585 resultados para ammonossidazione, etanolo, acetonitrile
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Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.
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Introduction 1.1 Occurrence of polycyclic aromatic hydrocarbons (PAH) in the environment Worldwide industrial and agricultural developments have released a large number of natural and synthetic hazardous compounds into the environment due to careless waste disposal, illegal waste dumping and accidental spills. As a result, there are numerous sites in the world that require cleanup of soils and groundwater. Polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) are one of the major groups of these contaminants (Da Silva et al., 2003). PAHs constitute a diverse class of organic compounds consisting of two or more aromatic rings with various structural configurations (Prabhu and Phale, 2003). Being a derivative of benzene, PAHs are thermodynamically stable. In addition, these chemicals tend to adhere to particle surfaces, such as soils, because of their low water solubility and strong hydrophobicity, and this results in greater persistence under natural conditions. This persistence coupled with their potential carcinogenicity makes PAHs problematic environmental contaminants (Cerniglia, 1992; Sutherland, 1992). PAHs are widely found in high concentrations at many industrial sites, particularly those associated with petroleum, gas production and wood preserving industries (Wilson and Jones, 1993). 1.2 Remediation technologies Conventional techniques used for the remediation of soil polluted with organic contaminants include excavation of the contaminated soil and disposal to a landfill or capping - containment - of the contaminated areas of a site. These methods have some drawbacks. The first method simply moves the contamination elsewhere and may create significant risks in the excavation, handling and transport of hazardous material. Additionally, it is very difficult and increasingly expensive to find new landfill sites for the final disposal of the material. The cap and containment method is only an interim solution since the contamination remains on site, requiring monitoring and maintenance of the isolation barriers long into the future, with all the associated costs and potential liability. A better approach than these traditional methods is to completely destroy the pollutants, if possible, or transform them into harmless substances. Some technologies that have been used are high-temperature incineration and various types of chemical decomposition (for example, base-catalyzed dechlorination, UV oxidation). However, these methods have significant disadvantages, principally their technological complexity, high cost , and the lack of public acceptance. Bioremediation, on the contrast, is a promising option for the complete removal and destruction of contaminants. 1.3 Bioremediation of PAH contaminated soil & groundwater Bioremediation is the use of living organisms, primarily microorganisms, to degrade or detoxify hazardous wastes into harmless substances such as carbon dioxide, water and cell biomass Most PAHs are biodegradable unter natural conditions (Da Silva et al., 2003; Meysami and Baheri, 2003) and bioremediation for cleanup of PAH wastes has been extensively studied at both laboratory and commercial levels- It has been implemented at a number of contaminated sites, including the cleanup of the Exxon Valdez oil spill in Prince William Sound, Alaska in 1989, the Mega Borg spill off the Texas coast in 1990 and the Burgan Oil Field, Kuwait in 1994 (Purwaningsih, 2002). Different strategies for PAH bioremediation, such as in situ , ex situ or on site bioremediation were developed in recent years. In situ bioremediation is a technique that is applied to soil and groundwater at the site without removing the contaminated soil or groundwater, based on the provision of optimum conditions for microbiological contaminant breakdown.. Ex situ bioremediation of PAHs, on the other hand, is a technique applied to soil and groundwater which has been removed from the site via excavation (soil) or pumping (water). Hazardous contaminants are converted in controlled bioreactors into harmless compounds in an efficient manner. 1.4 Bioavailability of PAH in the subsurface Frequently, PAH contamination in the environment is occurs as contaminants that are sorbed onto soilparticles rather than in phase (NAPL, non aqueous phase liquids). It is known that the biodegradation rate of most PAHs sorbed onto soil is far lower than rates measured in solution cultures of microorganisms with pure solid pollutants (Alexander and Scow, 1989; Hamaker, 1972). It is generally believed that only that fraction of PAHs dissolved in the solution can be metabolized by microorganisms in soil. The amount of contaminant that can be readily taken up and degraded by microorganisms is defined as bioavailability (Bosma et al., 1997; Maier, 2000). Two phenomena have been suggested to cause the low bioavailability of PAHs in soil (Danielsson, 2000). The first one is strong adsorption of the contaminants to the soil constituents which then leads to very slow release rates of contaminants to the aqueous phase. Sorption is often well correlated with soil organic matter content (Means, 1980) and significantly reduces biodegradation (Manilal and Alexander, 1991). The second phenomenon is slow mass transfer of pollutants, such as pore diffusion in the soil aggregates or diffusion in the organic matter in the soil. The complex set of these physical, chemical and biological processes is schematically illustrated in Figure 1. As shown in Figure 1, biodegradation processes are taking place in the soil solution while diffusion processes occur in the narrow pores in and between soil aggregates (Danielsson, 2000). Seemingly contradictory studies can be found in the literature that indicate the rate and final extent of metabolism may be either lower or higher for sorbed PAHs by soil than those for pure PAHs (Van Loosdrecht et al., 1990). These contrasting results demonstrate that the bioavailability of organic contaminants sorbed onto soil is far from being well understood. Besides bioavailability, there are several other factors influencing the rate and extent of biodegradation of PAHs in soil including microbial population characteristics, physical and chemical properties of PAHs and environmental factors (temperature, moisture, pH, degree of contamination). Figure 1: Schematic diagram showing possible rate-limiting processes during bioremediation of hydrophobic organic contaminants in a contaminated soil-water system (not to scale) (Danielsson, 2000). 1.5 Increasing the bioavailability of PAH in soil Attempts to improve the biodegradation of PAHs in soil by increasing their bioavailability include the use of surfactants , solvents or solubility enhancers.. However, introduction of synthetic surfactant may result in the addition of one more pollutant. (Wang and Brusseau, 1993).A study conducted by Mulder et al. showed that the introduction of hydropropyl-ß-cyclodextrin (HPCD), a well-known PAH solubility enhancer, significantly increased the solubilization of PAHs although it did not improve the biodegradation rate of PAHs (Mulder et al., 1998), indicating that further research is required in order to develop a feasible and efficient remediation method. Enhancing the extent of PAHs mass transfer from the soil phase to the liquid might prove an efficient and environmentally low-risk alternative way of addressing the problem of slow PAH biodegradation in soil.
