658 resultados para Omnipotencia divina
Resumo:
Cosa e’ stato fatto e il fine della ricerca in questi tre anni si è esaminato il materiale edito sui sarcofagi del periodo in esame, sui culti funerari, i problemi religiosi ed artistici. Per trovare confronti validi si sono resi necessari alcuni viaggi sia in Italia che all’estero. Lo scopo della ricerca è stato quello di “leggere” i messaggi insiti nelle figurazioni delle casse dei sarcofagi, per comprendere meglio la scelta dei committenti verso determinati temi e la ricezione di questi ultimi da parte del pubblico. La tomba, infatti, è l’ultima traccia che l’uomo lascia di sé ed è quindi importante cercare di determinare l’impatto psicologico del monumento funerario sul proprietario, che spesso lo acquistava quando ancora era in vita, e sui familiari in visita alla tomba durante la celebrazione dei riti per i defunti. Nell’ultimo anno, infine, si è provveduto a scrivere la tesi suddivindendo i capitoli e i pezzi in base all’argomento delle figurazioni (mitologici, di virtù, etc.). I capitoli introduttivi Nel primo capitolo di introduzione si è cercato di dare un affresco per sommi capi del periodo storico in esame da Caracalla a Teodosio e della Chiesa di III e IV secolo, mettendo in luce la profonda crisi che gravava sull’Impero e le varie correnti che frammentavano il cristianesimo. In particolare alcune dispute, come quella riguardante i lapsi, sarà alla base di ipotesi interpretative riguardanti la raffigurazione del rifiuto dei tre giovani Ebrei davanti a Nabuchodonosor. Nel capitolo seguente vengono esaminati i riti funerari e il ruolo dei sarcofagi in tali contesti, evidenziando le diverse situazioni emotive degli osservatori dei pezzi e, quindi, l’importanza dei temi trattati nelle casse. I capitolo Questo capitolo tratta dei sarcofagi mitologici. Dopo una breve introduzione, dove viene spiegata l’entrata in uso dei pezzi in questione, si passa alla discussione dei temi, suddivisi in paragrafi. La prima classe di materiali è qualla con la “caduta di Fetonte” la cui interpretazione sembra chiara: una tragedia familiare. Il compianto sul corpo di un ragazzo morto anzi tempo, al quale partecipa tutto il cosmo. L’afflizione dei familiari è immane e sembra priva di una possibile consolazione. L’unico richiamo a riprendere a vivere è solo quello del dovere (Mercurio che richiama Helios ai propri impegni). La seconda classe è data dalle scene di rapimento divino visto come consolazione e speranza in un aldilà felice, come quelle di Proserpina e Ila. Nella trasposizione della storia di Ila è interessante anche notare il fatto che le ninfe rapitrici del giovane – defunto abbiano le sembianze delle parenti già morte e di un fanciullo, probabilmente la madre, la nonna e un fratello deceduto anzi tempo. La terza classe presenta il tema del distacco e dell’esaltazione delle virtù del defunto nelle vesti dei cacciatori mitici Mealeagro, Ippolito e Adone tutti giovani, forti e coraggiosi. In questi sarcofagi ancor più che negli altri il motivo della giovinezza negata a causa della morte è fondamentale per sottolineare ancora di più la disperazione e il dolore dei genitori rimasti in vita. Nella seguente categoria le virtù del defunto sono ancora il tema dominante, ma in chiave diversa: in questo caso l’eroe è Ercole, intento ad affrontare le sue fatiche. L’interpretazione è la virtù del defunto che lo ha portato a vincere tutte le difficoltà incontrate durante la propria vita, come dimostrerebbe anche l’immagine del semidio rappresentato in età diverse da un’impresa all’altra. Vi è poi la categoria del sonno e della morte, con i miti di Endimione, Arianna e Rea Silvia, analizzato anche sotto un punto di vista psicologico di aiuto per il superamento del dolore per la perdita di un figlio, un marito, o, ancora, della sposa. Accanto ai sarcofagi con immagini di carattere narrativo, vi sono numerosi rilievi con personaggi mitici, che non raccontano una storia, ma si limitano a descrivere situazioni e stati d’animo di felicità. Tali figurazioni si possono dividere in due grandi gruppi: quelle con cortei marini e quelle con il tiaso dionisiaco, facendo dell’amore il tema specifico dei rilievi. Il fatto che quello del tiaso marino abbia avuto così tanta fortuna, forse, per la numerosa letteratura che metteva in relazione l’Aldilà con l’acqua: l’Isola