999 resultados para biolomorfismi semplicemente connesso analisi complessa applicazioni conformi
Resumo:
L’attenta analisi della letteratura scientifica su argomenti riguardanti i contaminanti ambientali oggetto di studio (i policlorodifenili) ha permesso di raccogliere dati utili riguardanti le proprietà di queste molecole, la loro diffusione e la loro pericolosità. Oggetto della ricerca è stato lo studio in vitro del potenziale citotossico e trasformante dei PCB, utilizzando come riferimento una miscela commerciale di PCB, l’Aroclor 1260, e di un MIX di 18 congeneri ricostituito in laboratorio. Il lavoro è proseguito con la valutazione degli effetti di queste miscele e di due congeneri singoli (PCB 118 e PCB 153) su linee cellulari diverse in test di vitalità a breve termine. L’utilizzo di test specifici ha poi permesso la valutazione di un possibile potenziale estrogenico. Una volta ottenuto un quadro generale sui possibili effetti delle miscele grazie ai risultati dei test funzionali, è stata valutata la modulazione, da parte delle molecole e/o di miscele delle stesse, dell’espressione di geni coinvolti nella risposta ad estrogeni o a composti diossino simili, andando ad effettuare un’analisi di tipo molecolare con Real-Time PCR (RT-PCR) e analizzando nello specifico marcatori di pathway dell’Aryl Hydrocarbon Receptor (AhR) o dell’Estrogen Receptor (ER). In ultima analisi al fine di verificare l’applicabilità di biomarkers di espressione a situazioni di contaminazioni reali, ci si è focalizzati su campioni estratti da matrici ambientali, ed in particolare linee cellulari di interesse sono state esposte a estratti di sedimenti provenienti da siti inquinati. L’approccio scelto è stato di tipo molecolare, con lo scopo di individuare pathway da valutare in un secondo momento in test funzionali specifici. L’attività di ricerca si è avvalsa della tecnica del DNA-microarray per valutare la modulazione dell’espressione genica in risposta all’esposizione a contaminanti ambientali. In questo modo è possibile definire i profili di espressione genica che sottendono a risposte biologiche complesse nell’intento di individuare biomarcatori in grado di predire il rischio per l’uomo, e di consentire la stima di una relazione diretta tra esposizione ed effetti possibili.
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Questa riflessione sulla città contemporanea nasce dall’esigenza di definire delle pratiche d’intervento utili alla gestione di una realtà urbana. Seguendo il pensiero di studiosi delle varie discipline quali la composizione e l’urbanistica, mi assumo la responsabilità di analizzare una pratica urbana utile alla gestione delle realtà conflittuali, senza voler entrare nel merito di burocrazie, a volte caotiche, ma semplicemente seguendo l’aspetto sociale e urbanistico di un intervento. Un riflessione generale su quelle che sono le pratiche urbane contemporanee, alla ricerca di una soluzione che possa infine risolvere le problematiche delle città: Agopuntura Urbana. Durante lo studio delle dinamiche, che portano alla formazione di un tessuto urbano, spesso veniamo a conoscenza di realtà malate frutto della continua evoluzione della città. Il progresso, in ogni suo campo, ha anche determinato un’evoluzione del comportamento sociale: ci troviamo spesso all’interno di una frenetica rete d’idee e di cambiamenti. La strategia dell’Agopuntura Urbana proposta da Jaime Lerner ci fornisce le soluzioni per risolvere il corpo urbano e la sua visione olistica, le analisi, lo studio e le conseguenti soluzioni, le quali, non sono da ricercare nella complessità ma piuttosto nella semplicità degli interventi: un’oculata riqualificazione che metta in primo piano le necessità della collettività. Nell’incontenibile serie di eventi, che hanno caratterizzato l’ultimo secolo, ritroviamo una realtà che ricerca soluzioni: la società vuole soluzioni per migliorare le realtà sociali contemporanee all’interno del proprio panorama urbano. ANDREA FALCO