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La maggiore richiesta energetica di questi anni, associata alla diminuzione delle riserve di combustibile fossile e ai problemi di inquinamento ambientale hanno spinto il settore scientifico verso la ricerca di nuovi dispositivi che presentino elevata efficienza e quantità di emissioni ridotta. Tra questi, le celle a combustibile (fuel cells) alimentate con idrogeno o molecole organiche come etanolo, acido formico e metanolo, hanno particolare rilevanza anche se attualmente risultano particolarmente costose. Una delle principali sfide di questi ultimi anni è ridurne i costi e aumentarne l'efficienza di conversione in energia. Per questo scopo molti sforzi vengono condotti verso l'ottimizzazione dei catalizzatori a base di Pt spostando l’attenzione verso sistemi nanostrutturati ad elevata attività catalitica e buona stabilità. Durante questo lavoro di tesi si è affrontato lo studio relativo alla preparazione di elettrodi modificati con PtNPs ottenute per elettrodeposizione, un metodo semplice ed efficace per poterne controllare i parametri di deposizione e crescita e per ottenere direttamente le nanoparticelle sulla superficie dell’elettrodo. Come materiale elettroattivo si è utilizzato un foglio di grafite, denominato (Pure Graphite Sheet = PGS). Tale superficie elettrodica, meno costosa e più conduttiva rispetto all’ITO, si presenta sotto forma di fogli flessibili resistenti ad alte temperature e ad ambienti corrosivi e quindi risulta conveniente qualora si pensi ad un suo utilizzo su scala industriale. In particolare è stato studiato come la variazione di alcuni parametri sperimentali quali: i) il tempo di elettrodeposizione e ii) la presenza di stabilizzanti tipo: KI, acido dodecil benzene sulfonico (DBSA), poli vinil pirrolidone (PVP) o poliossietilene ottilfenil etere (Triton-X100) e iii) la concentrazione degli stessi stabilizzanti, potessero influire sulle dimensioni ed eventualmente sulla morfologia delle PtNPs. in fase di elettrodeposizione. L’elettrosintesi è stata effettuata per via cronoamperometria. I film di PtNPs sono stati caratterizzati utilizzando tecniche di superficie quali microscopia a scansione elettronica (SEM) e Voltammetria Ciclica (CV). Al fine di valutare le capacità elettrocatalitiche delle diverse PtNPs ottenute si è studiata la reazione di ossidazione del metanolo in ambiente acido.
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Therapeutisches Drug Monitoring (TDM) wird zur individuellen Dosiseinstellung genutzt, um die Effizienz der Medikamentenwirkung zu steigern und das Auftreten von Nebenwirkungen zu senken. Für das TDM von Antipsychotika und Antidepressiva besteht allerdings das Problem, dass es mehr als 50 Medikamente gibt. Ein TDM-Labor muss dementsprechend über 50 verschiedene Wirkstoffe und zusätzlich aktive Metaboliten messen. Mit der Flüssigchromatographie (LC oder HPLC) ist die Analyse vieler unterschiedlicher Medikamente möglich. LC mit Säulenschaltung erlaubt eine Automatisierung. Dabei wird Blutserum oder -plasma mit oder ohne vorherige Proteinfällung auf eine Vorsäule aufgetragen. Nach Auswaschen von störenden Matrixbestandteilen werden die Medikamente auf einer nachgeschalteten analytischen Säule getrennt und über Ultraviolettspektroskopie (UV) oder Massenspektrometrie (MS) detektiert. Ziel dieser Arbeit war es, LC-Methoden zu entwickeln, die die Messung möglichst vieler Antipsychotika und Antidepressiva erlaubt und die für die TDM-Routine geeignet ist. Eine mit C8-modifiziertem Kieselgel gefüllte Säule (20 µm 10x4.0 mm I.D.) erwies sich in Vorexperimenten als optimal geeignet bezüglich Extraktionsverhalten, Regenerierbarkeit und Stabilität. Mit einer ersten HPLC-UV-Methode mit Säulenschaltung konnten 20 verschiedene Psychopharmaka einschließlich ihrer Metabolite, also insgesamt 30 verschiedene Substanzen quantitativ erfasst werden. Die Analysenzeit betrug 30 Minuten. Die Vorsäule erlaubte 150 Injektionen, die analytische Säule konnte mit mehr als 300 Plasmainjektionen belastet werden. Abhängig vom Analyten, musste allerdings das Injektionsvolumen, die Flussrate oder