965 resultados para Pathologies neurodégénératives
Resumo:
La chirurgia con ultrasuoni focalizzati guidati da MRI (MR-g-FUS) è un trattamento di minima invasività, guidato dal più sofisticato strumento di imaging a disposizione, che utilizza a scopo diagnostico e terapeutico forme di energia non ionizzante. Le sue caratteristiche portano a pensare un suo possibile e promettente utilizzo in numerose aree della patologia umana, in particolare scheletrica. L'osteoma osteoide affligge frequentemente pazienti di giovane età, è una patologia benigna, con origine ed evoluzione non chiare, e trova nella termoablazione con radiofrequenza continua sotto guida CT (CT-g-RFA) il suo trattamento di elezione. Questo lavoro ha valutato l’efficacia, gli effetti e la sicurezza del trattamento dell’osteoma osteoide con MR-g-FUS. Sono stati presi in considerazione pazienti arruolati per MR-g-FUS e, come gruppo di controllo, pazienti sottoposti a CT-g-RFA, che hanno raggiunto un follow-up minimo di 18 mesi (rispettivamente 6 e 24 pazienti). Due pazienti erano stati esclusi dal trattamento MR-g-FUS per claustrofobia (2/8). Tutti i trattamenti sono stati portati a termine con successo tecnico e clinico. Non sono state registrate complicanze o eventi avversi correlati all’anestesia o alle procedure di trattamento, e tutti i pazienti sono stati dimessi regolarmente dopo 12-24 ore. La durata media dei trattamenti di MR-g-FUS è stata di 40±21 min. Da valori di score VAS pre-trattamento oscillanti tra 6 e 10 (su scala 0-10), i trattamenti hanno condotto tutti i pazienti a VAS 0 (senza integrazioni farmacologiche). Nessun paziente ha manifestato segni di persistenza di malattia o di recidiva al follow-up. Nonostante la neurolisi e la risoluzione dei sintomi, la perfusione del nidus è stata ritrovata ancora presente in oltre il 70% dei casi sottoposti a MR-g-FUS (4/6 pazienti). I risultati derivati da un'analisi estesa a pazienti più recentemente arruolati confermano questi dati. Il trattamento con MR-g-FUS sembra essere efficace e sicuro nel risolvere la sintomatologia dell'osteoma osteoide.
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The aim of this thesis was to investigate the regenerative potential of alternative sources of stem cells, derived from human dental pulp (hDPSCs) and amniotic fluid (hAFSCs) and, specifically, to evaluate their capability to be committed towards osteogenic and myogenic lineages, for the eventual applicability of these stem cells to translational strategies in regenerative medicine of bone and skeletal muscle tissues. The in vitro bone production by stem cells may represent a radical breakthrough in the treatment of pathologies and traumas characterized by critical bone mass defects, with no medical or surgical solution. Human DPSCs and AFSCs were seeded and pre-differentiated on different scaffolds to test their capability to subsequently reach the osteogenic differentiation in vivo, in order to recover critical size bone defects. Fibroin scaffold resulted to be the best scaffold promoting mature bone formation and defect correction when combined to both hDPSCs and hAFSCs. This study also described a culture condition that might allow human DPSCs to be used for human cell therapy in compliance with good manufacturing practices (GMPs): the use of human serum (HS) promoted the expansion and the osteogenic differentiation of hDPSCs in vitro and, furthermore, allowed pre-differentiated hDPSCs to regenerate critical size bone defects in vivo. This thesis also showed that hDPSCs and hAFSCs can be differentiated towards the myogenic lineage in vitro, either when co-cultured with murine myoblasts and when differentiated alone after DNA demethylation treatment. Interestingly, when injected into dystrophic muscles of SCID/mdx mice - animal model of Duchenne Muscular Dystrophy (DMD) - hDPSCs and hAFSCs pre-differentiated after demethylating treatment were able to regenerate the skeletal muscle tissue and, particularly, to restore dystrophin expression. These observations suggest that human DPSCs and AFSCs might be eventually applied to translational strategies, in order to enhance the repair of injured skeletal muscles in DMD patients.
