933 resultados para HEMATOLOGIC MALIGNANCIES
Resumo:
Eine neue auf einer Pyruvat abhängigen Biolumineszenzreaktion basierende Methode zur quantitativen Bestimmung und räumlichen Darstellung von Pyruvat in Gefrierschnitten von Gewebeproben wurde entwickelt. Dabei wurden biochemische Reaktionen so verknüpft, dass sichtbares Licht proportional zum eingesetzten Pyruvatgehalt entstand. Eine hoch signifikante positive Korrelation beider Parameter ermöglichte eine Kalibrierung mit definierten Pyruvatgehalten und damit die Quantifizierung in unbekannten Proben. Die Nachweisgrenze lag bei 0,04 pmol Pyruvat mit einer Auflösung von 0,02 µmol/g. Das Biolumineszenzverfahren wurde mit Hilfe anderer Methoden validiert, wobei eine Wiederfindung mit einer konzentrationsabhängigen Abweichung von ≤ 15 % erzielt wurde. Ein wesentlicher Vorteil der neuen Methode gegenüber bisherigen Verfahren zum Pyruvatnachweis liegt in der Messwerterfassung definierter histologischer Gewebsareale. Dies wird durch computergesteuerte Überlagerung von Metabolitverteilungen mit Schnittbildern aus Strukturfärbungen und interaktiver, „optischer Mikrodissektion“ der Gewebeschnitte möglich. Ein weiterer Nutzen der Methode ist deren optionale Kombination mit der Biolumineszenztechnik für andere Stoffwechselprodukte. So ermöglicht eine exakte Superposition zweier Metabolitbilder von unmittelbar aufeinander folgenden Gewebeschnitten eine korrelative Kolokalisationsanalyse beider Metabolite. Das Ergebnis lässt sich zum einen in Form von „Pixel-zu-Pixel“-Korrelationen dokumentieren, zum anderen kann für jeden Bildpunkt ein Laktat/Pyruvat-Verhältnis als Maß für den Redoxzustand des Gewebes berechnet und dargestellt werden. Hieraus ergeben sich z.B. räumliche L/P-Verteilungen (L/P-Karten). Ein solches „Redoximaging“ durch Kartierung des L/P-Quotienten ist bislang mit keinem anderen Verfahren möglich. Während die Entwicklung des Pyruvatnachweises eine Kernaufgabe der vorliegenden Arbeit darstellte, bestand ein weiterer wesentlicher Teil in der praktischen Anwendung der neuen Methode im Bereich der experimentellen Tumorforschung. So ergaben Messungen an acht verschiedenen Linien von humanen HNSCC-Xenotransplantaten (n = 70 Tumoren) einen mittleren Pyruvatgehalt von 1,24 ± 0,20 µmol/g. In sechs Humanbiopsien derselben Tumorentität wurde ein durchschnittlicher Pyruvatgehalt von 0,41 ± 0,09 µmol/g gemessen. Bei den Xenotransplantaten konnte eine signifikante positive Korrelation zwischen der Summe aus Laktat und Pyruvat bzw. dem L/P Verhältnis und der Strahlensensibilität gefunden werden, wobei das L/P-Verhältnis ebenso wie die Summe aus Laktat und Pyruvat maßgeblich von Laktat bestimmt wurden. Der Zusammenhang der Metabolite mit der Strahlensensibilität lässt sich durch deren antioxidative Eigenschaften erklären. Da der Redoxzustand der Zelle kritisch bezüglich der Effizienz von ROS induzierenden Therapieansätzen, wie z.B. Bestrahlung oder bestimmter Chemotherapeutika sein kann, könnte die Bestimmung des L/P Verhältnisses als prognostischer Faktor prädiktive Aussagen über die Sensibilität gegenüber solchen Behandlungen erlauben.
Resumo:
I virus tumorali inducono oncogenesi nel loro ospite naturale o in sistemi animali sperimentali, manipolando diverse vie cellulari. Ad oggi, sono stati identificati sette virus capaci di causare specifici tumori umani. Inoltre HPV, JCV ed SV40, sono stati associati con un grande numero di tumori umani in sedi corporee non convenzionali, ma, nonostante molti anni di ricerca, nessuna eziologia virale è stata ancora confermata. Lo scopo di questo studio è stato di valutare la presenza ed il significato sia di JCV ed SV40 in tumori ossei umani, e di HPV nel carcinoma della mammella (BC), galattoforectomie (GF), secrezioni mammarie patologiche (ND) e glioblastoma multiforme (GBM). Tecniche di biologia molecolare sono state impiegate per esaminare campioni di tessuto tumorale di 70 tumori ossei (20 osteosarcomi [OS], 20 tumori a cellule giganti [TCG], 30 condrosarcomi [CS]), 168 BCs , 30 GFs, 59 GBM e 30 campioni di ND. Il genoma di SV40 e JCV è stato trovato nel 70% dei CS + 20% degli OS, e nel 13% dei CS +10% dei TCG, rispettivamente. Il DNA di HPV è stato rilevato nel 30% dei pazienti con BC, nel 27% dei campioni GF e nel 13% dei NDs. HPV16 è stato il genotipo maggiormente osservato in tutti questi campioni, seguito da HPV18 e HPV35. Inoltre, il DNA di HPV è stato trovato nel 22% dei pazienti con GBM, in questo tumore HPV6 era il tipo più frequentemente rilevato, seguito da HPV16. L’ ISH ha mostrato che il DNA di HPV è situato all’interno di cellule tumorali mammarie e di GBM. I nostri risultati suggeriscono un possibile ruolo di JCV, SV40 e HPV in questi tumori, se non come induttori come promotori del processo neoplastico, tuttavia diversi criteri devono ancora essere soddisfatti prima di chiarirne il ruolo.
