500 resultados para cardiomiopatia tóxica
Resumo:
Programa de doctorado: Ingeniería ambiental y desalinización
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[ES] En la última década ha crecido significativamente el uso de fármacos y diversos productos de cuidado personal en nuestra sociedad. Estos compuestos, que pertenecen a los actualmente denominados contaminantes emergentes, no son totalmente eliminados en las estaciones depuradoras de aguas residuales y pueden incorporarse al medio ambiente a través de los emisarios submarinos, las aguas de riego o los lodos usados como abonos en agricultura. Muchos de estos compuestos tienen actividad tóxica o mutagénica y además pueden sufrir bioacumulación y biomagnificación en organismos marinos. Dado que las concentraciones de estos contaminantes son muy pequeñas es imprescindible desarrollar procedimientos de extracción y preconcentración que permitan cuantificarlas. Con las metodologías que se han optimizado en el grupo de investigación, hemos conseguido detectar y determinar la presencia de muchos de estos compuestos tanto en muestras líquidas como sólidas, incluyendo emisarios submarinos, agua de mar (en playas y en mar abierto), lodos y sedimentos.
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Premessa: nell’aprile 2006, l’American Heart Association ha approvato la nuova definizione e classificazione delle cardiomiopatie (B. J. Maron e coll. 2006), riconoscendole come un eterogeneo gruppo di malattie associate a disfunzione meccanica e/o elettrica riconducibili ad un ampia variabilità di cause. La distinzione tra le varie forme si basa non più sui processi etiopatogenetici che ne sono alla base, ma sulla modalità di presentazione clinica della malattia. Si distinguono così le forme primarie, a prevalente od esclusivo interessamento cardiaco, dalle forme secondarie in cui la cardiomiopatia rientra nell’ambito di un disordine sistemico dove sono evidenziabili anche disturbi extracardiaci. La nostra attenzione è, nel presente studio, focalizzata sull’analisi delle cardiomiopatie diagnosticate nei primi anni di vita in cui si registra una più alta incidenza di forme secondarie rispetto all’adulto, riservando un particolare riguardo verso quelle forme associate a disordini metabolici. Nello specifico, il nostro obiettivo è quello di sottolineare l’influenza di una diagnosi precoce sull’evoluzione della malattia. Materiali e metodi: abbiamo eseguito uno studio descrittivo in base ad un’analisi retrospettiva di tutti i pazienti giunti all’osservazione del Centro di Cardiologia e Cardiochirurgia Pediatrica e dell’ Età Evolutiva del Policlinico S. Orsola- Malpighi di Bologna, dal 1990 al 2006, con diagnosi di cardiomiopatia riscontrata nei primi due anni di vita. Complessivamente sono stati studiati 40 pazienti di cui 20 con cardiomiopatia ipertrofica, 18 con cardiomiopatia dilatativa e 2 con cardiomiopatia restrittiva con un’età media alla diagnosi di 4,5 mesi (range:0-24 mesi). Per i pazienti descritti a partire dal 2002, 23 in totale, sono state eseguite le seguenti indagini metaboliche: emogasanalisi, dosaggio della carnitina, metabolismo degli acidi grassi liberi (pre e post pasto), aminoacidemia quantitativa (pre e post pasto), acidi organici, mucopolisaccaridi ed oligosaccaridi urinari, acilcarnitine. Gli stessi pazienti sono stati inoltre sottoposti a prelievo bioptico di muscolo scheletrico per l’analisi ultrastrutturale, e per l’analisi dell’attività enzimatica della catena respiratoria mitocondriale. Nella stessa seduta veniva effettuata la biopsia cutanea per l’eventuale valutazione di deficit enzimatici nei fibroblasti. Risultati: l’età media alla diagnosi era di 132 giorni (range: 0-540 giorni) per le cardiomiopatie ipertrofiche, 90 giorni per le dilatative (range: 0-210 giorni) mentre le 2 bambine con cardiomiopatia restrittiva avevano 18 e 24 mesi al momento della diagnosi. Le indagini metaboliche eseguite sui 