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L'infezione da HIV-1 resta ancora oggi una delle principali problematiche nell'ambito della sanità mondiale, con circa 35 milioni di individui infetti in tutto il mondo. L'introduzione della terapia antiretrovirale combinata (cART) ha drasticamente modificato l’evoluzione di questa infezione, che da patologia a sviluppo terminale dopo alcuni anni dalla trasmissione, è diventata una patologia cronica con una lunga aspettativa di vita per i pazienti. Tuttavia, la cART non è in grado di eradicare l’infezione e nei pazienti HIV-infetti trattati è possibile notare un aumento della comparsa di comorbidità, tra le quali le più frequentemente riscontrate sono lesioni al sistema nervoso centrale, ai reni, al tessuto osseo, al fegato e al sistema cardiovascolare. I danni al sistema cardiocircolatorio derivano da una serie di concause virologiche, comportamentali, ambientali e farmacologiche che alterano la parete vascolare, il metabolismo dei lipidi e la regolazione della coagulazione, inducendo la formazione di lesioni strutturali di tipo aterosclerotico che sono alla base dell’aumentata incidenza di infarti, ictus e alterazioni del circolo osservabili nei pazienti HIV-positivi. Dalla recente letteratura è emerso come l’omeostasi del tessuto endoteliale sia regolata anche a livello delle cellule staminali mesenchimali (MSC) presenti nella parete vascolare. Per questo abbiamo voluto analizzare possibili effetti dell’infezione di HIV, delle sue proteine e di alcune molecole antiretrovirali sulla vitalità e sul differenziamento delle MSC purificate dalla parete arteriosa umana. I risultati ottenuti indicano come l’infezione da HIV e l’azione delle proteine gp120 e Tat attivino il meccanismo di apoptosi nelle MSC e una profonda alterazione nel differenziamento verso la filiera adipocitaria e verso quella endoteliale. Inoltre, alcune molecole ad azione antiretrovirale (in particolare specifici inibitori della proteasi virale) sono in grado bloccare il differenziamento delle MSC verso le cellule endoteliali. Dall’insieme di queste osservazioni emergono nuovi meccanismi patogenetici correlati al danno cardiovascolare riscontrato nei pazienti HIV-positivi.
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Recent advances in the fast growing area of therapeutic/diagnostic proteins and antibodies - novel and highly specific drugs - as well as the progress in the field of functional proteomics regarding the correlation between the aggregation of damaged proteins and (immuno) senescence or aging-related pathologies, underline the need for adequate analytical methods for the detection, separation, characterization and quantification of protein aggregates, regardless of the their origin or formation mechanism. Hollow fiber flow field-flow fractionation (HF5), the miniaturized version of FlowFFF and integral part of the Eclipse DUALTEC FFF separation system, was the focus of this research; this flow-based separation technique proved to be uniquely suited for the hydrodynamic size-based separation of proteins and protein aggregates in a very broad size and molecular weight (MW) range, often present at trace levels. HF5 has shown to be (a) highly selective in terms of protein diffusion coefficients, (b) versatile in terms of bio-compatible carrier solution choice, (c) able to preserve the biophysical properties/molecular conformation of the proteins/protein aggregates and (d) able to discriminate between different types of protein aggregates. Thanks to the miniaturization advantages and the online coupling with highly sensitive detection techniques (UV/Vis, intrinsic fluorescence and multi-angle light scattering), HF5 had very low detection/quantification limits for protein aggregates. Compared to size-exclusion chromatography (SEC), HF5 demonstrated superior selectivity and potential as orthogonal analytical method in the extended characterization assays, often required by therapeutic protein formulations. In addition, the developed HF5 methods have proven to be rapid, highly selective, sensitive and repeatable. HF5 was ideally suitable as first dimension of separation of aging-related protein aggregates from whole cell lysates (proteome pre-fractionation method) and, by HF5-(UV)-MALS online coupling, important biophysical information on the fractionated proteins and protein aggregates was gathered: size (rms radius and hydrodynamic radius), absolute MW and conformation.
