738 resultados para Celulas da medula ossea


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This thesis is a part of a larger study about the characterization of mechanical and histomorphometrical properties of bone. The main objects of this study were the bone tissue properties and its resistance to mechanical loads. Moreover, the knowledge about the equipment selected to carry out the analyses, the micro-computed tomography (micro-CT), was improved. Particular attention was given to the reliability over time of the measuring instrument. In order to understand the main characteristics of bone mechanical properties a study of the skeletal, the bones of which it is composed and biological principles that drive their formation and remodelling, was necessary. This study has led to the definition of two macro-classes describing the main components responsible for the resistance to fracture of bone: quantity and quality of bone. The study of bone quantity is the current clinical standard measure for so-called bone densitometry, and research studies have amply demonstrated that the amount of tissue is correlated with its mechanical properties of elasticity and fracture. However, the models presented in the literature, including information on the mere quantity of tissue, have often been limited in describing the mechanical behaviour. Recent investigations have underlined that also the bone-structure and the tissue-mineralization play an important role in the mechanical characterization of bone tissue. For this reason in this thesis the class defined as bone quality was mainly studied, splitting it into two sub-classes of bone structure and tissue quality. A study on bone structure was designed to identify which structural parameters, among the several presented in the literature, could be integrated with the information about quantity, in order to better describe the mechanical properties of bone. In this way, it was also possible to analyse the iteration between structure and function. It has been known for long that bone tissue is capable of remodeling and changing its internal structure according to loads, but the dynamics of these changes are still being analysed. This part of the study was aimed to identify the parameters that could quantify the structural changes of bone tissue during the development of a given disease: osteoarthritis. A study on tissue quality would have to be divided into different classes, which would require a scale of analysis not suitable for the micro-CT. For this reason the study was focused only on the mineralization of the tissue, highlighting the difference between bone density and tissue density, working in a context where there is still an ongoing scientific debate.

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La presente ricerca si inquadra nell’ambito della risoluzione dei problemi legati alla chirurgia ossea, per la cura e la sostituzione di parti di osso in seguito a fratture, lesioni gravi, malformazioni e patologie quali osteoporosi, tumori, etc… Attualmente la progettazione di impianti per le sostituzioni/rigenerazioni ossee richiede che i materiali sviluppati siano in grado di “mimare” la composizione e la morfologia dei tessuti naturali, in modo da generare le specifiche interazioni chimiche esistenti nei tessuti dell’organismo con cui vengono a contatto e quindi di biointegrarsi e/o rigenerare l’osso mancante nel miglior modo possibile, in termini qualitativi e quantitativi. Per lo sviluppo di sostituti ossei porosi sono state sperimentate 2 tecnologie innovative: il freeze-casting ed il foaming. Gli impianti ceramici realizzati hanno presentano una dimensione dei pori ed un’interconnessione adeguata sia per l’abitazione cellulare che per la penetrazione dei fluidi fisiologici e la vascolarizzazione. In particolare l’elevata unidirezionalità nei campioni ottenuti mediante freeze-casting si presenta molto promettente poiché fornisce cammini guida che migliorano la vascolarizzazione dell’impianto e l’abitazione cellulare in tempi rapidi e nella parte più interna dello scaffold. D’altra parte, la tecnologia del foaming ha permesso l’ottenimento di materiali apatitici ad alta porosità multidimensionale ed interconnessa con proprietà meccaniche implementate rispetto a tipologie precedenti e, lavorabili dopo sinterizzazione mediante prototipazione rapida. Per questo motivo, questi materiali sono attualmente in corso di sperimentazione, con risultati preliminari adeguati promettenti per un’applicazione clinica, come sostituti ossei di condilo mandibolare, sito estremamente critico per gli sforzi meccanici presenti. È stata dimostrata la possibilità di utilizzare lo scaffold ceramico biomimetico con la duplice funzione di sostituto osseo bioattivo e sistema di rilascio in situ di ioni specifici e di antibiotico, in cui la cinetica di rilascio risulta fortemente dipendente dalle caratteristiche chimico-fisico morfologiche del dispositivo (solubilità, area di superficie specifica,…). Per simulare sempre di più la composizione del tessuto osseo e per indurre specifiche proprietà funzionali, è stata utilizzata la gelatina come fase proteica con cui rivestire/impregnare dispositivi porosi 3D a base di apatite, con cui miscelare direttamente la fase inorganica calcio-fosfatica e quindi realizzare materiali bio-ibridi in cui le due fasi contenenti siano intimamente interagenti. Inoltre al fine di ridurre gli innumerevoli problemi legati alle infezioni ossee alcuni dei materiali sviluppati sono stati quindi caricati con antibiotico e sono state valutate le cinetiche di rilascio. In questa maniera, nel sito dell’impianto sono state associate le funzioni di trasporto e di rilascio di farmaco, alla funzione di sostituzione/rigenerazione ossee. La sperimentazione con la gelatina ha messo in luce proprietà posatamente sfruttabili della stessa. Oltre a conferire allo scaffold un implementata mimesi composizionale del tessuto osseo, ha infatti consentito di aumentare le proprietà meccaniche, sia come resistenza a compressione che deformazione. Unitamente a quanto sopra, la gelatina ha consentito di modulare la funzionalità di dispensatore di farmaco; mediante controllo della cinetica di rilascio, tramite processi di reticolazione più o meno spinti.

