942 resultados para Società degli amatori e cultori di belle arti


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The aim of this study was to investigate the influence of the diaphragm flexibility on the behavior of out-of-plane walls in masonry buildings. Simplified models have been developed to perform kinematic and dynamic analyses in order to compare the response of walls with different restraint conditions. Kinematic non linear analyses of assemblages of rigid blocks have been performed to obtain the acceleration-displacement curves for walls with different restraint conditions at the top. A simplified 2DOF model has been developed to analyse the dynamic response of the wall with an elastic spring at the top, following the Housner rigid behaviour hypothesis. The dissipation of energy is concentrated at every impact at the base of the wall and is modelled through the introduction of the coefficient of restitution. The sets of equations of the possible configurations of the wall, depending on the different positions of the centre of rotation at the base and at the intermediate hinge have been obtained. An algorithm for the numerical integration of the sets of the equations of motion in the time domain has been developed. Dynamic analyses of a set of walls with Gaussian impulses and recorded accelerograms inputs have been performed in order to compare the response of the simply supported wall with the one of the wall with elastic spring at the top. The influence of diaphragm stiffness Kd has been investigated determining the variation of maximum displacement demand with the value of Kd. A more regular trend has been obtained for the Gaussian input than for the recorded accelerograms.

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Negli ultimi cinquant’anni, in particolare dal 1956 al 2010, grazie a miglioramenti di tipo economico e sociale, il territorio urbanizzato italiano è aumentato di circa 600 mila ettari, cioè una superficie artificializzata pari quasi a quella dell’intera regione Friuli Venezia Giulia, con un aumento del 500% rispetto agli anni precedenti. Quando si parla di superfici “artificializzate” ci si riferisce a tutte quelle parti di suolo che perdono la propria caratteristica pedologica per essere asportate e divenire urbanizzate, cioè sostituite da edifici, spazi di pertinenza, parcheggi, aree di stoccaggio, strade e spazi accessori. La costruzione di intere periferie e nuclei industriali dagli anni ’50 in poi, è stata facilitata da un basso costo di mano d’opera e da una supposta presenza massiccia di risorse disponibili. Nonché tramite adeguati piani urbanistico-territoriali che hanno accompagnato ed assecondato questo orientamento. All’oggi, è evidente come questa crescita tumultuosa del tessuto urbanizzato non sia più sostenibile. Il consumo del suolo provoca infatti vari problemi, in particolare di natura ecologica e ambientale, ma anche sanitaria, economica e urbana. Nel dettaglio, secondo il dossier Terra Rubata1, lanciato all’inizio del 2012 dal FAI e WWF gli aspetti che vengono coinvolti direttamente ed indirettamente dalla conversione urbana dei suoli sono complessivamente i seguenti. Appartenenti alla sfera economico-energetica ritroviamo diseconomie dei trasporti, sperperi energetici, riduzione delle produzioni agricole. Per quanto riguarda la sfera idro-geo-pedologica vi è la possibilità di destabilizzazione geologica, irreversibilità d’uso dei suoli, alterazione degli assetti idraulici ipo ed epigei. Anche la sfera fisico-climatica non è immune a questi cambiamenti, ma può invece essere soggetta ad accentuazione della riflessione termica e dei cambiamenti 1 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 2 climatici, ad una riduzione della capacità di assorbimento delle emissioni, ad effetti sul sequestro del carbonio e sulla propagazione spaziale dei disturbi fisico-chimici. In ultimo, ma non per importanza, riguardo la sfera eco-biologica, ritroviamo problemi inerenti l’erosione fisica e la distruzione degli habitat, la frammentazione eco sistemica, la distrofia dei processi eco-biologici, la penalizzazione dei servizi ecosistemici dell’ambiente e la riduzione della «resilienza» ecologica complessiva. Nonostante ci sia ancora la speranza che questo orientamento possa “invertire la rotta”, non è però possibile attendere ancora. È necessario agire nell’immediato, anche adottando adeguati provvedimenti normativi e strumenti pianificatori ed operativi nell’azione delle pubbliche amministrazioni analogamente a quanto, come evidenziato nel dossier sopracitato2, hanno fatto altri paesi europei. In un recente documento della Commissione Europea3 viene posto l’anno 2050 come termine entro il quale “non edificare più su nuove aree”. Per fare ciò la Commissione indica che nel periodo 2000-2020 occorre che l’occupazione di nuove terre sia ridotta in media di 800 km2 totali. È indispensabile sottolineare però, che nonostante la stabilità demografica della situazione attuale, se non la sua leggera decrescenza, e la società attuale ha necessità di spazi di azione maggiori che non nel passato e possiede una capacità di spostamento a velocità infinitamente superiori. Ciò comporta una variazione enorme nel rapporto tra le superfici edificate (quelle cioè effettivamente coperte dal sedime degli edifici) e le superfici urbanizzate (le pertinenze pubbliche e private e la viabilità). Nell’insediamento storico, dove uno degli obiettivi progettuali era quello di minimizzare i tempi di accesso tra abitazioni e servizi urbani, questo rapporto varia tra il 70 e il 90%, mentre nell’insediamento urbano moderno è quasi sempre inferiore al 40-50% fino a valori anche inferiori al 20% in taluni agglomerati commerciali, 2 Dossier TERRA RUBATA Viaggio nell’Italia che scompare. Le analisi e le proposte di FAI e WWF sul consumo del suolo, 31 gennaio 2012 3 Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse, settembre 2011 3 industriali o direzionali nei quali il movimento dei mezzi o le sistemazioni paesaggistiche di rappresentanza richiedono maggiori disponibilità di spazi. Come conciliare quindi la necessità di nuovi spazi e la necessità di non edificare più su nuove aree? Dai dati Istat il 3% del territorio Italiano risulta occupato da aree dismesse. Aree che presentano attualmente problemi di inquinamento e mancata manutenzione ma che potrebbero essere la giusta risorsa per rispondere alle necessità sopracitate. Enormi spazi, costruiti nella precedente epoca industriale, che possono essere restituiti al pubblico sotto forma di luoghi destinati alla fruizione collettiva come musei, biblioteche, centri per i giovani, i bambini, gli artisti. Allo stesso tempo questi spazi possono essere, completamente o in parte, rinaturalizzati e trasformati in parchi e giardini. La tematica, cosiddetta dell’archeologia industriale non si presenta come una novità, ma come una disciplina, definita per la sua prima volta in Inghilterra nel 1955, che vanta di esempi recuperati in tutta Europa. Dagli anni ’60 l’opinione pubblica cominciò ad opporsi alla demolizione di alcune strutture industriali, come ad esempio la Stazione Euston a Londra, riconoscendone l’importanza storica, culturale ed artistica. Questo paesaggio industriale, diviene oggi testimonianza storica di un’epoca e quindi per questo necessita rispetto e attenzione. Ciò non deve essere estremizzato fino alla esaltazione di questi immensi edifici come rovine intoccabili, ma deve invitare l’opinione pubblica e i progettisti a prendersene cura, a reintegrarli nel tessuto urbano donando loro nuove funzioni compatibili con la struttura esistente che andrà quindi lasciata il più possibile inalterata per mantenere una leggibilità storica del manufatto. L’Europa presenta vari casi di recupero industriale, alcuni dei quali presentano veri e propri esempi da seguire e che meritano quindi una citazione ed un approfondimento all’interno di questo saggio. Tra questi l’ex stabilimento FIAT del Lingotto a Torino, 4 la celebre Tate Modern di Londra, il Leipzig Baumwollspinnerei, il Matadero Madrid e la Cable Factory a Elsinky. Questi edifici abbandonati risultano all’oggi sparsi in maniera disomogenea anche in tutta Italia, con una maggiore concentrazione lungo le linee ferroviarie e nei pressi delle città storicamente industrializzate. Essi, prima di un eventuale recupero, risultano come rifiuti abbandonati. Ma come sopradetto questi rifiuti urbani possono essere recuperati, reinventati, riabilitati, ridotati di dignità, funzione, utilità. Se questi rifiuti urbani possono essere una nuova risorsa per le città italiane come per quelle Europee, perché non provare a trasformare in risorse anche i rifiuti di altra natura? Il problema dei rifiuti, più comunemente chiamati come tali, ha toccato direttamente l’opinione pubblica italiana nel 2008 con il caso drammatico della regione Campania e in particolare dalla condizione inumana della città di Napoli. Il rifiuto è un problema dovuto alla società cosiddetta dell’usa e getta, a quella popolazione che contrariamente al mondo rurale non recupera gli scarti impiegandoli in successive lavorazioni e produzioni, ma li getta, spesso in maniera indifferenziata senza preoccuparsi di ciò che ne sarà. Nel passato, fino agli anni ’60, il problema dello smaltimento dei rifiuti era molto limitato in quanto in genere gli scatti del processo industriale, lavorativo, costruttivo venivano reimpiegati come base per una nuova produzione; il materiale da riciclare veniva di solito recuperato. Il problema degli scarti è quindi un problema moderno e proprio della città, la quale deve quindi farsene carico e trasformarlo in un valore, in una risorsa. Se nell’equilibrio ecologico la stabilità è rappresentata dalla presenza di cicli chiusi è necessario trovare una chiusura anche al cerchio del consumo; esso non può terminare in un oggetto, il rifiuto, ma deve riuscire a reinterpretarlo, a trovare per 5 esso una nuova funzione che vada ad attivare un secondo ciclo di vita, che possa a sua volta generare un terzo ciclo, poi un quarto e cosi via. Una delle vie possibili, è quella di riciclare il più possibile i nostri scarti e quindi di disassemblarli per riportare alla luce le materie prime che stavano alla base della loro formazione. Uno degli ultimi nati, su cui è possibile agire percorrendo questa strada è il rifiuto RAEE4. Esso ha subito un incremento del 30,7% negli ultimi 5 anni arrivando ad un consumo di circa 19 kilogrammi di rifiuti all’anno per abitante di cui solo 4 kilogrammi sono attualmente smaltiti nelle aziende specializzate sul territorio. Dismeco s.r.l. è una delle aziende sopracitate specializzata nello smaltimento e trattamento di materiale elettrico ed elettronico, nata a Bologna nel 1977 come attività a gestione familiare e che si è poi sviluppata divenendo la prima in Italia nella gestione specifica dei RAEE, con un importante incremento dei rifiuti dismessi in seguito all'apertura del nuovo stabilimento ubicato nel Comune di Marzabotto, in particolare nel lotto ospitante l’ex-cartiera Rizzoli-Burgo. L’azienda si trova quindi ad operare in un contesto storicamente industriale, in particolare negli edifici in cui veniva stoccato il caolino e in cui veniva riciclata la carta stampata. Se la vocazione al riciclo è storica dell’area, grazie all’iniziativa dell’imprenditore Claudio Tedeschi, sembra ora possibile la creazione di un vero e proprio polo destinato alla cultura del riciclo, all’insegnamento e all’arte riguardanti tale tematica. L’intenzione che verrà ampliamente sviluppata in questo saggio e negli elaborati grafici ad esso allegati è quella di recuperare alcuni degli edifici della vecchia cartiera e donane loro nuove funzioni pubbliche al fine di rigenerare l’area. 4 RAEE: Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche, in lingua inglese: Waste of electric and electronic equipment (WEEE) o e-waste). Essi sono rifiuti di tipo particolare che consistono in qualunque apparecchiatura elettrica o elettronica di cui il possessore intenda disfarsi in quanto guasta, inutilizzata, o obsoleta e dunque destinata all'abbandono. 6 Il progetto, nello specifico, si occuperà di riqualificare energeticamente il vecchio laboratorio in cui veniva riciclata la carta stampata e di dotarlo di aree per esposizioni temporanee e permanenti, sale conferenze, aule didattiche, zone di ristoro e di ricerca. Per quanto riguarda invece l’area del lotto attualmente artificializzata, ma non edificata, vi è l’intenzione di riportarla a zona verde attraverso la creazione di un “Parco del Riciclo”. Questa zona verde restituirà al lotto un collegamento visivo con le immediate colline retrostanti, accoglierà i visitatori e li ospiterà nelle stagioni più calde per momenti di relax ma al tempo stesso di apprendimento. Questo perché come già detto i rifiuti sono risorse e quando non possono essere reimpiegati come tali vi è l’arte che se ne occupa. Artisti del calibro di Picasso, Marinetti, Rotella, Nevelson e molti altri, hanno sempre operato con i rifiuti e da essi sono scaturite opere d’arte. A scopo di denuncia di una società consumistica, semplicemente come oggetti del quotidiano, o come metafora della vita dell’uomo, questi oggetti, questi scarti sono divenuti materia sotto le mani esperte dell’artista. Se nel 1998 Lea Vergine dedicò proprio alla Trash Art una mostra a Rovereto5 significa che il rifiuto non è scarto invisibile, ma oggetto facente parte della nostra epoca, di una generazione di consumatori frugali, veloci, e indifferenti. La generazione dell’”usa e getta” che diviene invece ora, per necessita o per scelta generazione del recupero, del riciclo, della rigenerazione. L’ipotesi di progetto nella ex-cartiera Burgo a Lama di Reno è proprio questo, un esempio di come oggi il progettista possa guardare con occhi diversi queste strutture dismesse, questi rifiuti, gli scarti della passata società e non nasconderli, ma reinventarli, riutilizzarli, rigenerarli per soddisfare le necessità della nuova generazione. Della generazione riciclo.

