882 resultados para modernism and architecture


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Oggetto della ricerca è il museo Wilhelm Lehmbruck di Duisburg, un'opera dell'architetto Manfred Lehmbruck, progettata e realizzata tra il 1957 e il 1964. Questa architettura, che ospita la produzione artistica del noto scultore Wilhelm Lehmbruck, padre di Manfred, è tra i primi musei edificati ex novo nella Repubblica Federale Tedesca dopo la seconda guerra mondiale. Il mito di Wilhelm Lehmbruck, costruito negli anni per donare una identità culturale alla città industriale di Duisburg, si rinvigorì nel secondo dopoguerra in seno ad una più generale tendenza sorta nella Repubblica di Bonn verso la rivalutazione dell'arte moderna, dichiarata “degenerata” dal nazionalsocialismo. Ricollegarsi all'arte e all'architettura moderna degli anni venti era in quel momento funzionale al ridisegno di un volto nuovo e democratico del giovane stato tedesco, che cercava legittimazione proclamandosi erede della mitica e gloriosa Repubblica di Weimar. Dopo anni di dibattiti sulla ricostruzione, l'architettura del neues Bauen sembrava l'unico modo in cui la Repubblica Federale potesse presentarsi al mondo, anche se la realtà del paese era assai più complessa e svelava il “doppio volto” che connotò questo stato a partire dal 1945. Le numerose dicotomie che popolarono presto la tabula rasa nata dalle ceneri del conflitto (memoria/oblio, tradizione/modernità, continuità/discontinuità con il recente e infausto passato) trovano espressione nella storia e nella particolare architettura del museo di Duisburg, che può essere quindi interpretato come un'opera paradigmatica per comprendere la nuova identità della Repubblica Federale, un'identità che la rese capace di risorgere dopo l' “anno zero”, ricercando nel miracolo economico uno strumento di redenzione da un passato vergognoso, che doveva essere taciuto, dimenticato, lasciato alle spalle.

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Obiettivo principale della ricerca è quello di aggiungere un tassello mancante, attraverso una nuova chiave di lettura, alla complessa attività artistico-teorica dell’artista futurista Enrico Prampolini (1894-1956). Questa tesi, oltre a riordinare e raccogliere tutto ciò che riguarda l’architettura e il rapporto di quest’ultima con le arti nell'opera di Prampolini, coglie l’occasione per puntualizzarne aspetti ancora poco esplorati, grazie anche all'analisi inedita dei documenti originali dell'artista conservati presso il CRDAV del Museo d’arte contemporanea di Roma. Partendo dall'analisi dei rapporti dell’artista modenese con le avanguardie straniere, la ricerca prosegue con la presa in esame dei manifesti, degli scritti e degli articoli noti e inediti legati alla teoria architettonica nella produzione dell’artista modenese. Il nucleo centrale della ricerca è costituito dagli elementi inediti emersi presso l’Archivio Prampolini consistenti in relazioni di progetti architettonici per un Piano urbanistico del Centro Alberghiero di Castel Fusano (1938) e per due alberghi nel centro di Roma (1938-1939). La seconda parte della ricerca si concentra sull'analisi del rapporto tra arte e architettura nel Futurismo e sul fondamentale contributo dato in tal senso da Prampolini, in particolare attraverso la “plastica murale”, come completamento dell’architettura futurista e fascista e la concezione dell’Arte Polimaterica. Nell'ultima parte della ricerca si affronta infine l'analisi del rapporto tra arte e architettura gestito in ambito istituzionale in Italia tra le due guerre, con l’emanazione, nel 1942, della legge detta “del 2%”. Aspetto finora inedito delle vicende legate alla “legge del 2%” è l'emergere del ruolo centrale di Prampolini nel contribuire al dibattito che portò alla sua approvazione, e non secondariamente nella ricerca di migliori condizioni economiche e maggiori occasioni di lavoro per gli artisti. La figura di Enrico Prampolini emerge dunque, da questa ricerca, come un nodo fondamentale per comprendere alcuni degli aspetti ancora inesplorati della cultura artistico-architettonica italiana degli anni Venti-Quaranta.

