880 resultados para Social exclusion. Public policy. Urban policy. Urban enterprising. City marketing


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Fundação de Amparo à Pesquisa do Estado de São Paulo (FAPESP)

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Objective This study analyzed the internal functioning, organization and political participation of the local food and nutrition security council and possible implications of their participation on the creation of a municipal food and nutrition security policy in the city of Sao Paulo. Methods This qualitative study was done in three stages: document analysis; observation of meetings and semi-structured interviews with board members considered key informants. The axis of analysis was the political participation of the council, considering its internal aspects, like board members, operating dynamics of political participation of its members and the relationship between these topics and the council's actions for the definition and creation of a food and nutrition security policy. Results The intellectual profile of the board members does not represent the majority of the population, thereby facilitating the omission of actual issues in council discussions. Its strict internal dynamics and the asymmetry of its members generally prevent the active participation of board members and, specifically, discussions about a food and nutrition security policy. The so-called "militant members" have a differentiated, more aggressive participation, with greater mastery of the subject and its topics. Conclusion The board member profiles, internal organization of the council, complexity of the subject and its low insertion in the society distance the council from social needs and lead them to act incipiently with regard to the municipal policies of food and nutrition security.

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La ricerca si propone di definire le linee guida per la stesura di un Piano che si occupi di qualità della vita e di benessere. Il richiamo alla qualità e al benessere è positivamente innovativo, in quanto impone agli organi decisionali di sintonizzarsi con la soggettività attiva dei cittadini e, contemporaneamente, rende evidente la necessità di un approccio più ampio e trasversale al tema della città e di una più stretta relazione dei tecnici/esperti con i responsabili degli organismi politicoamministrativi. La ricerca vuole indagare i limiti dell’urbanistica moderna di fronte alla complessità di bisogni e di nuove necessità espresse dalle popolazioni urbane contemporanee. La domanda dei servizi è notevolmente cambiata rispetto a quella degli anni Sessanta, oltre che sul piano quantitativo anche e soprattutto sul piano qualitativo, a causa degli intervenuti cambiamenti sociali che hanno trasformato la città moderna non solo dal punto di vista strutturale ma anche dal punto di vista culturale: l’intermittenza della cittadinanza, per cui le città sono sempre più vissute e godute da cittadini del mondo (turisti e/o visitatori, temporaneamente presenti) e da cittadini diffusi (suburbani, provinciali, metropolitani); la radicale trasformazione della struttura familiare, per cui la famiglia-tipo costituita da una coppia con figli, solido riferimento per l’economia e la politica, è oggi minoritaria; l’irregolarità e flessibilità dei calendari, delle agende e dei ritmi di vita della popolazione attiva; la mobilità sociale, per cui gli individui hanno traiettorie di vita e pratiche quotidiane meno determinate dalle loro origini sociali di quanto avveniva nel passato; l’elevazione del livello di istruzione e quindi l’incremento della domanda di cultura; la crescita della popolazione anziana e la forte individualizzazione sociale hanno generato una domanda di città espressa dalla gente estremamente variegata ed eterogenea, frammentata e volatile, e per alcuni aspetti assolutamente nuova. Accanto a vecchie e consolidate richieste – la città efficiente, funzionale, produttiva, accessibile a tutti – sorgono nuove domande, ideali e bisogni che hanno come oggetto la bellezza, la varietà, la fruibilità, la sicurezza, la capacità di stupire e divertire, la sostenibilità, la ricerca di nuove identità, domande che esprimono il desiderio di vivere e di godere la città, di stare bene in città, domande che non possono essere più soddisfatte attraverso un’idea di welfare semplicemente basata sull’istruzione, la sanità, il sistema pensionistico e l’assistenza sociale. La città moderna ovvero l’idea moderna della città, organizzata solo sui concetti di ordine, regolarità, pulizia, uguaglianza e buon governo, è stata consegnata alla storia passata trasformandosi ora in qualcosa di assai diverso che facciamo fatica a rappresentare, a descrivere, a raccontare. La città contemporanea può essere rappresentata in molteplici modi, sia dal punto di vista urbanistico che dal punto di vista sociale: nella letteratura recente è evidente la difficoltà di definire e di racchiudere entro limiti certi l’oggetto “città” e la mancanza di un convincimento forte nell’interpretazione delle trasformazioni politiche, economiche e sociali che hanno investito la società e il mondo nel secolo scorso. La città contemporanea, al di là degli