797 resultados para MIO-operaatio
Resumo:
L’interazione che abbiamo con l’ambiente che ci circonda dipende sia da diverse tipologie di stimoli esterni che percepiamo (tattili, visivi, acustici, ecc.) sia dalla loro elaborazione per opera del nostro sistema nervoso. A volte però, l’integrazione e l’elaborazione di tali input possono causare effetti d’illusione. Ciò si presenta, ad esempio, nella percezione tattile. Infatti, la percezione di distanze tattili varia al variare della regione corporea considerata. Il concetto che distanze sulla cute siano frequentemente erroneamente percepite, è stato scoperto circa un secolo fa da Weber. In particolare, una determinata distanza fisica, è percepita maggiore su parti del corpo che presentano una più alta densità di meccanocettori rispetto a distanze applicate su parti del corpo con inferiore densità. Oltre a questa illusione, un importante fenomeno osservato in vivo è rappresentato dal fatto che la percezione della distanza tattile dipende dall’orientazione degli stimoli applicati sulla cute. In sostanza, la distanza percepita su una regione cutanea varia al variare dell’orientazione degli stimoli applicati. Recentemente, Longo e Haggard (Longo & Haggard, J.Exp.Psychol. Hum Percept Perform 37: 720-726, 2011), allo scopo di investigare come sia rappresentato il nostro corpo all’interno del nostro cervello, hanno messo a confronto distanze tattili a diverse orientazioni sulla mano deducendo che la distanza fra due stimoli puntuali è percepita maggiore se applicata trasversalmente sulla mano anziché longitudinalmente. Tale illusione è nota con il nome di Illusione Tattile Orientazione-Dipendente e diversi risultati riportati in letteratura dimostrano che tale illusione dipende dalla distanza che intercorre fra i due stimoli puntuali sulla cute. Infatti, Green riporta in un suo articolo (Green, Percpept Pshycophys 31, 315-323, 1982) il fatto che maggiore sia la distanza applicata e maggiore risulterà l’effetto illusivo che si presenta. L’illusione di Weber e l’illusione tattile orientazione-dipendente sono spiegate in letteratura considerando differenze riguardanti la densità di recettori, gli effetti di magnificazione corticale a livello della corteccia primaria somatosensoriale (regioni della corteccia somatosensoriale, di dimensioni differenti, sono adibite a diverse regioni corporee) e differenze nella dimensione e forma dei campi recettivi. Tuttavia tali effetti di illusione risultano molto meno rilevanti rispetto a quelli che ci si aspetta semplicemente considerando i meccanismi fisiologici, elencati in precedenza, che li causano. Ciò suggerisce che l’informazione tattile elaborata a livello della corteccia primaria somatosensoriale, riceva successivi step di elaborazione in aree corticali di più alto livello. Esse agiscono allo scopo di ridurre il divario fra distanza percepita trasversalmente e distanza percepita longitudinalmente, rendendole più simili tra loro. Tale processo assume il nome di “Rescaling Process”. I meccanismi neurali che operano nel cervello allo scopo di garantire Rescaling Process restano ancora largamente sconosciuti. Perciò, lo scopo del mio progetto di tesi è stato quello di realizzare un modello di rete neurale che simulasse gli aspetti riguardanti la percezione tattile, l’illusione orientazione-dipendente e il processo di rescaling avanzando possibili ipotesi circa i meccanismi neurali che concorrono alla loro realizzazione. Il modello computazionale si compone di due diversi layers neurali che processano l’informazione tattile. Uno di questi rappresenta un’area corticale di più basso livello (chiamata Area1) nella quale una prima e distorta rappresentazione tattile è realizzata. Per questo, tale layer potrebbe rappresentare un’area della corteccia primaria somatosensoriale, dove la rappresentazione della distanza tattile è significativamente distorta a causa dell’anisotropia dei campi recettivi e della magnificazione corticale. Il secondo layer (chiamato Area2) rappresenta un’area di più alto livello che riceve le informazioni tattili dal primo e ne riduce la loro distorsione mediante Rescaling Process. Questo layer potrebbe rappresentare aree corticali superiori (ad esempio la corteccia parietale o quella temporale) adibite anch’esse alla percezione di distanze tattili ed implicate nel Rescaling Process. Nel modello, i neuroni in Area1 ricevono informazioni dagli stimoli esterni (applicati sulla cute) inviando quindi informazioni ai neuroni in Area2 mediante sinapsi Feed-forward eccitatorie. Di fatto, neuroni appartenenti ad uno stesso layer comunicano fra loro attraverso sinapsi laterali aventi una forma a cappello Messicano. E’ importante affermare che la rete neurale implementata è principalmente un modello concettuale che non si preme di fornire un’accurata riproduzione delle strutture fisiologiche ed anatomiche. Per questo occorre considerare un livello astratto di implementazione senza specificare un’esatta corrispondenza tra layers nel modello e regioni anatomiche presenti nel cervello. Tuttavia, i meccanismi inclusi nel modello sono biologicamente plausibili. Dunque la rete neurale può essere utile per una migliore comprensione dei molteplici meccanismi agenti nel nostro cervello, allo scopo di elaborare diversi input tattili. Infatti, il modello è in grado di riprodurre diversi risultati riportati negli articoli di Green e Longo & Haggard.