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Architettura e musica. Spazio e tempo. Suono. Esperienza. Queste le parole chiave da cui ha preso avvio la mia ricerca. Tutto è iniziato dall’intuizione dell’esistenza di un legame tra due discipline cui ho dedicato molto tempo e studio, completando due percorsi accademici paralleli, la Facoltà di architettura e il Conservatorio. Dopo un lavoro d’individuazione e analisi degli infiniti spunti di riflessione che il tema offriva, ho focalizzato l’attenzione su uno degli esempi più emblematici di collaborazione tra un architetto e un musicista realizzatasi nel Novecento: Prometeo, tragedia dell’ascolto (1984), composta da Luigi Nono con la collaborazione di Massimo Cacciari e Renzo Piano. Attraverso lo studio di Prometeo ho potuto affrontare la trattazione di molte delle possibili declinazioni del rapporto interdisciplinare tra musica e architettura. La ricerca si è svolta principalmente sullo studio dei materiali conservati presso l’Archivio Luigi Nono e l’archivio della Fondazione Renzo Piano. La tesi è organizzata in tre parti: una prima parte in cui si affronta il tema del ruolo dello spazio nelle opere di Nono precedenti a Prometeo, facendo emergere l’importanza dell’ambiente culturale e sonoro veneziano; una seconda parte in cui si approfondisce il processo compositivo che ha portato alle rappresentazioni di Prometeo a Venezia, Milano e a Parigi; una terza parte in cui si prende in considerazione quanto avvenuto dopo Prometeo e si riflette sui contributi che questa esperienza può portare alla progettazione di spazi per la musica, analizzando diversi allestimenti dell’opera senza arca e prendendo in considerazione i progetti dell’auditorium dell’International Art Village di Akiyoshidai e della sala della nuova Philharmonie di Parigi. Lo studio dell’esperienza di Prometeo ha lo scopo di stimolare la curiosità verso la ricerca e la sperimentazione di quegli infiniti possibili della composizione architettonica e musicale di cui parla Nono.

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La tesi ha come oggetto il rinnovamento urbano che fu realizzato a Faenza per opera del suo signore Carlo II Manfredi tra il 1468 e il 1477, d’accordo con il fratello, il vescovo Federico. La prima opera realizzata da Carlo fu il portico a due livelli che dotò di una nuova facciata il suo palazzo di residenza, di origini medievali. Questa architettura sarebbe stata il preludio di un riordino generale della piazza principale della città, probabilmente allo scopo di ricreare un foro all’antica, come prescritto dai trattati di Vitruvio e di Alberti. L’aspetto originale del loggiato rinascimentale, desumibile da documentazione archivistica e iconografica, permette di attribuirlo con una certa probabilità a Giuliano da Maiano. Oltre alla piazza, Carlo riformò profondamente il tessuto urbano, demolendo molti portici lignei di origine medievale, rettificando le principali strade, completando la cerchia muraria. Federico Manfredi nel 1474 diede inizio alla fabbrica della Cattedrale, ricostruita dalle fondamenta su progetto dello stesso Giuliano da Maiano. L’architettura della chiesa ha uno stile largamente debitore all’architettura sacra di Brunelleschi, ma con significative differenze (come la navata definita da un’alternanza tra pilastri e colonne, o la copertura composta da volte a vela). L’abside della cattedrale, estranea al progetto maianesco, fu realizzata nel 1491-92 e mostra alcuni dettagli riconducibili alla coeva architettura di Bramante. A Faenza si realizza in un periodo di tempo brevissimo una profonda trasformazione del volto della città: loggiato, riforma della piazza, riordino delle strade, una nuova cattedrale, tutto contribuisce a dare lustro ai Manfredi e a fare di Faenza una città moderna e in cui si mettono in pratica, forse per la prima volta nell’Italia settentrionale, i dettami di Vitruvio e di Alberti.

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Il paesaggio sacro dell'Epiro al di fuori dei centri di fondazione coloniale si caratterizza per una grande uniformità, determinata dall'esclusiva adozione delle forme templari non periptere. La ricerca si concentra sugli aspetti propriamente architettonici (planimetrici, tecnico-costruttivi, decorativi e formali) e sulle articolazioni funzionali dell'edilizia di culto regionale, troppo spesso trascurati nella storia degli studi a vantaggio di altre dimensioni dello spazio santuariale come quella religiosa o politico-istituzionale.

