloud computing ha a che fare con la computazione, il software, l’accesso ai dati e servizi di memorizzazione in modo tale che l’utente finale non abbia idea della posizione fisica dei dati e la configurazione del sistema in cui risiedono. Il cloud computing è un recente trend nel mondo IT che muove la computazione e i dati lontano dai desktop e dai pc portatili portandoli in larghi data centers. La definizione di cloud computing data dal NIST dice che il cloud computing è un modello che permette accesso di rete on-demand a un pool condiviso di risorse computazionali che può essere rapidamente utilizzato e rilasciato con sforzo di gestione ed interazione con il provider del servizio minimi. Con la proliferazione a larga scala di Internet nel mondo le applicazioni ora possono essere distribuite come servizi tramite Internet; come risultato, i costi complessivi di questi servizi vengono abbattuti. L’obbiettivo principale del cloud computing è utilizzare meglio risorse distribuite, combinarle assieme per raggiungere un throughput più elevato e risolvere problemi di computazione su larga scala. Le aziende che si appoggiano ai servizi cloud risparmiano su costi di infrastruttura e mantenimento di risorse computazionali poichè trasferiscono questo aspetto al provider; in questo modo le aziende si possono occupare esclusivamente del business di loro interesse. Mano a mano che il cloud computing diventa più popolare, vengono esposte preoccupazioni riguardo i problemi di sicurezza introdotti con l’utilizzo di questo nuovo modello. Le caratteristiche di questo nuovo modello di deployment differiscono ampiamente da quelle delle architetture tradizionali, e i meccanismi di sicurezza tradizionali risultano inefficienti o inutili. Il cloud computing offre molti benefici ma è anche più vulnerabile a minacce. Ci sono molte sfide e rischi nel cloud computing che aumentano la minaccia della compromissione dei dati. Queste preoccupazioni rendono le aziende restie dall’adoperare soluzioni di cloud computing, rallentandone la diffusione. Negli anni recenti molti sforzi sono andati nella ricerca sulla sicurezza degli ambienti cloud, sulla classificazione delle minacce e sull’analisi di rischio; purtroppo i problemi del cloud sono di vario livello e non esiste una soluzione univoca. Dopo aver presentato una breve introduzione sul cloud computing in generale, l’obiettivo di questo elaborato è quello di fornire una panoramica sulle vulnerabilità principali del modello cloud in base alle sue caratteristiche, per poi effettuare una analisi di rischio dal punto di vista del cliente riguardo l’utilizzo del cloud. In questo modo valutando i rischi e le opportunità un cliente deve decidere se adottare una soluzione di tipo cloud. Alla fine verrà presentato un framework che mira a risolvere un particolare problema, quello del traffico malevolo sulla rete cloud. L’elaborato è strutturato nel modo seguente: nel primo capitolo verrà data una panoramica del cloud computing, evidenziandone caratteristiche, architettura, modelli di servizio, modelli di deployment ed eventuali problemi riguardo il cloud. Nel secondo capitolo verrà data una introduzione alla sicurezza in ambito informatico per poi passare nello specifico alla sicurezza nel modello di cloud computing. Verranno considerate le vulnerabilità derivanti dalle tecnologie e dalle caratteristiche che enucleano il cloud, per poi passare ad una analisi dei rischi. I rischi sono di diversa natura, da quelli prettamente tecnologici a quelli derivanti da questioni legali o amministrative, fino a quelli non specifici al cloud ma che lo riguardano comunque. Per ogni rischio verranno elencati i beni afflitti in caso di attacco e verrà espresso un livello di rischio che va dal basso fino al molto alto. Ogni rischio dovrà essere messo in conto con le opportunità che l’aspetto da cui quel rischio nasce offre. Nell’ultimo capitolo verrà illustrato un framework per la protezione della rete interna del cloud, installando un Intrusion Detection System con pattern recognition e anomaly detection.