Resumo:
Sulla base delle evidenze della letteratura (Fenaux, 2009; Lyons, JCO 2009), a partire da Settembre 2004 nel Nostro Istituto sono stati trattati 57 pazienti affetti da Sindrome Mielodisplastica (MDS) mediante terapia demetilante con 5-Azacitidina. Sono stati utilizzati differenti regimi terapeutici a seconda della classe di rischio IPSS: i pazienti a rischio basso/intermedio-1 hanno ricevuto Azacitidina 75 mg/mq/die sottocute per 5 giorni/mese (schema 5) per 8 cicli; i pazienti a rischio alto/intermedio-2 hanno ricevuto Azacitidina 50 mg/mq/die sottocute per 10 giorni/mese (schema 5+2+5) o Azacitidina 75 mg/mq/die per 7 giorni/mese (schema 7) fino a perdita della risposta. Su una casistica totale di 57 pazienti (15 a rischio basso/int-1; 41 rischio alto/int-2), l’87.7% (50 pazienti) sono risultati valutabili. Tra questi le risposte osservate sono state del 68% (34 pazienti), di cui il 14% (7 pazienti) ha ottenuto una Remissione Completa (CR) ed il 54% (27 pazienti) ha ottenuto un Hematologic Improvement (HI). La valutazione della risposta è stata eseguita secondo i criteri dell’International Working Group 2006 (IWG, Cheeson 2006). Le principali tossicità osservate sono state rappresentate da reazioni cutanee locali nel sito d’iniezione, tossicità gastrointestinale (stipsi e/o diarrea), mielotossicità, neutropenia febbrile, sepsi (3 pazienti). Tra i pazienti trattati abbiamo osservato la presenza di risposta ematologica prolungata (≥ 20 mesi) in 10 pazienti (20% dei pazienti valutabili). Inoltre, grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Anatomia Umana dell’Università di Bologna (Prof. L. Cocco, Dott.ssa M.Y. Follo), tutti i pazienti trattati sono stati valutati per i livelli di espressione genica e metilazione del gene della fosfolipasi PI-PLC-beta1. I dati biologici così ottenuti sono stati correlati con quelli clinici, evidenziando la presenza di una correlazione tra i livelli di espressione genica e mutilazione della PI-PLC-beta1 e la risposta alla terapia demetilante con 5-Azacitidina.
Resumo:
L’overespressione dei geni EVI1(3q26) e PRDM16(1p36), è descritta sia in presenza che in assenza di riarrangiamenti 3q26 e 1p36 in specifici sottogruppi citogenetici di LAM, ed è associata ad una prognosi sfavorevole. Lo scopo principale del nostro studio è stato identificare e caratterizzare tramite FISH e RQ-PCR, alterazioni di EVI1 e PRDM16 in pazienti con alterazioni cromosomiche 3q e 1p.Riarrangiamenti di EVI1 si associavano ad alterazioni cromosomiche 3q26, ma, in 6 casi (6/35;17,1%) erano presenti in assenza di coinvolgimenti, in citogenetica convenzionale, della regione 3q26, a causa di meccanismi complessi e/o alterazioni ‘criptiche’. Inoltre, abbiamo identificato quattro nuovi riarrangiamenti di EVI1, tra cui due nuove traslocazioni simili presenti in due fratelli. Riarrangiamenti e/o amplificazioni di PRDM16 erano spesso associate ad alterazioni 1p36 (7/14;50%). L’analisi di EVI1 e PRDM16 è stata estesa ad altri casi con alterazioni -7/7q-, con cariotipo normale, con alterazioni 3q per PRDM16 e con alterazioni 1p per EVI1. L’overespressione di EVI1 era presente solo nel gruppo -7/7q- (10/58;17.2%) ed in un caso si associava ad amplificazione genica, mentre PRDM16 era overespresso in casi di tutti i gruppi analizzati,sia con cariotipi complessi, dove si associava in alcuni casi ad amplificazione genica, sia con cariotipi normali o con singole alterazioni. Il nostro studio dimostra come la FISH permetta di identificare alterazioni dei geni EVI1 e PRDM16, anche in assenza di coinvolgimenti delle regioni 3q26 e 1p36. Riarrangiamenti complessi e/o una scarsa qualità dei preparati citogenetici sono le cause principali per la mancata identificazione di queste alterazioni. La RQ-PCR permette di identificare l’overespressione anche nei casi in cui non sia dovuta ad alterazioni citogenetiche. È importante confermare con FISH e/o RQ-PCR il coinvolgimento di questi due geni, per individuare alla diagnosi pazienti con prognosi sfavorevole e che potranno beneficiare di terapie maggiormente aggressive e/o di trapianto allogenico di cellule staminali.
Resumo:
Abnormal Hedgehog signaling is associated with human malignancies. Smo, a key player of that signaling, is the most suitable target to inhibit this pathway. To this aim several molecules, antagonists of Smo, have been synthesized, and some of them have started the phase I in clinical trials. Our hospital participated to one of these studies which investigated the oral administration of a new selective inhibitor of Smo (SMOi). To evaluate ex vivo SMOi efficacy and to identify new potential clinical biomarkers of responsiveness, we separated bone marrow CD34+ cells from 5 acute myeloid leukemia (AML), 1 myelofibrosis (MF), 2 blastic phases chronic myeloid leukemia (CML) patients treated with SMOi by immunomagnetic separation, and we analysed their gene expression profile using Affimetrix HG-U133 Plus 2.0 platform. This analysis, showed differential expression after 28 days start of therapy (p-value ≤ 0.05) of 1,197 genes in CML patients and 589 genes in AML patients. This differential expression is related to Hedgehog pathway with a p-value = 0.003 in CML patients and with a p-value = 0.0002 in AML patients, suggesting that SMOi targets specifically this pathway. Among the genes differentially expressed we observed strong up-regulation of Gas1 and Kif27 genes, which may work as biomarkers of responsiveness of SMOi treatment in CML CD34+ cells whereas Hedgehog target genes (such as Smo, Gli1, Gli2, Gli3), Bcl2 and Abca2 were down-regulated, in both AML and CML CD34+ cells. It has been reported that Bcl-2 expression could be correlated with cancer therapy resistance and that Hedgehog signaling modulate ATP-binding (ABC) cassette transporters, whose expression has been correlated with chemoresistance. Moreover we confirmed that in vitro SMOi treatment targets Hedgehog pathway, down-regulate ABC transporters, Abcg2 and Abcb1 genes, and in combination with tyrosine kinase inhibitors (TKIs) could revert the chemoresistance mechanism in K562 TKIs-resistant cell line.