dei Beati oltre l’Oceano, viaggi per mare verso il mondo dei morti. Certo in questo tipo di sarcofagi non vi sono esplicitate queste credenze, ma sembrano più che altro esaltare le gioie della vita. Forse il tutto può essere spiegato con la coesistenza, nei familiari del defunto, della memoria retrospettiva e della proiezione fiduciosa nel futuro. Sostanzialmente era un modo per evocare situazioni gioiose e di godimento sensibile, riferendole ai morti in chiave beneaugurale. Per quanto rigurda il tiaso di Bacco, la sua fortuna è stata dettata dal fatto che il suo culto è sempre stato molto attivo. Bacco era dio della festa, dell’estasi, del vino, era il grande liberatore, partecipe della crescita e della fioritura, il grande forestiero , che faceva saltare gli ordinamenti prestabiliti, i confini della città con la campagna e le convenzioni sociali. Era il dio della follia, al quale le menadi si abbandonavano nella danza rituale, che aggrediva le belve, amante della natura, ma che penetra nella città, sconvolgendola. Del suo seguito facevano parte esseri ibridi, a metà tra l’ordine e la bestialità e animali feroci ammansiti dal vino. I suoi nemici hanno avuto destini orribili di indicibile crudeltà, ma chi si è affidato anima e corpo a lui ha avuto gioia, voluttà, allegria e pienezza di vita. Pur essendo un valente combattente, ha caratteri languidi e a tratti femminei, con forme floride e capelli lunghi, ebbro e inebriante. Col passare del tempo la conquista indiana di alessandro si intrecciò al mito bacchico e, a lungo andare, tutti i caratteri oscuri e minacciosi della divinità scomparirono del tutto. Un esame sistematico dei temi iconografici riconducibili al mito di Bacco non è per nulla facile, in quanto l’oggetto principale delle raffigurazioni è per lo più il tiaso o come corteo festoso, o come gruppi di figure danzanti e musicanti, o, ancora, intento nella vendemmia. Ciò che interessava agli scultori era l’atmosfera gioiosa del tiaso, al punto che anche un episodio importante, come abbiamo visto, del ritrovamento di Arianna si pèerde completamente dentro al corteo, affollatissimo di personaggi. Questo perché, come si è detto anche al riguardo dei corte marini, per creare immagini il più possibile fitte e gravide di possibilità associative. Altro contesto iconografico dionisiaco è quello degli amori con Arianna. Sui sarcofagi l’amore della coppia divina è raffigurato come una forma di stupore e rapimento alla vista dell’altro, un amore fatto di sguardi, come quello del marito sulla tomba della consorte. Un altro tema , che esalta l’amore, è senza ombra di dubbio quello di Achille e Pentesilea, allegoria dell’amore coniugale. Altra classe è qualla con il mito di Enomao, che celebra il coraggio virile e l’attitudine alla vittoria del defunto e, se è presente la scena di matrimonio con Ippodamia, l’amore verso la sposa. Infine vi sono i sarcofagi delle Muse: esaltazione della cultura e della saggezza del morto. II capitolo Accanto ad i grandi ambiti mitologici dei due tiasi del capitolo precedente era la natura a lanciare un messaggio di vita prospera e pacifica. Gli aspetti iconografici diq uesto tema sono due: le stagioni e la vita in un ambiente bucolico. Nonostante la varietà iconografica del soggetto, l’idea di fondo rimane invariata: le stagioni portano ai morti i loro doni affinchè possano goderne tutto l’anno per l’eternità. Per quanto riguarda le immagini bucoliche sono ispirate alla vita dei pastori di ovini, ma ovviamente non a quella reale: i committenti di tali sarcofagi non avevano mai vissuto con i pastori, né pensavano di farlo i loro parenti. Le immagini realistiche di contadini, pastori, pescatori, tutte figure di infimo livello sociale, avevano assunto tratti idilliaci sotto l’influsso della poesia ellenistica. Tutte queste visioni di felicità mancano di riferimenti concreti sia temporali che geografici. Qui non vi sono protagonisti e situazioni dialogiche con l’osservatore esterno, attraverso la ritrattistica. I defunti se appaiono sono all’interno di un tondo al centro della cassa. Nei contesti bucolici, che andranno via, via, prendendo sempre più piede nel III secolo, come in quelli filosofici, spariscono del tutto le scene di lutto e di cordoglio. Le immagini dovevano essere un invito a godersi la vita, ma dovevano anche dire qualcosa del defunto. In una