23 pazienti ci hanno permesso di individuare 5 bambini con malattia metabolica (di cui 2 deficit severi della catena respiratoria mitocondriale, 1 con insufficienza della β- ossidazione per alterazione delle acilcarnitine , 1 con sindrome di Barth e 1 con malattia di Pompe) e un caso di cardiomiopatia dilatativa associata a rachitismo carenziale. Di questi, 4 sono deceduti e uno è stato perduto al follow-up mentre la forma associata a rachitismo ha mostrato un netto miglioramento della funzionalità cardiaca dopo appropriata terapia con vitamina D e calcio. In tutti la malattia era stata diagnosticata entro l’anno di vita. Ciò concorda con gli studi documentati in letteratura che associano le malattie metaboliche ad un esordio precoce e ad una prognosi infausta. Da un punto di vista morfologico, un’evoluzione severa si associava alla forma dilatativa, ed in particolare a quella con aspetto non compaction del ventricolo sinistro, rispetto alla ipertrofica e, tra le ipertrofiche, alle forme con ostruzione all’efflusso ventricolare. Conclusioni: in accordo con quanto riscontrato in letteratura, abbiamo visto come le cardiomiopatie associate a forme secondarie, ed in particolare a disordini metabolici, sono di più frequente riscontro nella prima infanzia rispetto alle età successive e, per questo, l’esordio molto precoce di una cardiomiopatia deve essere sempre sospettata come l’espressione di una malattia sistemica. Abbiamo osservato, inoltre, una stretta correlazione tra l’età del bambino alla diagnosi e l’evoluzione della cardiomiopatia, registrando un peggioramento della prognosi in funzione della precocità della manifestazione clinica. In particolare la diagnosi eseguita in epoca prenatale si associava, nella maggior parte dei casi, ad un’evoluzione severa, comportandosi come una variabile indipendente da altri fattori prognostici. Riteniamo, quindi, opportuno sottoporre tutti i bambini con diagnosi di cardiomiopatia effettuata nei primi anni di vita ad uno screening metabolico completo volto ad individuare quelle forme per le quali sia possibile intraprendere una terapia specifica o, al contrario, escludere disordini che possano controindicare, o meno, l’esecuzione di un trapianto cardiaco qualora se ne presenti la necessità clinica.
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L’amiloidosi cardiaca è l’esempio tipico di cardiomiopatia infiltrativa. La diagnosi presuppone un alto indice di sospetto. Nella pratica clinica le cause più frequenti di amiloidosi sistemica sono: amiloidosi AL (secondaria alla deposizione di catene leggere libere circolanti delle immunoglobuline nel contesto di discrasia plasmocellulare), amiloidosi da deposizione di transtiretina mutata (amiloidosi ereditaria ATTR) e da deposizione di transtiretina nativa, “wild-type” (amiloidosi senile). L’ecocardiogramma, la lettura integrata ECG-ecocardiogramma e la risonanza magnetica forniscono importanti elementi per il sospetto diagnostico. La diagnosi finale deve essere necessariamente eziologica per poter orientare al meglio le strategie terapeutiche. L’amiloidosi ereditaria da mutazione della transtiretina (ATTRm) ha una espressione clinica prevalentemente neurologica. L’interessamento cardiaco è relativamente frequente (soprattutto nelle mutazioni diverse dalla Val30Met), ma è in genere successivo all’espressione del fenotipo neurologico. Se la cronologia di espressione dei due fenotipi si inverte, la probabilità di mancare la diagnosi di ATTRm è elevata. Nella realtà più del 10% dei pazienti affetti da ATTRm ha una espressione fenotipica prevalentemente o esclusivamente cardiologica. Questo sottogruppo si caratterizza per una netta prevalenza del sesso maschile, per una diagnosi in età più avanzata e per una frequenza particolarmente elevata della mutazione Ile68Leu. La consapevolezza dell’esistenza di queste forme di ATTRm è essenziale per una diagnosi corretta, soprattutto in ambito cardiologico.