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OBIETTIVI: Per esplorare il contributo dei fattori di rischio biomeccanico, ripetitività (hand activity level – HAL) e forza manuale (peak force - PF), nell’insorgenza della sindrome del tunnel carpale (STC), abbiamo studiato un’ampia coorte di lavoratori dell’industria, utilizzando come riferimento il valore limite di soglia (TLV©) dell’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH). METODI: La coorte è stata osservata dal 2000 al 2011. Abbiamo classificato l’esposizione professionale rispetto al limite di azione (AL) e al TLV dell’ACGIH in: “accettabile” (sotto AL), “intermedia” (tra AL e TLV) e “inaccettabile” (sopra TLV). Abbiamo considerato due definizioni di caso: 1) sintomi di STC; 2) sintomi e positività allo studio di conduzione nervosa (SCN). Abbiamo applicato modelli di regressione di Poisson aggiustati per sesso, età, indice di massa corporea e presenza di patologie predisponenti la malattia. RISULTATI: Nell’intera coorte (1710 lavoratori) abbiamo trovato un tasso di incidenza (IR) di sintomi di STC di 4.1 per 100 anni-persona; un IR di STC confermata dallo SCN di 1.3 per 100 anni-persona. Gli esposti “sopra TLV” presentano un rischio di sviluppare sintomi di STC di 1.76 rispetto agli esposti “sotto AL”. Un andamento simile è emerso per la seconda definizione di caso [incidence rate ratios (IRR) “sopra TLV”, 1.37 (intervallo di confidenza al 95% (IC95%) 0.84–2.23)]. Gli esposti a “carico intermedio” risultano a maggior rischio per la STC [IRR per i sintomi, 3.31 (IC95% 2.39–4.59); IRR per sintomi e SCN positivo, 2.56 (IC95% 1.47–4.43)]. Abbiamo osservato una maggior forza di associazione tra HAL e la STC. CONCLUSIONI: Abbiamo trovato un aumento di rischio di sviluppare la STC all’aumentare del carico biomeccanico: l’aumento di rischio osservato già per gli esposti a “carico intermedio” suggerisce che gli attuali valori limite potrebbero non essere sufficientemente protettivi per alcuni lavoratori. Interventi di prevenzione vanno orientati verso attività manuali ripetitive.
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Die lösliche Epoxidhydrolase (sEH) gehört zur Familie der Epoxidhydrolase-Enzyme. Die Rolle der sEH besteht klassischerweise in der Detoxifikation, durch Umwandlung potenziell schädlicher Epoxide in deren unschädliche Diol-Form. Hauptsächlich setzt die sEH endogene, der Arachidonsäure verwandte Signalmoleküle, wie beispielsweise die Epoxyeicosatrienoic acid, zu den entsprechenden Diolen um. Daher könnte die sEH als ein Zielenzym in der Therapie von Bluthochdruck und Entzündungen sowie diverser anderer Erkrankungen eingesetzt werden. rnDie sEH ist ein Homodimer, in dem jede Untereinheit aus zwei Domänen aufgebaut ist. Das katalytische Zentrum der Epoxidhydrolaseaktivität befindet sich in der 35 kD großen C-terminalen Domäne. Dieser Bereich der sEH s wurde bereits im Detail untersucht und nahezu alle katalytischen Eigenschaften des Enzyms sowie deren dazugehörige Funktionen sind in Zusammenhang mit dieser Domäne bekannt. Im Gegensatz dazu ist über die 25 kD große N-terminale Domäne wenig bekannt. Die N-terminale Domäne der sEH wird zur Haloacid Dehalogenase (HAD) Superfamilie von Hydrolasen gezählt, jedoch war die Funktion dieses N-terminal Domäne lange ungeklärt. Wir haben in unserer Arbeitsgruppe zum ersten Mal zeigen können, dass die sEH in Säugern ein bifunktionelles Enzym ist, welches zusätzlich zur allgemein bekannten Enzymaktivität im C-terminalen Bereich eine weitere enzymatische Funktion mit Mg2+-abhängiger Phosphataseaktivität in der N-terminalen Domäne aufweist. Aufgrund der Homologie der N-terminalen Domäne mit anderen Enzymen der HAD Familie wird für die Ausübung der Phosphatasefunktion (Dephosphorylierung) eine Reaktion in zwei Schritten angenommen.rnUm den katalytischen Mechanismus der Dephosphorylierung weiter aufzuklären, wurden biochemische Analysen der humanen sEH Phosphatase durch Generierung von Mutationen im aktiven Zentrum mittels ortsspezifischer Mutagenese durchgeführt. Hiermit sollten die an der katalytischen Aktivität beteiligten Aminosäurereste im aktiven Zentrum identifiziert und deren Rolle bei der Dephosphorylierung spezifiziert werden. rnrnAuf Basis der strukturellen und möglichen funktionellen Ähnlichkeiten der sEH und anderen Mitgliedern der HAD Superfamilie wurden Aminosäuren (konservierte und teilweise konservierte Aminosäuren) im aktiven Zentrum der sEH Phosphatase-Domäne als Kandidaten ausgewählt.rnVon