visione retrospettiva, forse, si potrebbero intendere come una dichiarazione che il morto, in vita, non si era fatto mancare nulla. Nel caso opposto, poteve invece essere un augurio ad un’esistenza felice nell’aldilà. III capitolo Qui vengono trattati i sarcofagi con l’esaltazione e l’autorappresentazione del defunto e delle sue virtù in contesti demitizzati. Tra i valori ricorrenti, esaltati nei sarcofagi vi è l’amore coniugale espresso dal tema della dextrarum iunctio, simbolo del matrimonio, la cultura, il potere, la saggezza, il coraggio, esplicitato dalle cacce ad animali feroci, il valore guerriero e la giustizia, dati soprattutto dalle scene di battaglia e di giudizio sui vinti. IV capitolo In questo capitolo si è provato a dare una nuova chiave di lettura ai sarcofagi imperiali di S. Elena e di Costantina. Nel primo caso si tratterebbe della vittoria eterna sul male, mentre nel secondo era un augurio di vita felice nell’aldilà in comunione con Dio e la resurrezione nel giorno del giudizio. V capitolo Il capitolo tratta le mediae voces, quei pezzi che non trovano una facile collocazione in ambito religioso poiché presentano temi neutri o ambivalenti, come quelli del buon pastore, di Prometeo, dell’orante. VI capitolo Qui trovano spazio i sarcofagi cristiani, dove sono scolpite varie scene tratte dalle Sacre Scritture. Anche in questo caso si andati al di là della semplice analisi stilistica per cercare di leggere il messaggio contenuto dalle sculture. Si sono scoperte preghiere, speranze e polemiche con le correnti cristiane considerate eretiche o “traditrici” della vera fede, contro la tradizionale interpretazione che voleva le figurazioni essenzialmente didascaliche. VII capitolo Qui vengono esposte le conclusioni da un punto di vista sociologico e psicologico.
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Nella prima parte si analizza il metodo dell'entropia delle parole in un testo per recuperare quelle più rilevanti in base alla distribuzione delle stesse all'interno dell'opera. Nella seconda parte viene studiata l'analisi della semantica latente e le sue basi statistiche, algebriche e analitiche. Infine vengono effettuati degli esperimenti con l'utilizzo del software InfomapNLP sulla Divina Commedia.
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La tesi considera la trattazione del tema dell’infanzia nell’opera di Origene di Alessandria attraverso l’analisi dei testi trasmessi nell’originale greco e delle traduzioni latine di Rufino e Gerolamo. Il motivo dell’infanzia è considerato nei suoi molteplici significati, a più livelli: esegetico, antropologico, filosofico, teologico. La ricerca non si limita dunque ad un’analisi di taglio storico, ma ambisce a definire la concezione e la considerazione della prima età dal punto di vista di Origene e nel contesto più ampio della letteratura coeva. Attraverso una lettura estensiva del corpus dell’Alessandrino sono stati isolati tutti i passi che si riferiscono all’infanzia a livello letterale e metaforico. Ne emerge una trattazione complessa del tema: il bambino è per Origene, in linea con le contemporanee dottrine filosofiche, un essere eminentemente irrazionale. Il pieno sviluppo della facoltà razionale si colloca al termine di questa prima fase dell’esistenza. L’irrazionalità infantile previene nei più piccoli l’insorgere delle passioni. A questa dottrina, di matrice stoica, si ricollegano alcuni sviluppi di grande rilievo: la non-imputabilità dei minori ed il legame tra razionalità e responsabilità individuale; la riflessione sulla sofferenza dei bambini e la ricerca di una sua causa, che non intacchi il principio della giustizia divina; l’ipotesi della preesistenza delle anime. Sul piano teologico la ricerca si focalizza sulle nozioni di paternità e filiazione e sul tema, centrale nell’orizzonte origeniano, della pedagogia. Origene concepisce la pedagogia umana, sul modello di quella divina, come una rete dinamica di relazioni che ricalca i rapporti parentali. A fianco di questi ambiti d’interesse principali l’analisi considera aspetti ulteriori: risalto è concesso, in particolare, all’elemento biografico ed all’aspetto linguistico e letterario della prosa origeniana, quest'ultimo spesso trascurato dalla critica. Lo studio mostra inoltre la vitalità di alcuni modelli esegetici origeniani nella tradizione successiva.