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Gli endocannabinoidi (EC) sono una classe di composti che mimano gli effetti del Δ9-tetraidrocannabinolo. Essi comprendono l’anandamide (AEA) ed il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), molecole che interagiscono preferenzialmente con due specifici recettori, il CB1 ed il CB2. Più recente è la scoperta di due molecole EC simili, il palmitoiletanolamide (PEA) e l’oleiletanolamide (OEA), che tuttavia agiscono legando recettori diversi tra cui il PPARα ed il TRVP1. Studi sperimentali dimostrano che il sistema degli EC è attivato in corso di cirrosi epatica ed è coinvolto nel processo fibrogenico e nella patogenesi delle alterazioni emodinamiche tipiche della malattia. Esso partecipa alla patogenesi di alcune delle maggiori complicanze della cirrosi quali ascite, encefalopatia, cardiomiopatia ed infezioni batteriche. Scopo del presente studio è stato quello di studiare il ruolo degli EC nella patogenesi delle infezioni batteriche in corso di cirrosi. A tale scopo sono stati eseguiti un protocollo clinico ed uno sperimentale. Nel protocollo sperimentale la cirrosi è stata indotta mediante somministrazione di CCl4 per via inalatoria a ratti maschi Wistar. In tale protocollo i livelli circolanti di tutti gli EC sono risultati significativamente aumentati a seguito della somministrazione di LPS. La somministrazione dell’antagonista del recettore CB1, Rimonabant, inoltre, è stata efficace nel ridurre del 50% la mortalità a 24 ore dei ratti trattati col farmaco rispetto ai ratti trattati col solo LPS. Parallelamente il Rimonabant ha determinato una riduzione dell’espressione genica di molecole pro-infiammatorie e sostanze vasoattive. Lo studio clinico, condotto su 156 pazienti, ha confermato l’attivazione del sistema degli EC in corso di cirrosi epatica. Inoltre è stata identificata una forte correlazione tra il PEA e l’OEA e l’emodinamica sistemica ed una associazione con alcune delle maggiori complicanze. L’analisi statistica ha inoltre individuato l’OEA quale predittore indipendente di insufficenza renale e di sopravvivenza globale.
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La distrofia muscolare di Emery-Dreifuss (EDMD) è una miopatia degenerativa ereditaria caratterizzata da debolezza e atrofia dei muscoli senza coinvolgimento del sistema nervoso. Individui EDMD presentano, inoltre, cardiomiopatia con difetto di conduzione che provoca rischio di morte improvvisa. Diversi studi evidenziano un coinvolgimento di citochine in diverse distrofie muscolari causanti infiammazione cronica, riassorbimento osseo, necrosi cellulare. Abbiamo effettuato una valutazione simultanea della concentrazione di citochine, chemochine, fattori di crescita, presenti nel siero di un gruppo di 25 pazienti EDMD. L’analisi effettuata ha evidenziato un aumento di citochine quali IL-17, TGFβ2, INF-γ e del TGFβ1. Inoltre, una riduzione del fattore di crescita VEGF e della chemochina RANTES è stata rilevata nel siero dei pazienti EDMD rispetto ai pazienti controllo. Ulteriori analisi effettuate tramite saggio ELISA hanno evidenziato un aumento dei livelli di TGFβ2 e IL-6 nel terreno di coltura di fibroblasti EDMD2. Per testare l’effetto nei muscoli, di citochine alterate, abbiamo utilizzato terreno condizionante di fibroblasti EDMD per differenziare mioblasti murini C2C12. Una riduzione del grado di differenziamento è stata osservata nei mioblasti condizionati con terreno EDMD. Trattando queste cellule con anticorpi neutralizzanti contro TGFβ2 e IL-6 si è avuto un miglioramento del grado di differenziamento. In C2C12 che esprimevano la mutazione H222P del gene Lmna,non sono state osservate alterazioni di citochine e benefici di anticorpi neutralizzanti. I dati mostrano un effetto patogenetico delle citochine alterate come osservato in fibroblasti e siero di pazienti, suggerendo un effetto sul tessuto fibrotico di muscoli EDMD. Un effetto intrinseco alla mutazione della lamina A è stato rilevato sul espressione di caveolina 3 in mioblasti differenziati EDMD. I risultati si aggiungono a dati forniti sulla patogenesi dell' EDMD confermando che fattori intrinseci ed estrinseci contribuiscono alla malattia. Utilizzo di anticorpi neutralizzanti specifici contro fattori estrinseci potrebbe rappresentare un approccio terapeutico come mostrato in questo studio.