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Lo scheletro è un tessuto dinamico, capace di adattarsi alle richieste funzionali grazie a fenomeni di rimodellamento ed alla peculiare proprietà rigenerativa. Tali processi avvengono attraverso l’azione coordinata di osteoclasti ed osteoblasti. Queste popolazioni cellulari cooperano allo scopo di mantenere l’ equilibrio indispensabile per garantire l’omeostasi dello scheletro. La perdita di tale equilibrio può portare ad una diminuzione della massa ossea e, ad una maggiore suscettibilità alle fratture, come avviene nel caso dell’osteoporosi. E’ noto che, nella fisiopatologia dell’osso, un ruolo cruciale è svolto da fattori endocrini e paracrini. Dati recenti suggeriscono che il rimodellamento osseo potrebbe essere influenzato dal sistema nervoso. L’ipotesi è supportata dalla presenza, nelle vicinanze dell’osso, di fibre nervose sensoriali responsabili del rilascio di alcuni neuro peptidi, tra i quali ricordiamo la sostanza P. Inoltre in modelli animali è stato dimostrato il diretto coinvolgimento del sistema nervoso nel mantenimento dell’omeostasi ossea, infatti ratti sottoposti a denervazione hanno mostrato una perdita dell’equilibrio esistente tra osteoblasti ed osteoclasti. Per tali ragioni negli ultimi anni si è andata intensificando la ricerca in questo campo cercando di comprendere il ruolo dei neuropeptidi nel processo di differenziamento dei precursori mesenchimali in senso osteogenico. Le cellule stromali mesenchimali adulte sono indifferenziate multipotenti che risiedono in maniera predominante nel midollo osseo, ma che possono anche essere isolate da tessuto adiposo, cordone ombelicale e polpa dentale. In questi distretti le MSC sono in uno stato non proliferativo fino a quando non sono richieste per processi locali di riparo e rigenerazione tessutale. MSC, opportunamente stimolate, possono differenziare in diversi tipi di tessuto connettivo quali, tessuto osseo, cartilagineo ed adiposo. L’attività di ricerca è stata finalizzata all’ottimizzazione di un protocollo di espansione ex vivo ed alla valutazione dell’influenza della sostanza P, neuropeptide presente a livello delle terminazioni sensoriali nelle vicinanze dell’osso, nel processo di commissionamento osteogenico.

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L’obiettivo della tesi è studiare il virus HIV-1 in relazione alle alterazioni sistemiche, riscontrate nel paziente HIV-infetto, in particolare alterazioni a carico del sistema scheletrico, indotte dal virus o dall’azione dei farmaci utilizzati nella terapia antiretrovirale (HAART). L’incidenza dell’osteoporosi nei pazienti HIV-positivi è drammaticamente elevata rispetto alla popolazione sana. Studi clinici hanno evidenziato come alcuni farmaci, ad esempio inibitori della proteasi virale, portino alla compromissione dell’omeostasi ossea, con aumento del rischio fratturativo. Il nostro studio prevede un follow-up di 12 mesi dall’inizio della HAART in una coorte di pazienti naïve, monitorando diversi markers ossei. I risultati ottenuti mostrano un incremento dei markers metabolici del turnover osseo, confermando l’impatto della HAART sull’omeostasi ossea. Successivamente abbiamo focalizzato la nostra attenzione sugli osteoblasti, il citotipo che regola la sintesi di nuova matrice ossea. Gli esperimenti condotti sulla linea HOBIT mettono in evidenza come il trattamento, in particolare con inibitori della proteasi, porti ad apoptosi nel caso in cui vi sia una concentrazione di farmaco maggiore di quella fisiologica. Tuttavia, anche concentrazioni fisiologiche di farmaci possono regolare negativamente alcuni marker ossei, come ALP e osteocalcina. Infine esiste la problematica dell’eradicazione di HIV-1 dai reservoirs virali. La HAART riesce a controllare i livelli viremici, ciononostante diversi studi propongono alcuni citotipi come potenziali reservoir di infezione, vanificando l’effetto della terapia. Abbiamo, perciò, sviluppato un nuovo approccio molecolare all’eradicazione: sfruttare l’enzima virale integrasi per riconoscere in modo selettivo le sequenze LTR virali per colpire il virus integrato. Fondendo integrasi e l’endonucleasi FokI, abbiamo generato diversi cloni. Questi sono stati transfettati stabilmente in cellule Jurkat, suscettibili all’infezione. Una volta infettate, abbiamo ottenuto una significativa riduzione dei markers di infezione. Successivamente la transfezione nella linea linfoblastica 8E5/LAV, che porta integrata nel genoma una copia di HIV, ha dato risultati molto incoraggianti, come la forte riduzione del DNA virale integrato.

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Il Tumore a Cellule Giganti dell’osso (TCG) è una rara neoplasia che rappresenta il 5% dei tumori di natura ossea; sebbene venga considerato un tumore a decorso benigno può manifestare caratteri di aggressività locale dando origine a recidive locali nel 10-25% dei casi, e nel 2-4% dei casi metastatizza a livello polmonare. In questo studio è stata valutata l’espressione dei miRNA mediante miRNA microarray in 10 pazienti affetti da TCG, 5 con metastasi e 5 liberi da malattia; sono stati riscontrati miRNA differenzialmente espressi tra i 2 gruppi di pazienti e la successiva validazione mediante Real Time PCR ha confermato una differenza significativa per il miR-136 (p=0.04). Mediante analisi bioinformatica con il software TargetScan abbiamo identificato RANK e NF1B come target del miR-136 e ne abbiamo studiato l’espressione mediante Real Time PCR su una più ampia casistica di pazienti affetti da TCG, metastatico e non, evidenziando una maggior espressione di NF1B nel gruppo di pazienti metastatici, mentre RANK non ha dimostrato una differenza significativa. L’analisi di Western Blot ha rilevato una maggiore espressione di entrambe le proteine nei pazienti metastatici rispetto ai non metastatici. Successivamente è stato condotto uno studio di immunoistochimica su TMA di 163 campioni di pazienti affetti da TCG a diverso decorso clinico che ha dimostrato una maggiore e significativa espressione di entrambe i target nei pazienti con metastasi rispetto ai non metastatici; le analisi di popolazione mediante Kaplan-Meier hanno confermato la correlazione tra over-espressione di RANK, NF1B e ricaduta con metastasi (p=0.001 e p<0.0005 rispettivamente). Lo studio di immunoistochimica è stato ampliato alle proteine maggiormente coinvolte nell’osteolisi che risultano avere un significato prognostico; tuttavia mediante analisi di ROC, la co-over-espressione di RANK, RANKL e NF1B rappresenta il migliore modello per predire la comparsa di metastasi (AUC=0.782, p<0.0005).