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La presente ricerca, L’architettura religiosa di Luis Moya Blanco. La costruzione come principio compositivo, tratta i temi inerenti l’edificazione di spazi per il culto della religione cristiana che l’architetto spagnolo progetta e realizza a Madrid dal 1945 al 1970. La tesi è volta ad indagare quali siano i principi alla base della composizione architettonica che si possano considerare immutati, nel lungo arco temporale in cui l’autore si trova ad operare. Tale indagine, partendo da una prima analisi riguardante gli anni della formazione e gli scritti da lui prodotti, verte in particolare sullo studio dei progetti più recenti e ancora poco trattati dalla critica. L’obbiettivo della presente tesi è dunque quello di apportare un contributo originale sull’aspetto compositivo della sua architettura. Ma analizzare la composizione significa, in Moya, analizzare la costruzione che, a dispetto del susseguirsi dei linguaggi, rimarrà l’aspetto principale delle sue opere. Lo studio dei manufatti mediante categorie estrapolate dai suoi stessi scritti – la matematica, il numero, la geometria e i tracciati regolatori - permette di evidenziare punti di contatto e di continuità tra le prime chiese, fortemente caratterizzate da un impianto barocco, e gli ultimi progetti che sembrano cercare invece un confronto con forme decisamente moderne. Queste riflessioni, parallelamente contestualizzate nell’ambito della sua consistente produzione saggistica, andranno a confluire nell’idea finale per cui la costruzione diventi per Luis Moya Blanco il principio compositivo da cui non si può prescindere, la regola che sostanzia nella materia il numero e la geometria. Se la costruzione è dunque la pietrificazione di leggi geometrico-matematiche che sottendono schemi planimetrici; il ricorso allo spazio di origine centrale non risponde all’intenzione di migliorare la liturgia, ma a questioni di tipo filosofico-idealista, che fanno corrispondere alla somma naturalezza della perfezione divina, la somma perfezione della forma circolare o di uno dei suoi derivati come l’ellisse.
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La diffusione di Internet negli ultimi anni e lo sviluppo sempre crescente nell'ambito delle reti di telecomunicazione, hanno portato oggi ad una vera e propria esplosione della diffusione di nuove tecnologie di trasmissione. Inizialmente il protocollo di trasporto dati, TCP, non era stato pensata per operare in scenari diversi da quello della rete fissa. Con l'introduzione di nuovi scenari, come quello wireless, wimax e satellitare, si è notato come le prestazioni peggiorino in questi ambienti. Proprio per questo, il protocollo TCP ha subito parecchie modifiche negli anni e sono state realizzate alternative atte a migliorare l'inefficienza del protocollo. Le modifiche, a cui il TCP è stato sottoposto, sono basate su alcuni criteri di valutazione e l'introduzione di meccanismi come il controllo del flusso o il controllo di congestione in modo da migliorare le performance in ambienti “ostili”. Molti ricercatori si sono concentrati nello studio e modifica di questi nuovi meccanismi cercando di adattare al meglio il TCP secondo diversi scenari di rete, trascurando così altri criteri un pò meno noti. Dopo aver introdotto lo scenario con la descrizione del protocollo TCP, andremo a descrivere e illustrare questi “nuovi criteri” presentando alcuni recenti studi effettuati, in seguito andremo a presentare un nuova versione del protocollo chiamata Early Warning TCP e nell'ultimo capitolo andremo a presentare delle conclusioni degli studi presentati.
