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Obiettivi: Valutare la prevalenza dei diversi genotipi di HPV in pazienti con diagnosi di CIN2/3 nella Regione Emilia-Romagna, la persistenza genotipo-specifica di HPV e l’espressione degli oncogeni virali E6/E7 nel follow-up post-trattamento come fattori di rischio di recidiva/persistenza o progressione di malattia; verificare l’applicabilità di nuovi test diagnostici biomolecolari nello screening del cervicocarcinoma. Metodi: Sono state incluse pazienti con citologia di screening anormale, sottoposte a trattamento escissionale (T0) per diagnosi di CIN2/3 su biopsia mirata. Al T0 e durante il follow-up a 6, 12, 18 e 24 mesi, oltre al Pap test e alla colposcopia, sono state effettuate la ricerca e la genotipizzazione dell'HPV DNA di 28 genotipi. In caso di positività al DNA dei 5 genotipi 16, 18, 31, 33 e/o 45, si è proceduto alla ricerca dell'HPV mRNA di E6/E7. Risultati preliminari: Il 95.8% delle 168 pazienti selezionate è risultato HPV DNA positivo al T0. Nel 60.9% dei casi le infezioni erano singole (prevalentemente da HPV 16 e 31), nel 39.1% erano multiple. L'HPV 16 è stato il genotipo maggiormente rilevato (57%). Il 94.3% (117/124) delle pazienti positive per i 5 genotipi di HPV DNA sono risultate mRNA positive. Abbiamo avuto un drop-out di 38/168 pazienti. A 18 mesi (95% delle pazienti) la persistenza dell'HPV DNA di qualsiasi genotipo era del 46%, quella dell'HPV DNA dei 5 genotipi era del 39%, con espressione di mRNA nel 21%. Abbiamo avuto recidiva di malattia (CIN2+) nel 10.8% (14/130) a 18 mesi. Il pap test era negativo in 4/14 casi, l'HPV DNA test era positivo in tutti i casi, l'mRNA test in 11/12 casi. Conclusioni: L'HR-HPV DNA test è più sensibile della citologia, l'mRNA test è più specifico nell'individuare una recidiva. I dati definitivi saranno disponibili al termine del follow-up programmato.
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Introduzione: la leishmaniosi canina (CanL) è una malattia infettiva, trasmessa da vettore e sostenuta da un protozoo, la Leishmania infantum. La CanL ha assunto sempre più importanza sia in medicina veterinaria che in medicina umana. La leishmaniosi è fortemente associata allo sviluppo di una nefropatia cronica. Disegno dello studio: studio di coorte retrospettivo. Obiettivo: individuare le alterazioni clinico-patologiche prevalenti al momento dell’ammissione e durante il follow-up del paziente, per identificare quelle con un valore prognostico maggiore. Materiali e metodi: 167 cani, per un totale di 187 casi trattati, con diagnosi sierologica e/o citologica di Leishmaniosi e dati ematobiochimici completi, elettroforesi sierica, analisi delle urine e biochimica urinaria comprensiva di proteinuria (UPC) ed albuminuria (UAC), profilo coagulativo (ATIII, d-Dimeri, Fibrinogeno) e marker d’infiammazione (CRP). Dei pazienti inclusi è stato seguito il follow-up clinico e clinicopatologico per un periodo di tempo di due anni e sono stati considerati. Risultati: Le alterazione clinicopatologiche principali sono state anemia (41%), iperprotidemia (42%), iperglobulinemia (75%), ipoalbuminemia (66%), aumento della CRP (57%), incremento dell’UAC (78%), aumento dell’UPC (70%), peso specifico inadeguato (54%) e riduzione dell’ATIII (52%). Il 37% dei pazienti non era proteinurico e di questi il 27% aveva già un’albuminuria patologica. Il 38% dei pazienti aveva una proteinuria nefrosica (UPC>2,5) e il 22% era iperazotemico. I parametri clinicopatologici hanno mostrato una tendenza a rientrare nella normalità dopo il 90° giorno di follow-up. La creatinina sierica, tramite un analisi multivariata, è risultata essere il parametro correlato maggiormente con l’outcome del paziente. Conclusione: i risultati ottenuti in funzione dell’outcome dei pazienti hanno mostrato che i soggetti deceduti durante il follow-up, al momento dell’ammissione avevano valori di creatinina, UPC e UAC più elevati e ingravescenti. Inoltre l’UAC può venire considerato un marker precoce di nefropatia e la presenza di iperazotemia all’ammissione, in questi pazienti, ha un valore prognostico negativo.
