999 resultados para mappe digitali, accessibilità, dispositivi mobili, utenti, disabilità
Resumo:
Durante il secolo scorso sono state individuate alcune mutazioni per il colore della buccia della varietà William che invece di essere giallo arriva a maturazione con diverse tonalità di colore rosso. L’intensità e la tipologia del fenotipo dovuto a questa mutazione mostra una variabilità all’interno dei diversi cloni rossi di questa cultivar: Max Red Bartlett, Rosired e Sensation. Questa mutazione è ereditabile e usando come genitore uno dei sopra-citati mutanti per il rosso sono state prodotte altre cultivar caratterizzate da buccia rossa come Cascade. Max Red Bartlett presenta una intensa colorazione rossa nelle prime fasi di maturazione per poi striarsi perdendo di lucentezza e non ricoprendo totalmente la superficie del frutto. Max Red Bartlett ha inoltre il problema di regressione del colore. Questa mutazione infatti non è stabile e dopo qualche anno può regredire e presentare il fenotipo di William. Diverso è invece lo sviluppo per esempio di Rosired che durante le prime fasi di accrescimento del frutto è identica a Williams (di colore verde con la parte del frutto rivolta verso il sole leggermente rossastra) per poi virare e mantenere un vivo colore rosso su tutta la superficie del frutto. Questa tesi si è proposta di caratterizzare questa mutazione che coinvolge in qualche modo la via biosintetica per la sintesi del colore. In particolare si è cercato di investigare sui probabili geni della via degli antociani coinvolti e in quale modo vengono espressi durante la maturazione del frutto, inoltre si è cercato di trovare quali specifiche molecole venissero diversamente sintetizzate. Le cultivar utilizzate sono state William e Max Red Bartlett. Di quest’ultima era già disponibile una mappa molecolare, ottenuta sulla popolazione di’incrocio di Abate Fetel (gialla) x MRB (rossa) con AFLP e SSR, quest’ultimi hanno permesso di denominare i diversi linkage group grazie alla sintenia con le altre mappe di pero e di melo. I semenzali appartenenti a questa popolazione, oltre a dimostrare l’ereditarietà del carattere, erano per il 50% gialli e 50% rossi. Questo ha permesso il mappaggio di questo carattere/mutazione che si è posizionato nel linkage group 4. Una ricerca in banca dati eseguita in parallelo ha permesso di trovare sequenze di melo dei geni coinvolti nella via biosintetica degli antociani (CHS, CHI, F3H, DFR, ANS e UFGT), sulle quali è stato possibile disegnare primer degenerati che amplificassero su DNA genomico di pero. Le amplificazioni hanno dato frammenti di lunghezza diversa. Infatti nel caso di F3H e DFR l’altissima omologia tra melo e pero ha permesso l’amplificazione quasi totale del gene, negli altri casi invece è stato necessario utilizzare primer sempre più vicini in modo da facilitare l’amplificazione. I frammenti ottenuti sono stati clonati sequenziati per confermare la specificità degli amplificati. Non sono stati evidenziati polimorfismi di sequenza in nessuna delle sei sequenze tra William e Max Red Bartlett e nessun polimorfismo con Abate, per questo motivo non è stato possibile mapparli e vedere se qualcuno di questi geni era localizzato nella medesima posizione in cui era stato mappato il “colore/mutazione”. Sulle le sequenze ottenute è stato possibile disegnare altri primer, questa volta specifici, sia per analisi d’espressione. Inizialmente è stato sintetizzato il cDNA dei geni suddetti per retrotrascrizione da RNA estratto sia da bucce sia da foglie appena germogliate (le quali presentano solo in questa fase una colorazione rossastra in MRB ma non in William). Al fine di osservare come varia l’espressione dei geni della via biosintetica delle antocianine durante la fase di maturazione dei frutti, sono stati fatti 4 campionamenti, il primo a 45gg dalla piena fioritura, poi a 60, 90, 120 giorni. Foglie e bucce sono state prelevate in campo e poste immediatamente in azoto liquido. Dai risultati con Real Time è emerso che vi è una maggiore espressione nelle prime fasi di sviluppo in Max Red Bartlett per poi calare enormemente in giugno. Si potrebbe ipotizzare che ci sia una reazione di feed back da parte della piante considerando che in questa fase il frutto non si accresce. I livelli di espressione poi aumentano verso la fase finale della maturazione del frutto. In agosto, con l’ultimo campionamento vi è una espressione assai maggiore in Max Red Bartlett per quei geni posti a valle della via biosintetica per la sintesi delle antocianine. Questo risultato è confermato anche dal livello di espressione che si riscontra nelle foglie. In cui i geni F3H, LDOX e UFGT hanno un livello di espressione nettamente maggiore in Max Red Bartlett rispetto a William. Recentemente Takos et al (2006) hanno pubblicato uno studio su un gene regolatore della famiglia Myb e ciò ha permesso di ampliare i nostri studi anche su questo gene. L’altissima omologia di sequenza, anche a livello di introni, non ha permesso di individuare polimorfismi tra le varietà Abate Fetel e Max Red Bartlett, per nessun gene ad eccezione proprio del gene regolatore Myb. I risultati ottenuti in questa tesi dimostrano che in pero l’espressione relativa del gene Myb codificante per una proteina regolatrice mostra una netta sovra-espressione nel primo stadio di maturazione del frutto, in Max Red Bartlett 25 volte maggiore che in William. All’interno della sequenza del gene un polimorfismo prodotto da un microsatellite ha permesso il mappaggio del gene nel linkage group 9 in Max Red Bartlett e in Abate Fetel. Confrontando questo dato di mappa con quello del carattere morfologico rosso, mappato nel linkage group 4, si deduce che la mutazione non agisce direttamente sulla sequenza di questo gene regolatore, benché sia espresso maggiormente in Max Red Bartlett rispetto a William ma agisca in un altro modo ancora da scoprire. Infine per entrambe le varietà (William e Max Red Bartlett) sono state effettuate analisi fenotipiche in diversi step. Innanzi tutto si è proceduto con una analisi preliminare in HPLC per osservare se vi fossero differenze nella produzione di composti con assorbenza specifica delle antocianine e dei flavonoidi in generale. Si è potuto quindi osservare la presenza di due picchi in Max Red Bartlett ma non in William. La mancanza di standard che coincidessero con i picchi rilevati dallo spettro non ha permesso in questa fase di fare alcuna ipotesi riguardo alla loro natura. Partendo da questo risultato l’investigazione è proceduta attraverso analisi di spettrometria di massa associate ad una cromatografia liquida identificando con una certa precisione due composti: la cianidina-3-0-glucoside e la quercitina-3-o-glucoside. In particolare la cianidina sembra essere la molecola responsabile della colorazione della buccia nei frutti di pero. Successive analisi sono state fatte sempre con lo spettrometro di massa ma collegato ad un gas cromatografo per verificare se vi fossero delle differenze anche nella produzione di zuccheri e più in generale di molecole volatili. L’assenza di variazioni significative ha dimostrato che la mutazione coinvolge solo il colore della buccia e non le caratteristiche gustative e organolettiche di William che restano inalterate nel mutante.