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L’aterosclerosi rappresenta una delle malattie più diffuse in tutto il mondo ed è caratterizzata da infiammazione cronica delle arterie di grande e medio calibro. In Italia, per esempio, le conseguenze dell’aterosclerosi, quali infarti e ischemie, sono la principale causa di 224.482 decessi annui, pari al 38,8% del totale delle morti. Oltre all’aterosclerosi, una cardiomiopatia congenita abbastanza diffusa, soprattutto nei bambini, è la presenza di anomalie dei setti inter-atriali e inter-ventricolari, che seppure non siano molto pericolosi per la vita del paziente, possono portare a ipertensione polmonare. L’obiettivo di questa tesi è mostrare le tecnologie recenti utilizzati per la cura dell’aterosclerosi e per la rimozione delle placche ateromatose, e per la chiusura trans-catetere dei difetti inter-atriali e inter-ventricolari. Nel primo capitolo viene effettuata una concisa presentazione dell’anatomia e della fisiologia dell’apparato cardio-vascolare; nel secondo capitolo invece vengono prese in rassegna le patologie appena citate e le metodiche di imaging per la loro analisi, evidenziandone, per ognuna, pregi e difetti. Nel terzo capitolo verranno presentate tutte le tecnologie recenti per la cura dell’aterosclerosi, concentrandoci principalmente sulle arterie coronarie, che sono, statisticamente, le più colpite da questa patologia. Infine, sempre nel terzo capitolo, verranno presentati i dispositivi medici per la chiusura dei difetti inter-atriali e inter-ventricolari, chiamati informalmente “ombrellini". L’ultimo capitolo riguarderà un caso particolare, vale a dire il trattamento delle lesioni alle biforcazioni coronariche, che richiedono tecnologie per la cura leggermente diverse rispetto al trattamento di una lesione aterosclerotica di una singola arteria coronarica.
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Heart diseases are the leading cause of death worldwide, both for men and women. However, the ionic mechanisms underlying many cardiac arrhythmias and genetic disorders are not completely understood, thus leading to a limited efficacy of the current available therapies and leaving many open questions for cardiac electrophysiologists. On the other hand, experimental data availability is still a great issue in this field: most of the experiments are performed in vitro and/or using animal models (e.g. rabbit, dog and mouse), even when the final aim is to better understand the electrical behaviour of in vivo human heart either in physiological or pathological conditions. Computational modelling constitutes a primary tool in cardiac electrophysiology: in silico simulations, based on the available experimental data, may help to understand the electrical properties of the heart and the ionic mechanisms underlying a specific phenomenon. Once validated, mathematical models can be used for making predictions and testing hypotheses, thus suggesting potential therapeutic targets. This PhD thesis aims to apply computational cardiac modelling of human single cell action potential (AP) to three clinical scenarios, in order to gain new insights into the ionic mechanisms involved in the electrophysiological changes observed in vitro and/or in vivo. The first context is blood electrolyte variations, which may occur in patients due to different pathologies and/or therapies. In particular, we focused on extracellular Ca2+ and its effect on the AP duration (APD). The second context is haemodialysis (HD) therapy: in addition to blood electrolyte variations, patients undergo a lot of other different changes during HD, e.g. heart rate, cell volume, pH, and sympatho-vagal balance. The third context is human hypertrophic cardiomyopathy (HCM), a genetic disorder characterised by an increased arrhythmic risk, and still lacking a specific pharmacological treatment.
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Se presentarán los resultados de un estudio denominado "Consumo de sustancias psicoactivas en estudiantes de la Universidad Nacional de San Luis 2009". Investigaciones anteriores (OAD, 2006) evidencian el consumo de sustancias psicoactivas en estudiantes universitarios, mostrando que la institución universitaria no se encuentra exenta de esta problemática. El estudio indagó la presencia de comportamientos de consumo de sustancias psicoactivas, la modalidad de presentación del fenómeno y las dificultades de los estudiantes para la consecución de sus estudios universitarios. Los resultados aportan información para el desarrollo de estrategias de prevención del consumo de sustancias psicoactivas en esta comunidad universitaria. Se siguió un diseño de tipo exploratorio descriptivo. La muestra, no aleatoria, estuvo conformada por 507 estudiantes de las diversas facultades y carreras de la UNSL. Para la recolección de datos se utilizó un 'Cuestionario autoadministrado' (Vavassori, D., 2003), anónimo y voluntario. Este instrumento indagó acerca de los datos que permitieron caracterizar sociodemográficamente a la muestra, sobre la situación académica de los sujetos, y acerca de la presentación de la conducta de consumo de una o varias sustancias psicoactivas. Los resultados dejan en evidencia que de la