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Il presente lavoro trae origine dagli obiettivi e dalle relative misure applicative della riforma dell’OCM zucchero del 2006 e nello specifico dal Piano nazionale per la razionalizzazione e riconversione della produzione bieticolo-saccarifera approvato dal MIPAF nel 2007. Lo studio riguarda la riconversione dello zuccherificio di Finale Emilia (MO), di appartenenza del Gruppo bieticolo-saccarifero Co.Pro.B, in un impianto di generazione di energia elettrica e termica che utilizza biomassa di origine agricola per la combustione diretta. L'alimentazione avviene principalmente dalla coltivazione dedicata del sorgo da fibra (Sorghum bicolor), integrata con risorse agro-forestali. Lo studio mostra la necessità di coltivazione di 4.400 ettari di sorgo da fibra con una produzione annua di circa 97.000 t di prodotto al 75% di sostanza secca necessari per l’alimentazione della centrale a biomassa. L’obiettivo é quello di valutare l’impatto della nuova coltura energetica sul comprensorio agricolo e sulla economia dell’impresa agricola. La metodologia adottata si basa sulla simulazione di modelli aziendali di programmazione lineare che prevedono l’inserimento del sorgo da fibra come coltura energetica nel piano ottimo delle aziende considerate. I modelli predisposti sono stati calibrati su aziende RICA al fine di riprodurre riparti medi reali su tre tipologie dimensionali rappresentative: azienda piccola entro i 20 ha, media da 20 a 50 ha e grande oltre i 50 ha. La superficie di entrata a livello aziendale, se rapportata alla rappresentatività delle aziende dell’area di studio, risulta insufficiente per soddisfare la richiesta di approvvigionamento dell’impianto a biomassa. Infatti con tale incremento la superficie di coltivazione nel comprensorio si attesta sui 2.500 ettari circa contro i 4.400 necessari alla centrale. Lo studio mostra pertanto che occorre un incentivo superiore, di circa 80-90 €/ha, per soddisfare la richiesta della superficie colturale a livello di territorio. A questi livelli, la disponibilità della coltura energetica sul comprensorio risulta circa 9.500 ettari.