Resumo:
L’obiettivo della tesi riguarda l’utilizzo di immagini aerofotogrammetriche e telerilevate per la caratterizzazione qualitativa e quantitativa di ecosistemi forestali e della loro evoluzione. Le tematiche affrontate hanno riguardato, da una parte, l’aspetto fotogrammetrico, mediante recupero, digitalizzazione ed elaborazione di immagini aeree storiche di varie epoche, e, dall’altra, l’aspetto legato all’uso del telerilevamento per la classificazione delle coperture al suolo. Nel capitolo 1 viene fatta una breve introduzione sullo sviluppo delle nuove tecnologie di rilievo con un approfondimento delle applicazioni forestali; nel secondo capitolo è affrontata la tematica legata all’acquisizione dei dati telerilevati e fotogrammetrici con una breve descrizione delle caratteristiche e grandezze principali; il terzo capitolo tratta i processi di elaborazione e classificazione delle immagini per l’estrazione delle informazioni significative. Nei tre capitoli seguenti vengono mostrati tre casi di applicazioni di fotogrammetria e telerilevamento nello studio di ecosistemi forestali. Il primo caso (capitolo 4) riguarda l’area del gruppo montuoso del Prado- Cusna, sui cui è stata compiuta un’analisi multitemporale dell’evoluzione del limite altitudinale degli alberi nell’arco degli ultimi cinquant’anni. E’ stata affrontata ed analizzata la procedura per il recupero delle prese aeree storiche, definibile mediante una serie di successive operazioni, a partire dalla digitalizzazione dei fotogrammi, continuando con la determinazione di punti di controllo noti a terra per l’orientamento delle immagini, per finire con l’ortorettifica e mosaicatura delle stesse, con l’ausilio di un Modello Digitale del Terreno (DTM). Tutto ciò ha permesso il confronto di tali dati con immagini digitali più recenti al fine di individuare eventuali cambiamenti avvenuti nell’arco di tempo intercorso. Nel secondo caso (capitolo 5) si è definita per lo studio della zona del gruppo del monte Giovo una procedura di classificazione per l’estrazione delle coperture vegetative e per l’aggiornamento della cartografia esistente – in questo caso la carta della vegetazione. In particolare si è cercato di classificare la vegetazione soprasilvatica, dominata da brughiere a mirtilli e praterie con prevalenza di quelle secondarie a nardo e brachipodio. In alcune aree sono inoltre presenti comunità che colonizzano accumuli detritici stabilizzati e le rupi arenacee. A questo scopo, oltre alle immagini aeree (Volo IT2000) sono state usate anche immagini satellitari ASTER e altri dati ancillari (DTM e derivati), ed è stato applicato un sistema di classificazione delle coperture di tipo objectbased. Si è cercato di definire i migliori parametri per la segmentazione e il numero migliore di sample per la classificazione. Da una parte, è stata fatta una classificazione supervisionata della vegetazione a partire da pochi sample di riferimento, dall’altra si è voluto testare tale metodo per la definizione di una procedura di aggiornamento automatico della cartografia esistente. Nel terzo caso (capitolo 6), sempre nella zona del gruppo del monte Giovo, è stato fatto un confronto fra la timberline estratta mediante segmentazione ad oggetti ed il risultato di rilievi GPS a terra appositamente effettuati. L’obiettivo è la definizione del limite altitudinale del bosco e l’individuazione di gruppi di alberi isolati al di sopra di esso mediante procedure di segmentazione e classificazione object-based di ortofoto aeree in formato digitale e la verifica sul campo in alcune zone campione dei risultati, mediante creazione di profili GPS del limite del bosco e determinazione delle coordinate dei gruppi di alberi isolati. I risultati finali del lavoro hanno messo in luce come le moderne tecniche di analisi di immagini sono ormai mature per consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissi nelle tre applicazioni considerate, pur essendo in ogni caso necessaria una attenta validazione dei dati ed un intervento dell’operatore in diversi momenti del processo. In particolare, le operazioni di segmentazione delle immagini per l’estrazione di feature significative hanno dimostrato grandi potenzialità in tutti e tre i casi. Un software ad “oggetti” semplifica l’implementazione dei risultati della classificazione in un ambiente GIS, offrendo la possibilità, ad esempio, di esportare in formato vettoriale gli oggetti classificati. Inoltre dà la possibilità di utilizzare contemporaneamente, in un unico ambiente, più sorgenti di informazione quali foto aeree, immagini satellitari, DTM e derivati. Le procedure automatiche per l’estrazione della timberline e dei gruppi di alberi isolati e per la classificazione delle coperture sono oggetto di un continuo sviluppo al fine di migliorarne le prestazioni; allo stato attuale esse non devono essere considerate una soluzione ottimale autonoma ma uno strumento per impostare e semplificare l’intervento da parte dello specialista in fotointerpretazione.