Resumo:
Die Transplantation von allogenen hämatopoetischen Stammzellen stellt für viele Patienten mit hämatologischen Erkrankungen, wie beispielsweise akuter Leukämie, oftmals die einzige kurative Therapieoption dar. Die Erkennung von Empfängerantigenen durch immunkompetente Zellen des Spenders bietet dabei die Basis für erwünschte Graft-versus-Tumor-Effekte, verursacht jedoch häufig außerdem die unerwünschte Graft-versus-Host Disease (GvHD), eine mitunter schwerwiegende Komplikation. In der vorliegenden Arbeit wurden potentielle Mechanismen zur Hemmung alloreaktiver CD4+ und CD8+ T-Zellen (TZ) und folglich zur Hemmung der akuten GvHD in einem experimentellen GvHD-Modell untersucht, welches auf dem Transfer von allogenen Zellen zwischen MHC-inkompatiblen Mausstämmen basiert. Die vorliegende Arbeit weist zum Einen darauf hin, dass das Fehlen MyD88- und TRIF-vermittelter Toll-like-Rezeptor-Signale zumindest im Rahmen des hier verwendeten Transplantationsmodells nicht zwingend zu einer Hemmung der akuten GvHD führt. Zum Anderen konnte belegt werden, dass CD4+ CD25+ regulatorische T-Zellen (Tregs) kompetente Suppressoren der durch alloreaktive CD4+ und CD8+ TZ ausgelösten akuten GvHD darstellen. In weiterführenden Experimenten ist gezeigt worden, dass die Tregs sich verschiedener Mechanismen bedienen, um ihre Zielzellen zu inhibieren. Das suppressive Zytokin Interleukin-10 kann als löslicher Mediator zumindest in vitro offenbar eine Rolle bei der Treg-vermittelten Suppression alloreaktiver TZ spielen. Da jedoch auch Tregs aus Interleukin-10-defizienten Spendern die GvHD-Entstehung in den Empfängern abschwächen konnten, müssen noch weitere Mechanismen involviert sein. Es konnte in einer gemischten Leukozyten Reaktion in vitro eine zellkontaktabhängige Kommunikation mittels gap junctions hauptsächlich zwischen den Tregs und den allogenen Dendritischen Zellen (DCs) nachgewiesen werden, welche prinzipiell den Transfer von cAMP möglich macht. Die Kommunikation zwischen Tregs und DCs resultierte in einem supprimierten Phänotyp der DCs, gekennzeichnet durch eine verminderte Expression kostimulatorischer Moleküle auf ihrer Oberfläche. Solche supprimierten DCs können als Folge die alloreaktiven Spender-TZ vermutlich nicht aktivieren. Das cAMP-erhöhende Rolipram konnte in einer gemischten Leukozyten Reaktion in vitro die Proliferation alloreaktiver CD4+ und CD8+ TZ hemmen. Daneben konnte die Treg-vermittelte Suppression alloreaktiver TZ und der GvHD in vivo durch die zusätzliche Verabreichung von Rolipram noch gesteigert werden. Im letzten Kapitel dieser Arbeit wurde beschrieben, dass die alleinige Aktivierung alloreaktiver CD8+ TZ ausreichend ist, um eine akute GvHD auszulösen. In diesem Zusammenhang konnte nachgewiesen werden, dass CD4+ CD25+ Tregs die akute GvHD auch in einer scheinbar MHC-II-unabhängigen Weise hemmen können. Zusammenfassend belegt die vorliegende Arbeit, dass Tregs in einem MHC-inkompatiblen Transplantationsmodell alloreaktive CD4+ und CD8+ TZ und folglich die Entstehung einer GvHD effizient hemmen können. Bei der Hemmung der GvHD kommen wahrscheinlich verschiedene Mechanismen zum Tragen. Zumindest in vivo scheint von Tregs produziertes Interleukin-10 eine untergeordnete Rolle bei der Suppression alloreaktiver TZ und der GvHD zu spielen, hierbei steht vermutlich vielmehr der cAMP-abhängige Suppressionsmechanismus im Vordergrund.