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Il mio lavoro di Tesi prende in considerazione la possibilità di riportare alla vita un antico luogo che ha smarrito il suo senso nella città contemporanea. Si tratta dell’area della vasca dello Hauz-i-Shamsi,suggestiva per il legame forte con l’elemento acqua. Il tema progettuale è quello di mantenere questa zona come fonte attrattiva turistica poiché sede del Museo della città di Delhi, riconnettendolo con le altre aree di interesse e con i villaggi circostanti, diventando insieme al parco archeologico di Mehrauli un grande luogo socio culturale della collettività. Risulta evidente di conseguenza, che l'architettura dell'edificio collettivo, o più semplicemente edificio pubblico, si lega indissolubilmente alla vita civile e al suo sviluppo. In tal senso l'analisi storica è il primo momento di un lavoro che tende a definirsi nell'ambito più propriamente disciplinare, progettuale, attraverso l'analisi del ruolo urbano di tali edifici. Per questo motivo i capitoli sono così suddivisi: nel primo si riportano brevi cenni sulla storia dell’India, per poi concentrarsi sulla storia delle evoluzioni urbane di Delhi fino ad arrivare alla progettazione nel XX secolo di Nuova Delhi, esempio di città di fondazione. Nel secondo capitolo si riporta un’analisi dell’area di Mehrauli con un breve elenco dei principali monumenti, fondamentali per capire l’importanza del Parco archeologico, luogo indicato come Patrimonio dell’UNESCO. Ritengo che il viaggio in India sia per un architetto un’esperienza travolgente: non a caso questa tappa ha segnato profondamente le opere e il lavoro di due maestri quali Louis I. Kahn e Le Corbusier. Ho dedicato, infatti, il terzo capitolo ad alcune considerazioni su quest’argomento. Il quarto capitolo vuole essere un’analisi delle principali architetture indiane quali padiglioni, moschee, templi sacri. Nella cultura indiana l’architettura è legata alle religioni del paese e credo che si possano capire le architetture solo dopo aver compreso la complessità del panorama religioso. Si sono analizzati anche i principi compositivi in particolare il ruolo delle geometrie sia nelle architetture tipiche, sia nella pianificazione delle città di fondazione. Il quinto capitolo è un approfondimento sul rapporto architettura-acqua. Prima con brevi cenni e foto suggestive sul rapporto nella storia dell’architettura, poi con spiegazioni sul ruolo sacro dell’acqua in India. Il sesto capitolo, infine, è un approfondimento sul progetto del Museo della città di Delhi.
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Il mio percorso universitario presso la Facoltà di Architettura di Cesena ha inizio nell’anno accademico 2006-2007. Il titolo della tesi “Conoscere per conservare3, conservare per conoscere” sintetizza l’importanza di offrire una spiegazione della tematica della conoscenza e della sua necessità, la quale risulta essere indispensabile per ottenere un buon progetto di restauro. Progettare un edificio senza conoscerlo appare una scelta ingiustificabile, è tuttavia necessario che la raccolta di dati analitici non sia fine a se stessa e solo finalizzata a donare una facciata di rispettabilità all’architetto e alle sue operazioni progettuali. A partire da questa riflessione si arriva inevitabilmente a parlare di “ricerca della metodologia del restauro” e delle tecniche con il quale questo deve venire affrontato in termini di “piccolo restauro” (ossia restauro delle superfici). Nonostante infatti ogni cantiere di restauro abbia una sua particolare storia è comunque necessario un metodo chiaro e ordinato, di procedure collaudate e di tecniche ben sperimentate. Alla luce di tali osservazioni i temi di seguito proposti sono occasione di una riflessione nel contempo teorica e pratica, con particolare riferimento al restauro e alla conservazione delle superfici; gli edifici scelti appartengono a temi molto differenti l’uno dell’altro e per entrambi verrà proposta una ipotesi di conservazione e restauro delle superfici. Il primo, Palazzo Guidi, è un palazzo settecentesco sito all’interno del centro storico della città di Cesena; il secondo, la Rocca Malatestiana, costruita a partire dal 1100 dalla famiglia dei Malatesta trova la sua ubicazione in cima a una roccia nella alta Valmarecchia. Il progetto per la conservazione ed il restauro di Palazzo Guidi risulta essere la sintesi degli apprendimenti ricevuti nei precedenti anni accademici in due diverse discipline quali: “Rilievo architettonico” e “Laboratorio di restauro architettonico”. Per quanto concerne la Rocca Malatestiana il tema proposto nasce invece a partire dal progetto del “LSF. Archeologia e progetto di architettura” il quale è stato maggiormente approfondito riguardo le tematiche del restauro con la collaborazione del Prof. Arch. Andrea Ugolini e con l’ausilio del corso di “Conservazione e trattamento dei materiali” seguito presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna.