Resumo:
In questa tesi verranno trattati sia il problema della creazione di un ambiente di simulazione a domini fisici misti per dispositivi RF-MEMS, che la definizione di un processo di fabbricazione ad-hoc per il packaging e l’integrazione degli stessi. Riguardo al primo argomento, sarà mostrato nel dettaglio lo sviluppo di una libreria di modelli MEMS all’interno dell’ambiente di simulazione per circuiti integrati Cadence c . L’approccio scelto per la definizione del comportamento elettromeccanico dei MEMS è basato sul concetto di modellazione compatta (compact modeling). Questo significa che il comportamento fisico di ogni componente elementare della libreria è descritto per mezzo di un insieme limitato di punti (nodi) di interconnessione verso il mondo esterno. La libreria comprende componenti elementari, come travi flessibili, piatti rigidi sospesi e punti di ancoraggio, la cui opportuna interconnessione porta alla realizzazione di interi dispositivi (come interruttori e capacità variabili) da simulare in Cadence c . Tutti i modelli MEMS sono implementati per mezzo del linguaggio VerilogA c di tipo HDL (Hardware Description Language) che è supportato dal simulatore circuitale Spectre c . Sia il linguaggio VerilogA c che il simulatore Spectre c sono disponibili in ambiente Cadence c . L’ambiente di simulazione multidominio (ovvero elettromeccanico) così ottenuto permette di interfacciare i dispositivi MEMS con le librerie di componenti CMOS standard e di conseguenza la simulazione di blocchi funzionali misti RF-MEMS/CMOS. Come esempio, un VCO (Voltage Controlled Oscillator) in cui l’LC-tank è realizzato in tecnologia MEMS mentre la parte attiva con transistor MOS di libreria sarà simulato in Spectre c . Inoltre, nelle pagine successive verrà mostrata una soluzione tecnologica per la fabbricazione di un substrato protettivo (package) da applicare a dispositivi RF-MEMS basata su vie di interconnessione elettrica attraverso un wafer di Silicio. La soluzione di packaging prescelta rende possibili alcune tecniche per l’integrazione ibrida delle parti RF-MEMS e CMOS (hybrid packaging). Verranno inoltre messe in luce questioni riguardanti gli effetti parassiti (accoppiamenti capacitivi ed induttivi) introdotti dal package che influenzano le prestazioni RF dei dispositivi MEMS incapsulati. Nel dettaglio, tutti i gradi di libertà del processo tecnologico per l’ottenimento del package saranno ottimizzati per mezzo di un simulatore elettromagnetico (Ansoft HFSSTM) al fine di ridurre gli effetti parassiti introdotti dal substrato protettivo. Inoltre, risultati sperimentali raccolti da misure di strutture di test incapsulate verranno mostrati per validare, da un lato, il simulatore Ansoft HFSSTM e per dimostrate, dall’altro, la fattibilit`a della soluzione di packaging proposta. Aldilà dell’apparente debole legame tra i due argomenti sopra menzionati è possibile identificare un unico obiettivo. Da un lato questo è da ricercarsi nello sviluppo di un ambiente di simulazione unificato all’interno del quale il comportamento elettromeccanico dei dispositivi RF-MEMS possa essere studiato ed analizzato. All’interno di tale ambiente, l’influenza del package sul comportamento elettromagnetico degli RF-MEMS può essere tenuta in conto per mezzo di modelli a parametri concentrati (lumped elements) estratti da misure sperimentali e simulazioni agli Elementi Finiti (FEM) della parte di package. Infine, la possibilità offerta dall’ambiente Cadence c relativamente alla simulazione di dipositivi RF-MEMS interfacciati alla parte CMOS rende possibile l’analisi di blocchi funzionali ibridi RF-MEMS/CMOS completi.
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Per garantire la sicurezza di tutte le operazioni in volo (avvicinamento, decollo, holding, ecc..) il decreto legge del 15 marzo del 2006 n. 151 ha imposto la redazione di opportune cartografie basate sul Regolamento ENAC per la Costruzione e l’Esercizio degli Aeroporti e sulla normativa internazionale ICAO così da poterle annettere agli Strumenti Urbanistici del territorio e governare lo sviluppo delle costruzioni. La sicurezza delle operazioni in volo è garantita attraverso delle Superfici di Delimitazione Ostacoli che impongono dei vincoli plano-altimetrici nelle aree limitrofe agli Aeroporti, quindi costruzioni, alberi e lo stesso terreno non devono forare queste superfici altrimenti diventerebbero “Ostacoli” alla navigazione aerea. Per gli ostacoli già presenti sono definiti dei provvedimenti da adottarsi in funzione della superficie che questi forano: potranno essere abbattuti se ricadenti in aree critiche come in prossimità delle piste oppure essere segnalati in mappe in uso ai piloti e anche con segnali visivi posizionati sugli stessi. Per quanto riguarda le future costruzioni, queste non potranno mai diventare Ostacolo in quanto sarà obbligatorio rispettare i vincoli plano-altimetrici. La tesi di laurea in questione vuole illustrare come si è arrivati alla redazione delle sopraccitate mappe nel caso specifico dell'Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna; sono analizzate nel primo capitolo le caratteristiche fisiche degli Aeroporti per acquisire una certa padronanza su termini tecnici che compaiono nei capitoli successivi (è inoltre presente un glossario). Nel secondo capitolo è individuato il percorso normativo che ha portato alla redazione dell’ultima revisione al Codice della Navigazione. Il capitolo 3 introduce le superfici di delimitazione ostacoli secondo quanto esposto nel Regolamento per la Costruzione e l’Esercizio degli Aeroporti di ENAC; il capitolo 4 è dedicato al lay-out dell’Aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna. Infine la tesi si conclude con il capitoli 5 nel quale sono esposte le fasi e le metodologie usate per la realizzazione delle planimetrie e con il capitolo 6 in cui si discute delle problematiche sorte a causa dell’orografia del territorio che deve tenersi nella giusta considerazione per la definizione dei suddetti vincoli aeronautici.