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We describe a system for performing SLA-driven management and orchestration of distributed infrastructures composed of services supporting mobile computing use cases. In particular, we focus on a Follow-Me Cloud scenario in which we consider mobile users accessing cloud-enable services. We combine a SLA-driven approach to infrastructure optimization, with forecast-based performance degradation preventive actions and pattern detection for supporting mobile cloud infrastructure management. We present our system's information model and architecture including the algorithmic support and the proposed scenarios for system evaluation.

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Content Distribution Networks are mandatory components of modern web architectures, with plenty of vendors offering their services. Despite its maturity, new paradigms and architecture models are still being developed in this area. Cloud Computing, on the other hand, is a more recent concept which has expanded extremely quickly, with new services being regularly added to cloud management software suites such as OpenStack. The main contribution of this paper is the architecture and the development of an open source CDN that can be provisioned in an on-demand, pay-as-you-go model thereby enabling the CDN as a Service paradigm. We describe our experience with integration of CDNaaS framework in a cloud environment, as a service for enterprise users. We emphasize the flexibility and elasticity of such a model, with each CDN instance being delivered on-demand and associated to personalized caching policies as well as an optimized choice of Points of Presence based on exact requirements of an enterprise customer. Our development is based on the framework developed in the Mobile Cloud Networking EU FP7 project, which offers its enterprise users a common framework to instantiate and control services. CDNaaS is one of the core support components in this project as is tasked to deliver different type of multimedia content to several thousands of users geographically distributed. It integrates seamlessly in the MCN service life-cycle and as such enjoys all benefits of a common design environment, allowing for an improved interoperability with the rest of the services within the MCN ecosystem.

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Mitochondrial protein import is essential for all eukaryotes and mediated by hetero-oligomeric protein translocases thought to be conserved within all eukaryotes. We have identified and analysed the function and architecture of the non-conventional outer membrane (OM) protein translocase in the early diverging eukaryote Trypanosoma brucei. It consists of six subunits that show no obvious homology to translocase components of other species. Two subunits are import receptors that have a unique topology and unique protein domains and thus evolved independently of the prototype receptors ​Tom20 and ​Tom70. Our study suggests that protein import receptors were recruited to the core of the OM translocase after the divergence of the major eukaryotic supergroups. Moreover, it links the evolutionary history of mitochondrial protein import receptors to the origin of the eukaryotic supergroups.

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Una de las propuestas centrales de este trabajo, como su título lo indica, es estudiar la correlación entre la configuración formal y semántica de la novela venezolana a partir del modernismo y el proceso de formación ("bildung") que se expresa a través de la revelación de la conciencia y de la subjetividad de sus personajes protagónicos. Considero esta correlación en algunas significativas novelas del modernismo y postmodernismo histórico en Venezuela: es decir, novelas de José Gil Fortoul, Manuel Díaz Rodríguez, Rómulo Gallegos y Teresa de la Parra.

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El presente artículo busca comprender cómo el concepto de paisaje se transforma desde su producción y discusión académica hasta su adaptación por parte del Estado; y seguidamente, cómo este concepto termina siendo aplicado en el territorio, a través de la práctica de diversos profesionales interesados en el mismo. Para ello, se parte de algunas definiciones desarrolladas por diversas disciplinas: geografía, antropología, arqueología, ecología, agronomía y arquitectura, especificando sus puntos de interés; y se hace una comparación entre sus propuestas y la forma en la que estos conceptos son adoptados por el Estado, específicamente por medio de los denominados "términos de referencia". Posteriormente, se analiza cómo estos conceptos y metodologías son llevados a la práctica por profesionales que se desempeñan en diferentes empresas de consultoría, muchas veces sin considerar la forma en la que los habitantes locales entienden y viven el paisaje desde sus territorios. Concluyo que existe una evidente necesidad de construir puentes entre la academia, el Estado, la población y la empresa, a través de la práctica profesional y sobre la necesidad de reconocer la forma como los habitantes locales viven el concepto desde sus territorios. Solo así se logrará generar verdaderos impactos que se reflejen en una mejor calidad de vida de los habitantes