Resumo:
Il lavoro di ricerca tenta di inquadrare sotto nuove prospettive una problematica ormai classica all’interno della semiotica della pubblicità: l’analisi dello spot. I punti chiave del lavoro – e la pretesa di una certa differenza rispetto a lavori con oggetti affini – consistono sostanzialmente in tre aspetti. Innanzitutto, vi è un ritorno alle origini flochiane nella misura in cui non solo il contesto complessivo e le finalità che la ricerca si propone sono fortemente ancorati all’interno di obiettivi di marketing, ma tutto lo studio nella sua interezza nasce dal dialogo concreto tra metodologia di analisi semiotica e prassi concreta all’interno degli istituti di ricerca di mercato. La tesi non presenta quindi una collezione di analisi di testi pubblicitari condotte in modo autoriferito, quanto piuttosto di “messe alla prova” della metodologia, funzionali alla definizione di disegni di ricerca per la marketing research. Questo comporta un dialogo piuttosto stretto con metodologie affini (sociologia qualitativa e quantitativa, psicologia motivazionale, ecc.) nella convinzione che la priorità accordata all’oggetto di analisi sia sovraordinata rispetto all’ortodossia degli strumenti metodologici. In definitiva, lo spot è sempre e comunque analizzato all’interno di una prospettiva brand-centrica che ha ben in mente la semiotica della situazione di consumo rispetto alla quale lo spot agisce da leva di valorizzazione per l’acquisto. In secondo luogo, gli oggetti analizzati sono piuttosto vari e differenziati: non solo lo spot nella sua versione audiovisiva definitiva (il “girato”), ma anche storyboard, animatic, concept (di prodotto e di comunicazione). La prospettiva generativa greimasiana va a innestarsi su problematiche legate (anche) alla genesi dello spot, alla sua progettazione e riprogettazione/ottimizzazione. La tesi mostra quindi come una semiotica per le consulenze di marketing si diriga sul proprio oggetto ponendogli domande ben circoscritte e finalizzate a un obiettivo specifico, sostanzialmente derivato dal brief contenente le intenzioni comunicazionali del cliente-azienda. Infine, pur rimanendo all’interno di una teoria semiotica generativa (sostanzialmente greimasiana e post greimasiana), la ricerca adotta una prospettiva intrinsecamente multidisciplinare che se da un lato guarda a problematiche legate al marketing, al branding e alla comunicazione pubblicitaria e d’impresa tout court, dall’altro ritorna alle teorie dell’audiovisivo, mostrando affinità e differenze rispetto a forme audiovisive standard (il “film”) e a mutuazioni da nuove estetiche (la neotelevisione, il videoclip, ecc). La tesi si mostra solidamente convinta del fatto che per parlare di efficacia discorsiva sia imprescindibile approfondire le tematiche riguardanti il sincretismo espressivo e le specifiche modalità di manifestazione stilistica. In questo contesto, il lavoro si compone di quattro grandi aree tematiche. Dopo una breve introduzione sull’attualità del tema “spot” e sulla prospettiva analiticometodologica adottata (§ 1.), nel secondo capitolo si assume teoreticamente che i contenuti dello spot derivino da una specifica (e di volta in volta diversa) creolizzazione tra domini tematici derivanti dalla marca, dal prodotto (inteso tanto come concept di prodotto, quanto come prodotto già “vestito” di una confezione) e dalle tendenze socioculturali. Le tre dimensioni vengono valutate in relazione all’opposizione tra heritage, cioè continuità rispetto al passato e ai concorrenti e vision, cioè discontinuità rispetto alla propria storia comunicazionale e a quella dei concorrenti. Si esplorano inoltre altri fattori come il testimonial-endorser che, in quanto elemento già intrinsecamente foriero di elementi di valorizzazione, va a influire in modo rilevante sul complesso tematico e assiologico della pubblicità. Essendo la sezione della tesi che prende in considerazione il