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Questa tesi parte da un evento “minore” della storia del XIX secolo per tendere, poi, ad alcuni obiettivi particolari. L’evento è costituito da uno strano funerale postumo, quello di Piero Maroncelli, carbonaro finito alla Spielberg, graziato, poi emigrato in Francia e in America, il cui corpo viene sepolto a New York nell’estate del 1846. Quarant’anni dopo, nel 1886, i resti di Maroncelli vengono esumati e – attraverso una “trafila” particolare, di cui è protagonista la Massoneria, da una sponda all’altra dell’Atlantico – solennemente trasferiti nella città natale di Forlì, dove vengono collocati nel pantheon del cimitero monumentale, inaugurato per l’occasione. Gli eventi celebrativi che si consumano a New York e a Forlì sono molto diversi fra loro, anche se avvengono quasi in contemporanea e sotto regie politiche ispirate dal medesimo radicalismo anticlericale. E’ chiaro che Maroncelli è un simbolo e un pretesto: simbolo di un’italianità transnazionale, composta di un “corpo” in transito, fuori dello spazio nazionale, ma appartenente alla patria (quella grande e quella piccola); pretesto per acquisire e rafforzare legami politici, mercè mobilitazioni di massa in un caso fondate sul festival, sulla festa en plein air, nell’altro sui rituali del cordoglio per i “martiri” dell’indipendenza. L’opportunità di comparare questi due contesti – l’Italia, colta nella sua periferia radicale e la New York della Tammany Hall -, non sulla base di ipotesi astratte, ma nella concretezza di un “caso di studio” reale e simultaneo, consente di riflettere sulla pervasività dell’ideologia democratica nella sua accezione ottocentesca, standardizzata dalla Massoneria, e, d’altro canto, sui riti del consenso, colti nelle rispettive tipicità locali. Un gioco di similitudini e di dissomiglianze, quindi. Circa gli obiettivi particolari – al di là della ricostruzione del “caso” Maroncelli -, ho cercato di sondare alcuni temi, proponendone una ricostruzione in primo luogo storiografica. Da un lato, il tema dell’esilio e del trapianto delle esperienze di vita e di relazione al di fuori del proprio contesto d’origine. Maroncelli utilizza, come strumento di identitario e di accreditamento, il fourierismo; la generazione appena successiva alla sua, grazie alla Giovine Italia, possiede già un codice interno, autoctono, cui fare riferimento; alla metà degli anni Cinquanta, ad esso si affiancherà, con successo crescente, la lettura “diplomatica” di ascendenza sabauda. Dall’altro, ho riflettuto sull’aspetto legato ai funerali politici, al cordoglio pubblico, al trasferimento postumo dei corpi. La letteratura disponibile, al riguardo, è assai ricca, e tale da consentire una precisa classificazione del “caso” Maroncelli all’interno di una tipologia della morte laica, ben delineata nell’Italia dell’Ottocento e del primo Novecento. E poi, ancora, ho preso in esame le dinamiche “festive” e di massa, approfondendo quelle legate al mondo dell’emigrazione italiana a Mew York, così distante nel 1886 dall’élite colta di quarant’anni prima, eppure così centrale per il controllo politico della città. Dinamiche alle quali fa da contrappunto, sul versante forlivese, la visione del mondo radicale e massonico locale, dominato dalla figura di Aurelio Saffi e dal suo tentativo di plasmare un’immagine morale e patriottica della città da lasciare ai posteri. Quasi un’ossessione, per il vecchio triumviro della Repubblica romana (morirà nel 1890), che interviene sulla toponomastica, sull’edilizia cemeteriale, sui pantheon civico, sui “ricordi” patriottici. Ho utilizzato fonti secondarie e di prima mano. Anche sulle prime, quantitativamente assai significative, mi sono misurata con un lavoro di composizione e di lettura comparata prima mai tentato. La giustapposizione di chiavi di lettura apparentemente distanti, ma giustificate dalla natura proteiforme e complicata del nostro “caso”, apre, a mio giudizio, interessanti prospettive di ricerca. Circa le fonti di prima mano, ho attinto ai fondi disponibili su Maroncelli presso la Biblioteca comunale di Forlì, alle raccolte del Grande Oriente d’Italia a Roma, a periodici italoamericani assai rari, sparsi in diverse biblioteche italiane, da Milano a Roma. Mi rendo conto che la quantità dei materiali reperiti, sovente molto eterogenei, avrebbero imposto una lettura delle fonti più accurata di quella che, in questa fase della ricerca, sono riuscita a condurre. E’ vero, però, che le suggestioni già recuperabili ad un’analisi mirata al contenuto principale – le feste, la propaganda, il cordoglio – consentono la tessitura di una narrazione non forzata, nella quale il ricordo della Repubblica romana viaggia da una sponda all’altra dell’Atlantica, insieme ai resti di Maroncelli; nella quale il rituale massonico funge da facilitatore e da “mediatore culturale”; nella quale, infine, il linguaggio patriottico e la koinè democratica trans-nazionale riescono incredibilmente a produrre o a incarnare identità. Per quanto tempo? La risposta, nel caso forlivese, è relativamente facile; in quello della “colonia” italiana di New York, presto alterata nella sua connotazione demografica dalla grande emigrazione transoceanica, le cose appaiono più complesse. E, tuttavia, nel 1911, cinquantesimo dell’Unità, qualcuno, nella grande metropoli americana, si sarebbe ricordato di Maroncelli, sia pure in un contesto e con finalità del tutto diverse rispetto al 1886: segno che qualcosa, sotto traccia, era sopravvissuto.