den Phosphatase-Domäne bildenden Aminosäuren wurden acht ausgewählt (Asp9 (D9), Asp11 (D11), Thr123 (T123), Asn124 (N124), Lys160 (K160), Asp184 (D184), Asp185 (D185), Asn189 (N189)), die mittels ortsspezifischer Mutagenese durch nicht funktionelle Aminosäuren ausgetauscht werden sollten. Dazu wurde jede der ausgewählten Aminosäuren durch mindestens zwei alternative Aminosäuren ersetzt: entweder durch Alanin oder durch eine Aminosäure ähnlich der im Wildtyp-Enzym. Insgesamt wurden 18 verschiedene rekombinante Klone generiert, die für eine mutante sEH Phosphatase Domäne kodieren, in dem lediglich eine Aminosäure gegenüber dem Wildtyp-Enzym ersetzt wurde. Die 18 Mutanten sowie das Wildtyp (Sequenz der N-terminalen Domäne ohne Mutation) wurden in einem Expressionsvektor in E.coli kloniert und die Nukleotidsequenz durch Restriktionsverdau sowie Sequenzierung bestätigt. Die so generierte N-terminale Domäne der sEH (25kD Untereinheit) wurde dann mittels Metallaffinitätschromatographie erfolgreich aufgereinigt und auf Phosphataseaktivität gegenüber des allgemeinen Substrats 4-Nitophenylphosphat getestet. Diejenigen Mutanten, die Phosphataseaktivität zeigten, wurden anschließend kinetischen Tests unterzogen. Basiered auf den Ergebnissen dieser Untersuchungen wurden kinetische Parameter mittels vier gut etablierter Methoden berechnet und die Ergebnisse mit der „direct linear blot“ Methode interpretiert. rnDie Ergebnisse zeigten, dass die meisten der 18 generierten Mutanten inaktiv waren oder einen Großteil der Enzymaktivität (Vmax) gegenüber dem Wildtyp verloren (WT: Vmax=77.34 nmol-1 mg-1 min). Dieser Verlust an Enzymaktivität ließ sich nicht durch einen Verlust an struktureller Integrität erklären, da der Wildtyp und die mutanten Proteine in der Chromatographie das gleiche Verhalten zeigten. Alle Aminosäureaustausche Asp9 (D9), Lys160 (K160), Asp184 (D184) und Asn189 (N189) führten zum kompletten Verlust der Phosphataseaktivität, was auf deren katalytische Funktion im N-terminalen Bereich der sEH hindeutet. Bei einem Teil der Aminosäureaustausche die für Asp11 (D11), Thr123 (T123), Asn124 (N124) und Asn185 (D185) durchgeführt wurden, kam es, verglichen mit dem Wildtyp, zu einer starken Reduktion der Phosphataseaktivität, die aber dennoch für die einzelnen Proteinmutanten in unterschiedlichem Ausmaß zu messen war (2 -10% and 40% of the WT enzyme activity). Zudem zeigten die Mutanten dieser Gruppe veränderte kinetische Eigenschaften (Vmax allein oder Vmax und Km). Dabei war die kinetische Analyse des Mutanten Asp11 Asn aufgrund der nur bei dieser Mutanten detektierbaren starken Vmax Reduktion (8.1 nmol-1 mg-1 min) und einer signifikanten Reduktion der Km (Asp11: Km=0.54 mM, WT: Km=1.3 mM), von besonderem Interesse und impliziert eine Rolle von Asp11 (D11) im zweiten Schritt der Hydrolyse des katalytischen Zyklus.rnZusammenfassend zeigen die Ergebnisse, dass alle in dieser Arbeit untersuchten Aminosäuren für die Phosphataseaktivität der sEH nötig sind und das aktive Zentrum der sEH Phosphatase im N-terminalen Bereich des Enzyms bilden. Weiterhin tragen diese Ergebnisse zur Aufklärung der potenziellen Rolle der untersuchten Aminosäuren bei und unterstützen die Hypothese, dass die Dephosphorylierungsreaktion in zwei Schritten abläuft. Somit ist ein kombinierter Reaktionsmechanismus, ähnlich denen anderer Enzyme der HAD Familie, für die Ausübung der Dephosphorylierungsfunktion denkbar. Diese Annahme wird gestützt durch die 3D-Struktur der N-terminalen Domäne, den Ergebnissen dieser Arbeit sowie Resultaten weiterer biochemischer Analysen. Der zweistufige Mechanismus der Dephosphorylierung beinhaltet einen nukleophilen Angriff des Substratphosphors durch das Nukleophil Asp9 (D9) des aktiven Zentrums unter Bildung eines Acylphosphat-Enzym-Zwischenprodukts, gefolgt von der anschließenden Freisetzung des dephosphorylierten Substrats. Im zweiten Schritt erfolgt die Hydrolyse des Enzym-Phosphat-Zwischenprodukts unterstützt durch Asp11 (D11), und die Freisetzung der Phosphatgruppe findet statt. Die anderen untersuchten Aminosäuren sind an der Bindung von Mg 2+ und/oder Substrat beteiligt. rnMit Hilfe dieser Arbeit konnte der katalytischen Mechanismus der sEH Phosphatase weiter aufgeklärt werden und wichtige noch zu untersuchende Fragestellungen, wie die physiologische Rolle der sEH Phosphatase, deren endogene physiologische Substrate und der genaue Funktionsmechanismus als bifunktionelles Enzym (die Kommunikation der zwei katalytischen Einheiten des Enzyms) wurden aufgezeigt und diskutiert.rn