piano specificatamente contenutistico dello spot, questa parte diventa quindi anche l’occasione per ritornare sul modello delle assiologie del consumo di Jean-Marie Floch, approntando alcune critiche e difendendo invece un modello che – secondo la prospettiva qui esposta – contiene punti di attualità ineludibili rispetto a schematizzazioni che gli sono successive e in qualche modo debitrici. Segue una sezione (§ 3.) specificatamente dedicata allo svolgimento e dis-implicazione del sincretismo audiovisivo e quindi – specularmente alla precedente, dedicata alle forme e sostanze del contenuto – si concentra sulle dinamiche espressive. Lo spot viene quindi analizzato in quanto “forma testuale” dotata di alcune specificità, tra cui in primis la brevità. Inoltre vengono approfondite le problematiche legate all’apporto di ciascuna specifica sostanza: il rapporto tra visivo e sonoro, lo schermo e la sua multiprospetticità sempre più evidente, il “lavoro” di punteggiatura della musica, ecc. E su tutto il concetto dominante di montaggio, intrinsecamente unito a quello di ritmo. Il quarto capitolo ritorna in modo approfondito sul rapporto tra semiotica e ricerca di mercato, analizzando sia i rapporti di reciproca conoscenza (o non conoscenza), sia i nuovi spazi di intervento dell’analisi semiotica. Dopo aver argomentato contro un certo scetticismo circa l’utilità pragmatica dell’analisi semiotica, lo studio prende in esame i tradizionali modelli di valutazione e misurazione dell’efficacia pubblicitaria (pre- e post- test) cercando di semiotizzarne il portato. Ne consegue la proposta di disegni di ricerca semiotici modulari: integrabili tra loro e configurabili all’interno di progetti semio-quali-quantitativi. Dopo aver ridefinito le possibilità di un’indagine semiotica sui parametri di efficacia discorsiva, si procede con l’analisi di un caso concreto (§ 5.): dato uno spot che si è dimostrato efficace agli occhi dell’azienda committente, quali possono essere i modi per replicarne i fattori di successo? E come spiegare invece quelli di insuccesso delle campagne successive che – almeno teoricamente – erano pensate per capitalizzare l’efficacia della prima? Non si tratta quindi di una semiotica ingenuamente chiamata a “misurare” l’efficacia pubblicitaria, che evidentemente la marketing research analizza con strumenti quantitativi assodati e fondati su paradigmi di registrazione di determinati parametri sul consumatore (ricordo spontaneo e sollecitato, immagine di marca risultante nella mente di user e prospect consumer, intenzione d’acquisto stimolata). Piuttosto l’intervento qui esposto si preoccupa più funzionalmente a spiegare quali elementi espressivi, discorsivi, narrativi, siano stati responsabili (e quindi prospetticamente potranno condizionare in positivo o in negativo in futuro) la ricezione dello spot. L’analisi evidenzia come elementi apparentemente minimali, ancorati a differenti livelli di pertinenza siano in grado di determinare una notevole diversità negli effetti di senso. Si tratta quindi di un problema di mancata coerenza tra intenzioni comunicative e testo pubblicitario effettivamente realizzato. La risoluzione di tali questioni pragmatiche conduce ad approfondimenti teoricometodologici su alcuni versanti particolarmente interessanti. In primo luogo, ci si interroga sull’apporto della dimensione passionale nella costruzione dell’efficacia e nel coinvolgimento dello spettatore/consumatore. Inoltre – e qui risiede uno dei punti di maggior sintesi del lavoro di tesi – si intraprende una proficua discussione dei modelli di tipizzazione dei generi pubblicitari, intesi come forme discorsive. Si fanno quindi dialogare modelli diversi ma in qualche misura coestensivi e sovrapponibili come quelli di Jean Marie Floch, Guido Ferraro, Cosetta Saba e Chiara Giaccardi. Si perviene così alla costruzione di un nuovo modello sintetico, idealmente onnipervasivo e trasversale alle prospettive analizzate.