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The present study describes a Late Miocene (early Tortonian - early Messinian) transitional carbonate system that combines elements of tropical and cool-water carbonate systems (Irakleion Basin, island of Crete, Greece). As documented by stratal geometries, the submarine topography of the basin was controlled by tilting blocks. Coral reefs formed by Porites and Tarbellastrea occurred in a narrow clastic coastal belt along a „central Cretan landmass“, and steep escarpments formed by faulting. Extensive covers of level-bottom communities existed in a low-energy environment on the gentle dip-slope ramps of the blocks that show the widest geographical distribution within the basin. Consistent patterns of landward and basinward shift of coastal onlap in all outcrop studies reveal an overriding control of 3rd and 4th order sea level changes on sediment dynamics and facies distributions over block movements. An increasingly dry climate and the complex submarine topography of the fault block mosaic kept sediment and nutrient discharge at a minimum. The skeletal limestone facies therefore reflects oligotrophic conditions and a sea surface temperature (SST) near the lower threshold temperature of coral reefs in a climatic position transitional between the tropical coral reef belt and the temperate zone. Stable isotope records (δ18O, δ13C) from massiv, exceptionally preserved Late Miocene aragonite coral skeletons reflect seasonal changes in sea surface temperature and symbiont autotrophy. Spectral analysis of a 69 years coral δ18O record reveals significant variance at interannual time scales (5-6 years) that matches the present-day eastern Mediterranean climate variability controlled by the Arctic Oscillation/North Atlantic Oscillation (AO/NAO), the Northern Hemisphere’s dominant mode of atmospheric variability. Supported by simulations with a complex atmospheric general circulation model coupled to a mixed-layer ocean model, it is suggested, that climate dynamics in the eastern Mediterranean and central Europe reflect atmospheric variability related to the Icelandic Low 10 million years ago. Usually, Miocene corals are transformed in calcite spar in geological time and isotope values are reset by diagenetic alteration. It is demonstrated that the relicts of growth bands represent an intriguing source of information for the growth conditions of fossil corals. Recrystallized growth bands were measured systematically in massive Porites from Crete. The Late Miocene corals were growing slowly with 2-4 mm/yr, compatible with present-day Porites from high latitude reefs, a relationship that fits the position of Crete at the margin of the Miocene tropical reef belt. Over Late Miocene time (Tortonian - early Messinian) growth rates remained remarkably constant, and if the modern growth temperature relationship for massive Porites applies to the Neogene, minimum (winter) SST did not exceed 19-21°C.
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Studi preliminari condotti dal gruppo di ricerca presso il quale ho svolto il mio lavoro di tesi, avevano dimostrato che il poli[3-(6-bromoesil)tiofene] non regioregolare funzionalizzato con idrossifenilporfirina [TPPOH] può essere utilizzato con successo per la realizzazione di celle fotovoltaiche. Il presente lavoro di tesi di laurea magistrale è stato quindi incentrato sulla sintesi e caratterizzazione di un campione di poli[3-(6-bromoesil)tiofene] [PT6Br] ad elevata regioregolarità e sulla sua successiva funzionalizzazione con diverse percentuali di 5-(4-idrossifenil)-10,15,20-trifenilporfirina [TPPOH] per ottenere i copolimeri poli[3-(6-bromoesil)tiofene-co-(3-[5-(4-fenossi)-10,15,20-trifenilporfinil]esiltiofene)] [P(T6Br-co-T6TPP)], anch’essi con elevata percentuale di concatenamenti testa-coda, al fine di valutare se la regioregolarità del polimero sia in grado di migliorare l’efficienza fotovoltaica. Il campione che ha fornito i risultati migliori è stato poi ulteriormente testato eseguendo prove su celle trattate termicamente per tempi diversi, in modo tale da verificare come la durata del riscaldamento, che incide sull’organizzazione strutturale del materiale, influisca sulle prestazioni ottenibili dalla cella stessa. I prodotti polimerici sintetizzati sono stati caratterizzati mediante tecniche spettroscopiche (NMR, FT-IR, UV-Vis), ne sono determinate le proprietà termiche ed i pesi molecolari medi e la relativa distribuzione, mediante cromatografia a permeazione su gel (GPC). Le prestazioni delle celle fotovoltaiche realizzate utilizzando i copolimeri prodotti sono state misurate tramite un multimetro Keithley ed un Solar Simulator, che permette di riprodurre l’intero spettro della radiazione solare.