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L’ictus è un importante problema di salute pubblica, è causa di morte e disabilità nella popolazione anziana. La necessità di strategie di prevenzione secondaria e terziaria per migliorare il funzionamento post-ictus e prevenire o ritardare altre condizioni disabilitanti, ha portato l’Italia a sviluppare un intervento di Attività Fisica Adattata (AFA) per l’ictus, che permettesse di migliorare gli esiti della riabilitazione. Obiettivo dello studio è di valutare se l’AFA unita all’Educazione Terapeutica (ET), rispetto al trattamento riabilitativo standard, migliora il funzionamento e la qualità di vita in pazienti con ictus. Studio clinico non randomizzato, in cui sono stati valutati 229 pazienti in riabilitazione post-ictus, 126 nel gruppo sperimentale (AFA+ET) e 103 nel gruppo di controllo. I pazienti sono stati valutati al baseline, a 4 e a 12 mesi di follow-up. Le misure di esito sono il cambiamento a 4 mesi di follow-up (che corrisponde a 2 mesi post-intervento nel gruppo sperimentale) di: distanza percorsa, Berg Balance Scale, Short Physical Performance Battery, e Motricity Index. Le variabili misurate a 4 e a 12 mesi di follow-up sono: Barthel Index, Geriatric Depression Scale, SF-12 e Caregiver Strain Index. La distanza percorsa, la performance fisica, l’equilibrio e il punteggio della componente fisica della qualità di vita sono migliorate a 4 mesi nel gruppo AFA+ET e rimasti stabili nel gruppo di controllo. A 12 mesi di follow-up, il gruppo AFA+ET ottiene un cambiamento maggiore, rispetto al gruppo di controllo, nell’abilità di svolgimento delle attività giornaliere e nella qualità di vita. Infine il gruppo AFA+ET riporta, nell’ultimo anno, un minor numero di fratture e minor ricorso a visite riabilitative rispetto al gruppo di controllo. I risultati confermano che l’AFA+ET è efficace nel migliorare le condizioni cliniche di pazienti con ictus e che gli effetti, soprattutto sulla riabilitazione fisica, sono mantenuti anche a lungo termine.
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Lo studio ha posto l'attenzione sul rapporto costo-efficacia tra le metodiche più utilizzate per la rimozione di carcinomi basocellulari: l'asportazione chirurgica e la terapia fotodinamica. Dai dati si evince che la rimozione chirurgica è la metodica più efficace per la minore frequenza di recidive (4.7%) rispetto alla terapia fotodinamica (6%). Questo dato è valido unicamente per i carcinomi superficiali; per i carcinomi nodulari la frequenza di recidiva con la terapia fotodinamica risulta essere più elevata (35%). La chirurgia è una metodica più costosa rispetto alla fotodinamica. La variabile dolore risulta essere minore per la chirurgia rispetto alla fotodinamica. Il risultato estetico invece è migliore per la fotodinamica rispetto alla terapia chirurgica. I costi invece sono più elevati per la terapia chirurgica. Rimane un'ultima considerazione: la terapia fotodinamica richiede talvolta un nuovo intervento a distanza di mesi o anni e pertanto questa scelta comporta costi aggiuntivi.