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Questa tesi valuta l’efficacia della tecnica delle griglie in titanio con osso particolato nella ricostruzione dei difetti alveolari tridimensionali ai fini della riabilitazione dentale implanto-protesica. Il primo studio ha considerato la metodica in termini di complicanze post-operatorie e di risultati implanto-protesici. Sono stati considerati 24 pazienti con difetti tridimensionali trattati con l’applicazione di 34 griglie di titanio e osso particolato e riabilitati protesicamente dopo circa 8-9 mesi. 4 su 34 griglie sono state rimosse prima dell’inserimento implantare (11.76% di fallimento totale); 20 su 34 griglie si sono esposte per deiscenza dei tessuti molli (58.82% di complicanze): 4 (11.77%) prima e 16 (47.05%) dopo le prime 4-6 settimane dall’intervento; in nessun caso il piano di trattamento implanto-protesico ha subito variazioni. Dopo un follow-up medio di 20 (3-48) mesi dal carico protesico, nessuno degli 88 impianti ha perso la propria osteo-integrazione (100% di sopravvivenza implantare), con un valore complessivo di successo implantare di 82.9%. Il secondo studio ha calcolato in termini volumetrici la ricostruzione ossea ottenuta con griglie e la sua corre-lazione con l’estensione dell’esposizione e la tempistica del suo verificarsi. Sono stati valutati 12 pazienti con 15 difetti alveolari. Per ciascun sito sono state studiate le immagini TC con un software dedicato per misurare i volumi in tre dimensioni: il volume di osso non formatosi rispetto a quanto pianificato, lacking bone volume (LBV), è stato calcolato sottraendo il volume di osso ricostruito, reconstructed bone volume (RBV) in fase di ri-entro chirurgico dal volume di osso pianificato pre-operativamente, planned bone volume (PBV). LBV è risultato direttamente proporzionale all’area di esposizione della griglia, con un valore del 16.3% di LBV per ogni cm2 di griglia esposta. Si sono evidenziate, inoltre, correlazioni positive tra LBV , la tempistica precoce di esposizione e il valore di PBV.

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Background: sebbene la letteratura recente abbia suggerito che l’utilizzo degli impianti corti possa rappresentare una alternative preferibile alle procedure di rigenerazione ossea nelle aree posteriori atrofiche, perché è un trattamento più semplice e con meno complicazioni, esistono solo pochi studi a medio e lungo termine che abbiano comparato queste tecniche. Scopo: lo scopo di questo studio retrospettivo è quello di valutare se gli impianti corti (6-8 mm) (gruppo impianti corti) possano presentare percentuali di sopravvivenza e valori di riassorbimento osseo marginali simili a impianti di dimensioni standard (≥11 mm) inseriti contemporaneamente ad una grande rialzo di seno mascellare. Materiali e Metodi: in totale, 101 pazienti sono stati inclusi: 48 nel gruppo impianti corti e 53 nel gruppo seno. In ciascun paziente da 1 a 3 impianti sono stati inseriti e tenuti sommersi per 4-6 mesi. I parametri clinici e radiografici valutati sono: i fallimenti implantari, le complicazioni, lo stato dei tessuti molli, e il riassorbimento osseo marginale. Tutti i pazienti sono stati seguiti per almeno 3 anni dal posizionamento implantare. Risultati: il periodo di osservazione medio è stato di 43.47 ± 6.1 mesi per il gruppo impianti corti e 47.03 ± 7.46 mesi per il gruppo seno. Due su 101 impianti corti e 6 su 108 impianti standard sono falliti. Al follow-up finale, si è riscontrato un riassorbimento osseo medio di 0.47 ± 0.48 mm nel gruppo impianti corti versus 0.64 ± 0.58 mm nel gruppo seno. Non sono presenti differenze statisticamente significative fra i gruppi in termini di fallimenti implantari, complicazioni protesiche, tessuti molli, e riassorbimento osseo. Il gruppo seno ha presentato, invece, un maggior numero di complicazioni chirurgiche. Conclusioni: entrambe le tecniche hanno dimostrato un simile tasso di successo clinico e radiografico, ma gli impianti corti hanno ridotto il numero di complicazioni chirurgiche.