Resumo:
Die akute myeloische Leukämie (AML) zählt zu den aggressivsten neoplastischen Erkrankungenrnder Hämatopoese. Die Mehrheit der Patienten mit AML erreicht nach Induktions-rnChemotherapie den Zustand der kompletten Remission, jedoch erleiden mehr als die Hälfterndieser Patienten anschließend einen Rückfall und versterben an den Folgen der Erkrankungrn[1]. Die allogene hämatopoetische Stammzelltransplantation (engl.: hematopoietic stem cellrntransplantation, HSCT) stellt die einzig putativ kurative Behandlungsform für rezidierendernPatienten und solche mit schlechter Prognose dar. Jedoch birgt diese Form der Therapiernauch eine Vielzahl an Risiken. Insbesondere das Auftreten einer akuten Transplantat-gegen-rnWirt-Erkrankung (engl.: graft-versus-host disease, GvHD) stellt die Hauptursache für transplantationsassoziierternMortalität und Morbidität dar [2]. Die Depletion von alloreaktiven zytotoxischenrnT Lymphozyten (CTL) aus dem Transplantat ermöglicht zwar die Prävention derrnEntstehung einer GvH-Erkrankung, jedoch häufig unter gleichzeitigem Verlust des förderlichen,rnanti-leukämischen Transplantat-gegen-Leukämie-Effekts (engl.: graft-versus-leukemia,rnGvL) [3]. Um den GvL-Effekt unter Vermeidung einer GvH-Erkrankung zu erhalten, bietetrnsich der gezielte adoptive Transfer von Leukämie-spezifischen, nicht alloreaktiven CTL alsrnattraktive Strategie der Immuntherapie für AML-Patienten nach allogener HSCT an. In derrnvorliegenden Arbeit konnte erfolgreich ein prä-klinisches murines AML-Modell unter Einsatzrndes stark immundefizienten NOD.Cg-Prkdcscid Il2rgtm1Wjl/SzJ- (NSG-) Mausstamms und primärenrnAML-Blasten durch die Optimierung bereits publizierter Protokolle etabliert werden.rnBei zehn von 17 transplantierten primären AML-Proben konnte ein erfolgreiches Engraftmentrnder humanen Zellen und eine Rekonstitution der humanen Neoplasie in den NSG-Mäusenrnerzielt werden. Die Engraftment-Rate betrug somit 58,82% und lag etwas unter dem aus derrnLiteratur bekannten Wert von 65-70% [4, 5]. Es ließen sich gut, intermediär und schlecht anwachsendernAML-Proben anhand der Engraftment-Stärke und -Reproduzierbarkeit voneinanderrnunterscheiden. Anhand der Analyse von für das Engraftment kritischer Parameter konnternein Zusammenhang zwischen Engraftment-Rate in der Maus und Flt3-Mutationsstatus sowiernFAB-Klassifikation des Patienten hergestellt und somit Angaben aus der Literatur bestätigtrnwerden. Für zwei Patienten-spezifische AML-Modelle, MZ580 und MZ308, konnten in vitrornerfolgreich AML-reaktive, über einzelne bzw. duale HLA-Diskrepanzen restringierte CTLPopulationenrngeneriert und über einen Zeitraum von bis zu 70 Tagen expandiert werden.rnDeren adoptiver Transfer in zuvor mit humanen AML-Blasten inokulierte NSG-Mäuse führternzu einer nahezu vollständigen Eradikation der AML-Blasten und Remission der Versuchstiere.rnAnhand unterschiedlich langer in vitro Kultur-Zeiträume konnte ein für die in vivo ausgeübtenrnEffektor-Funktionen optimaler Reifungszustand der CTL-Populationen von maximalrn28 Tagen bestimmt werden. Die kinetische Analyse der lytischen Aktivität in vivo deutete auf eine relativ schnelle Ausübung der Effektor-Funktionen durch die CTL-Populationen innerhalbrnvon zwei bis 24 Stunden nach adoptivem Transfer hin. Durch die Verwendung von inrnvitro generierten EBV-reaktiven CTL aus einem irrelevanten Spender konnte zudem die Spezifitätrnder in vivo ausgeübten Effektor-Funktionen nachgewiesen werden. Die ex vivo Re-rnIsolation adoptiv transferierter CTL und deren in vitro Analyse in einem IFNγ ELISpot wiesrneine konstante Reaktivität der Zellen ohne Induktion einer Xeno-Reaktivität nach. Die zurrnVerbesserung der Persistenz humaner CTL-Populationen eingesetzten autologen CD4+ TrnZellen zeigten nur im AML MZ308-System eine positive Wirkung. Generell konnte die Persistenzrnin vivo jedoch trotz initialer Substitution mit den Zytokinen IL-2 und IL-7 nicht über einenrnZeitraum von sieben Tagen hinaus aufrechterhalten werden.rnZur Untersuchung des Extravasations-Mechanismus humaner T Zellen über murines Endothelrnwurden sowohl Flusskammer- als auch Transwell-Studien durchgeführt, um die molekularenrnGrundlagen des Adhäsions- und Transmigrationsprozesses aufzuklären. Durch denrnparallelen Einsatz humaner und muriner T Zellen auf murinen Endothelzellen unter Zusatzrnfunktionsblockierender monoklonaler Antikörper konnte gezeigt werden, dass derrnExtravasations-Mechanismus beider Spezies auf Interaktionen homologer Adhäsionsmolekül-rnPaare, nämlich VLA-4–VCAM-1 und LFA-1–ICAM-1, beruht. Für einzelne Moleküle konntenrnin Abhängigkeit der eingesetzten Endothelzellen Unterschiede in der Funktionalität zwischenrnden Spezies identifiziert werden. Der Adhäsionsprozess war durch die Blockade derrnVLA-4–VCAM-1-Interaktion stärker inhibierbar als durch die Blockade von LFA-1–ICAM-1.rnDie Transmigration hingegen war durch die Blockade beider Adhäsionsmolekül-Paare vergleichbarrnstark inhibierbar.