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In this thesis, I have chosen to translate from Italian into Arabic Canto I of the Inferno, from Dante Alighieri’s epic poem the Divine Comedy (La Divina Commedia) because it’s a masterpiece in both Italian and world literature. Also I have selected it for its artistic value and the universal themes that it depicts. In fact, my purpose in translating this great work into Arabic is to extol the cultural and universal aspects that can be common to human beings everywhere. My paper is written in Arabic and has six sections: A brief introduction on Dante’s life, an introduction to the Divine Comedy, a summary of Canto 1 of the Inferno and its analysis, Canto I of the Inferno in Italian, its translation into Arabic and finally a comment on the translation. The first part -a summary of Dante’s life was presented. The second part of my paper is an introduction to the Divine Comedy, the allegorical epic poem, consisting of three parts: The Inferno (Hell), Purgatorio (Purgatory), and Paradiso (Paradise). The third part is a summary and analysis of Canto 1 of the Inferno, Dante’s most renowned verses. The analysis of Canto highlights the everlasting conflict of man– sinning and giving in to temptation but then trying to repent and search for his soul’s salvation. He reflects on sin, existence, truth, God, love and salvation in his struggle through the dark and gloomy forest which symbolizes conflict and temptations man may succumb to. The influence of Christianity and the Middle ages here shows his commitment to religion and faith. Moreover, his meeting of Virgil, who guides him to the mountain during his journey to salvation, reflects the positive impact of Virgil’s philosophy on Dante. The fourth part presents the Italian version of Canto 1 of the Inferno. The fifth section of my paper is the translation of Canto 1 of the Inferno from Italian to Arabic. Translating an excerpt of Dante’s masterpiece was not an easy task: I had to consult several critique texts besides the Italian source text with explanations, and also some English versions to overcome any translation difficulties. As a student of translation, my goal was to be faithful in relaying to the Arabic audience the authenticity of Dante’s work, his themes, passions and aesthetic style. Finally, I present a conclusion including a comment on the translation and the bibliography of the sources I have consulted.
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Questa ricerca è un’indagine semasiologica del lessico agostiniano della provvidenza divina, costituito dalle parole-chiave prouidentia, prouideo, prouidens, prouidus, prouisio, prouisor, prouisus, e dai lessemi in relazione logico-sintattica diretta con esse. La prospettiva è sia sincronica (si considerano tutte le attestazioni delle parole-chiave presenti nel corpus agostiniano), sia diacronica: si soppesano di volta in volta analogie e differenze agostiniane rispetto agli antecedenti, nell’intento di arricchire il panorama dei possibili modelli lessicali latini (pagani, biblici, patristici) di Agostino. I dati lessicali sono stati raccolti in una banca dati appositamente costituita, selezionati secondo i criteri di frequenza e pregnanza semantica, e analizzati per nuclei tematici, coincidenti in parte con i capitoli della tesi. Si studiano dapprima i lessemi che esprimono il governo della provvidenza (le famiglie lessicali di administro, guberno e rego, e altri lessemi che designano l’azione della provvidenza); sono poi analizzati lessemi e iuncturae in cui prevale l’idea del mistero della provvidenza. Gli ultimi due capitoli sono dedicati al tema della cura divina, e a quello della cosiddetta “pedagogia divina”: attraverso i segni esteriori, la provvidenza ‘richiama’ l’uomo a rientrare in se stesso. Un’appendice approfondisce infine l’uso agostiniano di Sap 6,16 e Sap 8,1. L’apporto di Agostino al lessico filosofico latino va individuato a livello semantico più che nell’innovazione lessicale. Accanto a suffissazione, composizione, calco, la metafora svolge un ruolo essenziale nella formazione del lessico dell’Ipponate, e proviene spesso da altre lingue tecniche oppure è radicata nel patrimonio di immagini tradizionali della religione pagana. Il debito di Agostino è indubbiamente verso Cicerone, ma anche verso Seneca, per l’uso in ambito esistenziale-biografico di alcuni lessemi. Agostino li trasferisce però dal piano umano a quello divino, come nel caso del concetto di admonitio: parte integrante del programma filosofico senecano; ‘richiamo’ della provvidenza per Agostino, concetto che risente anche dell’apporto di retorica ed esegesi.