totalidad de la muestra (507 estudiantes) consumen algún tipo de sustancia tóxica 395 sujetos (77,9) Discriminados por el tipo de sustancia consumen alcohol el 70,2de los estudiantes, tabaco el 28,8, medicamentos el 14,6y sustancias ilegales el 9,9. Respecto a los datos en función de las variables sexo y edad de los sujetos, se observó que son los varones quienes más consumen sustancias psicoactivas legales, mientras que las mujeres consumen más sustancias ilegales en comparación con los primeros. El uso de alcohol es mayor en el grupo que tienen entre 19 y 26 años (72,9), el uso de tabaco tuvo una alta prevalencia en el grupo de 31 a 34 años; el uso de medicamentos en el grupo de sujetos que tienen más de 35 años (44,4); el mayor consumo de sustancias ilegales se observó en el grupo que tiene entre 19 y 22 años. Se observó un importante porcentaje de estudiantes que consumen alcohol durante los fines de semana El consumo de alcohol se asocia con el alivio de estados de malestar y tensión. El hecho que una gran cantidad de estudiantes consuman alcohol durante el fin de semana, se presentacomo un aspecto que podría llegar a considerarse un abuso de esta sustancia psicoactiva en la medida en que este consumo se regularice. Los resultados muestran que lasustancia psicoactiva ilegal de mayor consumo es la marihuana, en menor medida la ingesta de cocaína. El consumo de estas drogas adquiere características recreativas, en función de la frecuencia, modalidad y lugar de consumo. La mitad de los sujetos que usan sustancias ilegales no ha cursado deforma regular su carrera universitaria, tienen dificultades para rendir exámenes finales y no están satisfechos con su rendimiento académico. Se concluye que hay un grupo pequeño de estudiantes en situación de riesgo respecto al consumo y una serie de factores de riesgo que podrían incidir en el consumo de sustancias (personales, familiares y sociales), sobre los cuales debería focalizarse toda acción preventiva primaria. Es preciso reflexionar sobre el papel que debe cumplir la UNSL, como institución formadora de profesionales, en el desarrollo de políticas y acciones de prevención primaria. Los resultados de este estudio aportan la información necesaria para un diagnóstico situacional sobre el consumo de sustancias piscoactivas, punto de partida primordial para diseñar, planificar y ejecutar en conjunto acciones preventivas dirigidas a esta comunidad universitaria
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Se presentarán los resultados de un estudio denominado "Consumo de sustancias psicoactivas en estudiantes de la Universidad Nacional de San Luis 2009". Investigaciones anteriores (OAD, 2006) evidencian el consumo de sustancias psicoactivas en estudiantes universitarios, mostrando que la institución universitaria no se encuentra exenta de esta problemática. El estudio indagó la presencia de comportamientos de consumo de sustancias psicoactivas, la modalidad de presentación del fenómeno y las dificultades de los estudiantes para la consecución de sus estudios universitarios. Los resultados aportan información para el desarrollo de estrategias de prevención del consumo de sustancias psicoactivas en esta comunidad universitaria. Se siguió un diseño de tipo exploratorio descriptivo. La muestra, no aleatoria, estuvo conformada por 507 estudiantes de las diversas facultades y carreras de la UNSL. Para la recolección de datos se utilizó un 'Cuestionario autoadministrado' (Vavassori, D., 2003), anónimo y voluntario. Este instrumento indagó acerca de los datos que permitieron caracterizar sociodemográficamente a la muestra, sobre la situación académica de los sujetos, y acerca de la presentación de la conducta de consumo de una o varias sustancias psicoactivas. Los resultados dejan en evidencia que de la totalidad de la muestra (507 estudiantes) consumen algún tipo de sustancia tóxica 395 sujetos (77,9) Discriminados por el tipo de sustancia consumen alcohol el 70,2de los estudiantes, tabaco el 28,8, medicamentos el 14,6y sustancias ilegales el 9,9. Respecto a los datos en función de las variables sexo y edad de los sujetos, se observó que son los varones quienes más consumen sustancias psicoactivas legales, mientras que las mujeres consumen más sustancias ilegales en comparación con los primeros. El uso de alcohol es mayor en el grupo que tienen entre 19 y 26 años (72,9), el uso de tabaco tuvo una alta prevalencia en el grupo de 31 a 34 años; el uso de medicamentos en el grupo de sujetos que tienen más de 35 años (44,4); el mayor consumo de sustancias ilegales se observó en el grupo que tiene entre 19 y 22 años. Se observó un importante porcentaje de estudiantes que consumen alcohol durante los fines de semana El consumo de alcohol se asocia con el alivio de estados de malestar y tensión. El hecho que una gran cantidad de estudiantes consuman alcohol durante el fin de semana, se presentacomo un aspecto que podría llegar a considerarse un abuso de esta sustancia psicoactiva en la medida en que este consumo se regularice. Los resultados muestran que lasustancia psicoactiva ilegal de mayor consumo es la marihuana, en menor medida la ingesta de cocaína. El consumo de estas drogas adquiere características recreativas, en