Resumo:
La presente tesi riguarda lo studio di procedimenti di ottimizzazione di sistemi smorzati. In particolare, i sistemi studiati sono strutture shear-type soggette ad azioni di tipo sismico impresse alla base. Per effettuare l’ottimizzazione dei sistemi in oggetto si agisce sulle rigidezze di piano e sui coefficienti di smorzamento effettuando una ridistribuzione delle quantità suddette nei piani della struttura. È interessante effettuare l’ottimizzazione di sistemi smorzati nell’ottica della progettazione antisismica, in modo da ridurre la deformata della struttura e, conseguentemente, anche le sollecitazioni che agiscono su di essa. Il lavoro consta di sei capitoli nei quali vengono affrontate tre procedure numerico-analitiche per effettuare l’ottimizzazione di sistemi shear-type. Nel primo capitolo si studia l’ottimizzazione di sistemi shear-type agendo su funzioni di trasferimento opportunamente vincolate. In particolare, le variabili di progetto sono le rigidezze di piano, mentre i coefficienti di smorzamento e le masse di piano risultano quantità note e costanti durante tutto il procedimento di calcolo iterativo; per effettuare il controllo dinamico della struttura si cerca di ottenere una deformata pressoché rettilinea. Tale condizione viene raggiunta ponendo le ampiezze delle funzioni di trasferimento degli spostamenti di interpiano pari all’ampiezza della funzione di trasferimento del primo piano. Al termine della procedura si ottiene una ridistribuzione della rigidezza complessiva nei vari piani della struttura. In particolare, si evince un aumento della rigidezza nei piani più bassi che risultano essere quelli più sollecitati da una azione impressa alla base e, conseguentemente, si assiste ad una progressiva riduzione della variabile di progetto nei piani più alti. L’applicazione numerica di tale procedura viene effettuata nel secondo capitolo mediante l’ausilio di un programma di calcolo in linguaggio Matlab. In particolare, si effettua lo studio di sistemi a tre e a cinque gradi di libertà. La seconda procedura numerico-analitica viene presentata nel terzo capitolo. Essa riguarda l’ottimizzazione di sistemi smorzati agendo simultaneamente sulla rigidezza e sullo smorzamento e consta di due fasi. La prima fase ricerca il progetto ottimale della struttura per uno specifico valore della rigidezza complessiva e dello smorzamento totale, mentre la seconda fase esamina una serie di progetti ottimali in funzione di diversi valori della rigidezza e dello smorzamento totale. Nella prima fase, per ottenere il controllo dinamico della struttura, viene minimizzata la somma degli scarti quadratici medi degli spostamenti di interpiano. Le variabili di progetto, aggiornate dopo ogni iterazione, sono le rigidezze di piano ed i coefficienti di smorzamento. Si pone, inoltre, un vincolo sulla quantità totale di rigidezza e di smorzamento, e i valori delle rigidezze e dei coefficienti di smorzamento di ogni piano non devono superare un limite superiore posto all’inizio della procedura. Anche in questo caso viene effettuata una ridistribuzione delle rigidezze e dei coefficienti di smorzamento nei vari piani della struttura fino ad ottenere la minimizzazione della funzione obiettivo. La prima fase riduce la deformata della struttura minimizzando la somma degli scarti quadrarici medi degli spostamenti di interpiano, ma comporta un aumento dello scarto quadratico medio dell’accelerazione assoluta dell’ultimo piano. Per mantenere quest’ultima quantità entro limiti accettabili, si passa alla seconda fase in cui si effettua una riduzione dell’accelerazione attraverso l’aumento della quantità totale di smorzamento. La procedura di ottimizzazione di sistemi smorzati agendo simultaneamente sulla rigidezza e sullo smorzamento viene applicata numericamente, mediante l’utilizzo di un programma di calcolo in linguaggio Matlab, nel capitolo quattro. La procedura viene applicata a sistemi a due e a cinque gradi di libertà. L’ultima parte della tesi ha come oggetto la generalizzazione della procedura che viene applicata per un sistema dotato di isolatori alla base. Tale parte della tesi è riportata nel quinto capitolo. Per isolamento sismico di un edificio (sistema di controllo passivo) si intende l’inserimento tra la struttura e le sue fondazioni di opportuni dispositivi molto flessibili orizzontalmente, anche se rigidi in direzione verticale. Tali dispositivi consentono di ridurre la trasmissione del moto del suolo alla struttura in elevazione disaccoppiando il moto della sovrastruttura da quello del terreno. L’inserimento degli isolatori consente di ottenere un aumento del periodo proprio di vibrare della struttura per allontanarlo dalla zona dello spettro di risposta con maggiori accelerazioni. La principale peculiarità dell’isolamento alla base è la possibilità di eliminare completamente, o quantomeno ridurre sensibilmente, i danni a tutte le parti strutturali e non strutturali degli edifici. Quest’ultimo aspetto è importantissimo per gli edifici che devono rimanere operativi dopo un violento terremoto, quali ospedali e i centri operativi per la gestione delle emergenze. Nelle strutture isolate si osserva una sostanziale riduzione degli spostamenti di interpiano e delle accelerazioni relative. La procedura di ottimizzazione viene modificata considerando l’introduzione di isolatori alla base di tipo LRB. Essi sono costituiti da strati in elastomero (aventi la funzione di dissipare, disaccoppiare il moto e mantenere spostamenti accettabili) alternati a lamine in acciaio (aventi la funzione di mantenere una buona resistenza allo schiacciamento) che ne rendono trascurabile la deformabilità in direzione verticale. Gli strati in elastomero manifestano una bassa rigidezza nei confronti degli spostamenti orizzontali. La procedura di ottimizzazione viene applicata ad un telaio shear-type ad N gradi di libertà con smorzatori viscosi aggiunti. Con l’introduzione dell’isolatore alla base si passa da un sistema ad N gradi di libertà ad un sistema a N+1 gradi di libertà, in quanto l’isolatore viene modellato alla stregua di un piano della struttura considerando una rigidezza e uno smorzamento equivalente dell’isolatore. Nel caso di sistema sheat-type isolato alla base, poiché l’isolatore agisce sia sugli spostamenti di interpiano, sia sulle accelerazioni trasmesse alla struttura, si considera una nuova funzione obiettivo che minimizza la somma incrementata degli scarti quadratici medi degli spostamenti di interpiano e delle accelerazioni. Le quantità di progetto sono i coefficienti di smorzamento e le rigidezze di piano della sovrastruttura. Al termine della procedura si otterrà una nuova ridistribuzione delle variabili di progetto nei piani della struttura. In tal caso, però, la sovrastruttura risulterà molto meno sollecitata in quanto tutte le deformazioni vengono assorbite dal sistema di isolamento. Infine, viene effettuato un controllo sull’entità dello spostamento alla base dell’isolatore perché potrebbe raggiungere valori troppo elevati. Infatti, la normativa indica come valore limite dello spostamento alla base 25cm; valori più elevati dello spostamento creano dei problemi soprattutto per la realizzazione di adeguati giunti sismici. La procedura di ottimizzazione di sistemi isolati alla base viene applicata numericamente mediante l’utilizzo di un programma di calcolo in linguaggio Matlab nel sesto capitolo. La procedura viene applicata a sistemi a tre e a cinque gradi di libertà. Inoltre si effettua il controllo degli spostamenti alla base sollecitando la struttura con il sisma di El Centro e il sisma di Northridge. I risultati hanno mostrato che la procedura di calcolo è efficace e inoltre gli spostamenti alla base sono contenuti entro il limite posto dalla normativa. Giova rilevare che il sistema di isolamento riduce sensibilmente le grandezze che interessano la sovrastruttura, la quale si comporta come un corpo rigido al di sopra dell’isolatore. In futuro si potrà studiare il comportamento di strutture isolate considerando diverse tipologie di isolatori alla base e non solo dispositivi elastomerici. Si potrà, inoltre, modellare l’isolatore alla base con un modello isteretico bilineare ed effettuare un confronto con i risultati già ottenuti per il modello lineare.
