1000 resultados para Rischio di incidente rilevante
Resumo:
Il presente elaborato si propone di esaminare il tema del fine vita, con specifico riferimento al suicidio assistito e all’eutanasia. Dopo aver evidenziato la netta distinzione tra rifiuto/rinuncia del trattamento sanitario anche salva vita, aiuto al suicidio ed eutanasia, ci si sofferma, in primo luogo, sull’analisi della legge n. 219/2017, rubricata “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”, che riconosce la massima ampiezza all’autodeterminazione terapeutica nell’ambito della relazione medico-paziente. In secondo luogo, si esamina il tema del suicidio assistito, soffermandosi sulle pronunce della giurisprudenza costituzionale e di merito. Successivamente, in una prospettiva comparata, viene fornita un’ampia analisi delle discipline della morte medicalmente assistita attualmente vigente in diversi ordinamenti. Infine, si esamina il tema dell’eutanasia, in particolare concentrandosi sulla donazione di organi post eutanasia, sul rischio della slippery slope e sulla necessità di tutelare i soggetti vulnerabili.
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INTRODUZIONE Pochi studi in Letteratura hanno indagato la correlazione tra la sintomatologia dolorosa associata all’interruzione farmacologica di gravidanza (IVG) e i livelli d’ansia pre-trattamento. L’obiettivo primario del nostro studio è stato di valutare la correlazione tra la sintomatologia dolorosa in corso di IVG farmacologica e i livelli d’ansia pre-trattamento. Inoltre, sono stati indagati i fattori predittivi di dolore e la correlazione con l’epoca gestazionale. MATERIALI E METODI È stato condotto uno studio osservazionale, prospettico, multicentrico presso l’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’Azienda USL e presso l’Unità Operativa di Ginecologia dell’IRCCS Sant’Orsola Malpighi di Bologna. Sono state incluse le pazienti sottoposte a IVG farmacologica tra giugno 2021 e novembre 2021, che rispettassero i criteri di inclusione ed esclusione. Sono stati somministrati 5 questionari (GHQ-12, GAD-7, STAI-6, VAS) e raccolti i dati anamnestici ed ecografici. I potenziali fattori di rischio sono stati, quindi, selezionati per l’inclusione nell'analisi di regressione multivariata. RISULTATI Delle 242 pazienti incluse, il 38,0% ha riferito una sintomatologia dolorosa severa (VAS >70). Dall’analisi di regressione multivariata, la dismenorrea intensa è risultata essere il fattore di rischio più forte per il dolore (OR = 6,30, IC 95% 2,66 – 14,91), seguita da alti livelli di ansia valutati mediante il punteggio del GHQ-12 > 9 (OR = 3,33, IC 95% 1,43 – 7,76). Al contrario, la nostra analisi ha confermato che un precedente parto vaginale rappresentava una caratteristica protettiva contro il dolore (OR 0,26, IC 95% 0,14 – 0,50). CONCLUSIONI Nel nostro studio alti livelli d’ansia pre-trattamento e la dismenorrea sono associati ad intensa sintomatologia dolorosa, mentre il parto vaginale è risultato protettivo. L’IVG farmacologica è una metodica efficace e sicura, ma spesso associata a sintomatologia dolorosa. È quindi fondamentale delineare fattori di predittivi di dolore ed individuare le pazienti a maggior rischio a cui somministrare un’idonea terapia antalgica.