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I sistemi di drenaggio urbano meritano particolare attenzione per l’importante compito che devono garantire all’interno della società. L’allontanamento delle acque reflue dalle zone urbanizzate infatti è indispensabile per non creare problemi ed interferenze con attività sociali ed economiche che in esse si svolgono; inoltre un corretto funzionamento del sistema di drenaggio assicura anche un basso impatto ambientale in termini di qualità e quantità. La disponibilità di nuove tecnologie costruttive e materiali in continua evoluzione devono fare fronte alla crescente complessità idraulica, geotecnica e urbanistica delle strutture componenti i sistemi di drenaggio; in tale elaborato si vuole porre l’accento sul problema dello smaltimento delle acque meteoriche nelle zone densamente urbanizzate, la cui soluzione è costituita dall'adozione delle cosiddette BMP (Best Management Practices). Le BMP sono definite come strategie, pratiche o metodi per la rimozione, la riduzione, il ritardo o la prevenzione della quantità di costituenti inquinanti e contaminanti delle acque di pioggia, prima che giungano nei corpi idrici ricettori. Tra esse ricordiamo le cisterne o rain barrels, i pozzi asciutti, i sistemi drywell, le vasche verdi filtranti, i tetti verdi, i canali infiltranti, i fossi di infiltrazione, i pozzi perdenti, i planting container, i canali inerbiti, i bacini di infiltrazione, le gross pullutant traps (gpts), gli stagni, i sistemi di fitodepurazione estensiva (sfe), le pavimentazioni drenanti. In Italia esse risultano ancora scarsamente studiate ed applicate, mentre trovano più ampio sviluppo in realtà estere come in Inghilterra ed in Australia. Per comprendere la efficacia di tali tecniche BMP è necessario analizzarle e, soprattutto, analizzare il loro effetto sul territorio in cui esse vengono inserite e sul regime idrogeologico dell’ambiente. Questa analisi può essere svolta con prove sperimentali su aree di controllo (soluzione economicamente gravosa) o attraverso modelli matematici tramite l’utilizzo di software di calcolo che simulino il comportamento delle portate, dei tiranti idrici e degli inquinanti nei canali e nelle strutture accessorie costituenti la rete fognaria, in conseguenza ad eventi di pioggia dei quali sia nota la distribuzione spaziale e temporale. In questo elaborato si modellizza attraverso il programma Matlab un unico elemento BMP e si osservano i suoi effetti; si procede cioè alla analisi del funzionamento di un ipotetico brown roof installato nella zona di Rimini e si osservano i benefici effetti che ne derivano in termini di volumi di pioggia trattenuti dal sistema considerando diverse tipologie di pioggia e diversi parametri progettuali per il tetto (i fori dello strato inferiore del tetto, la altezza dello strato di terreno, la sua permeabilità e la sua porosità). Si procede poi con la analisi di una ipotetica zona commerciale che sorge sulle sponde di un fiume. Tali analisi vengono svolte con il software HEC-RAS per quanto riguarda la analisi dei livelli del fiume e delle zone a rischio di inondazione. I risultati forniti da questo studio preliminare vengono poi utilizzati come condizioni al contorno per una successiva analisi effettuata con il software InfoWorks in cui si valutano i benefici che derivano dalla installazione di diverse BMP nella zona commerciale oggetto di studio. Tale modello esamina un verosimile scenario inglese, la cittadina infatti si ipotizza situata in Inghilterra e anche gli eventi pluviometrici a cui ci si riferisce sono tipici eventi di pioggia inglesi. Tutti i dati di input elaborati nelle simulazioni sono stati forniti all’interno di un progetto universitario svolto presso l’università di Bradford con la supervisione dei professori Simon Tait ed Alma Schellart. Infine la parte conclusiva dell’elaborato è stata sviluppata in collaborazione con Hera S.p.a. di Rimini all’interno di un percorso di tirocinio curriculare che ha previsto la analisi delle tecnologie BMP adatte per l’ambiente cittadino di Rimini e la osservazione delle performance garantite da tecnologie esistenti sul territorio: i parcheggi permeabili. La realtà riminese infatti deve far fronte a diversi problemi che si innescano durante i periodi di pioggia ed una mitigazione dei volumi di acqua in arrivo alla fognatura grazie a questo tipo di tecnologie, senza quindi ricorrere agli usuali sistemi puntuali, porterebbe sicuramente a notevoli vantaggi. Tali tecnologie però non devono solo essere progettate e costruite in modo corretto, ma devono essere sottoposte a periodici controlli ed adeguate operazioni di manutenzione per non perdere la loro efficacia. Per studiare tale aspetto si procede quindi alla misura della permeabilità di parcheggi drenanti presenti all’interno dei comuni di Cattolica e Rimini ricercando i fattori che influenzano tale caratteristica fondamentale dei parcheggi.