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La mia attività di tesi è stata svolta presso CEFLA Dental Group di Imola (BO). Essa ha trattato lo studio e il re-engineering del sistema attuale di imballaggio dei riuniti odontoiatrici ( vedi CAP 2 ),ponendo particolare attenzione all’utilizzo di materiali ecosostenibili e alla riduzione di tempi e costi. Il mio lavoro è stato suddiviso in quattro fasi ben distinte: la prima, all’interno dell’area produttiva, è servita per analizzare in dettaglio le varie fasi di montaggio dei gruppi e sottogruppi di alcuni modelli di riuniti dentali scelti come riferimento. A seguire, affiancato a operatori specializzati, ho assistito alle operazioni di imballaggio, stoccaggio in magazzino e carico. Nella seconda fase, ho raccolto anche una serie di informazioni utili all’analisi, tra cui i costi dei vari elementi dell’imballo, i tempi necessari all’operatore e infine lo storico dei reclami degli ultimi anni. Ho poi selezionato gli aspetti critici più ricorrenti. Durante la terza fase, ho eseguito la vera e propria analisi, proponendo alcune soluzioni di miglioramento. Infine nell’ultima fase ho valutato economicamente le varie soluzioni ipotizzate, focalizzandomi inoltre sui tempi di manodopera.
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Questa tesi tratta dello sviluppo di un progetto chiamato Faxa e di una sua concreta applicazione nell’ambito della domotica (CasaDomotica). Faxa è un framework per la comunicazione via wireless tra dispositivi che supportano il sistema operativo Android e dispositivi Arduino Ethernet, comunicazione che avviene localmente attraverso il wi-fi. Il progetto si inserisce nel panorama più ampio chiamato “Internet of Things”, ovvero internet delle cose, dove ogni oggetto di uso domestico è collegato ad Internet e può essere quindi manipolato attraverso la rete in modo da realizzare una vera e propria “smart house”; perchè ciò si attui occorre sviluppare applicazioni semplici e alla portata di tutti. Il mio contributo comincia con la realizzazione del framework Faxa, così da fornire un supporto semplice e veloce per comporre programmi per Arduino e Android, sfruttando metodi ad alto livello. Il framework è sviluppato su due fronti: sul lato Android è composto sia da funzioni di alto livello, necessarie ad inviare ordini e messaggi all'Arduino, sia da un demone per Android; sul lato Arduino è composto dalla libreria, per inviare e ricevere messaggi. Per Arduino: sfruttando le librerie Faxa ho redatto un programma chiamato “BroadcastPin”. Questo programma invia costantemente sulla rete i dati dei sensori e controlla se ci sono ordini in ricezione. Il demone chiamato “GetItNow” è una applicazione che lavora costantemente in background. Il suo compito è memorizzare tutti i dati contenuti nei file xml inviati da Arduino. Tali dati corrispondono ai valori dei sensori connessi al dispositivo. I dati sono salvati in un database pubblico, potenzialmente accessibili a tutte le applicazioni presenti sul dispositivo mobile. Sul framework Faxa e grazie al demone “GetItNow” ho implementato “CasaDomotica”, un programma dimostrativo pensato per Android in grado di interoperare con apparecchi elettrici collegati ad un Arduino Ethernet, impiegando un’interfaccia video semplice e veloce. L’utente gestisce l’interfaccia per mezzo di parole chiave, a scelta comandi vocali o digitali, e con essa può accendere e spegnere luci, regolare ventilatori, attuare la rilevazione di temperatura e luminosità degli ambienti o quanto altro sia necessario. Il tutto semplicemente connettendo gli apparecchi all’Arduino e adattando il dispositivo mobile con pochi passi a comunicare con gli elettrodomestici.