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Oxidativer Stress in Form reaktiver Sauerstoffspezies (ROS) und Exzitotoxizität durch supraphysiologische Konzentrationen des Neurotransmitters Glutamat sind nicht nur beteiligt an der Pathogenese vielzähliger neurodegenerativer Erkrankungen wie Schlaganfall, Hirntrauma, Alzheimer Demenz oder Multipler Sklerose, sondern spielen zudem eine Schlüsselrolle im dort beobachteten Zusammenbruch der Blut-Hirn-Schranke. Glutamat führt durch Stimulation neuronaler und endothelialer NMDA-Rezeptoren zu einer Generierung von ROS. Nicht verfolgt worden war bisher, welche Auswirkungen ROS umgekehrt auch auf den NMDA-Rezeptor haben könnten. Im Rahmen der vorliegenden Arbeit wurde daher untersucht, ob und in welcher Weise die Exposition gegenüber reaktiven Sauerstoffspezies einen Einfluss auf die Expression und Aktivierbarkeit von NMDA-Rezeptoren auf zerebrovaskulären Endothelzellen ausübt.rnEs konnte zunächst die Expression der funktionell obligaten NR-1 Untereinheit des NMDA-Rezeptors auf der verwendeten Zelllinie b.End3 mittels Immunfluoreszenz-Mikroskopie gesichert werden. Ein Nachweis von mRNA für die Untereinheiten NR1 und NR2B, C und D erfolgte mittels RT-PCR. In der Analyse der replizierten RNA zeigten sich Hinweise für eine heterogene Komposition der exprimierten endothelialen NMDA-Rezeptoren.rnEs konnte weiter mit Hilfe der In-Cell-Western-Technik gezeigt werden, dass die Expression des NMDA-Rezeptors durch transiente Stimulation mit reaktiven Sauerstoffspezies im Sinne einer Heraufregulation moduliert werden kann. Die Stimulation der Zellen mit den reaktiven Sauerstoffspezies O2-, ONOO- und H2O2 führte dabei im Experiment zu einer deutlichen Zunahme der NR1-Expression, die spätestens nach 72 Stunden höchst signifikant war.rnUm zu überprüfen, welche Bedeutung diese Überexpression für die Integrität der Blut-Hirn-Schranke unter den exzitotoxischen Bedingungen hoher Glutamatkonzentrationen haben könnte, wurde mit Hilfe des ECIS-Systems („Electrical Cell-Substrate Impedance Sensing“) die Impedanz ROS-präexponierter Endothelmonolayer gemessen. Auf Rezeptorstimulation mit dem spezifischen Agonisten NMDA reagierten die vorbehandelten Gruppen mit einem Abfall der Impedanz gegenüber der nicht vorbehandelten Kontrolle.rnrnDie vorliegenden Ergebnisse zeigen, dass ROS in der Lage sind, funktionelle endotheliale NMDA-Rezeptoren zu induzieren und auf diesem Weg zu einem verstärkten Abfall der BHS-Integrität unter den Bedingungen exzitotoxischen und oxidativen Stresses führen. Dies stellt einen neuen Mechanismus zur Erklärung der Pathogenese des Blut-Hirn-Schrankenversagens dar.
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Abstract The aim of this work was the development of a murine model of septic arthrosynovitis and osteomyelitis caused by Staphylococcus aureus, which could mimic the natural disease occurring in humans and which could be suitable for testing preventive and therapeutic interventions. This model could be particularly useful since S. aureus-mediated joints and bones infections are relevant in humans, both in terms of frequency and severity. Our attention focused in tracking bacterial infiltration in joints and bones over time using different microbiological and hystopathological tools, which allowed us to have a complete overview of the situation and to evaluate the immunological actions undertaken by the host to contain or eradicate the bacterial infection. Antibodies and cytokines profiles, as well as recruitment of host immune cells at joints of immunized and infected mice were therefore monitored for a time period that allowed us to study both the acute and the chronic phases of the disease in situ. Finally the Novartis vaccine formulation proposed against S. aureus infections was tested for its capacity to protect immunized mice from joints infections, and the preventive immunization was compared to a standard antibiotic prophylaxis. The availability of powerful tools to study specific bacterial-mediated diseases is nowadays an important requirement for the scientific community to shed light on the complex interactions between host and pathogens and to test treatments for preventing or contrasting infections. We believe that our work significantly contributes to the overall knowledge in the field of S. aureus-dependent pathologies, opening the possibility for further investigations in several fields of study.