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La costruzione di un modello efficiente di corporate governance deve offrire una disciplina adeguata dei doveri contabili. Ciò nonostante, gli ordinamenti giuridici configurano i doveri di contabilità in modo incompleto, giacché l’inadempimento di questi non comporta una sanzione diretta per il soggetto inadempiente. Come informazione sulla situazione economica e finanziaria della società, esiste un interesse pubblico nella contabilità, e questa può servire come base di giudizio a soggetti interni ed esterni all’impresa, nell’adozione delle sue scelte. Disporre di un’informazione falsa o inesatta al riguardo può comportare un danno ingiustificato alla società stessa, ai soci o ai terzi, che potranno esercitare le azioni precise per il risarcimento del danno cagionato. Per evitare la produzione di questi danni, da una prospettiva preventiva, la corporate governance delle società di capitali può prevedere dei meccanismi di controllo che riducano il rischio di offrire un’informazione sbagliata. Questi controlli potranno essere esercitati da soggetti interni o esterni (revisori legali) alla struttura della società, ed avranno una configurazione diversa a seconda che le società adottino una struttura monistica o dualistica di governance. Questo ci colloca di fronte ad una eventuale situazione di concorrenza delle colpe, giacché i diversi soggetti che intervengono nel processo d’elaborazione dell’informazione contabile versano la sua attuazione sullo stesso documento: il bilancio. Risulta dunque cruciale determinare il contributo effettivo di ciascuno per analizzare il suo grado di responsabilità nella produzione del danno.