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Background: sebbene la letteratura recente abbia suggerito che l’utilizzo degli impianti corti possa rappresentare una alternative preferibile alle procedure di rigenerazione ossea nelle aree posteriori atrofiche, perché è un trattamento più semplice e con meno complicazioni, esistono solo pochi studi a medio e lungo termine che abbiano comparato queste tecniche. Scopo: lo scopo di questo studio retrospettivo è quello di valutare se gli impianti corti (6-8 mm) (gruppo impianti corti) possano presentare percentuali di sopravvivenza e valori di riassorbimento osseo marginali simili a impianti di dimensioni standard (≥11 mm) inseriti contemporaneamente ad una grande rialzo di seno mascellare. Materiali e Metodi: in totale, 101 pazienti sono stati inclusi: 48 nel gruppo impianti corti e 53 nel gruppo seno. In ciascun paziente da 1 a 3 impianti sono stati inseriti e tenuti sommersi per 4-6 mesi. I parametri clinici e radiografici valutati sono: i fallimenti implantari, le complicazioni, lo stato dei tessuti molli, e il riassorbimento osseo marginale. Tutti i pazienti sono stati seguiti per almeno 3 anni dal posizionamento implantare. Risultati: il periodo di osservazione medio è stato di 43.47 ± 6.1 mesi per il gruppo impianti corti e 47.03 ± 7.46 mesi per il gruppo seno. Due su 101 impianti corti e 6 su 108 impianti standard sono falliti. Al follow-up finale, si è riscontrato un riassorbimento osseo medio di 0.47 ± 0.48 mm nel gruppo impianti corti versus 0.64 ± 0.58 mm nel gruppo seno. Non sono presenti differenze statisticamente significative fra i gruppi in termini di fallimenti implantari, complicazioni protesiche, tessuti molli, e riassorbimento osseo. Il gruppo seno ha presentato, invece, un maggior numero di complicazioni chirurgiche. Conclusioni: entrambe le tecniche hanno dimostrato un simile tasso di successo clinico e radiografico, ma gli impianti corti hanno ridotto il numero di complicazioni chirurgiche.
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B0218+357 è un blazar soggetto al lensing che si trova a z=0.944. Questo sistema consiste in due componenti compatte (A e B) e un anello di Einstein. Recentemente è stato associato ad una sorgente gamma soggetta a burst osservata con il satellite Fermi-LAT. Questo blazar ha mostrato una forte variabilità in banda γ da agosto a settembre del 2012. Gli episodi di variabilità osservati hanno consentito di misurare per la prima volta in banda gamma il ritardo temporale previsto dalla teoria del lensing gravitazionale. Le osservazioni in banda gamma sono state seguite da un programma di monitoring con il Very Long Baseline Array (VLBA) in banda radio con lo scopo di verificare l’esistenza di una correlazione tra l’emissione nelle due bande. In questa Tesi tali osservazioni radio sono state analizzate con lo scopo di studiare la variabilità di B0218+357 e, quindi, attestare la connessione tra l’emissione alle alte energie e quella in banda radio. L’obiettivo principale di questo lavoro di Tesi è quello di studiare l’evoluzione della densità di flusso, dell’indice spettrale e della morfologia delle immagini A e B e delle loro sottocomponenti. I dati analizzati sono stati ottenuti con l’interferometro VLBA a tre frequenze di osser- vazione: 2.3, 8.4 GHz (4 epoche con osservazioni simultanee alle due frequenze) e 22 GHz (16 epoche). Le osservazioni hanno coperto un periodo di circa due mesi, subito successivo al flare in banda gamma. La riduzione dei dati è stata effettuata con il pacchetto AIPS. Dall’analisi delle immagini, nella componente B è possibile riconoscere la tipica struttura nucleo-getto chiaramente a tutte e tre le frequenze, invece nella componente A questa struttura è identificabile solo a 22 GHz. A 2.3 e 8.4 GHz la risoluzione non è sufficiente a risolvere nucleo e getto della componente A e l’emissione diffusa risulta dominante. Utilizzando il metodo dello stacking sulle immagini a 2.3 GHz, è stato possibile rivelare le parti più brillanti dell’Einstein ring associato a questa sorgente. Questo è stato possibile poiché la sorgente non ha mostrato alcun segno di variabilità significativa né di struttura né di flusso nelle componenti. Quindi dall’analisi delle curve di luce delle due componenti A e B non è emersa una variabilità significativa chiaramente associabile al flare osservato in banda gamma. Per verificare questo risultato, le curve di luce ottenute sono state confrontate con le osservazioni del radio telescopio OVRO (15 GHz) nel periodo corrispondente alle nostre osservazioni. La curva di luce OVRO è risultata in pieno accordo con le curve di luce ottenute durante questo lavoro di tesi e ha confermato che B0218+257 non ha mostrato un’importante attività radio nel periodo delle osservazioni VLBA. In definitiva, la mancanza di variabilità radio associata a quella osservata nei raggi gamma può essere dovuta al fatto che la regione in cui si è originato il flare gamma è otticamente spessa alle lunghezze d’onda radio, oppure non esiste una precisa correlazione tra le due emissioni, rimanendo quindi un problema aperto da investigare.