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Im vorliegenden Heft finden sich zwei Beiträge, die auf Vorlesungen des Berner Mittelalterzentrums im Herbstsemester 2011 zurückgehen. Unter dem Motto „Traum und Vision im Mittelalter“ behandelte die Ringvorlesung Erscheinungsformen von Gesichten, die dem Menschen im Schlaf oder in einem mitunter tranceartigen Wachzustand zukommen. Für das Mittelalter einflussreich war die Traumtheorie, die der spätantike Gelehrte Macrobius in seinem Kommentar zu Ciceros ‹Somnium Scipionis› entwarf und in der er verschiedene Traumarten aufführte. In Verbindung mit frühchristlichen Lehren, wie sie etwa Tertullian entwickelte, wurde dabei die grundlegende Unterscheidung zwischen dem menschlich bestimmten Traum (somnium) und der göttlichen Traumbotschaft (visio) wichtig. Traumgesichte konnten auf diese Weise als göttliche Offenbarungen erfahren werden und boten zugleich Raum für den Einbruch des Imaginären, zu dem auch außerchristliche Inhalte gehörten. In dieser Spannung, welche beispielsweise Dantes ‹Divina Commedia› zugrunde liegt, konnten Träume und Visionen einen Realitätsanspruch eigenen Rechts entfalten und oblagen meist der Problematik einer angemessenen Deutung. Für die historischen Wissenschaften einschließlich der Kunst- und Literaturgeschichte können Träume und Visionen als Bestandteile einer (mentalitäts)geschichtlichen Wirklichkeit gelten. Von Belang sind die narrativen Potentiale der in historischen Zeugnissen fassbaren Verarbeitung von Träumen und Visionen. Zwei Beiträge der Vorlesungsreihe werden in dem vorliegenden Heft stellvertretend abgedruckt: Klaus Speckenbach (ehemals Universität Münster i.W.) zieht eine Synthese aus seinen umfangreichen Forschungen zu mittelalterlichen Traumbüchern, dies mit besonderer Berücksichtigung des Spannungsverhältnisses von Traum und Traumdeutung. Philippe Walter (Universität Grenoble) vertritt mit seinem französischen Beitrag eine im deutschen Sprachraum weniger bekannte, gelegentlich kritisch rezipierte Richtung der Mentalitätsforschung, die nach historischen Schichten des mythisch besetzten Imaginären fragt.
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Muchas de las transformaciones de la política y del funcionamiento democrático son atribuidas a un proceso creciente, en los últimos años, de massmediatización. Estas transformaciones son evaluadas negativamente en dos sentidos: comparativamente, en relación a un estadio de la democracia con ciudadanos plenamente involucrados y participativos, en el cual la escena política no estaba dominada por la TV; y en forma culpabilizadora, acusando a los medios de comunicación de engullir el mundo, en consecuencia, acusando a la TV de engullir a la política. En el presente artículo se analiza el fenómeno descripto situándolo en el contexto de algunas transformaciones culturales, económicas y antropológicas a fin de superar la condena fácil y mecánica, producto de una mirada centrada en la omnipotencia de los medios.
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La cultura clásica, en especial la griega, a menudo y sostenidamente ha atraído a escritores mendocinos de cuna o por adopción. En ese marco, el presente trabajo explora primero rasgos de la épica helénica y luego analiza elementos de la cultura americana precolombina, en el tratamiento de personajes, intervención divina, sucesos, espacio y tiempo en Los días del venado, obra reconocida con el primer premio de la Fundación "El Libro" a la mejor publicación juvenil de 2000. Hipótesis de trabajo: En Los días del venado se concentran dos vertientes ancestrales en tensión, la helena y la americanista indígena. Esta última predomina en la toma de posición ideológica de la historia narrada. Método: Análisis de contenido sin categorías fijadas a priori, por cuanto se trata de una metodología fenomenológíca y cualitativa. Resultados previstos: aporte para la comprensión crítica, con una lectura reflexiva de doble vía de la novela: el reconocimiento de la herencia helena (helenos, en efectos, son los nombres de los vasallos de Misáianes que invaden las Tierras Fértiles) más una importante cosmovisión americanista -en especial maya y araucana-, que la diferencia notablemente de las cualidades eurocéntricas de una saga al estilo de J. R. R. Tolkien.
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Fil: Guevara de Álvarez, María Estela.