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Il rachide è stato suddiviso in tre colonne da Denis: anteriore e centrale comprendono la metà anteriore del corpo vertebrale, la metà posteriore e l’inizio dei peduncoli, mentre la colonna posteriore comprende l’arco e i peduncoli stessi. In caso di resezione o lesione della colonna anteriore e media è indicata la ricostruzione. Diverse tecniche e materiali possono essere usati per ricostruire il corpo vertebrale. Innesti vascolarizzati, autograft, allograft sono stati usati, così come impianti sintetici di titanio o materiale plastico come il PEEK (Poly etere etere ketone). Tutti questi materiali hanno vantaggi e svantaggi in termini di proprietà intrinseche, resistenza meccanica, modulo di elasticità, possibilità di trasmissione malattie, capacità di fondersi con l’osso ospite o meno. Le soluzioni più usate sono le cage in titanio o carbonio, il PMMA ( Poli methil metacrilato), gli innesti ossei massivi. Si è effettuato uno studio di coorte retrospettivo paragonando due gruppi di pazienti oncologici spinali trattati da due chirurghi esperti in un centro di riferimento, con vertebrectomia e ricostruzione della colonna anteriore: un gruppo con cage in carbonio o titanio, l’altro gruppo con allograft massivo armato di innesto autoplastico o mesh in titanio. Si sono confrontati i risultati in termini di cifosi segmenterai evolutiva, fusione ossea e qualità di vita del paziente. Il gruppo delle cage in carbonio / titanio ha avuto risultati leggermente migliori dal punto di vista biomeccanico ma non statisticamente significativo, mentre dal punto di vista della qualità di vita i risultati sono stati migliori nel gruppo allograft. Non ci sono stati fallimenti meccanici della colonna anteriore in entrambi i gruppi, con un Fu tra 12 e 60 mesi. Si sono paragonati anche i costi delle due tecniche. In conclusione l’allogar è una tecnica sicura ed efficace, con proprietà meccaniche solide, soprattutto se armato con autograft o mesi in titanio.

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Questo studio ha valutato l'efficacia di un approccio rigenerativo utilizzando cellule staminali mesenchimali (MSC) e uno scaffold di idrossiapatite pura e porosa (HA) progettata con tecnologia CAD-CAM per sostituire il condilo dell'articolazione temporomandibolare (ATM). Metodi.Uno scaffolds di HA con porosità totale del 70% è stato prototipato per sostituire i due condili temporomandibolari (sinistro e destro) dello stesso animale. MSC sono state ottenute dalla cresta iliaca ed espanse in coltura. Guide chirurgiche su misura sono state create e utilizzate per esportare la pianificazione virtuale delle linee di taglio dell'osso nell'ambiente chirurgico. Sei pecore sono state sacrificate a 4 mesi dopo l'intervento.Gli scaffold sono stati espiantati, campioni istologici sono stati preparati, ed è stata eseguota l'analisi istomorfometrica. Risultati.L'analisi della riduzione di porosità per apposizione di osso neoformato mostrata una differenza statisticamente significativa tra la formazione ossea nei condili carichi di MSC rispetto ai condili senza (

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Ogni giorno nel mondo vengono eseguite migliaia di procedure chirurgiche per sostituire o riparare tessuti che sono stati danneggiati da malattie o traumi. L'ingegneria tissutale rappresenta una strategia alternativa che mira a rigenerare i tessuti danneggiati combinando cellule e biomateriali altamente porosi che fungano da impalcature (scaffolds). In questa tesi compilativa si presenta un approccio recentemente proposto per la rigenerazione del tessuto osseo. Saranno inizialmente descritte caratteristiche e proprietà dell'osso a livello macro e microscopico e il processo riparativo fisiologico. Si illustreranno quindi i principi dell'ingegneria tissutale, evidenziando i biomateriali utilizzabili, le cellule indicate per la rigenerazione e i rapporti funzionali tra di esse e lo scaffold che deve sostenerne la crescita. Successivamente si descriverà il concetto di ‘biomimetica’ dello scaffold e i metodi impiegati per migliorarne la funzionalità, imitando sia l'aspetto meccanico sia quello biologico della reale matrice ossea; verrà trattato infine un caso di scaffold biomimetico realizzato con nanocompositi, che appare un promettente sostitutivo dell'osso.

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Gli occhi dei Cetacei mostrano delle caratteristiche morfofunzionali necessarie per la vita in ambiente acquatico. Sebbene le caratteristiche strutturali dell’occhio dei Cetacei siano state in passato oggetto di studio, i dati relativi alle caratteristiche istologiche e morfometriche della tonaca fibrosa appaiono, allo stato attuale, poco numerosi e non chiaramente noti in tutti i Delfinifi. Per questo motivo è stato condotto il presente studio che, mediante l’uso della microscopia ottica e di opportuni software di analisi immagine, ha studiato le caratteristiche strutturali e morfometriche della cornea e della sclerotica nel Tursiope (Tursiops truncatus) e nella Stenella striata (Stenella coeruleoalba). La presente ricerca è stata condotta su due Delfinidi, il Tursiope (Tursiops truncatus) (2 soggetti) e la Stenella striata (Stenella coeruleoalba) (1 soggetto). La cornea di Tursiope e Stenella striata mostra la struttura base presente negli altri Mammiferi; essa infatti, dall'esterno verso l'interno, appare costituita dai seguenti cinque strati: epitelio corneale, membrana basale, sostanza propria, membrana di Descemet ed endotelio. Nonostante le caratteristiche istologiche osservabili nei singoli strati non si differenzino da quelle presenti nei Mammiferi terrestri, esistono notevoli differenze per quanto riguarda lo spessore. La cornea di Tursiope e di Stenella striata, come accade per altri Cetacei, mostra uno spessore decisamente maggiore rispetto a quella presente dei Mammiferi terrestri. Come in questi ultimi, lo strato che contribuisce maggiormente a fornire spessore alla cornea è rappresentato dalla sostanza propria. Lo spessore della cornea del Tursiope e della Stenella striata, come osservato in generale nei Cetacei, è maggiore alla periferia rispetto al centro. Tale dato è simile a quanto osservato nel Cavallo, ma si differenzia completamente dalla situazione osservabile in altri Mammiferi terrestri, dove lo spessore della cornea è maggiore al centro (Bovino, Maiale e Cane) o si presenta uniforme per tutta la sua estensione (Gatto, Pecora e Coniglio). Nel Tursiope e nella Stenella striata la parte periferica della cornea, essendo più ispessita di quella centrale, mostra un indice di rifrazione maggiore. Questa caratteristica, unita al fatto che la faccia posteriore è più curva di quella anteriore, rende la cornea una lente divergente in grado di compensare il potere rifrattivo del cristallino. In questo modo l’occhio diventa emmetrope in ambiente subacqueo. Nel Tursiope e nella Stenella striata, come del resto in molti Cetacei, la sclerotica è particolarmente ispessita. Lo spessore della sclerotica è particolarmente evidente nella sua parte posteriore. Tale adattamento svolge probabilmente il ruolo di proteggere l’occhio dalle variazioni di pressione legate all'immersione, tenuto conto anche dell'assenza di una vera e propria orbita di natura ossea.