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In this work particular attention was given to the study of secondary metabolites produced by some plants belonging to the Amaryllidaceae family, in the specific case isoquinoline alkaloids. At the first instance were characterized both qualitatively and quantitatively three different plants belonging to Amaryllidaceae family, such as: Crinum angustum Steud., Pancratium illyricum L., and Leucojum nicaeense Ard. The alkaloids extracts obtained were separately tested against enzymes involved in specific diseases or liable in multifactorial pathologies, like: MMPs, AChE,and PPO. From leaves extract of P.illyricum was isolated a new compound, 11α-hydroxy-O-methylleucotamine, with important role in AChE inbition. Considering the protection role against external bodies carried out by these metabolites in plant, extracts were also assayed against ATCC microorganisms and clinical isolates. Plants with promising pharmacological activities have been the basis for development of in vitro plant models.
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La studio dell’Anatomia umana presenta una varietà di sfaccettature, che sono alla base della reale comprensione del corpo umano; ovvero la vera anatomia non è quella rappresentata nei testi ma quella che appare durante la dissezione o nelle più sofisticate analisi di immagine. Lo scopo di questa tesi è stato quello di rivisitare alcune situazioni vascolari che possono andare incontro a variazioni e cercare di comprendere, anche con l’aiuto della bibliografia, se tali variazioni possono essere causa o epifenomeni di patologie a carico delle arterie affette dalle variazioni stesse o di territori da esse dipendenti per l’afflusso sanguigno. E’ stata condotta una analisi su preparati cadaverici in particolare in tre distretti: a) addome e tripode celiaco/mesenterica superiore; b) circolo cerebrale; d) orco aortico.
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Oxidativer Stress ist seit über 25 Jahren als ein Charakteristikum vieler pathologischer Prozesse bekannt. Helmut Sies beschrieb bereits in den 1980er Jahren oxidativen Stress als Störung in der prooxidativ – antioxidativen Balance zugunsten der prooxidativen Seite, wodurch es potentiell zu Schäden in verschiedenen Geweben kommt. Oxidativer Stress tritt sowohl bei neurodegenerativen Erkrankungen wie Morbus Alzheimer, Morbus Parkinson und zerebraler Ischämie, bei peripheren Erkrankungen wie Arteriosklerose, als auch beim Alterungsprozess per se auf und wird als Ursache oder zumindest als ein krankheitsfördernder Faktor diskutiert. Die in in vitro-Experimenten als vielversprechend antioxidativ getesteten Substanzen (meist phenolhaltig) ergaben in mehreren klinischen Studien keinen signifikanten Vorteil. Um die Ursachen dieser Ergebnisse näher zu analysieren, wurde in der vorliegenden Arbeit auf Basis des cytoprotektiven Phenothiazins, einem aromatischen trizyklischen Amin, der Einfluss von verschiedenen Substituenten im Hinblick auf Lipophilie, Radikalstabilisierung und Löslichkeit des Moleküls chemisch vorhergesagt. Anhand dieser in silicio Struktur-Wirkungs-Beziehung wurden anschließend neue Modellsubstanzen synthetisiert, welche sich systematisch in den drei zuvor genannten Parametern unterschieden. Dies wurde durch Substitution von unterschiedlich langen Fettsäureketten, von löslichkeitsbeeinflussenden funktionellen Gruppen, oder durch Anellierung zusätzlicher aromatischer Ringe erreicht. In den folgenden Versuchen zu antioxidativer Kapazität, zellulärem Überleben, Lipidperoxidation und Proteinoxidation zeigte sich, dass mit gesteigerter Stabilität der korrespondierenden Radikale und mit wachsender Lipophilie die antioxidativ cytoprotektive Aktivität der neuen Derivate bis zu einer gewissen Grenze (logP ≈ 7) signifikant zunahm; über diesen Wert hinaus sank die Effektivität wieder ab. Benzanellierte Phenothiazine entwickelten mit EC50-Werten von ungefähr 8-10 nM die höchste mittlere effektive Wirkkonzentration in oxidativ geschädigten, klonalen hippocampalen Neuronen (HT-22 Zellen). Dies entspricht einer etwa 20-fachen Verbesserung gegenüber α-Tocopherol, welches bisher als bestes natürliches lipophiles Antioxidans angesehen wurde. Im Vergleich zu Phenothiazin erreichen die neuen Antioxidantien immerhin eine höhere Effektivität um den Faktor 4. Folglich sind es sowohl Aspekte der Löslichkeit und der Distribution, welche die Potenz der gegenwärtigen Antioxidantien limitieren als auch Aspekte der Radikalstabilisierung, die Einfluss auf die primäre Wirksamkeit nehmen. Dieses Wissen sollte beim zukünftigen Design neuer, antioxidativ potenter Moleküle im Hinblick auf ihren langfristigen Einsatz bei neurodegenerativen Erkrankungen von Nutzen sein.