Resumo:
Die akute myeloische Leukämie (AML) stellt ein äußerst heterogenes hämatologisches Krankheitsbild dar, welches durch die unkontrollierte Proliferation unausdifferenzierter und gleichzeitig nicht-funktioneller hämatopoetischer Zellen gekennzeichnet ist. Sowohl die unterschiedliche Zellherkunft, als auch zytogenetische Aberrationen und molekulargenetische Mutationen sorgen für eine große Diversität der Erkrankung. In der Therapie kommen Chemotherapeutika zum Einsatz, welche die Leukämie in eine komplette Remission bringen sollen. Der einzige kurative Ansatz besteht aus der allogenen hämatopoetischen Stammzelltransplantation. Abgesehen von den gewünschten kurativen Effekten, induzieren die im Transplantat befindlichen Spender-T-Lymphozyten ebenfalls die Transplantat-gegen-Wirt Erkrankung – eine Hauptursache von Mortalität und Morbidität nach erfolgter allogener hämatopoetischer Stammzelltransplantation. Da bei vielen Patienten aufgrund ihres Alters und ihrer Begleiterkrankungen eine Transplantation nicht tolerieren und da viele akuten myeloischen Leukämien trotz Chemotherapie progredient sind, schlägt die Therapie fehl und es gibt keine Chance auf Heilung. rnZur Erforschung der pathologischen Prozesse der akuten myeloischen Leukämie sowie für die Entwicklung neuer Therapiekonzepte bedarf es stabiler Tiermodelle, die die maligne Erkrankung des Menschen darstellen können. Ziel der vorliegenden Arbeit war die Untersuchung des Engraftments humaner primärer akuter myeloischer Leukämien in immuninkompetenten NSG-Mäusen. Die Untersuchungen zeigten, dass lediglich 61,5% der getesteten Leukämien in den Versuchstieren nach der Xenotransplantation nachgewiesen werden konnten. Die Gründe hierfür sind noch nicht ausreichend geklärt, beinhalten jedoch vermutlich Elemente des Homings, des Überlebens der Zelle in der fremden murinen Knochenmarknische, der Abwesenheit spezifischer humaner Wachstumsfaktoren, sowie intrinsische Unterschiede unter den verschiedenen Leukämieproben. Leukämien, die mit einer schlechten Prognose beim Patienten verbunden sind, wachsen in den Tieren stärker an. In den Versuchen konnte gezeigt werden, dass Leukämien mit einer Längenmutation des FLT3-Rezeptors eher häufiger in den NSG-Mäusen anwachsen, als wenn diese Mutation fehlt. Die Analyse der erstellten Wachstumskinetiken zweier Leukämien ergab, dass die Höhe des Engraftments in den einzelnen Organen sowohl von der transplantierten Zellmenge, als auch von der Höhe der angesetzten Versuchszeit abhängt. Zudem wurde ein Wachstum humaner T-Lymphozyten in den xenotransplantierten Mäusen beobachtet, welches sowohl mit einem höheren Engraftment der Leukämie in der Maus verbunden war, als auch mit einer höheren Tiersterblichkeit vergesellschaftet war.rnZum Verhindern dieses Wachstums wurden zwei unterschiedliche Methoden angewendet und miteinander verglichen. Dabei erzielten sowohl die medikamentöse Behandlung der Tiere mit dem Calcineurininhibitor Cyclosporin A, als auch die CD3-Depletion der Leukämie vor der Transplantation ein T-Zell-freies Wachstum in den Mäusen, letzteres erwies sich jedoch als das schonendere Verfahren. In den T-Zell-freien Tieren konnte bei dem Großteil der Tiere kein Engraftment im Knochenmark festgestellt werden, was auf einen positiven Einfluss der humanen T-Lymphozyten beim Vorgang des Engraftments schließen lässt.rn
Resumo:
Folic acid, also known as vitamin B9, is the oxidized form of 5,6,7,8-tetrahydrofolate, which serves as methyl- or methylene donor (C1-building blocks) during DNA synthesis. Under physiological conditions the required amount of 5,6,7,8-tetrahydrofolate for survival of the cell is accomplished through the reduced folate carrier (RFC). In contrast, the supply of 5,6,7,8-tetrahydrofolate is insufficient under pathophysiological conditions of tumors due to an increased proliferation rate. Consequently, many tumor cells exhibit an (over)expression of the folate receptor. This phenomenon has been applied to diagnostics (PET, SPECT, MR) to image FR-positive tumors and on the other hand to treat malignancies related to a FR (over)expression. Based on this concept, a new 18F-labeled folate for PET imaging has been developed and was evaluated in vivo using tumor-bearing mice. The incorporation of oligoethylene spacers into the molecular structure led to a significant enhancement of the pharmacokinetics in comparison to previously developed 18F-folates. The liver uptake could be reduced by one sixth by remaining a tumor uptake of 3%ID/g leading to better contrast ratios. Encouraged by these results, a clickable 18F-labeled serine-based prosthetic group has been synthesized, again with the idea to improve the metabolic and pharmacokinetic profile of hydrophilic radiotracers. Therefore, an alkyne-carrying azido-functionalized serine derivative for coupling to biomolecules was synthesized and a chlorine leaving group for 18F-labeling, which could be accomplished using a microwave-assisted synthesis, a [K⊂2.2.2]+/carbonate system in DMSO. Radiochemical yields of 77±6% could be achieved.rnThe promising results obtained from the FR-targeting concept in the diagnostic field have been transferred to the boron neutron capture therapy. Therefore, a folate derivative was coupled to different boron clusters and cell uptake studies were conducted. The