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La Digital Volume Correlation (DVC) è una tecnica di misura a tutto campo, non invasiva, che permette di misurare spostamenti e deformazioni all’interno della struttura ossea in esame. Mediante la comparazione d’immagini con provino scarico e con provino carico, ottenute attraverso sistemi di tomografia computerizzata, si può ottenere la mappa degli spostamenti per ogni direzione e la mappa di deformazione per ogni componente di deformazione. L’obiettivo di questo lavoro di tesi è la validazione della DVC, attraverso la determinazione dell’errore sistematico (accuratezza) e dell’errore casuale (precisione), in modo da poter valutare il livello di affidabilità della strumentazione. La valutazione si effettua su provini di vertebre di maiale, aumentate e non, sia a livello d’organo, sia a livello di tessuto. The Digital Volume Correlation (DVC) is a full field and contact less measurement technique that allowed estimating displacement and strain inside bone specimen. Images of the unloaded and loaded specimen were obtained from micro-CT and compared in order to obtain the displacement map and, differentiating, the strain map. The aim of this work is the validation of the approach, estimating the lack of accuracy (systematic error) and the lack of precision (random error) on different kinds of porcine vertebra, augmented and not, analysing the specimen on tissue level and on organ level.

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Introduction and motivation: A wide variety of organisms have developed in-ternal biomolecular clocks in order to adapt to cyclic changes of the environment. Clock operation involves genetic networks. These genetic networks have to be mod¬eled in order to understand the underlying mechanism of oscillations and to design new synthetic cellular clocks. This doctoral thesis has resulted in two contributions to the fields of genetic clocks and systems and synthetic biology, generally. The first contribution is a new genetic circuit model that exhibits an oscillatory behav¬ior through catalytic RNA molecules. The second and major contribution is a new genetic circuit model demonstrating that a repressor molecule acting on the positive feedback of a self-activating gene produces reliable oscillations. First contribution: A new model of a synthetic genetic oscillator based on a typical two-gene motif with one positive and one negative feedback loop is pre¬sented. The originality is that the repressor is a catalytic RNA molecule rather than a protein or a non-catalytic RNA molecule. This catalytic RNA is a ribozyme that acts post-transcriptionally by binding to and cleaving target mRNA molecules. This genetic clock involves just two genes, a mRNA and an activator protein, apart from the ribozyme. Parameter values that produce a circadian period in both determin¬istic and stochastic simulations have been chosen as an example of clock operation. The effects of the stochastic fluctuations are quantified by a period histogram and autocorrelation function. The conclusion is that catalytic RNA molecules can act as repressor proteins and simplify the design of genetic oscillators. Second and major contribution: It is demonstrated that a self-activating gene in conjunction with a simple negative interaction can easily produce robust matically validated. This model is comprised of two clearly distinct parts. The first is a positive feedback created by a protein that binds to the promoter of its own gene and activates the transcription. The second is a negative interaction in which a repressor molecule prevents this protein from binding to its promoter. A stochastic study shows that the system is robust to noise. A deterministic study identifies that the oscillator dynamics are mainly driven by two types of biomolecules: the protein, and the complex formed by the repressor and this protein. The main conclusion of this study is that a simple and usual negative interaction, such as degradation, se¬questration or inhibition, acting on the positive transcriptional feedback of a single gene is a sufficient condition to produce reliable oscillations. One gene is enough and the positive transcriptional feedback signal does not need to activate a second repressor gene. At the genetic level, this means that an explicit negative feedback loop is not necessary. Unlike many genetic oscillators, this model needs neither cooperative binding reactions nor the formation of protein multimers. Applications and future research directions: Recently, RNA molecules have been found to play many new catalytic roles. The first oscillatory genetic model proposed in this thesis uses ribozymes as repressor molecules. This could provide new synthetic biology design principles and a better understanding of cel¬lular clocks regulated by RNA molecules. The second genetic model proposed here involves only a repression acting on a self-activating gene and produces robust oscil¬lations. Unlike current two-gene oscillators, this model surprisingly does not require a second repressor gene. This result could help to clarify the design principles of cellular clocks and constitute a new efficient tool for engineering synthetic genetic oscillators. Possible follow-on research directions are: validate models in vivo and in vitro, research the potential of second model as a genetic memory, investigate new genetic oscillators regulated by non-coding RNAs and design a biosensor of positive feedbacks in genetic networks based on the operation of the second model Resumen Introduccion y motivacion: Una amplia variedad de organismos han desarro-llado relojes biomoleculares internos con el fin de adaptarse a los cambios ciclicos del entorno. El funcionamiento de estos relojes involucra redes geneticas. El mo delado de estas redes geneticas es esencial tanto para entender los mecanismos que producen las oscilaciones como para diseiiar nuevos circuitos sinteticos en celulas. Esta tesis doctoral ha dado lugar a dos contribuciones dentro de los campos de los circuitos geneticos en particular, y biologia de sistemas y sintetica en general. La primera contribucion es un nuevo modelo de circuito genetico que muestra un comportamiento oscilatorio usando moleculas de ARN cataliticas. La segunda y principal contribucion es un nuevo modelo de circuito genetico que demuestra que una molecula represora actuando sobre el lazo de un gen auto-activado produce oscilaciones robustas. Primera contribucion: Es un nuevo modelo de oscilador genetico sintetico basado en una tipica red genetica compuesta por dos genes con dos lazos de retroa-limentacion, uno positivo y otro negativo. La novedad de este modelo es que el represor es una molecula de ARN catalftica, en lugar de una protefna o una molecula de ARN no-catalitica. Este ARN catalitico es una ribozima que actua despues de la transcription genetica uniendose y cortando moleculas de ARN mensajero (ARNm). Este reloj genetico involucra solo dos genes, un ARNm y una proteina activadora, aparte de la ribozima. Como ejemplo de funcionamiento, se han escogido valores de los parametros que producen oscilaciones con periodo circadiano (24 horas) tanto en simulaciones deterministas como estocasticas. El efecto de las fluctuaciones es-tocasticas ha sido cuantificado mediante un histograma del periodo y la función de auto-correlacion. La conclusion es que las moleculas de ARN con propiedades cataliticas pueden jugar el misnio papel que las protemas represoras, y por lo tanto, simplificar el diseno de los osciladores geneticos. Segunda y principal contribucion: Es un nuevo modelo de oscilador genetico que demuestra que un gen auto-activado junto con una simple interaction negativa puede producir oscilaciones robustas. Este modelo ha sido estudiado y validado matematicamente. El modelo esta compuesto de dos partes bien diferenciadas. La primera parte es un lazo de retroalimentacion positiva creado por una proteina que se une al promotor de su propio gen activando la transcription. La segunda parte es una interaction negativa en la que una molecula represora evita la union de la proteina con el promotor. Un estudio estocastico muestra que el sistema es robusto al ruido. Un estudio determinista muestra que la dinamica del sistema es debida principalmente a dos tipos de biomoleculas: la proteina, y el complejo formado por el represor y esta proteina. La conclusion principal de este estudio es que una simple y usual interaction negativa, tal como una degradation, un secuestro o una inhibition, actuando sobre el lazo de retroalimentacion positiva de un solo gen es una condition suficiente para producir oscilaciones robustas. Un gen es suficiente y el lazo de retroalimentacion positiva no necesita activar a un segundo gen represor, tal y como ocurre en los relojes actuales con dos genes. Esto significa que a nivel genetico un lazo de retroalimentacion negativa no es necesario de forma explicita. Ademas, este modelo no necesita reacciones cooperativas ni la formation de multimeros proteicos, al contrario que en muchos osciladores geneticos. Aplicaciones y futuras lineas de investigacion: En los liltimos anos, se han descubierto muchas moleculas de ARN con capacidad catalitica. El primer modelo de oscilador genetico propuesto en esta tesis usa ribozimas como moleculas repre¬soras. Esto podria proporcionar nuevos principios de diseno en biologia sintetica y una mejor comprension de los relojes celulares regulados por moleculas de ARN. El segundo modelo de oscilador genetico propuesto aqui involucra solo una represion actuando sobre un gen auto-activado y produce oscilaciones robustas. Sorprendente-mente, un segundo gen represor no es necesario al contrario que en los bien conocidos osciladores con dos genes. Este resultado podria ayudar a clarificar los principios de diseno de los relojes celulares naturales y constituir una nueva y eficiente he-rramienta para crear osciladores geneticos sinteticos. Algunas de las futuras lineas de investigation abiertas tras esta tesis son: (1) la validation in vivo e in vitro de ambos modelos, (2) el estudio del potential del segundo modelo como circuito base para la construction de una memoria genetica, (3) el estudio de nuevos osciladores geneticos regulados por ARN no codificante y, por ultimo, (4) el rediseno del se¬gundo modelo de oscilador genetico para su uso como biosensor capaz de detectar genes auto-activados en redes geneticas.