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L’insorgere della pandemia da COVID-19 ha comportato una pesante riorganizzazione delle strutture ospedaliere e lo stesso sistema delle cure oncologiche è stato ripensato cercando di garantire, da un lato, la sicurezza dei pazienti e del personale sanitario e, dall’altro, la continuità delle cure. Il progetto analizza l’impatto di questa riorganizzazione sulle traiettorie di malattia dei pazienti oncologici e sul lavoro di cura dei diversi attori coinvolti nella definizione di queste traiettorie. La ricerca, focalizzata sul contesto ospedaliero emiliano-romagnolo, si è svolta tramite la realizzazione di interviste qualitative a personale sanitario ospedaliero, associazioni di volontariato, pazienti e caregiver. La gestione del rischio Covid ha comportato un consistente impegno in termini di safety work da parte del personale sanitario. Inoltre, le limitazioni degli accessi agli ambienti ospedalieri, imposte come misure di sicurezza, hanno comportato l’esclusione di familiari e associazioni di volontariato dagli ospedali e, di conseguenza, una maggiore solitudine del paziente in tutte le fasi del percorso di cura. L’assistenza fornita da queste figure ricomprende una componente di “lavoro invisibile” che la situazione pandemica ha permesso di far emergere. Infatti, i familiari supportano indirettamente e informalmente il lavoro del personale sanitario all’interno dello stesso ambiente ospedaliero. I professionisti intervistati hanno riconosciuto il venir meno di questo supporto. La risposta del personale ospedaliero, e infermieristico in particolare, si è articolata in due direzioni al fine di sopperire a queste mancanze: da un lato, incrementando la componente di sentimental work, e quindi di supporto emotivo ai pazienti; dall’altro, attraverso buone pratiche orientate a rispondere ai bisogni dei pazienti, intesi non solo in senso biomedico, ma anche psicologico e relazionale. Possiamo quindi concludere che, sotto certi aspetti, la pandemia è stata contrastata con una maggiore umanizzazione delle cure oncologiche e una maggiore attenzione ai bisogni dei pazienti intesi nella loro interezza e complessità.
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L’energia da onda potrebbe assumere un ruolo fondamentale per la transizione energetica durante i prossimi decenni, grazie alla sua continuità nel tempo molto superiore rispetto ad altre risorse rinnovabili e alla sua vasta distribuzione nello spazio. Tuttavia, l’energia da onda è ancora lontana dall’essere economicamente sostenibile, a causa di diverse problematiche tecnologiche e alle difficoltà finanziarie associate. In questa ricerca, si è innanzitutto affrontata una delle maggiori sfide tecniche, nello specifico la progettazione e modellazione di sistemi di ancoraggio per i dispositivi galleggianti, proponendo possibili soluzioni per la modellazione numerica di sistemi di ancoraggio complessi e per l’ottimizzazione dei dispositivi stessi. Successivamente sono state analizzate le possibili sinergie strategiche di installazioni per lo sfruttamento della energia da onda con altre risorse rinnovabili e la loro applicazione nel contesto di aree marine multiuso. In particolare, una metodologia per la valutazione della combinazione ottimale delle risorse rinnovabili è stata sviluppata e verificata in due diversi casi studio: un’isola e una piattaforma offshore. Si è così potuto evidenziare l’importante contributo della risorsa ondosa per la continuità energetica e per la riduzione della necessità di accumulo. Inoltre, è stato concepito un metodo di supporto decisionale multicriteriale per la valutazione delle opzioni di riuso delle piattaforme offshore alla fine della loro vita operativa, come alternativa al decommissionamento, nell’ottica di una gestione sostenibile e della ottimizzazione dell’uso dello spazio marino. Sulla base dei criteri selezionati, l’inclusione di attività innovative come la produzione di energia da onda si è dimostrata essere rilevante per rendere vantaggioso il riuso rispetto al decommissionamento. Numerosi studi recenti hanno infatti sottolineato che, nell’ambito della “crescita blu”, i mercati come l’oil&gas, le attività offshore e le isole stimoleranno lo sviluppo di tecnologie innovative come lo sfruttamento dell’energia da onda, promuovendo la sperimentazione e fornendo un importante contributo all’avanzamento tecnico e alla commercializzazione.