die Detektionswellenlänge verändert werden. Die Methode war daher für eine Routineanwendung nur eingeschränkt geeignet. Mit einer zweiten HPLC-UV-Methode konnten 43 verschiedene Antipsychotika und Antidepressiva inklusive Metaboliten nachgewiesen werden. Nach Vorreinigung über C8-Material (10 µm, 10x4 mm I.D.) erfolgte die Trennung auf Hypersil ODS (5 µm Partikelgröße) in der analytischen Säule (250x4.6 mm I.D.) mit 37.5% Acetonitril im analytischen Eluenten. Die optimale Flussrate war 1.5 ml/min und die Detektionswellenlänge 254 nm. In einer Einzelprobe, konnten mit dieser Methode 7 bis 8 unterschiedliche Substanzen gemessen werden. Für die Antipsychotika Clozapin, Olanzapin, Perazin, Quetiapin und Ziprasidon wurde die Methode validiert. Der Variationskoeffizient (VK%) für die Impräzision lag zwischen 0.2 und 6.1%. Im erforderlichen Messbereich war die Methode linear (Korrelationskoeffizienten, R2 zwischen 0.9765 und 0.9816). Die absolute und analytische Wiederfindung lagen zwischen 98 und 118 %. Die für das TDM erforderlichen unteren Nachweisgrenzen wurden erreicht. Für Olanzapin betrug sie 5 ng/ml. Die Methode wurde an Patienten für das TDM getestet. Sie erwies sich für das TDM als sehr gut geeignet. Nach retrospektiver Auswertung von Patientendaten konnte erstmalig ein möglicher therapeutischer Bereich für Quetiapin (40-170 ng/ml) und Ziprasidon (40-130 ng/ml) formuliert werden. Mit einem Massenspektrometer als Detektor war die Messung von acht Neuroleptika und ihren Metaboliten möglich. 12 Substanzen konnten in einem Lauf bestimmt werden: Amisulprid, Clozapin, N-Desmethylclozapin, Clozapin-N-oxid, Haloperidol, Risperidon, 9-Hydroxyrisperidon, Olanzapin, Perazin, N-Desmethylperazin, Quetiapin und Ziprasidon. Nach Vorreinigung mit C8-Material (20 µm 10x4.0 mm I.D.) erfolgte die Trennung auf Synergi MAX-RP C12 (4 µm 150 x 4.6 mm). Die Validierung der HPLC-MS-Methode belegten einen linearen Zusammenhang zwischen Konzentration und Detektorsignal (R2= 0,9974 bis 0.9999). Die Impräzision lag zwischen 0.84 bis 9.78%. Die für das TDM erforderlichen unteren Nachweisgrenzen wurden erreicht. Es gab keine Hinweise auf das Auftreten von Ion Suppression durch Matrixbestandteile. Die absolute und analytische Wiederfindung lag zwischen 89 und 107 %. Es zeigte sich, dass die HPLC-MS-Methode ohne Modifikation erweitert werden kann und anscheinend mehr als 30 verschiedene Psychopharmaka erfasst werden können. Mit den entwickelten flüssigchromatographischen Methoden stehen neue Verfahren für das TDM von Antipsychotika und Antidepressiva zur Verfügung, die es erlauben, mit einer Methode verschiedene Psychopharmaka und ihre aktiven Metabolite zu messen. Damit kann die Behandlung psychiatrischer Patienten insbesondere mit Antipsychotika verbessert werden.
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Die vorliegende Arbeit beschäftigt sich mit der Darstellung von Latexpartikeln in nicht-wässrigen Emulsionssystemen. Hintergrund der Untersuchungen war die Frage, ob es durch die Anwendung von nicht-wässrigen Emulsionen ermöglicht werden kann, sowohl wassersensitive Monomere als auch feuchtigkeitsempfindliche Polymerisationen zur Darstellung von Polymer-Latexpartikeln und deren Primärdispersionen einzusetzen. Das Basiskonzept der Arbeit bestand darin, nicht-wässrige Emulsionen auf der Basis zweier nicht mischbarer organischer Lösungsmittel unterschiedlicher Polarität auszubilden und anschließend die dispergierte Phase der Emulsion zur Synthese der Latexpartikel auszunutzen. Hierzu wurden verschiedene nicht-wässrige Emulsionssysteme erarbeitet, welche als dispergierte Phase ein polares und als kontinuierliche Phase ein unpolares Lösungsmittel enthielten. Auf Basis dieser Ergebnisse wurde in den nachfolgenden Untersuchungen zunächst die Anwendbarkeit solcher Emulsionen zur Darstellung verschiedener Acrylat- und Methacrylatpolymerdispersionen mittels radikalischer Polymerisation studiert. Um zu zeigen, dass die hier entwickelten nicht-wässrigen Emulsionen auch zur Durchführung von Stufenwachstumsreaktionen geeignet sind, wurden ebenfalls Polyester-, Polyamid- und Polyurethan-Latexpartikel