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Purpose To evaluate geriatric assessment (GA) domains in relation to clinically important outcomes in older breast cancer survivors. Methods Six hundred sixty women diagnosed with primary breast cancer in four US geographic regions (Los Angeles, CA; Minnesota; North Carolina; and Rhode Island) were selected with disease stage I to IIIA, age ≥ 65 years at date of diagnosis, and permission from attending physician to contact. Data were collected over 7 years of follow-up from consenting patients' medical records, telephone interviews, physician questionnaires, and the National Death Index. Outcomes included self-reported treatment tolerance and all-cause mortality. Four GA domains were described by six individual measures, as follows: sociodemographic by adequate finances; clinical by Charlson comorbidity index (CCI) and body mass index; function by number of physical function limitations; and psychosocial by the five-item Mental Health Index (MHI5) and Medical Outcomes Study Social Support Survey (MOS-SSS). Associations were evaluated using t tests, χ2 tests, and regression analyses. Results In multivariable regression including age and stage, three measures from two domains (clinical and psychosocial) were associated with poor treatment tolerance; these were CCI ≥ 1 (odds ratio [OR] = 2.49; 95% CI, 1.18 to 5.25), MHI5 score less than 80 (OR = 2.36; 95% CI, 1.15 to 4.86), and MOS-SSS score less than 80 (OR = 3.32; 95% CI, 1.44 to 7.66). Four measures representing all four GA domains predicted mortality; these were inadequate finances (hazard ratio [HR] = 1.89; 95% CI, 1.24 to 2.88; CCI ≥ 1 (HR = 1.38; 95% CI, 1.01 to 1.88), functional limitation (HR = 1.40; 95% CI, 1.01 to 1.93), and MHI5 score less than 80 (HR = 1.34; 95% CI, 1.01 to 1.85). In addition, the proportion of women with these outcomes incrementally increased as the number of GA deficits increased. Conclusion This study provides longitudinal evidence that GA domains are associated with poor treatment tolerance and predict mortality at 7 years of follow-up, independent of age and stage of disease.
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Lymphedema of the arm is a common complication of breast cancer with symptoms that can persist over long periods of time. For older women (over 50% of breast cancer cases) it means living with the potential for long-term complications of persistent lymphedema in conjunction with the common diseases and disabilities of aging over survivorship. We identified women > or =65 years diagnosed with primary stage I-IIIA breast cancer. Data were collected over 7 years of follow-up from consenting patients' medical records and telephone interviews. Data collected included self-reported symptoms of persistent lymphedema, breast cancer characteristics, and selected sociodemographic and health-related characteristics. The overall prevalence of symptoms of persistent lymphedema was 36% over 7 years of follow-up. Having stage II or III (OR = 1.77, 95% CI: 1.07-2.93) breast cancer and having a BMI >30 (OR = 3.04, 95% CI: 1.69-5.45) were statistically significantly predictive of symptoms of persistent lymphedema. Women > or =80 years were less likely to report symptoms of persistent lymphedema when compared to younger women (OR = 0.44, 95% CI: 0.18-0.95). Women with symptoms of persistent lymphedema consistently reported worse general mental health and physical function. Symptoms of persistent lymphedema were common in this population of older breast cancer survivors and had a noticeable effect on both physical function and general mental health. Our findings provide evidence of the impact of symptoms of persistent lymphedema on the quality of survivorship of older women. Clinical and research efforts focused on risk factors for symptoms of persistent lymphedema in older breast cancer survivors may lead to preventative and therapeutic measures that help maintain their health and well-being over increasing periods of survivorship.