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L’università di Bologna, da sempre attenta alle nuove tecnologie e all’innovazione, si è dotata nel 2010 di un Identity Provider (IDP), ovvero un servizio per la verifica dell’identità degli utenti dell’organizzazione tramite username e password in grado di sollevare le applicazioni web (anche esterne all’organizzazione) dall’onere di verificare direttamente le credenziali dell’utente delegando totalmente la responsabilità sul controllo dell’identità digitale all’IDP. La soluzione adottata (Microsoft ADFS) si è dimostrata generalmente semplice da configurare e da gestire, ma ha presentato problemi di integrazione con le principali federazioni di identità regionali e italiane (FedERa e IDEM) a causa di una incompatibilità con il protocollo SAML 1.1, ancora utilizzato da alcuni dei servizi federati. Per risolvere tale incompatibilità il "CeSIA – Area Sistemi Informativi e Applicazioni" dell’Università di Bologna ha deciso di dotarsi di un Identity Provider Shibboleth, alternativa open source ad ADFS che presenta funzionalità equivalenti ed è in grado di gestire tutte le versioni del protocollo SAML (attualmente rilasciato fino alla versione 2.0). Il mio compito è stato quello di analizzare, installare, configurare e integrare con le federazioni IDEM e FedERa un’infrastruttura basata sull’IDP Shibboleth prima in test poi in produzione, con la collaborazione dei colleghi che in precedenza si erano occupati della gestione della soluzione Microsoft ADFS. Il lavoro che ho svolto è stato suddiviso in quattro fasi: - Analisi della situazione esistente - Progettazione della soluzione - Installazione e configurazione di un Identity Provider in ambiente di test - Deploy dell’Identity Provider in ambiente di produzione
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Lo studio è stato effettuato nell’ambito del progetto Theseus; il mio lavoro mirava a valutare la risposta dei popolamenti meio e macrobentonici alla presenza di diverse tipologie di strutture di difesa costiera. Sono stati presi in esame a tal fine oltre al sito di campionamento di Cesenatico sud, con presenza di barriere emerse anche il sito di Cesenatico nord, con presenza di barriere semisommerse, per poter effettuare un confronto. Il campionamento è stato fatto nella zona intertidale dove sono stati prese oltre alle variabili biotiche di macro e meiofauna anche quelle abiotiche (granulometria e sostanza organica). Sono stati scelti sei transetti in maniera random, 3 livelli di marea fissi l’alta, la media e la bassa (H, M, L) e due repliche (A e B) per un totale di 36 campioni per ogni variabile presa in esame. Dopo la fase di trattamento dei campioni in laboratorio state fatte in seguito analisi univariate effettuando l’ANOVA sia sui dati biotici di abbondanza numero di taxa e indice di diversità di Shannon di macro e meiobenthos sia sulle singole variabili ambientali di TOM, mediana, classazione, shell mean (capulerio). Sono state fatte anche analisi multivariate; per quanto riguarda i dati biotici sono state effettuate analisi di MDS e PERMANOVA e per quanto riguarda le variabili dei dati abiotici è stata fatta l’analisi della PCA. Infine per effettuare un confronto tra le variabili ambientali e quelle biotiche è stata fatta anche l’analisi BIOENV. Dai risultati sono emerse delle differenze sostanziali tra i due siti con maggiore abbondanza e diversità nel sito di Cesenatico nord rispetto a quello sud. Sono state evidenziate anche differenze nei livelli di marea con una maggiore abbondanza nel livello di bassa marea rispetto alla media e all’alta soprattutto per quanto riguarda il sito di Cesenatico sud. Dal confronto tra i dati ambientali e quelli biotici ne è risultato che la variabile più strettamente correlata è quella del capulerio sia per quanto riguarda il pattern di distribuzione della macrofauna che della meio. Tale lavoro ha messo in evidenza come i popolamenti rispondano in maniera differente alla presenza di differenti barriere di difesa costiera che anche se simili nella loro struttura presentano dei differenti effetti che hanno sull’azione del moto ondoso, circolazione dell’acqua e trasporto di sedimenti portando così a differenti risposte nei patterns di distribuzione dei popolamenti.