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Una Red de Procesadores Evolutivos o NEP (por sus siglas en ingles), es un modelo computacional inspirado por el modelo evolutivo de las celulas, específicamente por las reglas de multiplicación de las mismas. Esta inspiración hace que el modelo sea una abstracción sintactica de la manipulation de information de las celulas. En particu¬lar, una NEP define una maquina de cómputo teorica capaz de resolver problemas NP completos de manera eficiente en tóerminos de tiempo. En la praóctica, se espera que las NEP simuladas en móaquinas computacionales convencionales puedan resolver prob¬lemas reales complejos (que requieran ser altamente escalables) a cambio de una alta complejidad espacial. En el modelo NEP, las cóelulas estóan representadas por palabras que codifican sus secuencias de ADN. Informalmente, en cualquier momento de cómputo del sistema, su estado evolutivo se describe como un coleccion de palabras, donde cada una de ellas representa una celula. Estos momentos fijos de evolucion se denominan configuraciones. De manera similar al modelo biologico, las palabras (celulas) mutan y se dividen en base a bio-operaciones sencillas, pero solo aquellas palabras aptas (como ocurre de forma parecida en proceso de selection natural) seran conservadas para la siguiente configuracióon. Una NEP como herramienta de computation, define una arquitectura paralela y distribuida de procesamiento simbolico, en otras palabras, una red de procesadores de lenguajes. Desde el momento en que el modelo fue propuesto a la comunidad científica en el año 2001, múltiples variantes se han desarrollado y sus propiedades respecto a la completitud computacional, eficiencia y universalidad han sido ampliamente estudiadas y demostradas. En la actualidad, por tanto, podemos considerar que el modelo teórico NEP se encuentra en el estadio de la madurez. La motivación principal de este Proyecto de Fin de Grado, es proponer una aproxi-mación práctica que permita dar un salto del modelo teórico NEP a una implantación real que permita su ejecucion en plataformas computacionales de alto rendimiento, con el fin de solucionar problemas complejos que demanda la sociedad actual. Hasta el momento, las herramientas desarrolladas para la simulation del modelo NEP, si bien correctas y con resultados satisfactorios, normalmente estón atadas a su entorno de ejecucion, ya sea el uso de hardware específico o implementaciones particulares de un problema. En este contexto, el propósito fundamental de este trabajo es el desarrollo de Nepfix, una herramienta generica y extensible para la ejecucion de cualquier algo¬ritmo de un modelo NEP (o alguna de sus variantes), ya sea de forma local, como una aplicación tradicional, o distribuida utilizando los servicios de la nube. Nepfix es una aplicacion software desarrollada durante 7 meses y que actualmente se encuentra en su segunda iteration, una vez abandonada la fase de prototipo. Nepfix ha sido disenada como una aplicacion modular escrita en Java 8 y autocontenida, es decir, no requiere de un entorno de ejecucion específico (cualquier maquina virtual de Java es un contenedor vólido). Nepfix contiene dos componentes o móodulos. El primer móodulo corresponde a la ejecución de una NEP y es por lo tanto, el simulador. Para su desarrollo, se ha tenido en cuenta el estado actual del modelo, es decir, las definiciones de los procesadores y filtros mas comunes que conforman la familia del modelo NEP. Adicionalmente, este componente ofrece flexibilidad en la ejecucion, pudiendo ampliar las capacidades del simulador sin modificar Nepfix, usando para ello un lenguaje de scripting. Dentro del desarrollo de este componente, tambióen se ha definido un estóandar de representacióon del modelo NEP basado en el formato JSON y se propone una forma de representation y codificación de las palabras, necesaria para la comunicación entre servidores. Adicional-mente, una característica importante de este componente, es que se puede considerar una aplicacion aislada y por tanto, la estrategia de distribution y ejecución son total-mente independientes. El segundo moódulo, corresponde a la distribucióon de Nepfix en la nube. Este de-sarrollo es el resultado de un proceso de i+D, que tiene una componente científica considerable. Vale la pena resaltar el desarrollo de este modulo no solo por los resul-tados prócticos esperados, sino por el proceso de investigation que se se debe abordar con esta nueva perspectiva para la ejecución de sistemas de computación natural. La principal característica de las aplicaciones que se ejecutan en la nube es que son gestionadas por la plataforma y normalmente se encapsulan en un contenedor. En el caso de Nepfix, este contenedor es una aplicacion Spring que utiliza el protocolo HTTP o AMQP para comunicarse con el resto de instancias. Como valor añadido, Nepfix aborda dos perspectivas de implementation distintas (que han sido desarrolladas en dos iteraciones diferentes) del modelo de distribution y ejecucion, que tienen un impacto muy significativo en las capacidades y restricciones del simulador. En concreto, la primera iteration utiliza un modelo de ejecucion asincrono. En esta perspectiva asincrona, los componentes de la red NEP (procesadores y filtros) son considerados como elementos reactivos a la necesidad de procesar una palabra. Esta implementation es una optimization de una topologia comun en el modelo NEP que permite utilizar herramientas de la nube para lograr un escalado transparente (en lo ref¬erente al balance de carga entre procesadores) pero produce efectos no deseados como indeterminacion en el orden de los resultados o imposibilidad de distribuir eficiente-mente redes fuertemente interconectadas. Por otro lado, la segunda iteration corresponde al modelo de ejecucion sincrono. Los elementos de una red NEP siguen un ciclo inicio-computo-sincronizacion hasta que el problema se ha resuelto. Esta perspectiva sincrona representa fielmente al modelo teórico NEP pero el proceso de sincronizacion es costoso y requiere de infraestructura adicional. En concreto, se requiere un servidor de colas de mensajes RabbitMQ. Sin embargo, en esta perspectiva los beneficios para problemas suficientemente grandes superan a los inconvenientes, ya que la distribuciín es inmediata (no hay restricciones), aunque el proceso de escalado no es trivial. En definitiva, el concepto de Nepfix como marco computacional se puede considerar satisfactorio: la tecnología es viable y los primeros resultados