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La ricerca nasce da un lavoro di campo condotto nella provincia turca di Iğdır, un altopiano al confine con l'Armenia e il Nakhichevan, vicino alla Georgia e all'Iran, ma morfologicamente isolato dal resto della Turchia. Dopo due secoli alquanto turbolenti, la società locale è oggi caratterizzata dalla presenza di un’ampia componente turco-azera (sciita) e di un’altrettanto ampia componente turco-curda (sunnita shafiita). Inizialmente, la ricerca propone un’analisi diacronica di alcune rappresentazioni europee dell’altopiano, con particolare attenzione alle migrazioni (James Clifford, 1997, Routes: Travel and Translation in the Late Twentieth Century), ai confini, ai limiti e alle frontiere, quest’ultime intese come orizzonti dell’immaginario (Vincent Crapanzano, 2003, Imaginative Horizons: An Essay in Literary-Philosophical Anthropology). Quindi, prendendo spunto dall’inserimento nella società di Iğdır di un insegnante originario della Turchia centrale, analizzo la pratica dello spazio pubblico come fenomenologia delle forme di appartenenza e di resistenza ai gruppi locali. In questa sezione, dopo un capitolo di disamina dell’etnia azera, lo studio affronta i modi di abitare il territorio, con una prospettiva che unisce il centro urbano di Iğdır e, attraverso una fitta rete stradale e sociale, il paese di Ortaköy — alla cui analisi dell'organizzazione sociale dello spazio, delle forme di appartenenza e di resistenza, dedico l’ultima riflessione.

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Il seguente lavoro di tesi verte sulla ricerca-azione formazione triennale “Il Filo di Arianna” realizzata in convenzione tra Associazione Italiana Sindrome X Fragile e Dipartimento Di Scienze dell’Educazione – Università di Bologna, finalizzata alla superamento degli handicap che la X fragile propone. La ricerca ha un fuoco in Pedagogia Speciale e un carattere multidisciplinare e inter istituzionale grazie alla sinergia con l’area neuroriabilitativa (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) San Raffaele Pisana di Roma) e l’area della Psicologia Clinica (Ospedale Bambin Gesù di Roma). Il lavoro di tesi descrive il percorso per giungere alle linee guida di intervento scaturite dalla ricerca, per il potenziamento cognitivo ed affettivo di bambini e persone con x fragile nei contesti di casa, scuola e tempo libero.

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Questa tesi punta a ricostruire il pensiero politico di Bell tra il secondo dopoguerra e la metà degli anni Settanta. In tale arco cronologico, la riflessione politica di Bell si profila, per usare una formula di Jean-François Lyotard, come una «grande narrazione» del capitalismo. Nel complesso, cioè, l’opera di Bell appare come una storia sociologica del capitalismo, che nella fine delle ideologie registra l’apogeo del fordismo e, in seguito, ne mette in luce le trasformazioni in senso post-industriale, indagando le ricadute che tali mutamenti implicano sul piano dei rapporti di potere e della legittimazione del sistema. Nell’ottica di Bell, pertanto, il capitalismo non costituisce soltanto un sistema economico, ma la forma specifica attraverso cui si dispiega la società nel suo complesso, attivando una serie di rapporti di potere mediante i quali gli individui vengono coordinati e subordinati. Una siffatta concezione del capitalismo agisce immediatamente la questione del potere e solleva un interrogativo a esso connesso: «che cosa tiene insieme una società?». Una domanda che attraversa la traiettoria intellettuale di Bell e, sia pure declinata mediante una terminologia sociologica, riflette in realtà l’ambizione delle scienze sociali di farsi teoria politica. Esse si presentano quindi come teoria politica della modernità, nella misura in cui distinguono il potere sociale dal potere politico e, al tempo stesso, instaurano tra i due poli una tensione dialettica produttiva. Mettendo a fuoco la concettualizzazione del potere nell’opera di Bell si analizzeranno le mutazioni nel rapporto tra Stato e società negli Stati Uniti durante la Golden Age del capitalismo. In particolare, si metterà in luce nella grande narrazione di Bell l’ascesa e il declino di un ordine istituzionale che, alla metà degli anni Settanta, appare percorso da molteplici tensioni politiche e sociali che preannunciano l’avvento dell’età globale e il bisogno di una nuova “scala” di governo.

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Lo studio si propone di perfezionare un protocollo operativo, per monitorare nel tempo la vulnerabilità sismica dei centri storici italiani, attraverso la semplice determinazione di semplici indici.

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Questo studio ha come obiettivo la definizione di un protocollo operativo per la valutazione e il monitoraggio nel tempo della vulnerabilità sismica dei centri storici a scala dell'aggregato. Attraverso la ricostruzione delle fasi di trasformazione e delle caratteristiche tecniche locali si individuano e analizzano e carenze peculiari e, con la determinazione degli indici, si fornisce un giudizio globale sull'aggregato.