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La mia tesi si riallaccia al dibattito teorico-letterario contemporaneo sulla possibilità di un approccio cognitivo alla narrativa e alla letteratura in particolare. Essa si propone di esplorare il rapporto tra narrazione ed esperienza, ridefinendo il concetto di “esperienzialità” della narrativa introdotto da Monika Fludernik nel suo Towards a “Natural” Narratology (1996). A differenza di Fludernik, che ha identificato l’esperienzialità con la rappresentazione dell’esperienza dei personaggi, la mia trattazione assegna un ruolo di primo piano al lettore, cercando di rispondere alla domanda: perché leggere una storia è – o si costituisce come – un’esperienza? L’intuizione dietro tutto ciò è che le teorizzazioni dell’esperienza e della coscienza nella filosofia della mente degli ultimi venti anni possano gettare luce sull’interazione tra lettori e testi narrativi. Il mio punto di riferimento principale è la scienza cognitiva “di seconda generazione”, secondo cui l’esperienza è un relazionarsi attivo e corporeo al mondo. La prima parte del mio studio è dedicata all’intreccio tra la narrativa e quello che chiamo lo “sfondo esperienziale” di ogni lettore, un repertorio di esperienze già note ai lettori attraverso ripetute interazioni con il mondo fisico e socio-culturale. Mi soffermo inoltre sul modo in cui relazionarsi a un testo narrativo può causare cambiamenti e slittamenti in questo sfondo esperienziale, incidendo sulla visione del mondo del lettore. Mi rivolgo poi al coinvolgimento corporeo del lettore, mostrando che la narrativa può attingere allo sfondo esperienziale dei suoi fruitori anche sul piano dell’esperienza di base: le simulazioni corporee della percezione contribuiscono alla nostra comprensione delle storie, incidendo sia sulla ricostruzione dello spazio dell’ambientazione sia sulla relazione intersoggettiva tra lettori e personaggi. Infine, mi occupo del rapporto tra l’esperienza della lettura e la pratica critico-letteraria dell’interpretazione, sostenendo che – lungi dal costituire due modalità opposte di fruizione dei testi – esse sono intimamente connesse.
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Das Standardmodell (SM) der Teilchenphysik beschreibt sehr präzise die fundamentalen Bausteine und deren Wechselwirkungen (WW). Trotz des Erfolges gibt es noch offene Fragen, die vom SM nicht beantwortet werden können. Ein noch noch nicht abgeschlossener Test besteht aus der Messung der Stärke der schwachen Kopplung zwischen Quarks. Neutrale B- bzw. $bar{B}$-Mesonen können sich innerhalb ihrer Lebensdauer über einen Prozeß der schwachen WW in ihr Antiteilchen transformieren. Durch die Messung der Bs-Oszillation kann die Kopplung Vtd zwischen den Quarksorten Top (t) und Down (d) bestimmt werden. Alle bis Ende 2005 durchgeführten Experimente lieferten lediglich eine untere Grenze für die Oszillationsfrequenz von ms>14,4ps-1. Die vorliegenden Arbeit beschreibt die Messung der Bs-Oszillationsfrequenz ms mit dem semileptonischen Kanal BsD(-)+. Die verwendeten Daten stammen aus Proton-Antiproton-Kollisionen, die im Zeitraum von April 2002 bis März 2006 mit dem DØ-Detektor am Tevatron-Beschleuniger des Fermi National Accelerator Laboratory bei einer Schwerpunktsenergie von $sqrt{s}$=1,96TeV aufgezeichnet wurden. Die verwendeten Datensätze entsprechen einer integrierten Luminosität von 1,3fb-1 (620 millionen Ereignisse). Für diese Oszillationsmessung wurde der Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit der Produktion sowie des Zerfalls bestimmt und die Zerfallszeit wurde gemessen. Nach der Rekonstruktion und Selektion der Signalereignisse legt die Ladung des Myons den Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit des Zerfalls fest. Zusätzlich wurde der Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit der Produktion markiert. b-Quarks werden in $pbar{p}$-Kollisionen paarweise produziert. Die Zerfallsprodukte des zweiten b-Hadrons legen den Quarkinhalt des Bs-Mesons zur Zeit der Produktion fest. Bei einer Sensitivität von msenss=14,5ps-1 wurde eine untere Grenze für die Oszillationsfrequenz ms>15,5ps-1 bestimmt. Die Maximum-Likelihood-Methode lieferte eine Oszillationsfrequenz ms>(20+2,5-3,0(stat+syst)0,8(syst,k))ps-1 bei einem Vertrauensniveau von 90%. Der nicht nachgewiesene Neutrinoimpuls führt zu dem systematischen Fehler (sys,k). Dieses Resultat ergibt zusammen mit der entsprechenden Oszillation des Bd-Mesons eine signifikante Messung der Kopplung Vtd, in Übereinstimmung mit weiteren Experimenten über die schwachen Quarkkopplungen.
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Il lavoro svolto nel corso del mio dottorato ha avuto per oggetto lo studio dell’ inibizione della glicolisi aerobia (il principale processo metabolico utilizzato dalle cellule neoplastiche per produrre energia) ottenuta mediante il blocco dell’enzima lattato deidrogenasi (LDH). La mia attività si è concentrata sulla possibilità di utilizzare questo approccio allo scopo di migliorare l’efficacia della terapia antitumorale, valutandone gli effetti su colture di carcinoma epatocellulare umano Inizialmente, per valutare gli effetti della inibizione della LDH, è stato usato l’acido ossamico ( OXA). Questo composto è l’unico inibitore noto specifico per LDH ; è una molecola non tossica in vivo, ma attiva a concentrazioni troppo elevate per consentirne un uso terapeutico. Un importante risultato ottenuto è stata la dimostrazione che l’ inibizione della LDH ottenuta con OXA non è solo in grado di innescare una risposta di morte nelle cellule trattate, ma, associata alla somministrazione di sorafenib, aumenta fortemente l’efficacia di questo farmaco, determinando un effetto di sinergismo. Questo forte effetto di potenziamento dell’azione del farmaco è stato spiegato con la dimostrazione che il sorafenib ha la capacità di inibire il consumo di ossigeno delle cellule trattate, rendendole più dipendenti dalla glicolisi. Grazie alla collaborazione con il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche il nostro gruppo di ricerca è arrivato alla identificazione di un composto (galloflavina) che inibisce la LDH con una efficienza molto maggiore di OXA. I risultati preliminari ottenuti sulle cellule di epatocarcinoma suggeriscono che la galloflavina potrebbe essere un composto promettente nel campo degli inibitori metabolici tumorali e inducono a una sua valutazione più approfondita come potenziale farmaco antineoplastico.