dargestellt. Die Molekulargewichte der erhaltenen Polymere lagen bei bis zu 40 000 g/mol, im Vergleich zu wässrigen Emulsions- und Miniemulsions¬polymerisationssystemen sind diese um den Faktor fünf bis 30 höher. Es kann davon ausgegangen werden, dass hauptsächlich zwei Faktoren für die hohen Molekulargewichte verantwortlich sind: Zum einen die wasserfreien Bedingungen, welche die Hydrolyse der reaktiven Gruppen verhindern, und zum anderen die teilweise erfüllten Schotten-Baumann-Bedingungen, welche an der Grenzfläche zwischen dispergierter und kontinuierlicher Phase eine durch Diffusion kontrollierte ausgeglichene Stöchiometrie der Reaktionspartner gewährleisten. Somit ist es erstmals möglich, hochmolekulare Polyester, -amide und -urethane in nur einem Syntheseschritt als Primär¬dispersion darzustellen. Die Variabilität der nicht-wässrigen Emulsionen wurde zudem in weiteren Beispielen durch die Synthese von verschiedenen elektrisch leitfähigen Latices, wie z.B. Polyacetylen-Latexpartikeln, aufgezeigt. In dieser Arbeit konnte gezeigt werden, dass die entwickelten nicht-wässrigen Emulsionen eine äußerst breite Anwendbarkeit zur Darstellung von Polymer-Latexpartikeln aufweisen. Durch die wasserfreien Bedingungen erlauben die beschriebenen Emulsionsprozesse, Latexpartikel und entsprechende nicht-wässrige Dispersionen nicht nur traditionell radikalisch, sondern auch mittels weiterer Polymerisationsmechanismen (katalytisch, oxidativ oder mittels Polykondensation bzw. -addition) darzustellen.
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Il siero di latte e la scotta sono effluenti provenienti rispettivamente dal processo di trasformazione del latte in formaggio e ricotta. Il siero di latte contiene minerali, lipidi, lattosio e proteine; la scotta contiene principalmente lattosio. Il siero può essere riutilizzato in diversi modi, come l'estrazione di proteine o per l’alimentazione animale, mentre la scotta è considerata solamente un rifiuto. Inoltre, a causa degli ingenti volumi di siero prodotti nel mondo, vengono a crearsi seri problemi ambientali e di smaltimento. Destinazioni alternative di questi effluenti, come le trasformazioni biotecnologiche, possono essere un modo per raggiungere il duplice obiettivo di migliorare il valore aggiunto dei processi agroindustriali e di ridurre il loro impatto ambientale. In questo lavoro sono state studiate le condizioni migliori per produrre bioetanolo dal lattosio del siero e della scotta. Kluyveromyces marxianus è stato scelto come lievito lattosio-fermentante. Sono state effettuate fermentazioni su scala di laboratorio aerobiche e anaerobiche in batch, fermentazioni semicontinue in fase dispersa e con cellule immobilizzate in alginato di calcio,. Diverse temperature sono state testate per migliorare la produzione di etanolo. Le migliori prestazioni, per entrambe le matrici, sono state raggiunte a basse temperature (28°C). Anche le alte temperature sono compatibili con buone rese di etanolo nelle fermentazioni con siero. Ottimi risultati si sono ottenuti anche con la scotta a 37°C e a 28°C. Le fermentazioni semicontinue in fase dispersa danno le migliori produzioni di etanolo, in particolare con la scotta. Invece, l'uso di cellule di lievito intrappolate in alginato di calcio non ha migliorato i risultati di processo. In conclusione, entrambi gli effluenti possono essere considerati adatti per la produzione di etanolo. Le buone rese ottenute dalla scotta permettono di trasformare questo rifiuto in una risorsa.
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Questa tesi analizza gli scenari incidentali generati dallo stoccaggio di liquidi infiammabili, in particolare etanolo e metanolo, in una distilleria quale lo stabilimento Caviro Distillerie di Faenza. Sono analizzati tutti gli adempimenti normativi di un impianto soggetto a rischio di incidente rilevante, come questo di Caviro Distillerie. Vengono studiati secondo quattro metodologie diverse TNO, PHAST, ALOHA e quello di uno studio professionale i vari scenari incidentali (pool fire, dispersione tossica e flash fire), con particolare importanza anche all'effetto domino.