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Il presente lavoro è il risultato di cinque anni di ricerca sulla performance rituale delle Nava Durgā del popolo newar a Bhaktapur (Nepal). Dal 1512, per circa nove mesi all'anno, gli uomini della casta inferiore Banmālā reincarnano le nove manifestazioni femminili della dea Durgā ed eseguono le danze in maschera. La performance della Nava Durgā è una pratica culturale molto complessa, composta da suoni, danze, processioni, momenti di venerazione (pūjā), rituali tantrici e momenti sacrificali. Gli aspetti musicali e teatrali della performance costituiscono il focus dell’indagine di questo studio. Dopo una descrizione analitica degli strumenti musicali utilizzati nella performance, alcuni elementi sonori vengono trascritti e analizzati mettendo in luce le caratteristiche tipiche della musica newar. I contenuti narrativi delle danze e il ciclo vitale delle Nava Durgā rispecchiano la vita hindu. La loro interpretazione viene realizzata in base alle osservazioni etnografiche; alcuni temi che costituiscono gli obiettivi dei devoti hindu (puruṣārtha) vengono esaminati attraverso l’approccio storico e quello etnografico, anche al fine di sottolineare il ruolo didascalico e formativo della performance. Un altro argomento discusso in questo lavoro consiste nell'identità dei danzatori Banmālā e quella del popolo newar in generale; questo aspetto è emerso in modo rilevante anche durante le fasi di mediatizzazione della performance delle Nava Durgā avvenute nel periodo del COVID-19. Da questo punto di vista, il presente lavoro costituisce un contributo alla diffusione della conoscenza della tradizione delle Nava Durgā; questo converge con l'obiettivo dei Banmālā di aumentare la visibilità della performance al fine di affermare la propria identità sia nel contesto nazionale che in quello internazionale.
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Questa tesi propone un indagine sulla memoria del retorno a partire da una prospettiva critica che assume il “sud globale di lingua portoghese” come spazio storico e concettuale di riferimento. Si riflette sull'idea di specificità attribuita alla colonizzazione promossa dal Portogallo in Africa tenendo conto delle contraddizioni associate al movimento migratorio innescato dal processo violento di decolonizzazione dell’Africa portoghese. Le memorie trauamatiche sul retorno espongono la violenza come componente costitutiva della realtà coloniale ma ripropongono anche dinamiche che permettono l’occultamento del razzismo. L'esplorazione della “soffitta”, assunta come metafora della memoria familiare custodita nello spazio domestico, accompagna quella dell’archivio pubblico. L’analisi dell’archivio ufficiale e della memoria familiare riflette il tentativo di stabilire un dialogo tra storia e memoria superando la logica di antitesi che tradizionalmente le contrappone. Utilizzando il concetto criticamente problematico di “postmemoria” si riflette sulla riconfigurazione del rapporto con il passato in funzione di un’idea di “eredità come compito” assunto nel presente). La possibilità di “salvare” il passato dalla progressiva scomparsa dei testimoni comporta un pericolo di abuso ideologico connaturato al processo di trasmissione. La traduzione delle memorie coloniali sul retorno dallo spazio intimo allo spazio del dibattito pubblico mostra la relazione tra la costruzione della mitologia familiare e l’adozione del discorso lusotropicale. Il tentativo di definire la natura indecifrabile del retornado comporta la possibilità di sanzionare la violenza coloniale negando una responsabilità collettiva riferita al colonialismo. Si presenta il tentativo di configurare i termini di una questione post-coloniale portoghese dai contorni opachi. Questa tesi approda ad una conclusione aperta, articolata sul rischio sempre presente di appropriazione delle categorie critiche post-coloniali da parte dell’ideologia egemonica. Attraverso le (post)memorie (post)coloniali la denuncia del razzismo in quanto eredità permanente e la riconfigurazione dell’archivio coloniale costituiscono operazioni possibili, necessarie, ma non per questo scontate o prive di rischi.