ambiti amministrativi, delle espansioni territoriali e degli assetti urbanistici, delle infrastrutture, della tecnologia, del funzionalismo e dei mercati globali, è anche luogo delle relazioni umane, rappresentazione dei rapporti tra gli individui e dello spazio urbano in cui queste relazioni si muovono. La città è sia concentrazione fisica di persone e di edifici, ma anche varietà di usi e di gruppi, densità di rapporti sociali; è il luogo in cui avvengono i processi di coesione o di esclusione sociale, luogo delle norme culturali che regolano i comportamenti, dell’identità che si esprime materialmente e simbolicamente nello spazio pubblico della vita cittadina. Per studiare la città contemporanea è necessario utilizzare un approccio nuovo, fatto di contaminazioni e saperi trasversali forniti da altre discipline, come la sociologia e le scienze umane, che pure contribuiscono a costruire l’immagine comunemente percepita della città e del territorio, del paesaggio e dell’ambiente. La rappresentazione del sociale urbano varia in base all’idea di cosa è, in un dato momento storico e in un dato contesto, una situazione di benessere delle persone. L’urbanistica moderna mirava al massimo benessere del singolo e della collettività e a modellarsi sulle “effettive necessità delle persone”: nei vecchi manuali di urbanistica compare come appendice al piano regolatore il “Piano dei servizi”, che comprende i servizi distribuiti sul territorio circostante, una sorta di “piano regolatore sociale”, per evitare quartieri separati per fasce di popolazione o per classi. Nella città contemporanea la globalizzazione, le nuove forme di marginalizzazione e di esclusione, l’avvento della cosiddetta “new economy”, la ridefinizione della base produttiva e del mercato del lavoro urbani sono espressione di una complessità sociale che può essere definita sulla base delle transazioni e gli scambi simbolici piuttosto che sui processi di industrializzazione e di modernizzazione verso cui era orientata la città storica, definita moderna. Tutto ciò costituisce quel complesso di questioni che attualmente viene definito “nuovo welfare”, in contrapposizione a quello essenzialmente basato sull’istruzione, sulla sanità, sul sistema pensionistico e sull’assistenza sociale. La ricerca ha quindi analizzato gli strumenti tradizionali della pianificazione e programmazione territoriale, nella loro dimensione operativa e istituzionale: la destinazione principale di tali strumenti consiste nella classificazione e nella sistemazione dei servizi e dei contenitori urbanistici. E’ chiaro, tuttavia, che per poter rispondere alla molteplice complessità di domande, bisogni e desideri espressi dalla società contemporanea le dotazioni effettive per “fare città” devono necessariamente superare i concetti di “standard” e di “zonizzazione”, che risultano essere troppo rigidi e quindi incapaci di adattarsi all’evoluzione di una domanda crescente di qualità e di servizi e allo stesso tempo inadeguati nella gestione del rapporto tra lo spazio domestico e lo spazio collettivo. In questo senso è rilevante il rapporto tra le tipologie abitative e la morfologia urbana e quindi anche l’ambiente intorno alla casa, che stabilisce il rapporto “dalla casa alla città”, perché è in questa dualità che si definisce il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici e si contestualizzano i temi della strada, dei negozi, dei luoghi di incontro, degli accessi. Dopo la convergenza dalla scala urbana alla scala edilizia si passa quindi dalla scala edilizia a quella urbana, dal momento che il criterio del benessere attraversa le diverse scale dello spazio abitabile. Non solo, nei sistemi territoriali in cui si è raggiunto un benessere diffuso ed un alto livello di sviluppo economico è emersa la consapevolezza che il concetto stesso di benessere sia non più legato esclusivamente alla capacità di reddito collettiva e/o individuale: oggi la qualità della vita si misura in termini di qualità ambientale e sociale. Ecco dunque la necessità di uno strumento di conoscenza della città contemporanea, da allegare al Piano, in cui vengano definiti i criteri da osservare nella progettazione dello spazio urbano al fine di determinare la qualità e il benessere dell’ambiente costruito, inteso come benessere generalizzato, nel suo significato di “qualità dello star bene”. E’ evidente che per raggiungere tale livello di qualità e benessere è necessario provvedere al soddisfacimento da una parte degli aspetti macroscopici del funzionamento sociale e del tenore di vita attraverso gli indicatori di reddito, occupazione, povertà, criminalità, abitazione, istruzione, etc.; dall’altra dei bisogni primari, elementari e di base, e di quelli secondari, culturali e quindi mutevoli, trapassando dal welfare state allo star bene o well being personale, alla wellness in senso olistico, tutte espressioni di un desiderio di bellezza mentale e fisica e di un nuovo rapporto del corpo con l’ambiente, quindi manifestazione concreta di un’esigenza di ben-essere individuale e collettivo. Ed è questa esigenza, nuova e difficile, che crea la diffusa sensazione dell’inizio di una nuova stagione urbana, molto più di quanto facciano pensare le stesse modifiche fisiche della città.