confirman que las carac-terísticas que se buscaban originalmente se han conseguido. Muchos frentes quedan abiertos para futuras investigaciones. En este documento se proponen algunas aproxi-maciones a la solucion de los problemas identificados como la recuperacion de errores y la division dinamica de una NEP en diferentes subdominios. Por otra parte, otros prob-lemas, lejos del alcance de este proyecto, quedan abiertos a un futuro desarrollo como por ejemplo, la estandarización de la representación de las palabras y optimizaciones en la ejecucion del modelo síncrono. Finalmente, algunos resultados preliminares de este Proyecto de Fin de Grado han sido presentados recientemente en formato de artículo científico en la "International Work-Conference on Artificial Neural Networks (IWANN)-2015" y publicados en "Ad-vances in Computational Intelligence" volumen 9094 de "Lecture Notes in Computer Science" de Springer International Publishing. Lo anterior, es una confirmation de que este trabajo mas que un Proyecto de Fin de Grado, es solo el inicio de un trabajo que puede tener mayor repercusion en la comunidad científica. Abstract Network of Evolutionary Processors -NEP is a computational model inspired by the evolution of cell populations, which might model some properties of evolving cell communities at the syntactical level. NEP defines theoretical computing devices able to solve NP complete problems in an efficient manner. In this model, cells are represented by words which encode their DNA sequences. Informally, at any moment of time, the evolutionary system is described by a collection of words, where each word represents one cell. Cells belong to species and their community evolves according to mutations and division which are defined by operations on words. Only those cells are accepted as surviving (correct) ones which are represented by a word in a given set of words, called the genotype space of the species. This feature is analogous with the natural process of evolution. Formally, NEP is based on an architecture for parallel and distributed processing, in other words, a network of language processors. Since the date when NEP was pro¬posed, several extensions and variants have appeared engendering a new set of models named Networks of Bio-inspired Processors (NBP). During this time, several works have proved the computational power of NBP. Specifically, their efficiency, universality, and computational completeness have been thoroughly investigated. Therefore, we can say that the NEP model has reached its maturity. The main motivation for this End of Grade project (EOG project in short) is to propose a practical approximation that allows to close the gap between theoretical NEP model and a practical implementation in high performing computational platforms in order to solve some of high the high complexity problems society requires today. Up until now tools developed to simulate NEPs, while correct and successful, are usu¬ally tightly coupled to the execution environment, using specific software frameworks (Hadoop) or direct hardware usage (GPUs). Within this context the main purpose of this work is the development of Nepfix, a generic and extensible tool that aims to execute algorithms based on NEP model and compatible variants in a local way, similar to a traditional application or in a distributed cloud environment. Nepfix as an application was developed during a 7 month cycle and is undergoing its second iteration once the prototype period was abandoned. Nepfix is designed as a modular self-contained application written in Java 8, that is, no additional external dependencies are required and it does not rely on an specific execution environment, any JVM is a valid container. Nepfix is made of two components or modules. The first module corresponds to the NEP execution and therefore simulation. During the development the current state of the theoretical model was used as a reference including most common filters and processors. Additionally extensibility is provided by the use of Python as a scripting language to run custom logic. Along with the simulation a definition language for NEP has been defined based on JSON as well as a mechanisms to represent words and their possible manipulations. NEP simulator is isolated from distribution and as mentioned before different applications that include it as a dependency are possible, the distribution of NEPs is an example of this. The second module corresponds to executing Nepfix in the cloud. The development carried a heavy R&D process since this front was not explored by other research groups until now. It's important to point out that the development of this module is not focused on results at this point in time, instead we focus on feasibility and discovery of this new perspective to execute natural computing systems and NEPs specifically. The main properties of cloud applications is that they are managed by the platform and are encapsulated in a container. For Nepfix a Spring application becomes the container and the HTTP or AMQP protocols are used for communication with the rest of the instances. Different execution perspectives were studied, namely asynchronous and synchronous models were developed for solving different kind of problems using NEPs. Different limitations and restrictions manifest in both models and are explored in detail in the respective chapters. In conclusion we can consider that Nepfix as a computational framework is suc-cessful: Cloud technology is ready for the challenge and the first results reassure that the properties Nepfix project pursued were met. Many investigation branches are left open for future investigations. In this EOG implementation guidelines are proposed for some of them like error recovery or dynamic NEP splitting. On the other hand other interesting problems that were not in the scope of this project were identified during development like word representation standardization or NEP model optimizations. As a confirmation that the results of this work can be useful to the scientific com-munity a preliminary version of this project was published in The International Work- Conference on Artificial Neural Networks (IWANN) in May 2015. Development has not stopped since that point and while Nepfix in it's current state can not be consid¬ered a final product the most relevant ideas, possible problems and solutions that were produced during the seven months development cycle are worthy to be gathered and presented giving a meaning to this EOG work.