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La sostituzione di materie prime provenienti da risorse fossili con biomasse rinnovabili, utilizzando un processo a basso impatto ambientale, è una delle più importanti sfide della "Green Chemistry". Allo stesso tempo, la sintesi di resine epossidiche fornisce la chiave per la realizzazione di materiali ad alto valore aggiunto. Tuttavia, ad oggi, il 90% della produzione di resine epossidiche è basato sull'uso di bisfenolo A, che ha effetti di xenoestrogeno, ed epicloridrina, tossica e cancerogena. Su queste basi, è stata individuata una strategia sintetica per la sintesi di prepolimeri innovativi per resine epossidiche, che utilizza come substrato di reazione diidrossibenzeni di origine naturale ed evita l'uso di epicloridrina e altri reagenti tossici o pericolosi. La suddetta strategia sintetica è basata sulla sequenza: allilazione dei diidrossibenzeni - epossidazione dei doppi legami ottenuti. In questa procedura non vengono utilizzati drastiche condizioni di reazione e il solvente è acqua, con una catalisi di trasferimento di fase o, in aggiunte di acetonitrile, in un sistema bifasico. La resa complessiva dei due “step” dipende dalla posizione dei due ossidrili nei diidrossibenzeni. Il reagente che porta la resa massima è l’idrochinone (1,4 diidrossibenzene), che, come riportato in letteratura, permette la formazione di resine epossidiche con proprietà simili alle resine di epicloridrina e bisfenolo A. The substitution of raw materials from fossil fuels with renewable biomass using a low environmental impact process is one of the greatest challenges of the "Green Chemistry". At the same time, the synthesis of epoxy resins provides the key to the realization of high added value materials. However, 90% of the production of epoxy resins is based on the use of bisphenol A, a xenoestrogen, and epichlorohydrin, that is toxic and carcinogenic. On these bases, a synthetic strategy for the synthesis of innovative prepolymers of epoxy resins, that uses dihydroxybenzenes of natural origin as reaction substrates and avoids the use of epichlorohydrin and other toxic or dangerous reagents has been identified. The above synthetic strategy is based on the sequence: allylation of dihydroxybenzenes - epoxidation of the double bonds obtained. In this procedure, drastic reaction conditions are dismissed and the solvent used is water with a phase transfer catalysis or, in addition, acetonitrile in a biphasic system. The overall yield of the two steps depends on the position of the two hydroxyls of the dihydroxybenzenes. The reagent that leads to the highest yield is hydroquinone (1,4 dihydroxybenzene), which, as reported in literature, allows the formation of epoxy resins with similar properties to the resins from bisphenol A and epichlorohydrin.
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Obiettivo della presente ricerca è stato la valutazione dell’utilizzo degli scarti derivanti dal processo di vinificazione come substrato per la digestione anerobica finalizzata alla produzione di VFA (“Volatile Fatty Acids”). I VFA sono acidi grassi a corta catena, convenzionalmente fino a 6 atomi di carbonio, che possono essere utilizzati industrialmente nell’ambito della “Carboxilation Platfrorm” per produrre energia, prodotti chimici, o biomateriali. La sperimentazione si è articolata in due fasi principali: 1) Produzione di VFA in processi batch alimentati con vinacce e fecce come substrato; 2) Recupero dei VFA prodotti dall’effluente anaerobico (digestato) mediante processi di adsorbimento con resine a scambio anionico. Nella prima fase sono stati studiati i profili di concentrazione dei principali VFA nel brodo di fermentazione al variare della tipologia di substrato (vinacce e fecce, bianche e rosse) e della temperatura di incubazione (35 °C e 55 °C). La condizione ottimale rilevata per la produzione di VFA è stata la digestione anaerobica di vinacce rosse disidratate e defenolizzate alla temperatura di 35 °C (mesofilia), che ha permesso di raggiungere una concentrazione di VFA totali nel digestato di circa 30 g/L in 16 giorni di monitoraggio. Nella seconda fase è stato analizzato il processo di estrazione in fase solida (Solid Phase Extraction, SPE) con resine a scambio anionico per il recupero dei VFA dal digestato di vinacce rosse. Sono state messe a confronto le prestazioni di quattro diverse resine a scambio anionico: Sepra SAX, Sepra SAX-ZT, Sepra NH2, Amberlyst A21. I parametri operativi ottimali per l’adsorbimento sono risultati essere condizioni di pH acido pari al valore naturale delle soluzioni indicate sopra (~2.5) e tempo di contatto di 2 ore. Tra le quattro resine quella che ha fornito i migliori risultati è stata la Amberlyst A21, una resina polimerica a scambio anionico debolmente basica il cui gruppo funzionale caratteristico è un’ammina terziaria. Infine è stato valutato il processo di desorbimento dei VFA adsorbiti dalla resina con tre diverse soluzioni desorbenti: acqua demineralizzata, etanolo (EtOH) ed acqua basificata con NaOH (1 mol/L). I risultati migliori sono stati conseguiti nel caso dell’EtOH, ottenendo un recupero finale del 9,1% dei VFA inizialmente presenti nel digestato di vinacce rosse incubate in termofilia.