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CAPITOLO 1 INTRODUZIONE Il lavoro presentato è relativo all’utilizzo a fini metrici di immagini satellitari storiche a geometria panoramica; in particolare sono state elaborate immagini satellitari acquisite dalla piattaforma statunitense CORONA, progettata ed impiegata essenzialmente a scopi militari tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, e recentemente soggette ad una declassificazione che ne ha consentito l’accesso anche a scopi ed utenti non militari. Il tema del recupero di immagini aeree e satellitari del passato è di grande interesse per un ampio spettro di applicazioni sul territorio, dall’analisi dello sviluppo urbano o in ambito regionale fino ad indagini specifiche locali relative a siti di interesse archeologico, industriale, ambientale. Esiste infatti un grandissimo patrimonio informativo che potrebbe colmare le lacune della documentazione cartografica, di per sé, per ovvi motivi tecnici ed economici, limitata a rappresentare l’evoluzione territoriale in modo asincrono e sporadico, e con “forzature” e limitazioni nel contenuto informativo legate agli scopi ed alle modalità di rappresentazione delle carte nel corso del tempo e per diversi tipi di applicazioni. L’immagine di tipo fotografico offre una rappresentazione completa, ancorché non soggettiva, dell’esistente e può complementare molto efficacemente il dato cartografico o farne le veci laddove questo non esista. La maggior parte del patrimonio di immagini storiche è certamente legata a voli fotogrammetrici che, a partire dai primi decenni del ‘900, hanno interessato vaste aree dei paesi più avanzati, o regioni di interesse a fini bellici. Accanto a queste, ed ovviamente su periodi più vicini a noi, si collocano le immagini acquisite da piattaforma satellitare, tra le quali rivestono un grande interesse quelle realizzate a scopo di spionaggio militare, essendo ad alta risoluzione geometrica e di ottimo dettaglio. Purtroppo, questo ricco patrimonio è ancora oggi in gran parte inaccessibile, anche se recentemente sono state avviate iniziative per permetterne l’accesso a fini civili, in considerazione anche dell’obsolescenza del dato e della disponibilità di altre e migliori fonti di informazione che il moderno telerilevamento ci propone. L’impiego di immagini storiche, siano esse aeree o satellitari, è nella gran parte dei casi di carattere qualitativo, inteso ad investigare sulla presenza o assenza di oggetti o fenomeni, e di rado assume un carattere metrico ed oggettivo, che richiederebbe tra l’altro la conoscenza di dati tecnici (per esempio il certificato di calibrazione nel caso delle camere aerofotogrammetriche) che sono andati perduti o sono inaccessibili. Va ricordato anche che i mezzi di presa dell’epoca erano spesso soggetti a fenomeni di distorsione ottica o altro tipo di degrado delle immagini che ne rendevano difficile un uso metrico. D’altra parte, un utilizzo metrico di queste immagini consentirebbe di conferire all’analisi del territorio e delle modifiche in esso intercorse anche un significato oggettivo che sarebbe essenziale per diversi scopi: per esempio, per potere effettuare misure su oggetti non più esistenti o per potere confrontare con precisione o co-registrare le immagini storiche con quelle attuali opportunamente georeferenziate. Il caso delle immagini Corona è molto interessante, per una serie di specificità che esse presentano: in primo luogo esse associano ad una alta risoluzione (dimensione del pixel a terra fino a 1.80 metri) una ampia copertura a terra (i fotogrammi di alcune missioni coprono strisce lunghe fino a 250 chilometri). Queste due caratteristiche “derivano” dal principio adottato in fase di acquisizione delle immagini stesse, vale a dire la geometria panoramica scelta appunto perché l’unica che consente di associare le due caratteristiche predette e quindi molto indicata ai fini spionaggio. Inoltre, data la numerosità e la frequenza delle missioni all’interno dell’omonimo programma, le serie storiche di questi fotogrammi permettono una ricostruzione “ricca” e “minuziosa” degli assetti territoriali pregressi, data appunto la maggior quantità di informazioni e l’imparzialità associabili ai prodotti fotografici. Va precisato sin dall’inizio come queste immagini, seppur rappresentino una risorsa “storica” notevole (sono datate fra il 1959 ed il 1972 e coprono regioni moto ampie e di grandissimo interesse per analisi territoriali), siano state molto raramente impiegate a scopi metrici. Ciò è probabilmente imputabile al fatto che il loro trattamento a fini metrici non è affatto semplice per tutta una serie di motivi che saranno evidenziati nei capitoli successivi. La sperimentazione condotta nell’ambito della tesi ha avuto due obiettivi primari, uno generale ed uno più particolare: da un lato il tentativo di valutare in senso lato le potenzialità dell’enorme patrimonio rappresentato da tali immagini (reperibili ad un costo basso in confronto a prodotti simili) e dall’altro l’opportunità di indagare la situazione territoriale locale per una zona della Turchia sud orientale (intorno al sito archeologico di Tilmen Höyük) sulla quale è attivo un progetto condotto dall’Università di Bologna (responsabile scientifico il Prof. Nicolò Marchetti del Dipartimento di Archeologia), a cui il DISTART collabora attivamente dal 2005. L’attività è condotta in collaborazione con l’Università di Istanbul ed il Museo Archeologico di Gaziantep. Questo lavoro si inserisce, inoltre, in un’ottica più ampia di quelle esposta, dello studio cioè a carattere regionale della zona in cui si trovano gli scavi archeologici di Tilmen Höyük; la disponibilità di immagini multitemporali su un ampio intervallo temporale, nonché di tipo multi sensore, con dati multispettrali, doterebbe questo studio di strumenti di conoscenza di altissimo interesse per la caratterizzazione dei cambiamenti intercorsi. Per quanto riguarda l’aspetto più generale, mettere a punto una procedura per il trattamento metrico delle immagini CORONA può rivelarsi utile all’intera comunità che ruota attorno al “mondo” dei GIS e del telerilevamento; come prima ricordato tali immagini (che coprono una superficie di quasi due milioni di chilometri quadrati) rappresentano un patrimonio storico fotografico immenso che potrebbe (e dovrebbe) essere utilizzato sia a scopi archeologici, sia come supporto per lo studio, in ambiente GIS, delle dinamiche territoriali di sviluppo di quelle zone in cui sono scarse o addirittura assenti immagini satellitari dati cartografici pregressi. Il lavoro è stato suddiviso in 6 capitoli, di cui il presente costituisce il primo. Il secondo capitolo è stato dedicato alla descrizione sommaria del progetto spaziale CORONA (progetto statunitense condotto a scopo di fotoricognizione del territorio dell’ex Unione Sovietica e delle aree Mediorientali politicamente correlate ad essa); in questa fase vengono riportate notizie in merito alla nascita e all’evoluzione di tale programma, vengono descritti piuttosto dettagliatamente gli aspetti concernenti le ottiche impiegate e le modalità di acquisizione delle immagini, vengono riportati tutti i riferimenti (storici e non) utili a chi volesse approfondire la conoscenza di questo straordinario programma spaziale. Nel terzo capitolo viene presentata una breve discussione in merito alle immagini panoramiche in generale, vale a dire le modalità di acquisizione, gli aspetti geometrici e prospettici alla base del principio panoramico, i pregi ed i difetti di questo tipo di immagini. Vengono inoltre presentati i diversi metodi rintracciabili in bibliografia per la correzione delle immagini panoramiche e quelli impiegati dai diversi autori (pochi per la verità) che hanno scelto di conferire un significato metrico (quindi quantitativo e non solo qualitativo come è accaduto per lungo tempo) alle immagini CORONA. Il quarto capitolo rappresenta una breve descrizione del sito archeologico di Tilmen Höyuk; collocazione geografica, cronologia delle varie campagne di studio che l’hanno riguardato, monumenti e suppellettili rinvenute nell’area e che hanno reso possibili una ricostruzione virtuale dell’aspetto originario della città ed una più profonda comprensione della situazione delle capitali del Mediterraneo durante il periodo del Bronzo Medio. Il quinto capitolo è dedicato allo “scopo” principe del lavoro affrontato, vale a dire la generazione dell’ortofotomosaico relativo alla zona di cui sopra. Dopo un’introduzione teorica in merito alla produzione di questo tipo di prodotto (procedure e trasformazioni utilizzabili, metodi di interpolazione dei pixel, qualità del DEM utilizzato), vengono presentati e commentati i risultati ottenuti, cercando di evidenziare le correlazioni fra gli stessi e le problematiche di diversa natura incontrate nella redazione di questo lavoro di tesi. Nel sesto ed ultimo capitolo sono contenute le conclusioni in merito al lavoro in questa sede presentato. Nell’appendice A vengono riportate le tabelle dei punti di controllo utilizzati in fase di orientamento esterno dei fotogrammi.
Resumo:
Le intersezioni stradali, sono le aree individuate da tre o più tronchi stradali (archi) che convergono in uno stesso punto, nonchè dai dispositivi e dagli apprestamenti atti a consentire ed agevolare le manovre per il passaggio da un tronco all'altro. Rappresentano punti critici della rete viaria per effetto delle mutue interferenze tra le diverse correnti di traffico durante il loro attraversamento. Si acuiscono pertanto, nella loro "area di influenza", i problemi legati alla sicurezza e quelli relativi alla regolarità ed efficienza della circolazione. Dalla numerosità dei fattori da cui dipende la configurazione di un incrocio (numero e tipo di strade, entità dei flussi, situazioni locali, ecc.) deriva una ancor più vasta gamma di tipologie e di schemi. La rotatoria, come particolare configurazione di intersezione a raso, è lo schema che viene considerato nel presente lavoro di tesi, sia nei suoi caratteri essenziali e generali, sia nel particolare di una intersezione che, nel Comune di Bologna, è stata realizzata in luogo dell'intersezione semaforizzata precedente.
Resumo:
Il traffico veicolare è la principale fonte antropogenica di NOx, idrocarburi (HC) e CO e, dato che la sostituzione dei motori a combustione interna con sistemi alternativi appare ancora lontana nel tempo, lo sviluppo di sistemi in grado di limitare al massimo le emissioni di questi mezzi di trasporto riveste un’importanza fondamentale. Sfortunatamente non esiste un rapporto ottimale aria/combustibile che permetta di avere basse emissioni, mentre la massima potenza ottenibile dal motore corrisponde alle condizioni di elevata formazione di CO e HC. Gli attuali sistemi di abbattimento permettono il controllo delle emissioni da sorgenti mobili tramite una centralina che collega il sistema di iniezione del motore e la concentrazione di ossigeno del sistema catalitico (posto nella marmitta) in modo da controllare il rapporto aria/combustibile (Fig. 1). Le marmitte catalitiche per motori a benzina utilizzano catalizzatori “three way” a base di Pt/Rh supportati su ossidi (allumina, zirconia e ceria), che, dovendo operare con un rapporto quasi stechiometrico combustibile/comburente, comportano una minore efficienza del motore e consumi maggiori del 20-30% rispetto alla combustione in eccesso di ossigeno. Inoltre, questa tecnologia non può essere utilizzata nei motori diesel, che lavorano in eccesso di ossigeno ed utilizzano carburanti con un tenore di zolfo relativamente elevato. In questi ultimi anni è cresciuto l’interesse per il controllo delle emissioni di NOx da fonti veicolari, con particolare attenzione alla riduzione catalitica in presenza di un eccesso di ossigeno, cioè in condizioni di combustione magra. Uno sviluppo recente è rappresentato dai catalizzatori tipo “Toyota” che sono basati sul concetto di accumulo e riduzione (storage/reduction), nei quali l’NO viene ossidato ed accumulato sul catalizzatore come nitrato in condizioni di eccesso di ossigeno. Modificando poi per brevi periodi di tempo le condizioni di alimentazione da ossidanti (aria/combustibile > 14,7 p/p) a riducenti (aria/combustibile < 14,7 p/p) il nitrato immagazzinato viene ridotto a N2 e H2O. Questi catalizzatori sono però molto sensibili alla presenza