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Drosophila melanogaster enthält eine geringe Menge an 5-methyl-Cytosin. Die von mir untersuchte männliche Keimbahn von Drosophila weist jedoch keine nachweisbaren Mengen an DNA-Methylierung auf. Eine künstliche Expression der murinen de novo Methyltransferasen, DNMT3A und DNMT3B1, in den Fliegenhoden, führte nicht zu der erwarteten Methylierungszunahme und hatte keinen Effekt auf die Fruchtbarkeit der Männchen. Auch die gewebespezifische Expression unter der Verwendung des UAS/GAL4-Systems zeigte keine phenotypischen Veränderungen. Hingegen fanden wir auf Protein-Ebene des Chromatins von D. melanogaster und D. hydei spezifische Modifikationsmuster der Histone H3 und H4 in der Keimbahn, wie auch in den somatischen Zellen des Hodenschlauches. Die Modifikationsmuster der beiden Zelltypen unterscheiden sich grundlegend und weichen zudem von dem für Eu- und Heterochromatin erwarteten ab, was auf eine größere Komplexität des „Histon-Codes“ als angenommen hindeutet. Folglich liegt die epigenetische Information in Drosophila wahrscheinlich anstatt auf DNA- auf Protein-Ebene, wodurch Genexpression über die Chromatinstruktur reguliert wird. Es wurde gezeigt, dass der Transkriptionsfaktor E2F, der eine Schlüsselfunktion im Zellzyklus hat, durch unterschiedliche Transkripte offenbar quantitativ reguliert wird. Unsere Nachforschungen ergaben, dass die drei E2F1 Genprodukte in Drosophila neben ihrer Zellspezifität auch in unterschiedlichen Expressionsniveaus auftreten, was die Annahme einer quantitativen Expression unterstützt. Die verschiedenen Funktionen der multiplen Gene in Säugern, könnten so funktionell kompensiert werden. Die durch die Expression dreier dE2F1-Transkripte vermutete Synthese verschiedener Proteine konnte nicht bewiesen werden.

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Il presente lavoro di ricerca intende analizzare l’importanza dei modelli organizzativi a reti per rispondere alla sfida della complessità del momento storico, politico, sociologico, economico; in modo particolare in Sanità per rispondere all’esigenza di mettere al centro la persona nel percorso di cura ed ottenere una migliore integrazione delle cure. Sebbene i vantaggi delle reti siano bene descritti in letteratura sono ancora pochi gli studi nell’ambito della valutazione. Il caso di studio ha riguardato la rete oncologica romagnola così come percepita dagli informatori chiave, dagli operatori (medici, infermieri, amministrativi) e dalle persone con esperienza di tumore. Dall’analisi degli informatori chiave emerge forte che la rete nasce per dare risposte di qualità ai bisogni dei pazienti, mentre per gli operatori quanto sia importante la dimensione delle relazioni umane e avere valori condivisi per raggiungere obiettivi di efficacia e qualità delle cure. Per quanto riguarda invece la percezione delle persone con esperienza di tumore si rileva quanto sia importante l’appropriatezza della traiettoria di cura nonché l’avere continuità in un percorso, già di per sé difficile, oltre all’importanza dell’umanizzazione dei servizi e della corretta comunicazione medico paziente.