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It is well known that ageing and cancer have common origins due to internal and environmental stress and share some common hallmarks such as genomic instability, epigenetic alteration, aberrant telomeres, inflammation and immune injury. Moreover, ageing is involved in a number of events responsible for carcinogenesis and cancer development at the molecular, cellular, and tissue levels. Ageing could represent a “blockbuster” market because the target patient group includes potentially every person; at the same time, oncology has become the largest therapeutic area in the pharmaceutical industry in terms of the number of projects, clinical trials and research and development (R&D) spending, but cancer remains one of the leading causes of mortality worldwide. The overall aim of the work presented in this thesis was the rational design of new compounds able to modulate activity of relevant targets involved in cancer and aging-related pathologies, namely proteasome and immunoproteasome, sirtuins and interleukin 6. These three targets play different roles in human cells, but the modulation of its activity using small molecules could have beneficial effects on one or more aging-related diseases and cancer. We identified new moderately active and selective non-peptidic compounds able to inhibit the activity of both standard and immunoproteasome, as well as novel and selective scaffolds that would bind and inhibit SIRT6 selectively and can be used to sensitize tumor cells to commonly used anticancer agents such gemcitabine and olaparib. Moreover, our virtual screening approach led us also to the discovery of new putative modulators of SIRT3 with interesting in-vitro and cellular activity. Although the selectivity and potency of the identified chemical scaffolds are susceptible to be further improved, these compounds can be considered as highly promising leads for the development of future therapeutics.
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Numerose ricerche indicano i modelli di cure integrate come la migliore soluzione per costruire un sistema più efficace ed efficiente nella risposta ai bisogni del paziente con tumore, spesso, però, l’integrazione è considerata da una prospettiva principalmente clinica, come l’adozione di linee guida nei percorsi della diagnosi e del trattamento assistenziale o la promozione di gruppi di lavoro per specifiche patologie, trascurando la prospettiva del paziente e la valutazione della sua esperienza nei servizi. Il presente lavoro si propone di esaminare la relazione tra l’integrazione delle cure oncologiche e l’esperienza del paziente; com'è rappresentato il suo coinvolgimento e quali siano i campi di partecipazione nel percorso oncologico, infine se sia possibile misurare l’esperienza vissuta. L’indagine è stata svolta sia attraverso la revisione e l’analisi della letteratura sia attraverso un caso di studio, condotto all'interno della Rete Oncologica di Area Vasta Romagna, tramite la somministrazione di un questionario a 310 pazienti con neoplasia al colon retto o alla mammella. Dai risultati, emerge un quadro generale positivo della relazione tra l’organizzazione a rete dei servizi oncologici e l’esperienza del paziente. In particolare, è stato possibile evidenziare quattro principali nodi organizzativi che introducono la prospettiva del paziente: “individual care provider”,“team care provider”,“mixed approach”,“continuity and quality of care”. Inoltre, è stato possibile delineare un campo semantico coerente del concetto di coinvolgimento del paziente in oncologia e individuare quattro campi di applicazione, lungo tutte le fasi del percorso: “prevenzione”, “trattamento”,“cura”,“ricerca”. Infine, è stato possibile identificare nel concetto di continuità di cura il modo in cui i singoli pazienti sperimentano l’integrazione o il coordinamento delle cure e analizzare differenti aspetti del vissuto della persona e dell’organizzazione.