synthesis of the folate-boron clusters was straightforward. At first, a linker molecule based on maleic acid was synthesized, which was coupled to the boron cluster via Michael Addition of a thiol and alkene and subsequently coupled to the targeting moiety using CuAAC. The new conjugates of folate and boron clusters led to a significant increase of boron concentration in the cell of about 5-times compared to currently used and approved boron pharmaceuticals. rnMoreover, azido-folate derivatives were coupled to macromolecular carrier systems (pHPMA), which showed an enhanced and specific accumulation at target sites (up to 2.5-times) during in vivo experiments. A specific blockade could be observed up to 30% indicating an efficient targeting effect. A new kind of nanoparticles consisting of a PDLLA core and p((HPMA)-b-LMA)) as surfactants were developed and successfully radiolabeled via 18F-click chemistry in good RCYs of 8±3%rnThe nanoparticles were obtained via the miniemulsion technique in combination with solvent evaporation. The 18F-labeled nanoparticles were applied to in vivo testing using a mouse model. PET imaging showed a “mixed” biodistribution of low molecular weight as well as high molecular weight systems, indicating a partial loss of the 18F-labeled surfactant.rnIn conclusion, the presented work successfully utilized the FR-targeting concept in both, the diagnostic field (PET imaging) and for therapeutic approaches (BNCT, drug delivery systems). As a result, the high potential of FR-targeting in oncological applications has been shown and was confirmed by small animal PET imaging.rn
Resumo:
Die Kontrolle der Infektion mit dem humanen Cytomegalovirus (HCMV) wird primär durch antivirale CD8 T-Zellen vermittelt. Während der Koevolution zwischen Virus und Wirt wurden Immunevasionsmechanismen entwickelt, die direkt die Expression der Peptid-MHC-Klasse-I-Komplexe an der Zelloberfläche beeinflussen und es dem Virus ermöglichen, der Immunkontrolle des Wirtes zu entkommen. Da HCMV und das murine CMV (mCMV) zum Teil analoge Strategien zur Modulation des MHC-Klasse-I-Antigen-Präsentationswegs entwickelt haben, wurde in der vorliegenden Arbeit auf das experimentelle Modell mit mCMV zurückgegriffen. Die für die Immunevasion verantwortlichen Genprodukte m04/gp34, m06/gp48 und m152/gp40 werden aufgrund ihres regulatorischen Einflusses auf die Antigenpräsentation als vRAPs (viral regulators of antigen presentation) bezeichnet. Diese interferieren mit dem Transport Peptid-beladener MHC-Klasse-I-Moleküle und reduzieren in ihrer konzertierten Wirkung die Präsentation viraler Peptide an der Zelloberfläche.rnDie Transplantation hämatopoietischer Zellen nach Immunoablation stellt eine etablierte Therapieform bei malignen hämatologischen Erkrankungen dar. Zwischen Immunoablation und der Rekonstitution des Immunsystems sind die Empfänger der transferierten Zellen stark immunsupprimiert und anfällig für eine CMV-Erkrankung bei Reaktivierung des Virus. Neben der Gabe antiviraler Medikamente ist der adoptive Transfer antiviraler CD8 T-Zellen eine vielversprechende Therapiemöglichkeit, um reaktivierende CMV zu kontrollieren, bis das körpereigene Immunsystem wieder funktionsfähig ist. Obwohl im murinen Modell sehr wohl etabliert, stellen im humanen System die eingeschränkte Wirkung und die Notwendigkeit der konsequenten Gabe hoher Zellzahlen gewisse logistische Schwierigkeiten dar, welche die Methode bisher von der klinischen Routine ausschließen.rnDas murine Modell sagte eine Rolle von IFN-γ voraus, da Depletion dieses Zytokins zu einer verminderten Schutzwirkung gegen die mCMV-Infektion führt.rnIm ersten Teil dieser Arbeit sollte ein möglicher inhibitorischer Effekt von m04 auf m152 untersucht werden, der bei der Rekombinanten Δm06W beobachtet wurde. Mit neu generierten Viren (Δm06L1+2) konnte dieser Effekt allerdings nicht bestätigt werden. Bei Δm06W fehlte jedoch eine höher N-glykosylierte Isoform des m152-Proteins. Um zu untersuchen, ob die N-Glykosylierung von m152 für seine Funktion notwendig ist, wurde ein rekombinantes Virus generiert, das in Folge einer Deletion aller 3 N-Glykosylierungssequenzen nur eine nicht-glykosylierte Isoform des m152-Proteins bilden kann. In Übereinstimmung mit der zwischenzeitlich publizierten Kristallstruktur das Komplexes von m152 und dem Liganden RAE-1 des aktivierenden NK-Zellrezeptors NKG2D konnte erstmals gezeigt werden, dass die Funktionen von m152 in der adaptiven und in der angeborenen Immunität auch von der nicht N-glykosylierten Isoform wahrgenommen werden können.rnIm zweiten Teil der Arbeit sollte mit Hilfe eines Sets an vRAP Deletionsmutanten der Einfluss von IFN γ auf die einzeln oder in Kombination exprimierten vRAPs untersucht werden. Es zeigte sich, dass Vorbehandlung der Zellen mit IFN-γ die Antigenprozessierung nach Infektion stark erhöht und die vRAPs dann nicht mehr in der Lage sind, die Präsentation aller Peptid-beladener MHC-Klasse-I-Komplexe zu verhindern. Des Weiteren konnte gezeigt werden, dass vorher nicht-schützende CD8 T-Zellen Schutz vermitteln können, wenn das Gewebe der Rezipienten konstitutiv mit IFN-γ versorgt wird. Die zusätzliche Gabe von IFN-γ stellt daher eine vielversprechende Möglichkeit dar, den adoptiven Transfer als Therapie in der klinischen Routine einzusetzen.