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El presente trabajo muestra la analogía bonaventuriana en términos de distancia y espejo, señalando las instancias argumentativas a través de las cuales se llega al concepto de naturaleza entendido como expresión de Dios. Pero además, esta similitudo, a diferencia de la imagen, es cualidad pura común a todos los seres, y designa un modo eminente de participación en la perfección divina, que se imprime en un despliegue trinitario ad intra (Logos) a la vez que se expresa en la creación ad extra. Estos momentos metafísicos de impressio-expressio conforman la propia realidad divina y la posibilidad de acceso a ella por parte de la naturaleza participada. En la Distinción 25 de su Comentario a las Sentencias de Pedro Lombardo, Buenaventura hará uso de un concepto de analogía propio para explicar la relación entre Persona-divina y persona-creatura, en un ámbito ante todo metafísico que sobrepasa los aspectos preteológico y cosmológico. Por ello, además de permitirnos esclarecer la diferencia entre naturaleza y persona-creatura, la importancia de esta analogía planteada por Buenaventura radica en que proporciona una respuesta particular a la oposición naturaleza-Dios, en la que la diferencia no significa exclusión, sino, maravillosa concordia y harmonía".
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Pese a los indicios que podrían encontrarse en la filosofía griega, la noción de persona es de origen netamente cristiano y no pudo haber sido formulada sino dentro de ese horizonte de pensamiento. El hombre ha sido creado a imagen de Dios y es persona porque, en primer término, Dios lo es. Aquí se enlazan, durante el medioevo, las cuestiones antropológicas y teológicas (trinitarias y cristológicas). Un ejemplo paradigmático se encuentra en las Sentencias de Pedro Lombardo y sus comentadores, entre los que hemos reparado especialmente en Tomás de Aquino. En este contexto, “naturaleza" (divina o humana) y “persona" son nociones íntimamente vinculadas, pues es propio de tales naturalezas el existir y manifestarse como seres personales. Esa relación, sin embargo, se pierde durante la modernidad, época en que persona y naturaleza se vuelven términos antagónicos. Martin Heidegger, agudo crítico de esa transformación en la historia del pensar, propone una concepción de lo humano que, no obstante su “ateísmo metodológico", finalmente parece aproximarse a la noción cristiana de persona.
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En un primer examen de las auctoritates Ockham formula un claro acercamiento al esquema aristotélico-boeciano y a la definición de persona como sustancia en cuanto suppositum intellectualis, definición que encuentra conveniente aplicar tanto a lo creado como a Dios. Comienza luego una discusión más próxima y contemporánea con los moderni, que está centrada, por un lado en Escoto para quien la persona se ha de definir a partir de la relación; y por otro, con santo Tomás de Aquino. “Persona", para el Aquinate, no significa una naturaleza común quidditas, ousía o sustancia segunda, por el contrario, indica al individuo: “esta carne y estos huesos" pero lo significa de un modo vago e indeterminado. Precisamente, éste es el punto que Ockham discute: qué denota esta significación indeterminada; le dedica a la cuestión un amplio análisis que lo conduce a equiparar los conceptos de naturaleza y de persona. En un paso subsiguiente Ockham propone examinar las personas in divinis: no es posible establecer in divinis ninguna diferencia o distinción; si se afirma en Dios la presencia de tres personas y de una sola naturaleza la adhesión se presta por la fe sin que medie un acercamiento racional al tema. El aparato conceptual y metafísico para abordar el problema de la persona en sede divina, ha pasado por la criba de un examen que concluye, para Ockham, en la verdadera imposibilidad de elaborar una teología trinitaria.
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A fines de los años 40’, el filósofo norteamericano Arthur Lovejoy y el en ese momento Presidente del Pontifical Institute of Mediaeval Studies, Anton Pegis, sostuvieron una interesante discusión sobre la existencia de libertad o necesidad eficiente en el acto divino de crear conforme a la filosofía de Tomás de Aquino. Lovejoy denunciaba una supuesta incoherencia fundamental en las enseñanzas de Tomás al respecto. Según él, en el concepto tomásico de creación se encuentran implicados al mismo tiempo los conceptos de necesidad agente y libre albedrío aplicados al Creador. Esta supuesta contradicción era para Pegis no sólo falsa sino imposible. Aquí repensaremos dos puntos centrales de dicha discusión: en primer lugar, si, como piensa Lovejoy, para Santo Tomás efectivamente existe una contraposición entre la autosuficiencia de Dios y su capacidad para amar otras cosas distintas de Él. Luego, el significado de la frase: “condice a la bondad divina que también otras cosas participen de la misma". (S.th., I, q.19, a.2).