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Nel corso di questa Tesi sono state studiate reazioni di cluster carburo-carbonilici Fe/Cu con composti azotati di varia natura: complessi fosforescenti di metalli di transizione, 1-10 fenantrolina, L-amminoacidi e Chinolina. In particolare la reazione tra Fe4C(CO)12Cu2(CH3CN)2 e [Ru(tpy)(bpy)(N4C-C6H4-CN)]+ ha portato alla sintesi dell’addotto Fe4C(CO)12{Cu2Cl[Ru(tpy)(bpy)(N4C-C6H4-CN)]}, sul quale sono state condotte misure di luminescenza (emissione, eccitazione e misura dei tempi di vita degli stati eccitati). Per confronto degli spettri registrati su campioni di adotto in soluzione con quelli del complesso cationico di Ru(II), si è ipotizzato che l’addotto sintetizzato in soluzione dia origine ad un sistema in equilibrio tra le specie legate e dissociate. Le reazioni di Fe4C(CO)12Cu2(CH3CN)2 e [NEt4][Fe5C(CO)14Cu(CH3CN)] con 1-10 fenantrolina hanno permesso di isolare le nuove specie [Fe4C(CO)12(Cuphen)]–, [Fe4C(CO)12(Cuphen)] e [Fe5C(CO)14(Cuphen)]–, sottoforma dei loro sali [Cu(phen)2][Fe4C(CO)12(Cuphen)], [NEt4] [Fe4C(CO)12(Cuphen)], [Fe4C(CO)12(Cuphen)], [NEt4][Fe5C(CO)14(Cuphen)]• CH2Cl2 e [NEt4][Fe5C(CO)14(Cuphen)]•THF. In tali cluster si nota come la natura bidentata di phen e il suo ingombro sterico abbiano causato notevoli riarrangiamenti strutturali rispetto alle specie iniziali contenenti acetonitrile. La sintesi di Fe4C(CO)12(CuQ)2 e [NEt4][Fe5C(CO)14(CuQ)] è avvenuta inaspettatamente a partire dalle reazioni condotte tra Fe4C(CO)12Cu2(CH3CN)2 e [NEt4][Fe5C(CO)14Cu(CH3CN)] con le molecole L-prolina, L-metionina e guanina, a causa della chinolina contenuta come impurezza nei reagenti di partenza. L’esito di questa reazione ha comunque mostrato l’elevata affinità dei cluster per il legante chinolina, sebbene presente in ambiente di reazione in misura sensibilmente inferiore rispetto agli altri reagenti. Tutte le nuove specie sintetizzate sono stati caratterizzate mediante spettroscopia IR e le strutture molecolari sono state determinate mediante diffrazione di raggi X su cristallo singolo.
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In den letzten Jahren stieg in Deutschland der Gebrauch bzw. Missbrauch von Opioid-Analgetika zunehmend an. Das entwickelte Verfahren sollte unter Einbeziehung neuer Substanzen möglichst viele verschiedene Opioide und auch ihre pharmakologisch aktiven Stoffwechselprodukte berücksichtigen.rnVor Analyse wurden Blut-, Serum- oder Urinproben mit Phosphatpuffer versetzt und mittels Festphasenextraktion an C18-Säulenmaterial aufgearbeitet. Post-Mortem-Gewebematerial wurde mit isotonischer Kochsalzlösung versetzt, homogenisiert und anschließend durch eine Festphasenextraktion aufgereinigt. Haarproben wurden nach Zerkleinerung mit Methanol unter Ultrabeschallung extrahiert. Die Flüssigchromatographie gekoppelt mit Tandem-Massenspektrometrie (Elektrosprayionisation im positiven Modus) erwies sich als geeignetes Verfahren für die simultane Bestimmung der Opioide in biologischem Probenmaterial (Körperflüssigkeiten, Gewebe und Haaren). Der Multi-Analyt Assay erlaubt die quantitative Analyse von 35 verschiedenen Opioiden. Die Analyten wurden durch eine Phenyl-Hexyl Säule und einen Wasser/Acetonitril Gradienten durch eine UPLC 1290 Infinity gekoppelt mit einem 6490 Triple Quadrupol von Agilent Technologies separiert.rnDie LC/MS Methode zur simultanen Bestimmung von 35 Opioiden in Serum und Haaren wurde nach den Richtlinien der Gesellschaft für Toxikologische und Forensische Chemie (GTFCh) validiert. Im Fall der Serumvalidierung lagen die Nachweisgrenzen zwischen 0.02 und 0.6 ng/ml und die Bestimmungsgrenzen im Bereich von 0.1 bis 2.0 ng/ml. Die Kalibrationskurven waren für die Kalibrationslevel 1 bis 6 linear. Wiederfindungsraten lagen für alle Verbindungen zwischen 51 und 88 %, außer für Alfentanil, Bisnortiliidn, Pethidin und Morphin-3-Glucuronid. Der Matrixeffekt lag zwischen 86 % (Ethylmorphin) und 105 % (Desomorphin). Für fast alle Analyten konnten akzeptable Werte bei der Bestimmung der Genauigkeit und Richtigkeit nach den Richtlinien der GTFCh erhalten werden. Im Fall der Validierung der Haarproben lagen die Nachweisgrenzen zwischen 0.004 und 0.6 ng/Probe und die Bestimmungsgrenzen zwischen 0.1 ng/Probe und 2.0 ng/Probe. Für die Kalibrationslevel 1 bis 6 waren alle Kalibrationsgeraden linear. Die Wiederfindungsraten lagen für die Opioide im Bereich von 73.5 % (Morphin-6-Glucuronid) und 114.1 % (Hydrocodon). Die Werte für die Bestimmung der Richtigkeit lagen zwischen - 6.6 % (Methadon) und + 11.7 % (Pholcodin). Präzisionsdaten wurden