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L’importanza dell’acqua nel territorio ravennate è facilmente riscontrabile nella sua storia: la città sorge letteralmente in mezzo all’acqua, composta da fiumi, canali e specchi d’acqua, mutati profondamente nel corso del tempo grazie alle bonifiche e all’opera dell’uomo. Diventa, quindi, fondamentale uno studio di come la città abbia convissuto, si sia adattata all’acqua e di come l’uomo abbia cambiato la conformazione della città nel tempo in base al sistema idrico. Ora Ravenna ha, per cosi dire, perso il suo carattere di città marittima, ciò che prima si trovava a diretto contatto con il mare ora risulta distaccato e le tracce di questa evoluzione si sono via via perse col passare degli anni. L’unico collegamento al mare e alle zona lagunare limitrofa al porto rimane il canale Candiano, un collegamento che porta l’acqua fino al confine del centro storico. Il porto che prima rivestiva un ruolo importante e di sopravvivenza, in quanto il mercato ittico rappresentava un punto nodale nella vita della città e dei suoi abitanti, ora ha cambiato la sua destinazione a crocevia del commercio e di materie prime utilizzate dalle industrie sorte lungo le sponde del canale Candiano. Il museo delle acque vuole essere perciò un salto nel passato, riscoprendo e valorizzando l’antico legame tra uomo, città e acqua. Alla luce dello stato di fatto, dei cambiamenti e degli studi condotti sull’area, andiamo ora a chiarire gli aspetti basilari e generatori dell’edificio museale: - L’ingresso verrà posto lungo l’asse viario proveniente dalla città e dal mausoleo di Teodorico. - L’intero progetto verrà immerso nel verde, e collegato al vicino parco di Teodorico. - Il museo verrà realizzato all’interno di una piazza urbana che diverrà il fulcro della nuova cittadella della cultura. Prima di tutto è importante capire cosa si vuole esporre all’interno del museo e a che tipo di visitatore le mostre sono dedicate. Il museo prevede per lo più mostre permanenti dedicate al tema dell’acqua. L’esposizione si dividerà principalmente in due parti, la prima riguarderà le lagune costiere presenti nelle zone del porto di Ravenna, la seconda dedicata al Mare saranno quindi idealmente due percorsi differenti. Il percorso inizierà al primo piano con una sala completamente buia nella quale verranno presentati gli aspetti principali dei fondali. Nel caso delle lagune, saranno esposte le stratificazione e composizione dei fondali con carotaggi e pannelli illustrativi dell’evoluzione nel tempo, gli aspetti chimici e soprattutto idraulici di questo sistema. Il tutto sarà improntato per far comprendere l’importanza delle lagune, grazie alle quali è possibile il corretto funzionamento del porto, dovuto elle maree. Al secondo piano del Museo verrà illustrata la vita all’interno della laguna, quindi le specie presenti, sia animali che vegetali, siano esse naturali o introdotte dall’uomo, come nel caso degli allevamenti di vongole filippine, determinando le dinamiche di conservazione di questo patrimonio faunistico e naturalistico, con attività di analisi legate al centro ricerche. Si provvederà in questo senso anche a controllare i vari livelli massimi di inquinamento delle attività industriali presenti nel canale. Al terzo piano si andranno ad analizzare e mostrare gli aspetti che legano queste zone alle attività umane, che possiamo riunire in due settori principali quali la pesca e la navigazione. Verranno esposti utilizzando modelli in scala, cartellonistica, pannelli illustrativi ed immagini e tutta una serie di oggetti che illustrano le relazioni tre l’uomo e il luogo. Ci sarà una sezione dedicata alle imbarcazioni utilizzate per il guado dei canali, fino ai più piccoli strumenti usati proprio nelle attività di pesca. Al quarto piano si concluderà l’esposizione cercando di lasciare l’aspetto scientifico e ci si dedicherà all’evoluzione del porto dalle origini con il suo mercato ittico, fino ai giorni nostri in cui i traffici di materie prime destinate alle industrie sono l’aspetto principale. Il percorso museale si eleva a spirale, è formato da due rampe quadrate che servono i piani e che si intrecciano senza mai toccarsi. Questo permette al visitatore di scegliere il percorso che più gli interessa e nel modo che vuole, non è obbligato né dall’architettura né dal percorso espositivo, è quindi un sistema molto flessibile rispetto quello del museo classico, può capitare che due visitatori entrino nel museo insieme, inizino il giro in senso opposto, e non si incontrino mai, questa idea risulta complessa e nuova in un edificio che almeno esternamente sembra molto regolare e schematico. Per quanto riguarda la parte dell’illuminazione, che ha avuto anch’essa un ruolo molto importante all’interno del progetto del museo, l’idea è quella di rendere un effetto di risalita dalle profondità del mare fino alla superficie, man mano che si sale lungo il percorso espositivo. Per fare ciò, è stato svolto uno studio attento delle aperture, lasciando il primo piano espositivo cieco ed aprendo il secondo e il terzo piano in maniera da avere un progressivo aumento di luce nelle sale. Le finestre sono state posizionate compatibilmente con la composizione esterna dei prospetti, alla ricerca di un giusto equilibrio tra pieni e vuoti e tra composizione e tecnica.