Resumo:
Krebserkrankungen gehen oft mit der Überexpression von mucinartigen Glycoproteinen auf der Zelloberfläche einher. In vielen Krebserkrankungen wird aufgrund der fehlerhaften Expression verschiedener Glycosyltransferasen das transmembranständige Glycoprotein MUC1, mit verkürzten Glycanstrukturen, überexprimiert. Das Auftreten der verschiedenen tumor-assoziierten Antigene (TACA) korreliert meist mit dem Fortschreiten des Krebs und der Metastasierung. Daher stellen TACAs interessante Zielmoleküle für die Entwicklung einer aktiven Tumorimmuntherapie zur spezifischen Behandlung von Adenokarzinomen dar. In dieser Arbeit galt das Interesse dem epithelialen Mucin MUC1, auf Basis dessen ein synthetischer Zugang zu einheitlichen Antitumorvakzinen, welche aus mucinanalogen Glyco-peptid¬konjugaten des MUC1 und Carrierproteinen bestehen, hergestellt werden sollten.rnUm eine tumorspezifische Immunantwort zu erhalten, müssen die selbst schwach immunogenen MUC1-Antigene über einen nicht-immunogenen Spacer mit einem geeigneten Trägerprotein, wie Tetanus Toxoid oder Rinderserumalbumin (BSA), verbunden werden. rnDa ein Einsatz von Glycokonjugaten in Impfstoffen durch die metabolische Labilität der O-glycosidischen Bindungen eingeschränkt ist, wurden hierzu erstmals fluorierte Vetreter von MUC1-analogen Glycopeptiden verwendet, in denen das Kohlenhydrat-Epitop durch den strategischen Einbau von Fluor¬atomen gegenüber einem raschen Abbau durch Glycosidasen geschützt werden soll. Dazu wurden auf Basis des literaturbekannten Thomsen-Friedenreich-Antigens Synthesestrategien zur Herstellung eines 2’F- und eines 2’,6’-bisfluorierten-Analogons erarbeitet. rnSchlüsselschritte in der Synthese stellten neben der elektrophilen Fluorierung eines Galactalvorläufers auch die -selektive 3-Galactosylierung des TN-Antigen-Bausteins zum 2’F- und 2’,6’-bisfluorierten-Analogons des TF-Disaccharids dar. Durch entsprechende Schutzgruppentransformationen wurden die beiden Derivate in entsprechende Glycosyl¬amino-säure-Bausteine für die Festphasensynthese überführt.rnNeben den beiden Analoga des TF-Antigens wurde auch erstmals ein 2F-Analogon des 2,6-Sialyl-T-Antigens hergestellt. Dazu wurde der entsprechende 2’F-TF-Baustein mit Sialinsäure-xanthogenat nach bereits bekannten Syntheseprotokollen umgesetzt. Aufgrund von Substanzmangel konnte die Verbindung nicht zur Synthese eines MUC1-Glycopeptid-Analogons herangezogen werden.rnDer Einbau der hergestellten Glycosylaminosäure-Bausteine erfolgte in die aus 20 Amino-säuren bestehende vollständige Wiederholungseinheit aus der tandem repeat-Sequenz des MUC1, wobei die entsprechenden Glycanseitenketten stets in Position 6 eingeführt wurden. Um die erhaltenen Glycopeptide für immunologische Studien an Carrier-Proteine anbinden zu können und so ggf. zu funktionsfähigen Impfstoff-Konjugaten zu gelangen, wurden diese stets N-terminal mit einem nicht-immunogenen Triethylenglycol-Spacer verknüpft. Die anschließende Funktionalisierung mit Quadratsäurediethylester erlaubte die spätere chemoselektive Konjugation an Trägerproteine, wie Tetanus Toxoid oder BSA.rnIn ersten immunologischen Bindungsstudien wurden die synthetisierten BSA-Glycopeptid-Konjugate mit Serum-Antikörpern aus Vakzinierungsstudien von MUC1-Tetanus Toxoid-Konjugaten, die (i) eine natürliche TF-Antigenstruktur und (ii) ein entsprechendes TF-Antigenderivat mit Fluorsubstituenten an C-6 des Galactosamin-Bausteins und C-6’ des Galactoserests tragen, untersucht.rn
Resumo:
Aus dem tumorreaktiven T-Zellrepertoire der Melanompatientin Ma-Mel-86/INTH, bei der im Verlauf Lymphknotenmetastasen HLA-Klasse I-negativer Tumorzellen auftraten, wurden durch Stimulation mit autologen Tumorzellen CD8+ T-Zellklone isoliert und expandiert, die auf Melanomzellen der Patientin CSF2RA (engl. GM-CSF receptor alpha chain) in HLA-unabhängiger Weise erkannten. Aus einem der T-Zellklone wurde ein CSF2RA-reaktiver α:β-T-Zellrezeptor (TCR, engl. T-cell receptor) kloniert (Bezeichnung: TCR-1A.3/46). Die α-Kette des TCR enthielt die Domänen TRAV14/DV4*01, TRAJ48*01 und TRAC*01, die β-Kette die Domänen TRBV10-3*01, TRBD2*01, TRBJ2-7*01 und TRBC2*01. Durch Austausch der humanen konstanten gegen die homologen murinen Domänen wurde der TCR optimiert (Bezeichnung: cTCR-1A.3/46) und hinsichtlich seiner Expression und Funktionalität nach retroviralem Transfer in humane PBMC (engl. peripheral blood mononuclear cells) im 51Chromfreisetzungstest, im IFN-γ-ELISpot-Assay und in einem Degranulations-Assay validiert. TCR-transgene T-Zellen lysierten nicht nur spezifisch die HLA-defizienten, CSF2RA+ Melanomlinien des Modells Ma-Mel-86, sondern erkannten auch Zelllinien verschiedener Spezies nach Transfektion von CSF2RA sowie Monozyten, Granulozyten, dendritische Zellen und ein breites Spektrum hämatologischer Malignome myeloiden Ursprungs ungeachtet deren HLA-Phänotypen. Lymphatische Zellen sowie CD34+ Blutstammzellen wurden in In vitro-Untersuchungen nicht erkannt. Der Zusatz von GM-CSF zu Zellen, die CSF2RA und CSF2RB exprimierten, inhibierte die Erkennung durch TCR-transgene PBMC, während die Koexpression der α- und der ß-Kette des GM-CSF-Rezeptors alleine keinen negativen Effekt auf die Erkennung hatte. Daraus war zu schließen, dass CSF2RA präferentiell freistehend und weniger nach Integration in den heteromultimerischen GM-CSF-Rezeptor-Komplex erkannt wurde. In der zweidimensionalen Collier-de-Perles-Visualisierung der IMGT-Datenbank (engl. International immunogenetics information system) wies der