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La ricerca di nuove strategie per la rigenerazione ossea rappresenta un focus di interesse centrale per migliorare la gestione di casi clinici complessi nell’ambito della chirurgia orale e maxillo-facciale. Uno degli approcci più utilizzati in tale contesto si basa sull’utilizzo di molecole con proprietà osteoinduttive e molte sostanze sono state fino ad oggi sperimentate. E’ noto in letteratura che gli androgeni svolgono un ruolo chiave nella regolazione della morfogenesi ossea e nel mantenimento della sua omeostasi durante il corso della vita. Questo lavoro di tesi nasce dall’ipotesi che la somministrazione locale di tali ormoni, eventualmente combinata a materiali da innesto, possa favorire la guarigione di difetti ossei. Stando a questa premessa, sono stati valutati gli effetti dello steroide sintetico Stanozololo sulla rigenerazione ossea in diversi settings sperimentali. La tesi è strutturata secondo un percorso che segue le fasi della ricerca, attraverso sperimentazioni in vitro e in vivo; ogni capitolo può essere approcciato come uno studio a sé stante, corrispondente ad una determinata tappa dell’iter sperimentale. Sulla base di questi intenti, viene fornito inizialmente un quadro d’insieme circa gli effetti degli androgeni sull’osso. A seguire, è presentata una sperimentazione in vitro nella linea cellulare SaOS-2. Infine, è proposta un’innovativa metodologia di analisi per lo studio della rigenerazione ossea nel modello di ratto, ove viene testata la somministrazione locale di Stanozololo combinato a materiale da innesto.