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Se le trasformazioni sociali in atto tendono a esasperare il senso di incertezza, sradicamento ed individualismo, sussistono pratiche che si contrappongono alle tendenze dominanti, finalizzate a ricucire i legami sociali su scala locale. La progettazione urbano-architettonica interiorizza il nuovo bisogno di comunità originando soluzioni abitative tese a favorire gli scambi informali fra vicini, facendo leva sul concetto di capitale sociale, attaccamento al quartiere, identità del luogo e partecipazione. La casa, simbolo di stabilità e sicurezza ma anche di privacy, privatismo familiare, diventa sempre più oggetto di studi, domanda sociale e intervento politico. Soprattutto è sempre più intesa come un nodo di relazioni familiari in una rete di relazioni sociali più ampie. Casa e quartiere incidono nella esperienza di benessere e socialità familiare? In che modo gli spazi urbani e architettonici influenzano la coesione sociale? Quale il ruolo degli abitanti nello sviluppare socialità e integrazione? Sono queste le domande che ci siamo posti per rilevare le dinamiche sociali e culturali dell’abitare attraverso uno studio di caso condotto in due quartieri simili. Dalla ricerca emerge come il significato della casa non sia univoco ma cambi rispetto al ciclo di vita familiare e a quello economico e ciò incide nella partecipazione alle attività di quartiere. Mostriamo inoltre come lo spazio fisico costruito crea importanti opportunità per gli scambi informali e per il benessere familiare e individuale dei bambini ma che, il contesto sociale sia una discriminate fondamentale. Nel quartiere dove è presente una organizzazione di abitanti il numero delle relazioni di vicinato aumenta, cambiano anche la qualità delle relazioni e le distanze fisiche fra i vicini. Emerge inoltre che la reciprocità è il principale strumento di costruzione della coesione comunitaria interna e crea un atteggiamento di apertura e fiducia che va al di là dei confini di quartiere.

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The article focuses on the effects of Eastern enlargement on EU trade policy-making. On interest constellation, the article makes a case that protectionist forces have been strengthened relative to liberal forces. This slight protectionist turn is mostly witnessed in the area of anti-dumping and with respect to the Doha trade round. On preference aggregation, guided by a principal–agent framework, it is argued that the growth in the number of actors (principals and interest groups) has not constrained the role of the European Commission (agent). However, it has led to an increase in informal processes and has empowered large trading nations vis-a`-vis smaller and less ‘comitology-experienced’ member states.