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OBJECTIVE: To determine the prevalence and independent predictors of significant atherosclerotic renal artery stenosis (RAS) in unselected hypertensive patients undergoing coronary angiography and to assess the 6-month outcome of those patients with a significant RAS. METHODS: One thousand, four hundred and three consecutive hypertensive patients undergoing drive-by renal arteriography were analyzed retrospectively. Univariate and multivariate logistic regression analyses were performed to identify independent predictors of RAS. In patients with significant RAS (>or=50% luminal narrowing), 6-month follow-up was assessed and outcome was compared between patients with or without renal revascularization. RESULTS: The prevalence of significant RAS was 8%. After multivariate analysis, coronary [odds ratio 5.3; 95% confidence interval (CI) 2.7-10.3; P < 0.0001], peripheral (odds ratio 3.3; 95% CI 2.0-5.5; P < 0.0001), and cerebral artery (odds ratio 2.8; 95% CI 1.5-5.3; P = 0.001) diseases, and impaired renal function (odds ratio 2.9; 95% CI 1.8-4.5; P < 0.0001) were found as independent predictors. At least one of these predictors was present in 96% of patients with RAS. In 74 patients (66%) with significant RAS, an ad hoc revascularization was performed. At follow-up, creatinine clearance was significantly higher in revascularized than in nonrevascularized patients (69.2 vs. 55.5 ml/min per 1.73 m, P = 0.029). By contrast, blood pressure was comparable between both groups, but nonrevascularized patients were taking significantly more antihypertensive drugs as compared with baseline (2.7 vs. 2.1, follow-up vs. baseline; P = 0.0066). CONCLUSION: The prevalence of atherosclerotic RAS in unselected hypertensive patients undergoing coronary angiography was low. Coronary, peripheral, and cerebral artery diseases, and impaired renal function were independent predictors of RAS. Ad hoc renal revascularization was associated with better renal function and fewer intake of antihypertensive drugs at follow-up.
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Imaging studies show entrapment of the left renal vein in the fork between the aorta and proximal superior mesenteric artery in most cases of isolated postural proteinuria. Therefore, it has been postulated that partial obstruction to the flow in the left renal vein in the upright position is a cause of this form of proteinuria. In a girl with isolated postural proteinuria, kidney ultrasonic imaging and Doppler flow scanning showed left renal vein entrapment. Seven years later, a new evaluation showed resolution of both postural proteinuria and left renal vein entrapment. The longitudinal observation provides substantial additional support for entrapment of the left renal vein by the aorta and superior mesenteric artery as a cause of isolated postural proteinuria.
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BACKGROUND: Little information is available on a long-term follow-up in Bartter syndrome type I and II. METHODS: Clinical presentation, treatment and long-term follow-up (5.0-21, median 11 years) were evaluated in 15 Italian patients with homozygous (n = 7) or compound heterozygous (n = 8) mutations in the SLC12A1 (n = 10) or KCNJ1 (n = 5) genes. RESULTS: Thirteen new mutations were identified. The 15 children were born pre-term with a normal for gestational age body weight. Medical treatment at the last follow-up control included supplementation with potassium in 13, non-steroidal anti-inflammatory agents in 12 and gastroprotective drugs in five patients. At last follow-up, body weight and height were within normal ranges in the patients. Glomerular filtration rate was <90 mL/min/1.73 m(2) in four patients (one of them with a pathologically increased urinary protein excretion). In three patients, abdominal ultrasound detected gallstones. The group of patients with antenatal Bartter syndrome had a lower renin ratio (P < 0.05) and a higher standard deviation score (SDS) for height (P < 0.05) than a previously studied group of patients with classical Bartter syndrome. CONCLUSIONS: Patients with Bartter syndrome type I and II tend to present a satisfactory prognosis after a median follow-up of more than 10 years. Gallstones might represent a new complication of antenatal Bartter syndrome.