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Le neoplasie cutanee di tipo non-melanoma (non-melanoma skin cancers, NMSCs), quali il carcinoma a cellule basali (basal cell carcinoma, BCC) e il carcinoma a cellule squamose (squamous cell carcinoma, SCC) possono mostrare invasività locale e alto tasso di recidiva. La chirurgia microscopicamente controllata di Mohs (Mohs micrographic surgery, MMS) permette di eseguire una valutazione istologica immediata dei margini chirurgici delle neoplasie contestualmente alla loro escissione. Nel nostro studio abbiamo valutato del ruolo delle tecnologie in vivo (dermatoscopia e microscopia confocale a riflettanza, MCR) nella definizione dei margini preoperatori di NMSC ad alto rischio del volto e descritto la nostra esperienza con chirurgia tradizionale e MMS. Sono stati valutati 234 pazienti operati nel triennio 2019-2021: 39 con MMS e guida videodermatoscopica (Gruppo 1) e 195 con chirurgia tradizionale e guida videodermatoscopica (Gruppo 2). I pazienti operati nel periodo 2013-2018 (con MMS, Gruppo 3 (n = 241), e con chirurgia tradizionale, Gruppo 4 (n = 1086)) sono stati usati come confronto. La radicalità chirurgica è stata ottenuta nel Gruppo 1 nel 92,3% dei casi, con 1,2 steps in media di MMS (versus 1,7 nel Gruppo 3), nel Gruppo 2 nell’84,5% dei casi. La percentuale di non radicalità è stata: 7,7% nel Gruppo 1, 15,9% nel Gruppo 2, 6,2% nel Gruppo 3, 17,9% nel Gruppo 4. I tassi di recidiva sono stati: 5,1% nel Gruppo 1, 3,6% nel Gruppo 2, 4,1% nel Gruppo 3, 5,9% nel Gruppo 4, soprattutto in BCC di tipo sclerodermiforme e infiltrante. La MCR prechirurgica è stata utilizzata in 11 pazienti, con alcuni limiti nel delineare BCC di tipo sclerodermiforme e infiltrante. In conclusione, la videodermatoscopia e la MCR appaiono valide tecniche ancillari alla MMS e anche alla chirurgia tradizionale nel trattamento dei NMSCs. La MMS appare indicata soprattutto nei pazienti giovani e salvaguarda l’outcome estetico e funzionale.
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La malattia di Parkinson è una malattia neurodegenerativa caratterizzata da una progressiva disfunzione motoria e cognitiva. È noto che l'età avanzata è il principale fattore di rischio per la malattia di Parkinson e alcuni studi hanno dimostrato un'accelerazione dell'età biologica nelle fasi più avanzate della malattia. Questo studio si propone di valutare se l'accelerazione dell'invecchiamento biologico descritta nelle fasi avanzate della malattia di Parkinson caratterizzi anche le prime fasi della malattia. A tal fine sono stati utilizzati due tipi di marcatori biologici di età, basati sull'analisi della metilazione del DNA del sangue (l'orologio epigenetico e sue varianti) e dei profili degli N-glicani nel plasma (GlycoAge Test). I biomarcatori sono stati valutati in campioni ottenuti da pazienti con malattia di Parkinson de novo, con diagnosi recente e non ancora in trattamento farmacologico, nonché da pazienti con stadi più avanzati della malattia e da controlli sani. I risultati ottenuti nelle prime fasi della malattia non mostrano segni di invecchiamento accelerato, che trovano conferma nelle fasi più avanzate. Dai dati di metilazione è possibile prevedere le proporzioni delle diverse popolazioni di leucociti. Questa analisi nelle prime fasi della malattia ha già evidenziato significative alterazioni che seguono in parte quelle caratteristiche dell'invecchiamento del sistema immunitario, suggerendo un'immunosenescenza accelerata nella malattia di Parkinson. Infine, i dati sulla metilazione del DNA sono stati analizzati per identificare le differenze nelle regioni metilate del genoma tra pazienti con malattia di Parkinson e controlli. I risultati suggeriscono l'esistenza di piccole ma significative alterazioni nella metilazione del DNA che caratterizzano lo stadio precoce e/o avanzato della malattia. In conclusione, questo studio suggerisce che le prime fasi della malattia di Parkinson sono caratterizzate da specifiche alterazioni epigenetiche e invecchiamento precoce del sistema immunitario, che tuttavia non si traducono in un'alterazione dei biomarcatori di invecchiamento epigenetici e glicomici.