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Rubén Darío es el primer escritor en lengua castellana que reivindica sin matices y de manera plena la obra de Luis de Góngora. Su propuesta se encuentra plasmada en Cantos de vida y esperanza a través del tríptico de sonetos "Trébol" y el poema que abre el poemario ("Yo soy aquel que ayer no más decía"), en el cual confiesa que dos de sus grandes influencias son Góngora y Paul Verlaine. A partir de este diálogo inicial que establece Darío, la crítica ha insistido desde muy temprano sobre las afinidades que se encuentran entre el Modernismo y el Barroco. Pero debajo de las afinidades existen desde luego diferencias cruciales, que en este trabajo desarrollo a partir de tres ejes comparativos: la política, la religión y el lenguaje. Tras esta comparación, sostengo que el Modernismo, a través de Darío, arranca el Barroco de su suelo histórico y lo coloca en los dilemas y las contradicciones modernas del artista con la sociedad. Con esto, sienta las bases de lo que más tarde será el Neobarroco.

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El presente artículo busca comprender cómo el concepto de paisaje se transforma desde su producción y discusión académica hasta su adaptación por parte del Estado; y seguidamente, cómo este concepto termina siendo aplicado en el territorio, a través de la práctica de diversos profesionales interesados en el mismo. Para ello, se parte de algunas definiciones desarrolladas por diversas disciplinas: geografía, antropología, arqueología, ecología, agronomía y arquitectura, especificando sus puntos de interés; y se hace una comparación entre sus propuestas y la forma en la que estos conceptos son adoptados por el Estado, específicamente por medio de los denominados "términos de referencia". Posteriormente, se analiza cómo estos conceptos y metodologías son llevados a la práctica por profesionales que se desempeñan en diferentes empresas de consultoría, muchas veces sin considerar la forma en la que los habitantes locales entienden y viven el paisaje desde sus territorios. Concluyo que existe una evidente necesidad de construir puentes entre la academia, el Estado, la población y la empresa, a través de la práctica profesional y sobre la necesidad de reconocer la forma como los habitantes locales viven el concepto desde sus territorios. Solo así se logrará generar verdaderos impactos que se reflejen en una mejor calidad de vida de los habitantes

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Rubén Darío es el primer escritor en lengua castellana que reivindica sin matices y de manera plena la obra de Luis de Góngora. Su propuesta se encuentra plasmada en Cantos de vida y esperanza a través del tríptico de sonetos "Trébol" y el poema que abre el poemario ("Yo soy aquel que ayer no más decía"), en el cual confiesa que dos de sus grandes influencias son Góngora y Paul Verlaine. A partir de este diálogo inicial que establece Darío, la crítica ha insistido desde muy temprano sobre las afinidades que se encuentran entre el Modernismo y el Barroco. Pero debajo de las afinidades existen desde luego diferencias cruciales, que en este trabajo desarrollo a partir de tres ejes comparativos: la política, la religión y el lenguaje. Tras esta comparación, sostengo que el Modernismo, a través de Darío, arranca el Barroco de su suelo histórico y lo coloca en los dilemas y las contradicciones modernas del artista con la sociedad. Con esto, sienta las bases de lo que más tarde será el Neobarroco.

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El presente artículo busca comprender cómo el concepto de paisaje se transforma desde su producción y discusión académica hasta su adaptación por parte del Estado; y seguidamente, cómo este concepto termina siendo aplicado en el territorio, a través de la práctica de diversos profesionales interesados en el mismo. Para ello, se parte de algunas definiciones desarrolladas por diversas disciplinas: geografía, antropología, arqueología, ecología, agronomía y arquitectura, especificando sus puntos de interés; y se hace una comparación entre sus propuestas y la forma en la que estos conceptos son adoptados por el Estado, específicamente por medio de los denominados "términos de referencia". Posteriormente, se analiza cómo estos conceptos y metodologías son llevados a la práctica por profesionales que se desempeñan en diferentes empresas de consultoría, muchas veces sin considerar la forma en la que los habitantes locales entienden y viven el paisaje desde sus territorios. Concluyo que existe una evidente necesidad de construir puentes entre la academia, el Estado, la población y la empresa, a través de la práctica profesional y sobre la necesidad de reconocer la forma como los habitantes locales viven el concepto desde sus territorios. Solo así se logrará generar verdaderos impactos que se reflejen en una mejor calidad de vida de los habitantes