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The term neurodegeneration defines numerous conditions that modify neuron’s normal functions in the human brain where is possible to observe a progressive and consistent neuronal loss. The mechanisms involved in neurodegenerative chronic and acute diseases evolution are not completely understood yet, however they share common characteristics such as misfolded proteins, oxidative stress, inflammation, excitotoxicity, and neuronal loss. Many studies have shown the frequency to develop neurodegenerative chronic diseases several years after an acute brain injury. In addition, many patients show, after a traumatic brain injury, motor and cognitive manifestations that are close to which are observed in neurodegenerative chronic patients. For this reason it is evident how is fundamental the concept of neuroprotection as a way to modulate the neurodegenerative processes evolution. Neuroinflammation, oxidative stress and the apoptotic process may be functional targets where operate to this end. Taking into account these considerations, the aim of the present study is to identify potential common pathogenetic pathways in neurodegenerative diseases using an integrated approach of preclinical studies. The goal is to delineate therapeutic strategies for the prevention of neuroinflammation, neurodegeneration and dysfunctions associated to Parkinson’s disease (PD) and cerebral ischemia. In the present study we used a murine model of PD treated with an isothiocyanate, 6-MSITC, able to quench ROS formation, restore the antioxidant GSH system, slow down the apoptotic neuronal death and counteract motor dysfunction induced by 6-OHDA. In the second study we utilized a transgenic mouse model knockout for CD36 receptor to investigate the inflammation involvement in a long term study of MCAo, which shows a better outcome after the damage induced. In conclusion, results in this study allow underlying the connection among these pathologies, and the importance of a neuroprotective strategy able to restore neurons activity where current drugs therapies have shown palliative but not healing abilities.
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Pathologische Veränderungen des stomatognathen Systems haben die Menschheit seit jeher geplagt. Etliche dieser dentalen Pathologien hinterlassen Spuren, die auch an Skelettmaterial noch erkannt werden können. Die vorliegende Studie beschäftigt sich mit der Aufnahme dentaler Pathologien an Skelettmaterial eines frühmittelalterlichen Gräberfelds aus dem Bösfeld in Mannheim. Hierbei werden die Individuen in Hinblick auf AMTL, PMTL, Karies, marginale Parodontopathien, periapikale Läsionen, Zahnabnutzung, Zahnstein und Hypoplasien untersucht. In Folge werden die Häufigkeit der Pathologien innerhalb verschiedener Untergruppen der Bösfelder Population und zwischen anderen zeitgleichen und rezenten Populationen verglichen.rnrnBei der Prävalenz von AMTL und Karies ist ein signifikanter Anstieg mit dem Alter der Individuen zu beobachten, während sich kein Unterschied zwischen den Geschlechtern ergibt. Marginale Parodontopathien sind signifikant weniger bei frühadulten Individuen zu finden als bei der Gruppe der über 30 Jährigen. In der Gesamtpopulation ergeben sich keine Unterschiede zwischen den Geschlechtern. Altersabhängig betrachtet sind jedoch die über 40-jährigen Männer signifikant häufiger von marginalen Parodontopathien betroffen, während bei der Altersgruppe der Frühadulten die weiblichen Individuen häufiger betroffen sind. Unabhängig von Geschlecht und Alter kann bei den marginalen Parodontopathien ein Zusammenhang zwischen den alveolaren Entzündungsreaktionen und dem Abstand zwischen Schmelz-Zement Grenze und Limbus alveolaris festgestellt werden. Die männlichen Individuen des Bösfelds sind signifikant häufiger von periapikalen Läsionen betroffen. Bei dem Zahnverschleiß wird ein solcher Unterschied zwischen den Geschlechtern nicht festgestellt. Lediglich eine Zunahme des Verschleißes mit dem Alter liegt vor. Auch der Zahnsteinbefall steigt mit dem Alter an. Ein Unterschied bei dem Zahnsteinvorkommen zwischen den Geschlechtern ist nicht zu finden. Nur die frühmaturen Männer zeigen im Vergleich zu den Frauen einen signifikant geringeren Befall. Diese höhere Zahnsteinablagerung bei den frühmaturen Frauen kann mit deren Eintritt in das Klimakterium erklärt werden. Die Hypoplasien des Enamels lassen ein durchschnittliches Entstehungsalter von 3 bis 4 Jahren erkennen. Dieses kann mit dem, im Frühmittelalter sehr späten, Abstillalter in Verbindung gebracht werden. Die an der Bösfelder Serie beobachteten Häufigkeiten der Patholgien sind zu einem großen Teil vergleichbar mit anderen zeitgleichen Skelettserien. rnrnDie vorliegende Studie gibt einen Einblick in die Epidemiologie dentaler Pathologien im Frühmittelalter, kann Rückschlüsse ziehen auf damalige Lebensumstände und kann Unterschiede zwischen damaliger und heutiger Prävalenz verschiedener Erkrankungen darstellen. Zukünftige Studien an der Bösfelder Skelettserie können mit einem Fokus auf die archäologische Auswertung der Grabbeigaben weitere Erkenntnisse liefern und so das Verständnis dieser merowingerzeitlichen Population vertiefen. rn