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Il patrimonio culturale sopravvissuto fino ai giorni nostri nonostante calamità naturali ed eventi catastrofici è oggi sempre più in pericolo: gli eventi naturali, accelerati e resi ancora più distruttivi dagli effetti del cambiamento climatico, lo scoppio continuo di nuovi conflitti armati e l’inconsapevolezza con cui gli uomini sfruttano il territorio comportano un aumento dei rischi e dei possibili danni ad un patrimonio che, tuttavia, è di importanza vitale per la crescita dell’umanità. Per evitare che il patrimonio culturale venga disperso o distrutto, è necessario applicare misure di prevenzione e protezione mirate, utilizzando in maniera efficiente gli strumenti disponibili; lo scopo ultimo della prevenzione e della protezione deve essere la resilienza, che va costruita attraverso la conoscenza e l’attenta pianificazione della gestione del patrimonio. Il presente lavoro di ricerca si propone dunque di analizzare i metodi e le strategie utilizzabili per la valutazione e la gestione del rischio applicati ai beni culturali, verificando a quale livello di consapevolezza si è giunti a livello sia nazionale che internazionale, passando in rassegna le tecnologie che permettono di proteggere il patrimonio agevolando il lavoro di mitigazione del rischio e applicando un prototipo di calcolo e analisi del rischio al caso studio del Museo di Nonantola, in provincia di Modena.
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Il soft power di uno Stato è l’immagine che questo dà di sé agli altri, ed è naturalmente riempito di suoi ideali e valori, della sua lingua e delle sue conoscenze. La cultura, nella sua più ampia declinazione, in tal senso si rivela uno strumento diplomatico rilevante nella politica estera dello Stato. Questa può affermarne la presenza, preservarne l’identità, sviluppare forme di solidarietà, favorire obiettivi politici attraverso l’influenza del pubblico internazionale. La diplomazia culturale italiana negli anni di guerra fredda si è rappresentata come “strada operativa” particolare nel più ampio ventaglio di scelte di politica estera del nostro paese, a volte precorrendo le mire e gli obiettivi della diplomazia cosiddetta “tradizionale”. La cultura ha offerto all’Italia una prospettiva aggiuntiva nei termini del dialogo internazionale, ponendosi come canale privilegiato di relazioni difficilmente concertabili altrimenti nel corso della seconda metà del Novecento, segnata dal conflitto bipolare. Nella sua tensione verso la pace e la stabilità, con il suo costante richiamo ai diritti ed ai valori della democrazia, la diplomazia culturale italiana ha potuto inoltre vantare un contributo non secondario nella transizione dalle dinamiche internazionali segnate dalla guerra fredda alla determinazione delle relazioni internazionali propriamente post-bipolari.
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L’importanza delle api per la vita sulla Terra ed il rischio alle quali sono sottoposte per via dell’azione dell’uomo sono ormai un dato di fatto. La concezione antropocentrica della natura e l’allevamento al solo fine produttivo di questi piccoli insetti, ha da sempre danneggiato il loro habitat e interferito con i loro cicli biologici. L’apicoltura, nata come un rapporto mutualistico in cui l’uomo offriva un rifugio alle api e loro in cambio provvedevano al suo nutrimento, si è trasformato in una dannosa dipendenza ed in un assoggettamento di questi insetti ai ritmi artificiali e tutt’altro che naturali della produzione rapida e seriale volta all’ottenimento di un profitto. Un’evidente prova di questa condizione, sono i rifugi per le api, le arnie. Ci siamo mai chiesti perché le arnie hanno questa forma? È quella che preferiscono le api, o quella che rende più pratici e veloci processi di costruzione, gestione e produzione? In natura le api colonizzano cavità quali tronchi cavi di alberi, forme lontane, per non dire diametralmente opposte a quelle in cui le vediamo vivere negli allevamenti. In questa ottica, il design e le nuove tecnologie, poste al servizio della Natura, conducono ad un punto di incontro tra le esigenze umane e quelle degli altri esseri viventi, delle api in questo caso. I concetti di Additive Manufacturing e Design Computazionale, permettono processi di produzione simili a quelli evolutivi naturali e trovano per questa motivazione un’applicazione ideale per progetti che si pongono come fine quello di discostarsi da una visione troppo artificiale, per riavvicinarsi alla perfezione e all’armonia delle leggi della Natura.