di zolfo e non possono essere utilizzati con i carburanti diesel attualmente in commercio. Obiettivo di questo lavoro di tesi è stato quello di ottimizzare e migliorare la comprensione del meccanismo di reazione dei catalizzatori “storage-reduction” per l’abbattimento degli NOx nelle emissioni di autoveicoli in presenza di un eccesso di ossigeno. In particolare lo studio è stato focalizzato dapprima sulle proprietà del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, in funzione del tipo di precursore e sulle proprietà e composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). Lo studio è stato inizialmente focalizzato sulle proprietà dei precursori del Pt, fase attiva nei processi di storage-reduction, sulla composizione della fase di accumulo (Ba, Mg ed una loro miscela equimolare) e del supporto (γ-Al2O3 o Mg(Al)O). E’ stata effettuata una dettagliata caratterizzazione chimico-fisica dei materiali preparati tramite analisi a raggi X (XRD), area superficiale, porosimetria, analisi di dispersione metallica, analisi in riduzione e/o ossidazione in programmata di temperatura (TPR-O), che ha permesso una migliore comprensione delle proprietà dei catalizzatori. Vista la complessità delle miscele gassose reali, sono state utilizzate, nelle prove catalitiche di laboratorio, alcune miscele più semplici, che tuttavia potessero rappresentare in maniera significativa le condizioni reali di esercizio. Il comportamento dei catalizzatori è stato studiato utilizzando differenti miscele sintetiche, con composizioni che permettessero di comprendere meglio il meccanismo. L’intervallo di temperatura in cui si è operato è compreso tra 200-450°C. Al fine di migliorare i catalizzatori, per aumentarne la resistenza alla disattivazione da zolfo, sono state effettuate prove alimentando in continuo SO2 per verificare la resistenza alla disattivazione in funzione della composizione del catalizzatore. I principali risultati conseguiti possono essere così riassunti: A. Caratteristiche Fisiche. Dall’analisi XRD si osserva che l’impregnazione con Pt(NH3)2(NO2)2 o con la sospensione nanoparticellare in DEG, non modifica le proprietà chimico-fisiche del supporto, con l’eccezione del campione con sospensione nanoparticellare impregnata su ossido misto per il quale si è osservata sia la segregazione del Pt, sia la presenza di composti carboniosi sulla superficie. Viceversa l’impregnazione con Ba porta ad una significativa diminuzione dell’area superficiale e della porosità. B. Caratteristiche Chimiche. L’analisi di dispersione metallica, tramite il chemiassorbimento di H2, mostra per i catalizzatori impregnati con Pt nanoparticellare, una bassa dispersione metallica e di conseguenza elevate dimensioni delle particelle di Pt. I campioni impregnati con Pt(NH3)2(NO2)2 presentano una migliore dispersione. Infine dalle analisi TPR-O si è osservato che: Maggiore è la dispersione del metallo nobile maggiore è la sua interazione con il supporto, L’aumento della temperatura di riduzione del PtOx è proporzionale alla quantità dei metalli alcalino terrosi, C. Precursore Metallo Nobile. Nelle prove di attività catalitica, con cicli ossidanti e riducenti continui in presenza ed in assenza di CO2, i catalizzatori con Pt nanoparticellare mostrano una minore attività catalitica, specie in presenza di un competitore come la CO2. Al contrario i catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 presentano un’ottima attività catalitica, stabile nel tempo, e sono meno influenzabili dalla presenza di CO2. D. Resistenza all’avvelenamento da SO2. Il catalizzatore di riferimento, 17Ba1Pt/γAl2O3, mostra un effetto di avvelenamento con formazione di solfati più stabili che sul sistema Ba-Mg; difatti il campione non recupera i valori iniziali di attività se non dopo molti cicli di rigenerazione e temperature superiori ai 300°C. Per questi catalizzatori l’avvelenamento da SO2 sembra essere di tipo reversibile, anche se a temperature e condizioni più favorevoli per il 1.5Mg8.5Ba-1Pt/γAl2O3. E. Capacità di Accumulo e Rigenerabilità. Tramite questo tipo di prova è stato possibile ipotizzare e verificare il meccanismo della riduzione. I catalizzatori ottenuti per impregnazione con la soluzione acquosa di Pt(NH3)2(NO2)2 hanno mostrato un’elevata capacità di accumulo. Questa è maggiore per il campione bimetallico (Ba-Mg) a T < 300°C, mentre per il riferimento è maggiore per T > 300°C. Per ambedue i catalizzatori è evidente la formazione di ammoniaca, che potrebbe essere utilizzata come un indice che la riduzione dei nitrati accumulati è arrivata al termine e che il tempo ottimale per la riduzione è stato raggiunto o superato. Per evitare la formazione di NH3, sul catalizzatore di riferimento, è stata variata la concentrazione del riducente e la temperatura in modo da permettere alle specie adsorbite sulla superficie e nel bulk di poter raggiungere il Pt prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo. La presenza di CO2 riduce fortemente la formazione di NH3; probabilmente perché la CO2, occupando i siti degli elementi alcalino-terrosi lontani dal Pt, impedisce ai nitriti/nitrati o all’H2 attivato di percorrere “elevate” distanze prima di reagire, aumentando così le possibilità di una riduzione più breve e più selettiva. F. Tempo di Riduzione. Si è migliorata la comprensione del ruolo svolto dalla concentrazione dell’agente riducente e dell’effetto della durata della fase riducente. Una durata troppo breve porta, nel lungo periodo, alla saturazione dei siti attivi, un eccesso alla formazione di NH3 Attraverso queste ultime prove è stato possibile formulare un meccanismo di reazione, in particolare della fase riducente. G. Meccanismo di Riduzione. La mobilità dei reagenti, nitriti/nitrati o H2 attivato è un elemento fondamentale nel meccanismo della riduzione. La vicinanza tra i siti di accumulo e quelli redox è determinante per il tipo di prodotti che si possono ottenere. La diminuzione della concentrazione del riducente o l’aumento della temperatura concede maggiore tempo o energia alle specie adsorbite sulla superficie o nel bulk per migrare e reagire prima che l’ambiente diventi troppo riducente e quindi meno selettivo.