función de la frecuencia, modalidad y lugar de consumo. La mitad de los sujetos que usan sustancias ilegales no ha cursado deforma regular su carrera universitaria, tienen dificultades para rendir exámenes finales y no están satisfechos con su rendimiento académico. Se concluye que hay un grupo pequeño de estudiantes en situación de riesgo respecto al consumo y una serie de factores de riesgo que podrían incidir en el consumo de sustancias (personales, familiares y sociales), sobre los cuales debería focalizarse toda acción preventiva primaria. Es preciso reflexionar sobre el papel que debe cumplir la UNSL, como institución formadora de profesionales, en el desarrollo de políticas y acciones de prevención primaria. Los resultados de este estudio aportan la información necesaria para un diagnóstico situacional sobre el consumo de sustancias piscoactivas, punto de partida primordial para diseñar, planificar y ejecutar en conjunto acciones preventivas dirigidas a esta comunidad universitaria
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Se presentarán los resultados de un estudio denominado "Consumo de sustancias psicoactivas en estudiantes de la Universidad Nacional de San Luis 2009". Investigaciones anteriores (OAD, 2006) evidencian el consumo de sustancias psicoactivas en estudiantes universitarios, mostrando que la institución universitaria no se encuentra exenta de esta problemática. El estudio indagó la presencia de comportamientos de consumo de sustancias psicoactivas, la modalidad de presentación del fenómeno y las dificultades de los estudiantes para la consecución de sus estudios universitarios. Los resultados aportan información para el desarrollo de estrategias de prevención del consumo de sustancias psicoactivas en esta comunidad universitaria. Se siguió un diseño de tipo exploratorio descriptivo. La muestra, no aleatoria, estuvo conformada por 507 estudiantes de las diversas facultades y carreras de la UNSL. Para la recolección de datos se utilizó un 'Cuestionario autoadministrado' (Vavassori, D., 2003), anónimo y voluntario. Este instrumento indagó acerca de los datos que permitieron caracterizar sociodemográficamente a la muestra, sobre la situación académica de los sujetos, y acerca de la presentación de la conducta de consumo de una o varias sustancias psicoactivas. Los resultados dejan en evidencia que de la totalidad de la muestra (507 estudiantes) consumen algún tipo de sustancia tóxica 395 sujetos (77,9) Discriminados por el tipo de sustancia consumen alcohol el 70,2de los estudiantes, tabaco el 28,8, medicamentos el 14,6y sustancias ilegales el 9,9. Respecto a los datos en función de las variables sexo y edad de los sujetos, se observó que son los varones quienes más consumen sustancias psicoactivas legales, mientras que las mujeres consumen más sustancias ilegales en comparación con los primeros. El uso de alcohol es mayor en el grupo que tienen entre 19 y 26 años (72,9), el uso de tabaco tuvo una alta prevalencia en el grupo de 31 a 34 años; el uso de medicamentos en el grupo de sujetos que tienen más de 35 años (44,4); el mayor consumo de sustancias ilegales se observó en el grupo que tiene entre 19 y 22 años. Se observó un importante porcentaje de estudiantes que consumen alcohol durante los fines de semana El consumo de alcohol se asocia con el alivio de estados de malestar y tensión. El hecho que una gran cantidad de estudiantes consuman alcohol durante el fin de semana, se presentacomo un aspecto que podría llegar a considerarse un abuso de esta sustancia psicoactiva en la medida en que este consumo se regularice. Los resultados muestran que lasustancia psicoactiva ilegal de mayor consumo es la marihuana, en menor medida la ingesta de cocaína. El consumo de estas drogas adquiere características recreativas, en función de la frecuencia, modalidad y lugar de consumo. La mitad de los sujetos que usan sustancias ilegales no ha cursado deforma regular su carrera universitaria, tienen dificultades para rendir exámenes finales y no están satisfechos con su rendimiento académico. Se concluye que hay un grupo pequeño de estudiantes en situación de riesgo respecto al consumo y una serie de factores de riesgo que podrían incidir en el consumo de sustancias (personales, familiares y sociales), sobre los cuales debería focalizarse toda acción preventiva primaria. Es preciso reflexionar sobre el papel que debe cumplir la UNSL, como institución formadora de profesionales, en el desarrollo de políticas y acciones de prevención primaria. Los resultados de este estudio aportan la información necesaria para un diagnóstico situacional sobre el consumo de sustancias piscoactivas, punto de partida primordial para diseñar, planificar y ejecutar en conjunto acciones preventivas dirigidas a esta comunidad universitaria