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La struttura di un ospedale è notevolmente complessa nella sua organizzazione e conduzione, ed è per di più sollecitata a continue trasformazioni di carattere tecnologico ed organizzativo. Pertanto è essenziale, in una struttura sanitaria, il ruolo svolto dall’Ingegneria Clinica, che è quello dell’applicazione dei metodi e delle competenze specifiche proprie dell’ingegneria all’organizzazione, alla gestione e all’uso sicuro ed appropriato della strumentazione biomedica. Il seguente elaborato tratta le verifiche di sicurezza delle apparecchiature elettromedicali (EM) con una particolare attenzione agli aspetti normativi che le contraddistinguono e al ruolo dell’ingegnere clinico. Parlare di sicurezza per le tecnologie biomediche, significa garantire l’utilizzo delle stesse in assenza di rischi per l’utilizzatore e per il paziente, perciò il concetto di rischio è analizzato accuratamente. Oltre alla manutenzione correttiva è compito dell’ingegnere clinico programmare strategie di manutenzione preventiva per ottimizzare la durata fisiologica degli apparecchi EM e garantirne la qualità delle prestazioni erogate a lungo termine. L’utilizzo o il semplice invecchiamento di una qualsiasi apparecchiatura ne provoca infatti l’usura dei materiali e la deriva delle caratteristiche, aumentando la probabilità di guasto ed avaria. Pertanto la definizione di procedure di verifica elettrica periodica diventa fondamentale per l’individuazione di gran parte di quelle situazioni di compromissione della sicurezza che sono causa di danni e incidenti. Il loro scopo è quello di accertarsi che un’apparecchiatura abbia mantenuto nel tempo le caratteristiche di sicurezza dichiarate dal produttore e certificate dalla marcatura di conformità CE. Per completare l’iter di verifica di sicurezza e definirne il livello minimo accettabile è essenziale eseguire, oltre alle verifiche elettriche, le verifiche funzionali per valutare l’efficacia delle singole funzioni e prestazioni.
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la gestione ottimale del rischio alluvionale è un ambito di ricerca di grande rilevanza a livello nazionale e internazionale. Con riferimento alle alluvioni, infatti, sono state proposte in letteratura diverse tecniche innovative per la previsione e la mitigazione del rischio alluvionale. Tra di esse spiccano le tecniche speditive di mappatura della pericolosità idraulica ottenute attraverso l'utilizzo di descrittori geomorfici. Detti approcci derivano descrittori morfologici analizzando modelli digitali delle quote del terreno (DEM) ed in base ad essi forniscono una mappatura di pericolosità idraulica da alluvione. Che gioco svolge la risoluzione del DEM di partenza sull'accuratezza dei prodotti finali? La combinazione di DEM a diversa risoluzione migliora le prestazioni dei singoli dataset? Il lavoro di Tesi analizza l'importanza della risoluzione del DEM di partenza sull'accuratezza delle mappature conseguibili, utilizzando come riferimento l'area del bacino del Samoggia con chiusura a Calcara. I risultati ottenuti mostrano come: (a) le caratteristiche dei descrittori geomorfici considerati sembrano essere influenzate significativamente da quelle del DEM utilizzato come dato in ingresso e (b) DEM ad elevata risoluzione portino ad un aumento nell'accuratezza della mappatura di pericolosità.