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Questa tesi di laurea nasce da una collaborazione con il Centro Studi Vitruviani di Fano, un’associazione nata il 30 Settembre 2010 nella mia città. Le note vicende riguardanti la Basilica vitruviana di Fano fanno della città adriatica il luogo più autorevole per accogliere un Centro Studi Internazionale dedicato all’opera di Vitruvio. Questa associazione è nata come contenitore di riferimento per eventi e iniziative legate al mondo della classicità intesa come momento storico, ma anche come più ampio fenomeno non solo artistico che interessa trasversalmente tutta la cultura occidentale. La creazione di un’istituzione culturale, di fondazione pubblico-privata, con l'obiettivo di porsi a riferimento internazionale per il proprio ambito di ricerca, è notizia comunque rilevante in un periodo in cui lo Stato vara l’articolo 7 comma 22 di una legge che ribadisce la fine dei finanziamenti agli enti, agli istituti, e alle fondazioni culturali. Il Centro Studi Vitruviani dovrà diventare presto sede di momenti scientifici alta, borse di studio, occasioni divulgative, mostre, iniziative didattiche. L’alto livello scientifico mi si è presentato subito chiaro durante questi mesi di collaborazione con il Centro, quando ho avuto l’occasione di incontrare e conoscere e contattare personalità quali i Professori Salvatore Settis, Pierre Gros, Howard Burns, Antonio Corso, Antonio Monterroso e Piernicola Pagliara. Attualmente nella mia città il Centro Studi ha una sede non adeguato, non è fruibile al pubblico (per problemi accessi in comune con altri Enti) e non è riconoscibile dall’esterno. L’attuale sede è all’interno del complesso conventuale del S.Agostino. Il Centro Studi mi ha proposto di valutare la possibilità di un ampliamento dell’associazione in questo edificio storico. Nel mio progetto è stato previsto un processo di acquisizione totale del complesso, con un ripensamento dell’accesso riconoscibile dall’esterno, e un progetto di rifunzionalizzazione degli spazi interni. È stata inserita un’aula per la presentazione di libri, incontri e congressi, mostre ed esposizioni, pubblicazioni culturali e specialistiche. Il fatto interessante di questa sede è che l’edificio vive sulle rovine di un tempio romano, già visitabile e inserite nelle visite della città sotterranea. Fano, infatti, è una città di mare, di luce e nello stesso tempo di architetture romane sotterranee. L’identità culturale e artistica della città è incisa nelle pieghe dei suoi resti archeologici. Le mura augustee fanesi costituiscono il tratto più lungo di mura romane conservate nelle città medio-adriatiche. Degli originari 1750 metri, ne rimangono circa 550. Di grande suggestione sono le imponenti strutture murarie rinvenute sotto il complesso del Sant’Agostino che hanno stimolato per secoli la fantasia e suscitato l'interesse di studiosi ed appassionati. Dopo la prima proposta il Centro Studi Vitruviani mi ha lanciato una sfida interessante: l’allargamento dell’area di progetto provando a ripensare ad una musealizzazione delle rovine del teatro romano dell’area adiacente. Nel 2001 l’importante rinvenimento archeologico dell’edificio teatrale ha donato ulteriori informazioni alle ricostruzione di una pianta archeologica della città romana. Questa rovine tutte da scoprire e da ripensare mi si sono presentate come un’occasione unica per il mio progetto di tesi ed, inoltre, estremamente attuali. Nonostante siano passati dieci anni dal rinvenimento del teatro, dell’area mancava un rilievo planimetrico aggiornato, un’ipotesi ricostruttiva delle strutture. Io con questo lavoro di Tesi