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Background: Acetylation and deacetylation at specific lysine (K) residues is mediated by histone acetylases (HATs) and deacetylases (HDACs), respectively. HATs and HDACs act on both histone and non-histone proteins, regulating various processes, including cardiac impulse propagation. Aim of the present work was to establish whether the function of the Ca2+ ATPase SERCA2, one of the major players in Ca2+ reuptake during excitation-contraction coupling in cardiac myocytes (CMs), could be modulated by direct K acetylation. Materials and methods: HL-1 atrial mouse cells (donated by Prof. Claycomb), zebrafish and Streptozotocin-induced diabetic rat CMs were treated with the pan-inhibitor of class I and II HDACs suberanilohydroxamic acid (SAHA) for 1.5 hour. Evaluation of SERCA2 acetylation was analyzed by co-immunoprecipitation. SERCA2 activity was measured on microsomes by pyruvate/NADH coupled reaction assay. SERCA2 mutants were obtained after cloning wild-type and mutated sequences into the pCDNA3 vector and transfected into HEK cells. Ca2+ transients in CMs (loading with Fluo3-AM, field stimulation, 0.5 Hz) and in transfected HEK cells (loading with FLUO-4, caffeine pulse) were recorded. Results: Co-Immunoprecipitation experiments performed on HL-1 cells demonstrated a significant increase in the acetylation of SERCA2 after SAHA-treatment (2.5 µM, n=3). This was associated with an increase in SERCA2 activity in microsomes obtained from HL-1 cells, after SAHA exposure (n=5). Accordingly, SAHA-treatment significantly shortened the Ca2+ reuptake time of adult zebrafish CMs. Further, SAHA 2.5 nM restored to control values the recovery time of Ca2+ transients decay in diabetic rat CMs. HDAC inhibition also improved contraction parameters, such as fraction of shortening, and increased pump activity in microsomes isolated from diabetic CMs (n=4). Notably, the K464, identified by bioinformatic tools as the most probable acetylation site on human SERCA2a, was mutated into Glutamine (Q) or Arginine (R) mimicking acetylation and deacetylation respectively. Measurements of Ca2+ transients in HEK cells revealed that the substitution of K464 with R significantly delayed the transient recovery time, thus indicating that deacetylation has a negative impact on SERCA2 function. Conclusions: Our results indicate that SERCA2 function can be improved by pro-acetylation interventions and that this mechanism of regulation is conserved among species. Therefore, the present work provides the basis to open the search for novel pharmacological tools able to specifically improve SERCA2 activity in diseases where its expression and/or function is impaired, such as diabetic cardiomyopathy.
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O trabalho apresentado foi realizado em duas etapas independentes e baseou-se no estudo de diferentes sistemas nanométricos para viabilizar a aplicação da ftalocianina de cloro alumínio (ClAlPc) na terapia fotodinâmica (TFD) para o tratamento do câncer de pele do tipo melanoma. O fármaco fotossensibilizante (FS) utilizado apresenta propriedades físico-químicas que lhe permitem exercer sua atividade fotodinâmica com excelência, sem a interferência do cromóforo endógeno melanina existente nas células melanocíticas. Para driblar sua elevada hidrofobicidade, ClAlPc foi encapsulada em sistemas nanométricos para administração em meio fisiológico. Inicialmente nanopartículas lipídicas sólidas (NLS) foram desenvolvidas por emulsificação direta, após um estudo de elaboração do diagrama de fases. O compritol foi o lipídio sólido escolhido para compor as NLS, com diferentes concentrações de ClAlPc. Todas as formulações desenvolvidas foram devidamente caracterizadas, com tamanho médio entre 100 e 200 nm, baixa polidispersão, potencial zeta adequadamente negativo (~|30| mV), drug loading de ClAlPc entre 76-94% (com pequena redução após 24 meses) e alta eficiência de encapsulação (E.E.). A morfologia arredondada das nanopartículas foi confirmada por microscopia eletrônica de transmissão e de força atômica. A estabilidade das NLS foi de 24 meses. A avaliação da cristalinidade do lipídio revelou a integração da ClAlPc à matriz lipídica da NLS, presença de estruturas polimórficas e grau de cristalinidade adequado, sem alterações após 24 meses. Nos estudos de difusão in vitro, observou-se que ftalocianina encapsulada nas NLS acumulam-se preferencialmente na epiderme e derme do que no estrato córneo, sem traços de permeação do ativo. Foi confirmado o caráter biocompatível das NLS sobre fibroblastos NIH-3T3. A ftalocianina encapsulada nas NLS não foi tóxica na linhagem de melanoma B16-F10 na ausência de luz, porém, apresentou excelente efeito fototóxico (0,75 ?g mL-1 de ClAlPc nanoencapsulada e irradiação entre 0,5 e 2,0 J cm-2), com redução da viabilidade celular de 87%. O segundo sistema de veiculação estudado foram as vesículas cataniônicas (VesCat), que se formam espontaneamente em água com o tensoativo TriCat 12. A obtenção das vesículas contendo ClAlPc envolve uma etapa adicional, para remoção de solvente orgânico, que foi aprimorada, reduzindo o tempo de produção em 55%. As VesCat/ClAlPc obtidas mantiveram suas propriedades físico-químicas e morfologia arredondada (confirmada por microscopia eletrônica de varredura), drug loading de 47% e alta E.E. Os resultados comprovaram que a aplicação desses dois sistemas nanométricos é altamente eficiente para aplicação da TFD no tratamento do câncer de pele do tipo melanoma ou outras doenças cutâneas, apresentando características favoráveis para avanços nos estudos de fase clínica e pré-clínica.