CSF2RA-reaktive TCR-1A.3/46 im Vergleich zu TCR von konventionellen, HLA-restringierten T-Zellen keine Besonderheiten auf. Darüber hinaus waren auch die von den HLA-unabhängigen T-Zellen exprimierten CD8-Moleküle identisch zu den CD8-Molekülen HLA-abhängiger CTL (engl. cytotoxic T lymphocytes). Die Präsenz von CD8-Molekülen förderte die HLA-unabhängige Erkennung von CSF2RA, schien aber dafür nicht zwingend erforderlich zu sein, da Antikörper gegen CD8 die Erkennung zu ca. 65 % blockierten und TCR-transgene CD4+ T-Zellen im Vergleich zu TCR-transduzierten CD8+ T-Zellen eine deutlich verringerte, aber noch erhaltene Funktionalität aufwiesen. Es ist derzeit nicht klar, ob HLA-unabhängige T-Zellen gegen CSF2RA im peripheren Blut der Patientin vorkamen, weil sie der im Tiermodell postulierten Thymusselektion MHC-unabhängiger TCR (Tikhonova et al., Immunity 36:79, 2012) entkommen waren, oder weil ein ursprünglich gegen einen HLA-Peptid-Komplex gerichteter TCR eine HLA-unabhängige Kreuzreaktivität aufwies. CSF2RA verbessert die Glucoseutilisation in malignen Zellen, und es wurden ihm embryotrophe Eigenschaften zugeschrieben (Spielholz et al., Blood 85:973, 1995; Sjöblom et al., Biol. Reprod. 67:1817, 2002). Damit kann CSF2RA malignes Wachstum fördern und ist somit ein potentielles Zielmolekül für die Immuntherapie. Seine HLA-unabhängige Erkennung würde sowohl die HLA-Vielfalt als auch den HLA-Verlust als typische Limitationen der T-Zellimmuntherapie umgehen. Zur Überprüfung der In vivo-Spezifität des HLA-unabhängigen TCR gegen CSF2RA und damit zum Ausschluss relevanter off-tumor-/on-target- bzw. off-tumor-/off-target-Effekte ist jedoch eine Testung in einem präklinischen Tiermodell erforderlich.
Resumo:
Tumor necrosis factor related apoptosis-inducing ligand (TRAIL) and agonistic anti-DR4/TRAIL-R1 and anti-DR5/TRAIL-R2 antibodies are currently under clinical investigation for treatment of different malignancies. TRAIL activates DR4 and DR5 and thereby triggers apoptotic and non-apoptotic signaling pathways, but possible different roles of DR4 or DR5 in these responses has poorly been addressed so far. In the present work, we analyzed cell viability, DISC formation as well as IL-8 and NF-kappaB activation side by side in responses to TRAIL and agonistic antibodies against DR4 (mapatumumab) and against DR5 (lexatumumab) in pancreatic ductal adenocarcinoma cells. We found that all three reagents are able to activate cell death and pro-inflammatory signaling. Death-inducing signaling complex (DISC) analysis revealed that mapatumumab and lexatumumab induce formation of homocomplexes of either DR4 or DR5, whereas TRAIL additionally stimulated the formation of heterocomplexes of both receptors. Notably, blocking of receptors using DR4- and DR5-specific Fab fragments indicated that TRAIL exerted its function predominantly via DR4. Interestingly, inhibition of PKC by Goe6983 enabled DR5 to trigger apoptotic signaling in response to TRAIL and also strongly enhanced lexatumumab-mediated cell death. Our results suggest the existence of mechanisms that silence DR5 for TRAIL- but not for agonistic-antibody treatment.
Resumo:
Oncocytomas are defined as tumors containing in excess of 50% large mitochondrion-rich cells, irrespective of histogenesis and dignity. Along the central neuraxis, oncocytomas are distinctly uncommon but relevant to the differential diagnosis of neoplasia marked by prominent cytoplasmic granularity. We describe an anaplastic ependymoma (WHO grade III) with a prevailing oncocytic component that was surgically resected from the right fronto-insular region of a 43-year-old female. Preoperative imaging showed a fairly circumscribed, partly cystic, contrast-enhancing mass of 2 cm × 2 cm × 1.7 cm. Histology revealed a biphasic neoplasm wherein conventional ependymal features coexisted with plump epithelioid cells replete with brightly eosinophilic granules. Whereas both components displayed an overtly ependymal immunophenotype, including positivity for S100 protein and GFAP, as well as "dot-like" staining for EMA, the oncocytic population also tended to intensely react with the antimitochondrial antibody 113-1. Conversely, failure to bind CD68 indicated absence of significant lysosomal storage. Negative reactions for both pan-cytokeratin (MNF 116) and low molecular weight cytokeratin (CAM 5.2), as well as synaptophysin and thyroglobulin, further assisted in ruling out metastatic carcinoma. In addition to confirming the presence of "zipper-like" intercellular junctions and microvillus-bearing cytoplasmic microlumina, electron microscopy allowed for the pervasive accumulation of mitochondria in tumor cells to be directly visualized. A previously not documented variant, oncocytic ependymoma, is felt to add a reasonably relevant novel item to the differential diagnosis of granule-bearing central nervous system neoplasia, in particular oncocytic meningioma, granular cell astrocytoma, as well as metastatic deposits by oncocytic malignancies from extracranial sites.
Resumo:
Hepatocellular carcinoma (HCC) and cholangiocarcinoma (CC) are common primary hepatic malignancies. Their immunohistological differentiation using specific markers is pivotal for treatment and prognosis. We found alphavbeta6 integrin strongly upregulated in biliary fibrosis, but its expression in primary and secondary liver tumours is unknown. Here, we aimed to evaluate the diagnostic applicability of alphavbeta6 integrin in differentiating primary liver cancers.