Resumo:
Oggetto di questa tesi è lo studio della qualità del servizio di trasporto erogato che condiziona la qualità percepita dall’utente, poiché spesso proprio a causa di un errato processo di pianificazione e gestione della rete, molte aziende non sono in grado di consolidare un alto livello di efficienza che permetta loro di attrarre e servire la crescente domanda. Per questo motivo, si è deciso di indagare sugli aspetti che determinano la qualità erogata e sui fattori che la influenzano, anche attraverso la definizione di alcuni indicatori rappresentativi del servizio erogato. L’area di studio considerata è stata quella urbana di Bologna, e sono state prese in esame due linee di ATC, la 19 e la 27, caratterizzate entrambe da una domanda di trasporto molto elevata. L’interesse è ricaduto in modo particolare sugli aspetti legati alla regolarità del servizio, ovvero al rispetto della cadenza programmata delle corse e alla puntualità, ossia il rispetto dell’orario programmato delle stesse. Proprio da questi due aspetti, infatti, dipende in larga misura la percezione della qualità che gli utenti hanno del servizio di trasporto collettivo. Lo studio è stato condotto sulla base di dati raccolti attraverso due campagne di rilevamento, una effettuata nel mese di maggio dell’anno 2008 e l’altra nel mese di settembre dello stesso anno. La scelta del periodo, della zona e delle modalità di rilevamento è strettamente connessa all’obiettivo prefissato. Il servizio è influenzato dalle caratteristiche del sistema di trasporto: sia da quelle legate alla domanda che da quelle legate all’offerta. Nel caso della domanda di trasporto si considera l’influenza sul servizio del numero di passeggeri saliti e del tempo di sosta alle fermate. Nel caso dell’offerta di trasporto si osservano soprattutto gli aspetti legati alla rete di trasporto su cui si muovono gli autobus, analizzando quindi i tempi di movimento e le velocità dei mezzi, per vedere come le caratteristiche dell’infrastruttura possano condizionare il servizio. A tale proposito è opportuno dire che, mentre i dati della prima analisi ci sono utili per lo studio dell’influenza del tempo di sosta sull’intertempo, nella seconda analisi si vuole cercare di effettuare ulteriori osservazioni sull’influenza del tempo di movimento sulla cadenza, prendendo in esame altri elementi, come ad esempio tratti di linea differenti rispetto al caso precedente. Un’attenzione particolare, inoltre, verrà riservata alla verifica del rispetto della cadenza, dalla quale scaturisce la definizione del livello di servizio per ciò che riguarda la regolarità. Per quest’ultima verrà, inoltre, determinato anche il LOS relativo alla puntualità. Collegato al problema del rispetto della cadenza è il fenomeno dell’accodamento: questo si verifica quando i mezzi di una stessa linea arrivano contemporaneamente ad una fermata uno dietro l’altro. L’accodamento ha, infatti, origine dal mancato rispetto della cadenza programmata tra i mezzi ed è un’evidente manifestazione del mal funzionamento di un servizio di trasporto. Verrà infine condotta un’analisi dei fattori che possono influenzare le prestazioni del servizio di trasporto pubblico, così da collocare i dati ottenuti dalle operazioni di rilevamento in un quadro più preciso, capace di sottolineare alcuni elementi di criticità e possibili rapporti di causalità.
Resumo:
Le reti di distribuzione idrica conservano un ruolo importante ed irrinunciabile nella sicurezza antincendio, ma diversi fattori sul piano normativo e strutturale limitano la loro potenzialità nelle fasi di estinzione dell'incendio. Ma in che modo si è evoluta in Italia negli ultimi anni la lotta all'incendio? E' ormai noto che non esistono incendi standard, quelli per i quali è possibile definire procedure d'intervento e modalità di estinzione; non è quindi banale identificare le portate antincendio necessarie (Needed Fire Flow) e il tempo per il quale esse devono essere garantite. In certi contesti è possibile ipotizzare un certo standard d'incendio ma ciò presuppone che edifici, strutture e tutto ciò che è sottoposto ad incendio, possano essere considerati fabbricati a "regola d'arte", ovvero realizzati attraverso procedure esecutive aventi standard di qualità certificata. Ciò è stato affrontato nei criteri di realizzazione delle nuove costruzioni, ma le vecchie costruzioni, soprattutto gli edifici presenti nei centri storici, sono evidentemente più vulnerabili e sfuggono alla possibilità di identificare affidabili valori del NFF. Il quadro che si presenta coinvolge quindi carenze normative, contesti urbani con differente vulnerabilità e una sostanziale disomogeneità prestazionale delle reti di distribuzione idrica presenti nel territorio nazionale, legata non solo alla disponibilità idrica ma, anche e soprattutto, alla conformazione della rete, ai livelli di pressione ed alla specifica capacità della rete nel sostenere incrementi di flusso dovuto al prelievo dagli idranti stradali. La scarsa conoscenza di questi aspetti, piuttosto che tradursi in miglioramenti della rete idrica e della sua efficienza ai fini antincendio, ha portato nel tempo ad adottare soluzioni alternative che agiscono principalmente sulle modalità operative di utilizzo dei mezzi dei VV.F. e sul fronte dei dispositivi antincendio privati, quali una migliore protezione passiva, legata all'uso di materiali la cui risposta all'incendio fosse la minore possibile, e protezioni attive alternative, quali impianti sprinkler, di tipo aerosol o misti. Rimangono tutte le problematiche legate alla caratterizzazione nell'area urbanizzata in termini di risposta al prelievo per incendio dagli idranti pubblici sui quali la normativa vigente non impone regole circa le prestazioni e la loro dislocazione sul territorio. Questa incertezza spesso si traduce in un maggiore dispiego di mezzi rispetto all'entità dell'incendio ed ad una scarsa possibilità di ottimizzare l'allocazione delle unità operative dei VV.F., con un evidente incremento del rischio nel caso in cui si verifichino più eventi di incendio contemporaneamente. La simulazione numerica avanzata, su modelli opportunamente calibrati delle reti di distribuzione, può consentire una maggiore comprensione quantitativa del livello di sicurezza antincendio offerto da una rete di distribuzione idrica.