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Il lavoro di ricerca prende le mosse da una premessa di ordine economico. Il fenomeno delle reti di impresa, infatti, nasce dalla realtà economica dei mercati. In tale contesto non può prescindere dal delineare un quadro della situazione- anche di crisi- congiunturale che ha visto coinvolte specialmente le imprese italiane. In tale prospettiva, si è reso necessario indagare il fenomeno della globalizzazione, con riferimento alle sue origini,caratteristiche e conseguenze. Ci si sofferma poi sulla ricostruzione dogmatica del fenomeno. Si parte dalla ricostruzione dello stesso in termini di contratto plurilaterale- sia esso con comunione di scopo oppure plurilaterale di scambio- per criticare tale impostazione, non del tutto soddisfacente, in quanto ritenuto remissiva di fronte alla attuale vis espansiva del contratto plurilaterale. Più convincente appare lo schema del collegamento contrattuale, che ha il pregio di preservare l’autonomia e l’indipendenza degli imprenditori aderenti, pur inseriti nel contesto di un’operazione economica unitaria, volta a perseguire uno scopo comune, l’“interesse di rete”, considerato meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico ex art. 1322 2.co. c.c. In effetti il contratto ben si presta a disegnare modelli di rete sia con distribuzione simmetrica del potere decisionale, sia con distribuzione asimmetrica, vale a dire con un elevato livello di gerarchia interna. Non può d’altra parte non ravvisarsi un’affinità con le ipotesi di collegamento contrattuale in fase di produzione, consistente nel delegare ad un terzo parte della produzione, e nella fase distributiva, per cui la distribuzione avviene attraverso reti di contratti. Si affronta la materia della responsabilità della rete, impostando il problema sotto due profili: la responsabilità interna ed esterna. La prima viene risolta sulla base dell’affidamento reciproco maturato da ogni imprenditore. La seconda viene distinta in responsabilità extracontrattuale, ricondotta nella fattispecie all’art. 2050 c.c., e contrattuale.

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In un quadro internazionale di forte interesse verso uno sviluppo sostenibile e sfide energetiche per il futuro, il DIEM, in collaborazione con altri istituti di ricerca ed imprese private, sta progettando l’integrazione di componentistica avanzata su di una caldaia alimentata a biomasse. Lo scopo finale è quello di realizzare una caldaia a biomasse che produca energia in maniera più efficiente e con un impatto ambientale ridotto. L’applicazione è indirizzata inizialmente verso caldaie di piccola-media taglia (fino a 350 kW termici) vista la larga diffusione di questa tipologia di impianto. La componentistica in oggetto è: - filtro sperimentale ad alta efficienza per la rimozione del particolato; - celle a effetto Seebeck per la produzione di energia elettrica direttamente da energia termica senza parti meccaniche in movimento; - pompa Ogden per la produzione di energia meccanica direttamente da energia termica; La finalità dell’attività di ricerca è la progettazione dell’integrazione dei suddetti dispositivi con una caldaia a biomassa da 290 kW termici per la realizzazione di un prototipo di caldaia stand-alone ad impatto ambientale ridotto: in particolare, la caldaia è in grado, una volta raggiunte le condizioni di regime, di autoalimentare le proprie utenze elettriche, garantendo il funzionamento in sicurezza in caso di black-out o consentendo l’installazione della caldaia medesima in zone remote e prive di allaccio alla rete elettrica. Inoltre, la caldaia può fornire, tramite l'utilizzo di una pompa a vapore o pompa Ogden, energia meccanica per il pompaggio di fluidi: tale opportunità si ritiene particolarmente interessante per l'integrazione della caldaia nel caso di installazione in ambito agricolo. Infine, l'abbinamento di un filtro ad alta efficienza e basso costo consente l'abbattimento delle emissioni inquinanti, favorendo una maggiore diffusione della tecnologia senza ulteriori impatti sull'ambiente.