zwischen 1.0 % für Dextromethorphan und 11.5 % für Methadon ermittelt. Die Kriterien der GTFCh konnten bei Ermittlung des Matrixeffekts für alle Substanzen erfüllt werden, außer für 6-Monoacetylmorphin, Bisnortilidin, Meperidin, Methadon, Morphin-3-glucuronid, Morphin-6-glucuronid, Normeperidin, Nortilidin und Tramadol.rnZum Test des Verfahrens an authentischem Probenmaterial wurden 206 Proben von Körperflüssigkeiten mit Hilfe der simultanen LC/MS Screening Methode untersucht. Über 150 Proben wurden im Rahmen von forensisch-toxikologischen Untersuchungen am Instituts für Rechtsmedizin Mainz analysiert. Dabei konnten 23 der 35 Opioide in den realen Proben nachgewiesen werden. Zur Untersuchung der Pharmakokinetik von Opioiden bei Patienten der anästhesiologischen Intensivstation mit Sepsis wurden über 50 Blutproben untersucht. Den Patienten wurde im Rahmen einer klinischen Studie einmal täglich vier Tage lang Blut abgenommen. In den Serumproben wurde hauptsächlich Sufentanil (0.2 – 0.8 ng/ml in 58 Fällen) und Piritramid (0.4 – 11 ng/ml in 56 Fällen) gefunden. Außerdem wurden die Proben von Körperflüssigkeiten und Gewebe von 13 verschiedenen Autopsiefällen mit Hilfe des Multi-Analyt Assays auf Opioide untersucht.rnIn einem zweiten Schritt wurde die Extraktions- und Messmethode zur Quantifizierung der 35 Opioide am Forensic Medicine Center in Ho Chi Minh City (Vietnam) etabliert. Insgesamt wurden 85 Herzblutproben von Obduktionsfällen mit Verdacht auf Opiatintoxikation näher untersucht. Der überwiegende Teil der untersuchten Fälle konnte auf eine Heroin- bzw. Morphin-Vergiftung zurückgeführt werden. Morphin wurde in 68 Fällen im Konzentrationsbereich 1.7 – 1400 ng/ml und der Heroinmetabolit 6-Monoactetylmorphin in 34 Fällen (0.3 – 160 ng/ml) nachgewiesen werden.rnSchließlich wurden noch 15 Haarproben von Patienten einer psychiatrischen Klinik, die illegale Rauschmittel konsumiert hatten, mit Hilfe der simultanen Opioid-LC/MS Screeningmethode gemessen. Die Ergebnisse der Untersuchung wurden mit früheren Auswertungen von gaschromatographischen Analysen verglichen. Es zeigte sich eine weitgehende Übereinstimmung der Untersuchungsergebnisse für die Opioide 6-Monoacetylmorphin, Morphin, Codein, Dihydrocodein und Methadon. Mit der LC/MS Methode konnten weitere Substanzen, wie zum Beispiel Bisnortilidin, Dextromethorphan und Tramadol in den Haarproben gefunden werden, die bislang nicht entdeckt worden waren.rn
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Il consumo di prodotti da forno lievitati in Italia, è rilevante in occasione di alcune feste religiose quali Pasqua e Natale. Prodotti come il Panettone e Colomba hanno acquisito una diffusione nazionale ed internazionale. Questi prodotti sono ottenuti mediante procedure specifiche caratterizzate da passaggi simili. In ogni caso la loro preparazione parte dall’utilizzo di un lievito madre continuamente rinfrescato. Il lievito madre (o impasto acido) è una miscela di acqua e farina fermentata da un microbiota complesso che include LAB, che producono acido lattico, e lieviti fermentativi che producono CO2 ed etanolo con conseguenze sulle caratteristiche reologiche e organolettiche, soprattutto per il profilo aromatico del prodotto finale. In questo lavoro mi sono occupato di valutare l’evoluzione della composizione microbica della Colomba nelle diverse fasi del processo produttivo, cercando di individuare le relazioni fra il microbiota e alcune caratteristiche chimico-fisiche del prodotto. Il lavoro di caratterizzazione del microbiota del prodotto, effettuato nelle diverse fasi del processo produttivo, ha mostrato come l’impasto madre sia caratterizzato da una bassa biodiversità sia di LAB che di lieviti. I microorganismi dominanti risultano essere due biotipi della specie L. sanfranciscensis e, per i lieviti, un solo biotipo della specie T. delbrueckii, con la comparsa di C. humilis solo in un campione con una frequenza relativa molto bassa. Per quel che riguarda l’evoluzione del microbiota durante il processo produttivo, l’aggiunta del lievito commerciale altera i rapporti tra LAB/ lieviti dove le concentrazioni dei LAB, durante impastamento, si riducono incidendo sulle caratteristiche chimico-fisiche degli impasti stessi in termini di maggiori valori di pH e ridotto contenuto in acido lattico. L’aggiunta di S. cerevisiae e successiva lievitazione incidono significativamente sul profilo aromatico del prodotto, in termini di riduzione di acidi (acido acetico) e di esteri ed aumento di molecole: etanolo, alcol fenetilico, acetaldeide ed acetoino, derivanti del lievito commerciale.
