696 resultados para Lírica arcaica grega


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La tesi di Dottorato espone i risultati dell’analisi condotta su alcune tipologie di canto profano a due parti, osservate nella tradizione orale di specifiche aree rurali: le espressioni diafoniche oggetto di indagine sono state individuate in diverse regioni, prevalentemente nell’Italia centro-meridionale e in Sicilia, con alcune propaggini nell’Italia nord-orientale e in alcune aree europee abitate da minoranze italiane (Istria slovena e croata). I documenti analizzati sono stati reperiti grazie alla ricerca sul campo e rintracciati anche nelle pubblicazioni discografiche, nei cataloghi dei più importanti archivi pubblici e privati italiani. Sono stati definiti i caratteri formali dei repertori e l’indagine realizzata ha inoltre condotto a una mappatura attestante la presenza di repertori vocali simili in diverse sub-aree della Penisola, confermando la estesa diffusione di pratiche diafoniche tradizionali in Italia. Sulla base di analogie e ricorrenze è stato rilevato che le espressioni diafoniche italiane possono essere attribuite a una remota tradizione comune: sebbene le peculiarità relative a ciascun repertorio siano in molti casi abbastanza marcate, le connotazioni strutturali e i modi performativi che distinguono tali repertori pare vogliano indicare di essere di fronte a testimonianze di una tradizione musicale arcaica, in cui è possibile individuare procedure e attitudini diafoniche simili e condivise. L’ultima parte dell’indagine espone alcune riflessioni emerse dal confronto tra le forme diafoniche analizzate e repertori polifonici conservati nella tradizione scritta, prendendo come punto di partenza gli studi di Nino Pirrotta: ne emergono considerazioni per l’individuazione e l’analisi di possibili comuni occorrenze all’interno di pratiche performative localmente convergenti, pur se subordinate a modi di trasmissione diversi (tradizione scritta e non scritta della musica).

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Il ritrovamento della Casa dei due peristili a Phoinike ha aperto la strada a un’intensa opera di revisione di tutti i dati relativi all’edilizia domestica nella regione, con studi comparativi verso nord (Illiria meridionale) e verso sud (il resto dell’Epiro, ovvero Tesprozia e Molossia). Tutta quest’area della Grecia nord-occidentale è stata caratterizzata nell’antichità da un’urbanizzazione scarsa numericamente e tardiva cronologicamente (non prima del IV sec. a.C.), a parte ovviamente le colonie corinzio-corciresi di area Adriatico- Ionica d’età arcaica (come Ambracia, Apollonia, Epidamnos). A un’urbanistica di tipo razionale e programmato (ad es. Cassope, Orraon, Gitani in Tesprozia, Antigonea in Caonia) si associano numerosi casi di abitati cresciuti soprattutto in rapporto alla natura del suolo, spesso diseguale e montagnoso (ad es. Dymokastro/Elina in Tesprozia, Çuka e Aitoit nella Kestrine), talora semplici villaggi fortificati, privi di una vera fisionomia urbana. D’altro canto il concetto classico di polis così come lo impieghiamo normalmente per la Grecia centro-meridionale non ha valore qui, in uno stato di tipo federale e dominato dall’economia del pascolo e della selva. In questo contesto l’edilizia domestica assume caratteri differenti fra IV e I sec. a.C.: da un lato le città ortogonali ripetono schemi egualitari con poche eccezioni, soprattutto alle origini (IV sec. a.C., come a Cassope e forse a Gitani), dall’altro si delinea una spiccata differenziazione a partire dal III sec., quando si adottano modelli architettonici differenti, come i peristili, indizio di una più forte differenziazione sociale (esemplari i casi di Antigonea e anche di Byllis in Illiria meridionale). I centri minori e fortificati d’altura impiegano formule abitative più semplici, che sfruttano l’articolazione del terreno roccioso per realizzare abitazioni a quote differenti, utilizzando la roccia naturale anche come pareti o pavimenti dei vani.