provo a colmare queste mancanze. La cosa che ritengo più grave è la mancanca di un progetto di musealizzazione per inserire la rovina nelle visite della Fano romana sotteranea. Spero con questa tesi di aver donato materiale e suggestioni alla mia città, per far comprendere la potenzialità dell’area archeologica. Per affrontare questo progetto di Tesi sono risultate fondamentali tre esperienze maturate durante il mio percorso formativo: prima fra tutte la partecipazione nel 2009 al Seminario Internazionale di Museografia di Villa Adriana Premio di Archeologia e Architettura “Giambattista Piranesi” organizzato nella nostra facoltà dal Prof. Arch. Sandro Pittini. A noi studenti è stata data la possibilità di esercitarci in un progetto di installazioni rigorosamente temporanee all’interno del sedime archeologico di Villa Adriana, grande paradigma per l’architettura antica così come per l’architettura contemporanea. Nel corso del quarto anno della facoltà di Architettura ho avuto l’occasione di seguire il corso di Laboratorio di Restauro con i professori Emanuele Fidone e Bruno Messina. Il laboratorio aveva come obiettivo principale quello di sviluppare un approccio progettuale verso la preesistenza storica che vede l'inserimento del nuovo sull'antico non come un problema di opposizione o di imitazione, ma come fertile terreno di confronto creativo. Durante il quinto anno, ho scelto come percorso conclusivo universitario il Laboratorio di Sintesi Finale L’architettura del Museo, avendo già in mente un progetto di tesi che si rivolgesse ad un esercizio teorico di progettazione di un vero e proprio polo culturale. Il percorso intrapreso con il Professor Francesco Saverio Fera mi ha fatto comprendere come l’architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente dell’edificio pubblico si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. È per questo che nei primi capitoli di questa Tesi ho cercato di restituire una seria e attenta analisi urbana della mia città. Nel progetto di Tesi prevedo uno spostamento dell’attuale Sezione Archeologica del Museo Civico di Fano nell’area di progetto. Attualmente la statuaria e le iscrizioni romane sono sistemate in sei piccole sale al piano terra del Palazzo Malatestiano: nel portico adiacente sono esposti mosaici e anfore sottoposte all’azione continua di volatili. Anche la Direttrice del Museo, la Dott.ssa Raffaella Pozzi è convinta del necessario e urgente spostamento. Non è possibile lasciare la sezione archeologica della città all’interno degli insufficienti spazi del Palazzo Malatestiano con centinaia di reperti e materiali vari (armi e uniformi, pesi e misure, ceramiche, staturia, marmi, anfore e arredi) chiusi e ammassati all’interno di inadeguati depositi. Il tutto è stato opportunamente motivato in un capitolo di questa Tesi. Credo fortemente che debbano essere le associazioni quali il CSV assieme al già attivissimo Archeclub di Fano e il Museo Archeologico, i veri punti di riferimento per questa rinascita culturale locale e territoriale, per promuovere studi ed iniziative per la memoria, la tutela e la conservazione delle fabbriche classiche e del locale patrimonio monumentale. Questo lavoro di Tesi vuole essere un esercizio teorico che possa segnare l’inizio di un nuovo periodo culturale per la mia città, già iniziato con l’istituzione del Centro Studi Vitruviani. L’evento folkloristico della Fano dei Cesari, una manifestazione sicuramente importante, non può essere l’unico progetto culturale della città! La “Fano dei Cesari” può continuare ad esistere, ma deve essere accompagnata da grandi idee, grandi mostre ed eventi accademici.