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Lo studio delle relazioni trofiche del nasello tramite analisi del contenuto stomacale è particolarmente importante per la gestione della pesca sia di questa specie che delle specie appartenenti alla sua alimentazione. Lo scopo della tesi è stato quello di esaminare l’alimentazione di questa specie utilizzando 200 campioni di nasello provenienti dalla Campagna Medits 2014, e confrontare la metodologia morfologica utilizzata con quella molecolare, determinando i vantaggi di ognuna ed i possibili limiti. La campagna di strascico è stata sviluppata secondo uno schema random stratificato in relazione alla profondità e all’interno di ciascun strato. Lo sbarcato è stato preventivamente sottoposto ad analisi biometriche registrando lunghezza totale, peso, sesso e maturità sessuale di ogni singolo individuo; successivamente sono stati conservati in etanolo gli stomaci prelevati dai 200 naselli scelti per classe di taglia. Sono state riconosciute le prede dei campioni di nasello sia analizzandole qualitativamente (al livello tassonomico più basso possibile), che quantitativamente, considerando alcuni degli indici maggiormente utilizzati. È stato poi calcolato l’indice trofico del nasello e sono stati infine confrontati i risultati con quelli delle analisi molecolari evidenziando le prede non riconosciute e gli errori di identificazione. La metodologia morfologica ha sottolineato che l’alimentazione del nasello dipende fortemente dalla taglia del predatore e dal loro grado di maturità sessuale, ma non varia significativamente in base al sesso. Ha infatti evidenziato una taglia del nasello, corrispondente alla taglia di prima maturità sessuale, in cui la specie cambia gradualmente la sua alimentazione, passando da piccoli crostacei a pesci di grandezza sempre maggiore. Risulta essere un forte predatore specializzato, ma che al tempo stesso risulta essere una specie opportunista, scegliendo il proprio cibo da ciò che ha a disposizione. Il confronto con l’analisi molecolare è stato utile per descrivere i pro e i contro di ciascuna metodologia, dimostrando che è necessario sfruttarle entrambe per avere risultati efficaci e completi dell’alimentazione di una specie.
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Oggi il mercato mondiale dell'anidride maleica (AM) è in continua espansione grazie ad un numero sempre crescente di applicazioni finali e sviluppo di nuove tecnologie industriali. La AM viene impiegata nella produzione di resine poliestere insature e resine alchidiche e nella produzione di chemicals a più alto valore aggiunto. Il processo di sintesi è tutt’ora basato sull'ossidazione selettiva del benzene e del n-butano. Con l’aumento delle emissione di gas serra, legate all’impiego di materie di origine fossile e la loro continua diminuzione, si stanno studiando nuovi processi basati su materie derivanti da fonti rinnovali. Tra i vari processi studiati vi è quello per la sintesi di AM, i quali utilizzano come molecola di furfurale, 5-idrossimetilfurfurale e 1-butanolo; tutte queste presentano però il problema di un costo superiore rispetto alle molecole tutt’ora usate. Ad oggi una delle molecole ottenibili da fonti rinnovabili avente un costo competitivo alle materie derivanti da fonti fossili è il bio-etanolo. Essendo nota la possibilità di trasformare dell’etanolo in composti a 4 atomi di carbonio (C4) come 1-butanolo (reazione di Guerbet) e in 1,3- butadiene (processo Lebedev) su ossidi misti Mg/Si e la loro trasformazioni in AM, è’ dunque possibile ipotizzare un processo operante in fase gas che accoppi entrambi i processi. Lo scopo di questo lavoro di tesi è stato quello di effettuare uno studio su sistemi catalitici mediante differenti approcci impiantistici. Il primo ha previsto l’impiego di un sistema detto “a cascata” nel quale è stato accoppiato il sistema misto a base di Mg/Si/O, per la trasformazione dell’etanolo a C4, e il pirofosfato di vanadile (VPP), per l’ossidazione selettiva di quest’ultimi in AM. Il secondo approccio ha previsto l’impiego di un unico sistema multifunzionale in grado di catalizzare tutti gli step necessari. In quest’ultimo caso, i sistemi studiati sono stati il Mg2P2O7 ed un sistema costituito da VPP DuPont sul quale è stato depositato MgO. I catalizzatori sono stati caratterizzati mediante diffrattometria a raggi X, spettroscopia Raman e analisi dell’area superficiale mediante metodo BET, mentre i test catalitici sono stati condotti su un impianto di laboratorio con un reattore assimilabile ad un modello di tipo PFR.
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Monepantel is the first drug of a new family of anthelmintics, the amino acetonitrile derivatives (AAD), presently used to treat ruminants infected with gastrointestinal nematodes such as Haemonchus contortus. Monepantel shows an excellent tolerability in mammals and is active against multidrug-resistant parasites, indicating that its molecular target is absent or inaccessible in the host and is different from those of the classic anthelmintics. Genetic approaches with mutant nematodes have suggested acetylcholine receptors of the DEG-3 subfamily as the targets of AADs, an enigmatic clade of ligand-gated ion channels that is specific to nematodes and does not occur in mammals. Here we demonstrate direct interaction of monepantel, its major active metabolite monepantel sulfone, and other AADs with potential targets of the DEG-3 subfamily of acetylcholine receptors. H. contortus DEG-3/DES-2 receptors were functionally expressed in Xenopus laevis oocytes and were found to be preferentially activated by choline, to permeate monovalent cations, and to a smaller extent, calcium ions. Although monepantel and monepantel sulfone did not activate the channels by themselves, they substantially enhanced the late currents after activation of the channels with choline, indicating that these AADs are type II positive allosteric modulators of H. contortus DEG-3/DES-2 channels. It is noteworthy that the R-enantiomer of monepantel, which is inactive as an anthelmintic, inhibited the late currents after stimulation of H. contortus DEG-3/DES-2 receptors with choline. In summary, we present the first direct evidence for interaction of AADs with DEG-3-type acetylcholine receptors and discuss these findings in the context of anthelmintic action of AADs.