Resumo:
Lung ultrasound use is increasing in respiratory medicine thanks to its development in the latest years. Actually it allows to study diseases of the chest wall (traumas, infections, neoplasms), diaphragm (paralysis, ipokinesis), pleura (effusions, pneumothorax, thickenings, neoplasms) and lung parenchyma (consolidations, interstitial syndromes, peripheral lesions). One of the most useful application of chest ultrasound is the evaluation of effusions. However, no standardized approach for ultrasound-guided thoracenthesis is available. Our study showed that our usual ultrasonographic landmark (“V-point”) could be a standard site to perform thoracenthesis: in 45 thoracenthesis no pneumothorax occurred, drainage was always successful at first attempt. Values of maximum thickness at V-point and drained fluid volume showed a significative correlation. Proteins concentration of ultrasound patterns of effusions (anechoic, ipoechoic, moving echoic spots, dense moving spots, hyperechoic) were compared to those of the macroscopic features of fluids showing connection between light-yellow fluid and echoic moving spots pattern and between ipoechoic/dense moving spots and cloudy-yellow/serum-haematic fluids. These observations suggest that ultrasound could predict chemical-physical features of effusions. Lung ultrasound provides useful information about many disease of the lung, but actually there is not useful in obstructive bronchial diseases. Analysing diaphragmatic kinetics using M-mode through transhepatic scan we described a similarity between diaphragm excursion during an expiratory forced maneuver and the volume/time curve of spirometry. This allowed us to identify the M-mode Index of Obstruction (MIO), an ultrasound-analogue of FEV1/VC. We observed MIO values of normal subjects (9) and obstructed patients (9) comparing the two groups. FEV1/VC and MIO showed a significant correlation suggesting that MIO may be affected by airways obstruction; MIO values were significatively different between normal and obstructed so that it could identify an obstructive syndrome. The data show that it is possible to suspect the presence of obstructive syndrome of the airways using ultrasonography of the diaphragm.
Resumo:
Intorno alla metà degli anni trenta la Spagna diventò il centro dell’attenzione del mondo e tutte le grandi potenze internazionali, vecchie e nuove, vennero coinvolte, in misura diversa, nella guerra civile. Già nell’agosto del 1936, un mese dopo l’esplosione del conflitto, tutti gli Stati più rappresentativi caldeggiavano l’ipotesi di una politica comune di “non intervento”. Il ruolo guida in tal senso venne assunto dal governo inglese, capace di dissuadere, in tempi estremamente rapidi, il governo frontista francese di Leon Blum dall’intento di sostenere economicamente e militarmente il legittimo governo repubblicano spagnolo. La preoccupazione che il conflitto potesse degenerare in uno scontro più generale fu quindi la ragione principale per la quale qualche settimana dopo nacque il “Comitato di Non Intervento”, cui aderirono ben ventisette nazioni europee tra cui Francia, Inghilterra, URSS, Italia, Germania e Portogallo. Il mio progetto di ricerca dottorale esamina il ruolo, le scelte ed i relativi dibattiti in merito all’unica grande potenza, gli Stati Uniti d’America, che, pur scegliendo di rimanere neutrale, si astenne dal partecipare al suddetto Comitato. In ambito statunitense particolare rilievo assumono due aspetti del dibattito politico sulla Spagna: il primo maturato in seno all’Amministrazione Roosevelt, il secondo elaborato dalla componente Liberal della coalizione del New Deal attraverso i settimanali, “The Nation” e “The New Republic”. Il confronto pubblico acceso dalla guerra civile spagnola fu infatti l’occasione per la società civile americana per dibattere apertamente e francamente circa l’opportunità e la capacità della nazione di assumere o meno un ruolo internazionale corrispondente al prestigio socio-economico in via di acquisizione a livello mondiale. Approfondire ed esaminare il dibattito sulla guerra civile spagnola negli USA significa dunque andare alla ricerca delle radici culturali di quello che sarà uno dei più vasti ed articolati confronti politici e teorici del ventesimo secolo: l’internazionalismo americano.