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A fronte dei numerosi eventi di perdita di servizio o crolli di ponti degli ultimi anni, il loro adeguamento e/o miglioramento è divenuto prioritario. Con questo spirito si è posta l’attenzione sui ponti Gerber, descrivendo dapprima le ragioni tecniche e storiche del loro sviluppo, i problemi di degrado, ed infine i modelli disponibili per il calcolo della portanza delle selle. Consapevoli della ridotta durabilità di queste opere, e del fatto che le cerniere Gerber sono state ufficialmente classificate come punti critici da attenzionare ai sensi delle nuove “Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza ed il monitoraggio dei ponti esistenti” del 2020, sono stati approfonditi due scenari tipici di intervento su casi reali di ponti che presentassero giunti Gerber particolarmente ammalorati. La soluzione più conservativa e meno invasiva prevede il mantenimento in essere delle selle e si basa sul by-pass dei giunti stessi ottenuto attraverso il meccanismo “leva” che si instaura in un sistema di travi metalliche posto a sostegno delle travi d’impalcato. Quella di solidarizzare le travi rendendo il sistema iperstatico è invece la seconda soluzione analizzata. La chiusura delle selle consente di ottenere gli effetti benefici propri delle strutture iperstatiche, a spese comunque della nascita di sollecitazioni all’interno della trave originariamente compresa tra le cerniere. Si è infine accennato a ipotesi di miglioramento sismico dell’opera, trattato con la cucitura delle selle Gerber stesse, che hanno consentito all’impalcato di avere un comportamento monolitico. Il presente elaborato costituisce dunque un punto d’incontro tra i modelli teorici con cui si studiano i degradi e la capacità portante residua delle selle, e le soluzioni progettuali di intervento effettivamente utilizzate e disponibili per la messa in sicurezza di ponti con caratteristiche simili.
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La quantificazione del benzene ematico è un tema di grande interesse nell'ambito della tossicologia occupazionale. La determinazione dell'analita, estratto nello spazio di testa di un vial, è eseguita mediante l'utilizzo di un gascromatografo con rilevatore a ionizzazione di fiamma (GC-FID). Si è cercato di ottimizzare il processo di estrazione del benzene dal sangue allo spazio di testa ed il successivo trasferimento dell'analita nella colonna cromatografica, mediante l'applicazione di un disegno sperimentale fattoriale a tre fattori e due livelli (DoE). I fattori individuati per impostare il piano sperimentale sono stati: variazione della temperatura di incubazione (A) del vial contenente il campione di sangue, pH del campione (B), modulato mediante aggiunta di una soluzione di H2SO4 e forza ionica (C), regolata mediante una soluzione acquosa di NaCl. I livelli scelti per ciascuna variabile sono stati: per A 40 e 60 °C; per B pH naturale del campione e pH a seguito dell'aggiunta di 1 mL di H2SO4 1.8 M; per C FI naturale del campione e FI dovuta all'aggiunta di una soluzione acquosa di sodio cloruro (5 g/L). Dall'analisi dei risultati forniti dal DoE, si è osservato che A, B e C hanno effetti tra loro contrastanti, per questo motivo non sembra essere vantaggioso combinare variabili differenti. In compenso, sia l'aumento di temperatura che l'aggiunta di acido solforico portano a significativi miglioramenti nell'estrazione di benzene dal sangue. Tra i tre trattamenti risulta essere B quello più efficace, motivo per il quale si ritiene che l'aggiunta di una soluzione acquosa di H2SO4 al campione di sangue porti ad una maggiore sensibilità e risoluzione strumentale. Sicuramente la sensibilità del metodo elaborato non può essere paragonata alle tradizionali determinazioni con spettrometro di massa, ma si ritiene possa essere sufficientemente soddisfacente per valutare l'esposizione a benzene dei lavoratori a rischio e come analisi di screening rapida ed economica.