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Background: This study evaluates cardiovascular risk factors associated with progression of coronary artery disease (CAD) in patientswith silent ischemia followingmyocardial infarction. Hypothesis: Coronary artery disease only progresses slowly with comprehensive risk factor intervention. Methods: A total of 104 of 201 patients (51.7%) of the Swiss Interventional Study on Silent Ischemia Type II (SWISSI II) with baseline and follow-up coronary angiography were included. All patients received comprehensive cardiovascular risk factor intervention according to study protocol. Logistic regression was used to evaluate associationsbetween baseline cardiovascular risk factors and CAD progression. Results: The mean duration of follow-upwas 10.3 ± 2.4 years. At baseline, 77.9% of patients were smokers, 45.2% had hypertension, 73.1% had dyslipidemia, 7.7% had diabetes, and 48.1% had a family history of CAD. At last follow-up, only 27 patients of the initial 81 smokers still smoked, only 2.1% of the patients had uncontrolled hypertension, 10.6%of the patientshad uncontrolled dyslipidemia, and 2.1%of the patientshad uncontrolled diabetes. Coronary artery disease progression was found in up to 81 (77.9%) patients. Baseline diabetes and younger age were associatedwith increased odds of CAD progression.The time intervalbetween baseline and follow-up angiography was also associatedwith CAD progression. Conclusion: Coronary artery disease progressionwas highly prevalent in these patients despite comprehensive risk factor intervention. Further research is needed to optimize treatment of known risk factors and to identify other unknown and potentiallymodifiable risk factors.
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The need for and intensity of follow-up to detect disease recurrence after radical cystectomy (RC) for transitional cell carcinoma (TCC) remains a matter for debate.
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BACKGROUND: Periodontitis has been associated with cardiovascular disease. We assess if the recurrence of acute coronary syndrome (ACS) could be predicted by preceding medical and periodontal conditions. METHODS: A total of 165 consecutive subjects with ACS and 159 medically healthy, matched control subjects were examined and followed for 3 years. Periodontitis was defined by alveolar bone loss. Subgingival microbial samples were studied by the checkerboard DNA-DNA hybridization method. RESULTS: The recurrence of ACS was found in 66 of 165 (40.0%) subjects, and a first ACS event was found in seven of 159 (4.4%) subjects among baseline control subjects. Subjects who later had a second ACS event were older (P <0.001). Significantly higher serum levels of high-density lipoprotein (P <0.05), creatinine (P <0.01), and white blood cell (WBC) counts (P <0.001) were found in subjects with future ACS. Periodontitis was associated with a first event of ACS (crude odds ratio [OR]: 10.3:1; 95% confidence interval [CI]: 6.1 to 17.4; P <0.001) and the recurrence of ACS (crude OR: 3.6:1; 95% CI: 2.0 to 6.6; P <0.001). General linear modeling multivariate analysis, controlling for age and the prediction of a future ACS event, identified that WBC counts (F = 20.6; P <0.001), periodontitis (F = 17.6; P <0.001), and serum creatinine counts (F = 4.5; P <0.05) were explanatory of a future ACS event. CONCLUSIONS: The results of this study indicate that recurrent ACS events are predicted by serum WBC counts, serum creatinine levels, and a diagnosis of periodontitis. Significantly higher counts of putative pathogens are found in subjects with ACS, but these counts do not predict future ACS events.
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Practice guidelines are systematically developed statements and recommendations that assist the physicians and patients in making decisions about appropriate health care measures for specific clinical circumstances taking into account specific national health care structures. The 1(st) revision of the S-2k guideline of the German Sepsis Society in collaboration with 17 German medical scientific societies and one self-help group provides state-of-the-art information (results of controlled clinical trials and expert knowledge) on the effective and appropriate medical care (prevention, diagnosis, therapy and follow-up care) of critically ill patients with severe sepsis or septic shock. The guideline had been developed according to the "German Instrument for Methodological Guideline Appraisal" of the Association of the Scientific Medical Societies (AWMF). In view of the inevitable advancements in scientific knowledge and technical expertise, revisions, updates and amendments must be periodically initiated. The guideline recommendations may not be applied under all circumstances. It rests with the clinician to decide whether a certain recommendation should be adopted or not, taking into consideration the unique set of clinical facts presented in connection with each individual patient as well as the available resources.