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This project considered the second stage of transforming local administration and public service management to reflect democratic forms of government. In Hungary in the second half of the 1990s more and more public functions delegated to local governments have been handed over to the private or civil sectors. This has led to a relative decrease of municipal functions but not of local governments' responsibilities, requiring them to change their orientation and approach to their work so as to be effective in their new roles of managing these processes rather than traditional bureaucratic administration. Horvath analysed the Anglo-Saxon, French and German models of self-government, identifying the differing aspects emphasised in increasing the private sector's role in the provision of public services, and the influence that this process has on the system of public administration. He then highlighted linkages between actors and local governments in Hungary, concluding that the next necessary step is to develop institutional mechanisms, financial incentives and managerial practices to utilise the full potential of this process. Equally important is the need for conscious avoidance of restrictive barriers and unintended consequences, and for local governments to confront the social conflicts that have emerged in parallel with privatisation. A further aspect considered was a widening of the role of functional governance at local level in the field of human services. A number of different special purpose bodies have been set up in Hungary, but the results of their work are unclear and Horvath feels that this institutionalisation of symbiosis is not the right path in Hungary today. He believes that the change from local government to local governance will require the formulation of specific public policy, the relevance of which can be proven by processes supported with actions.

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In the public debate the internet is regarded as a central resource for knowledge and information. Associated with this is the idea that everyone is able and even expected to serve himself or herself according to his or her own needs via this medium. Since more and more services are also delivered online the internet seems to allow its users to enjoy specific advantages in dealing with their everyday life. However, using the internet is based on a range of preconditions. New results of empirical and theoretical research indicate the rise of a social divide in this context. Within the internet, different ways of use can be identified alongside social inequalities. Boundaries of the "real life" are mirrored in the virtual space e.g. in terms of forms of communification and spaces for appropriation. These are not only shaped by invidual preferences but particularly by social structures and processes. In the context of the broader debate on education it is stated that formal educational structures are to be completed by arrangements which are structured in informal respectively nonformal ways. Particularly the internet is suggested to play an important role in this respect. However, the phenomenon of digital inequality points to limitations consolidated by effects of economic, social, and cultural ressources: Economical resources affect opportunities of access, priorities of everyday life shape respective intentions of internet use, social relationships have an impact on the support structures available and ways of appropriation reproduce a specific understanding of informal education ("informelle Bildung"). This produces an early stratification of opportunities especially for the subsequent generation and may lead to extensive inequalities regarding the distribution of advantages in terms of education. Thus the capacity of the virtual space in terms of participatory opportunities and democratic potentials raises concerns of major relevance with respect to social and educational policy. From the perspective of different disciplines involved in these issues it is essential to clarify this question in an empirical as well as in a theoretical way and to make it utilizable for a future-orientied practice. This article discusses central questions regarding young people's internet use and its implications for informal education and social service delivery on the basis of empirical findings. It introduces a methodological approach for this particular perspective and illustrates that the phenomena of digital divide and digital inequality are as much created by social processes as by technical issues.

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Practice is subject to increasing pressure to demonstrate its ability to achieve outcomes required by public policy makers. As part of this process social work practice has to engage with issues around advancing knowledge-based learning processes in a close collaboration with education and research based perspectives. This has given rise to approaches seeking to combine research methodology, field research and practical experience. Practice research is connected to both “the science of the concrete” – a field of research oriented towards subjects more than objects and “mode 2 knowledge production” – an application-oriented research where frameworks and findings are discussed by a number of partners. Practice research is defined into two approaches: practice research – collaboration between practice and research – and practitioner research – processes controlled and accomplished by practitioners. The basic stakeholders in practice research are social workers, service users, administrators, management, organisations, politicians and researchers. Accordingly, practice research is necessarily collaborative, involving a meeting point for different views, interests and needs, where complexity and dilemmas are inherent. Instead of attempting to balance or reconcile these differences, it is important to respect the differences if collaboration is to be established. The strength of both practice and research in practice research is to address these difficult challenges. The danger for both fields is to avoid and reject them.

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This article uses a policy network perspective to assess the independence of regulatory agencies (RAs) in liberalized public utility sectors. We focus on the de facto independence of RAs from elected politicians, regulatees and other co-regulators. We go further than previous studies, which only undertook a general analysis of the de jure independence of RAs from political authorities. Specifically, we apply a social network analysis (SNA), which concentrates on the attributes and relational profiles of all actors involved in new regulatory arrangements. The concept of de facto independence is applied to the Swiss telecommunications sector in order to provide initial empirical insights. Results clearly show that SNA indicators are an appropriate tool to identify the de facto independence of RAs and can improve knowledge about the issues arising from the emergence of the ‘regulatory State’.