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Phase 1: To validate Near-Infrared Reflectance Analysis (NIRA) as a fast, reliable and suitable method for routine evaluation of human milk’s nitrogen and fat content. Phase 2: To determine whether fat content, protein content and osmolality of HM before and after fortification may affect gastroesophageal reflux (GER) in symptomatic preterm infants. Patients and Methods: Phase 1: 124 samples of expressed human milk (55 from preterm mothers and 69 from term mothers) were used to validate NIRA against traditional methods (Gerber method for fat and Kjeldhal method for nitrogen). Phase 2: GER was evaluated in 17 symptomatic preterm newborns fed naïve and fortified HM by combined pH/intraluminal-impedance monitoring (pH-MII). HM fat and protein content was analysed by a Near-Infrared-Reflectance-Analysis (NIRA). HM osmolality was tested before and after fortification. GER indexes measured before and after fortification were compared, and were also related with HM fat and protein content and osmolality before and after fortification. Results: Phase 1: · A strong agreement was found between traditional methods’ and NIRA’s results (expressed as g/100 g of milk), both for fat and nitrogen content in term (mean fat content: NIRA=2.76; Gerber=2.76; mean nitrogen content: NIRA=1.88; Kjeldhal =1.92) and preterm (mean fat content: NIRA=3.56; Kjeldhal=3.52; mean nitrogen content: NIRA=1.91; Kjeldhal =1.89) mother’s milk. · Nitrogen content of the milk samples, measured by NIRA, ranged from 1.18 to 2.71 g/100 g of milk in preterm milk and from 1.48 to 2.47 in term milk; fat content ranged from 1.27 to 6.23 g/100 g of milk in preterm milk and from 1.01 to 6.01 g/100 g of milk in term milk. Phase 2: · An inverse correlation was found between naïve HM protein content and acid reflux index (RIpH: p=0.041, rho=-0.501). · After fortification, osmolality often exceeded the values recommended for infant feeds; furthermore, a statistically significant (p<.05) increase in non acid reflux indexes was observed. Conclusions: NIRA can be used as a fast, reliable and suitable tool for routine monitoring of macronutrient content of human milk. Protein content of naïve HM may influence acid GER in preterm infants. A standard fortification of HM may worsen non acid GER indexes and, due to the extreme variability in HM composition, may overcome both recommended protein intake and HM osmolality. Thus, an individualized fortification, based on the analysis of the composition of naïve HM, could optimize both nutrient intake and feeding tolerance.
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Nel contesto della progettazione di interventi di difesa da frane di crollo, la tesi è rivolta allo studio del comportamento di opere di protezione dalla caduta massi, con particolare riguardo alle barriere paramassi, strutture metalliche progettate per arrestare blocchi in caduta lungo un versante. Specificamente, il comportamento altamente non lineare di queste strutture è stato osservato mediante modellazione numerica agli elementi finiti con codice di calcolo STRAUS 7 v.2.3.3. La formulazione dei modelli è stata sviluppata a partire dai dati contenuti nel Catasto delle opere di protezione (VISO), recentemente messo a punto dalla Provincia Autonoma di Bolzano, nel contesto di una più ampia procedura di analisi della pericolosità di versante in presenza di opere di protezione, finalizzata ad una appropriata gestione del rischio indotto da frane di crollo. Sono stati messi a punto una serie di modelli agli elementi finiti di alcune tra le tipologie più ricorrenti di barriere paramassi a limitata deformabilità. Questi modelli, sottoposti ad una serie di analisi dinamiche e non-lineari, intese a simulare l’impatto di blocchi aventi massa e velocità nota, hanno permesso di osservare la risposta complessiva di queste strutture in regime dinamico identificando i meccanismi di rottura a partire dall’osservazione della formazione di cerniere plastiche, monitorando contestualmente grandezze rilevanti quali gli spostamenti e le forze mobilitate in fondazione. Questi dati, opportunamente interpretati, possono fornire i parametri necessari all’implementazione di più ampie procedure di analisi del rischio indotto da movimenti frane di crollo.