Resumo:
A radioterapia para tratamento das neoplasias malignas em região de cabeça e pescoço é acompanhada de diversas complicações, decorrentes do comprometimento dos tecidos radiossensíveis localizados próximos ao tumor. Entre essas complicações a mucosite é a que merece maior destaque. A mucosite é uma reação tóxica inflamatória da mucosa oral causada pelo tratamento citorredutivo induzido pela radioterapia (RT) ou pela quimioterapia (QT). Ela manifesta-se com sinais de edema, eritema, úlcera e formação pseudomembrana, resultando em sintomas de ardência, que pode progredir para dor intensa e consequente prejuízo na alimentação e comunicação verbal. Infecções bacterianas, fúngicas ou virais podem acometer a mucosa bucal irradiada e exacerbar a manifestação da mucosite oral por meio da ativação de fatores de transcrição da resposta inflamatória. Existem poucos dados na literatura sobre a participação dos herpesvirus humanos na mucosite oral induzida pela radioterapia. A proposta desse trabalho foi avaliar a excreção oral dos herpesvirus humanos (HSV-1, HSV-2, EBV, CMV, VZV, HHV6, HHV7 e HHV8) e sua possível associação com o desenvolvimento e agravamento da mucosite oral, em pacientes diagnosticados com carcinoma epidermoide (CEC) de boca e orofaringe, submetidos à radioterapia associado à quimioterapia. Nesse estudo foram analisadas 158 amostras de lavado bucal, de 20 pacientes, submetidos à radioterapia para CEC em região de cabeça e pescoço, coletadas semanalmente, durante todo o tratamento. Foi realizada a extração do DNA dessas amostras e em seguida sua amplificação através da PCR utilizando dois conjuntos de primers: HSVP1/P2 para os subtipos HSV-1, HSV-2, EBV, CMV e HHV-8 e o VZVP1/P2 para os subtipos VZV, HHV-6 e HHV-7. As amostras positivas foram submetidas à digestão enzimática com enzimas de restrição BamHI e BstUI para determinação específica de cada um dos oito herpesvirus. Foi também avaliada clinicamente, a mucosite oral, em cada uma das coletas, seguindo os critérios da OMS e NCIC. As análises da amostra mostraram a excreção do EBV, HHV-6 e HHV-7, em todas as semanas de tratamento radioterápico, enquanto que a excreção do HSV1 não pode ser observada no momento da triagem. Considerando-se todos os períodos em conjunto (Triagem, semanas de radioterapia e Controle), a maior frequência foi de pacientes que excretaram EBV (55,0%), seguida daqueles que excretaram HHV-7 (20,5%). A frequência de excreção de EBV foi significativamente maior do que a dos demais vírus (Teste ?2, p<0.001 para todos os cruzamentos). A frequência de excreção de HHV-7 foi significativamente maior do que a de HSV-1 (5,9%) e HHV-6 (5,5%) (Teste ?2, p=0.001 para ambos os cruzamentos). Não houve diferenças estatísticas significantes entre as frequências de HSV-1 e HHV-6. Como conclusão, verificou-se uma correlação positiva entre a excreção oral do EBV e a presença de mucosite induzida pela associação de radioterapia e quimioterapia com graus >=2, sobretudo se considerarmos as três últimas semanas de radioterapia, período este em que a severidade da mucosite foi estatisticamente maior. Esses achados nos possibilitam inferir que o ambiente inflamatório local de mucosites com grau >=2 seja mais favorável para excreção oral do EBV.