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Questa tesi è dedicata alla traduzione dallo slovacco all’italiano di quattro fiabe popolari slovacche di Dobšinský in una versione per bambini adattatata da Elena Slobodová e pubblicata nel 2012 con il titolo Slovenské rozprávky [Fiabe slovacche]. L’adattamento si basa sull’opera Prostonárodné slovenské povesti [Leggende popolari slovacche] pubblicata da Dobšinský tra il 1880 e il 1883. Le fiabe di Dobšinský sono considerate la monumentalizzazione della fiaba popolare slovacca nella sua forma classica e costituiscono una componente importante del patrimonio culturale slovacco. Quindi, benché l’autrice abbia rimosso quegli elementi non adeguati per bambini, nelle fiabe adattate sono presenti molte tracce della lingua arcaica e molti realia relativi alla cultura slovacca. La tesi comprende un’introduzione, cinque capitoli e le conclusioni. Il primo capitolo è dedicato alla traduzione della letteratura per l’infanzia, in particolare delle fiabe. Il secondo capitolo riguarda la vita di Dobšinský e la genesi delle Prostonárodné slovenské povesti nel contesto storico-culturale del Romanticismo slovacco. Inoltre, in questo capitolo vengono analizzate le modalità in cui le fiabe popolari sono entrate a far parte della letteratura per l’infanzia e sono state adattate per la radio e la televisione. Il terzo capitolo consiste nell’analisi del testo di partenza non solo dal punto di vista della struttura delle fiabe, ma anche in relazione alle differenze tematiche e linguistiche che sussistono tra il testo originale di Dobšinský e la versione adattata. Del terzo capitolo fa parte anche un glossario con i termini arcaici, letterari, enfatici, dialettali e colloquiali, le espressioni idiomatiche e i realia. Il quarto capitolo contiene la proposta di traduzione in italiano delle fiabe Zlatovláska, O dvanástich mesiačikoch, Popolvár najväčší na svete a Nebojsa. Nel quinto capitolo vengono commentate le strategie e le difficoltà traduttive.

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Background. Subjective memory complaints are common after coronary artery bypass grafting (CABG), but previous studies have concluded that such symptoms are more closely associated with depressed mood than objective cognitive dysfunction. We compared the incidence of self-reported memory symptoms at 3 and 12 months after CABG with that of a control group of patients with comparable risk factors for coronary artery disease but without surgery. Methods. Patients undergoing CABG (n = 140) and a demographically similar nonsurgical control group with coronary artery disease (n = 92) were followed prospectively at 3 and 12 months. At each follow-up time, participants were asked about changes since the previous evaluation in areas of memory, calculations, reading, and personality. A Functional Status Questionnaire (FSQ) and self-report measure of symptoms of depression (CES-D) were also completed. Results. The frequency of self-reported changes in memory, personality, and reading at 3 months was significantly higher among CABG patients than among nonsurgical controls. By contrast, there were no differences in the frequency of self-reported symptoms relating to calculations or overall rating of functional status. After adjusting for a measure of depression (CES-D rating score), the risk for self-reported memory changes remained nearly 5 times higher among the CABG patients than control subjects. The relative risk of developing new self-reported memory symptoms between 3 and 12 months was 2.5 times higher among CABG patients than among nonsurgical controls (CI 1.24 – 5.02), and the overall prevalence of memory symptoms at 12 months was also higher among CABG patients (39%) than controls (14%). Conclusions. The frequency of self-reported memory symptoms 3 and 12 months after baseline is significantly higher among CABG patients than control patients with comparable risk factors for coronary and cerebrovascular disease. These differences could not be accounted for by symptoms of depression. The self-reported cognitive symptoms appear to be relatively specific for memory, and may reflect aspects of memory functioning that are not captured by traditional measures of new verbal learning and memory. The etiology of these self-reported memory symptoms remains unclear, but our findings as well as those of others, may implicate factors other than cardiopulmonary bypass itself.

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Ante las frecuentes afirmaciones que, atendiendo a las características del discurso, presentan al teatro de García Lorca como "poético", considero oportuno destacar la preeminencia de lo lírico sobre lo escénico en Yerma, obra a la que el mismo autor subtitula como "poema trágico en tres actos y seis cuadros". Teniendo en cuenta la prolija subtitulación del autor me propongo reflexionar, a partir del análisis de la pieza y con ayuda de algunos conceptos teóricos tomados tanto de Aristóteles como de la Semiótica, la razón por la cual Yerma necesita una recepción que advierta su naturaleza lírica esencial antes de reparar en su funcionalidad escénica.

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La obra crítica y la poesía de Edelweis Serra poseen un particular sentido en el contexto cultural argentino en el que se desarrollan. En una época de manifiesta secularización, su tentativa se orienta hacia el rescate de la dimensión sagrada de la realidad. El estudio ofrece un examen panorámico sobre la labor de Edelweis Serra. Dicho examen atiende especialmente a los principales temas y los rasgos estilísticos dominantes en su lírica. En lo que se refiere a este último punto, el interés se centra en los aspectos que resaltan la singularidad de su poesía: el arraigo de símbolos y figuras retóricas propias del lenguaje bíblico. Tales características guardan relación con su concepción de la poesía como don divino. Se propone, de este modo, la difusión de una labor importante, tanto crítica como de creación literaria, y el señalamiento de las claves interpretativas que favorecen su lectura.

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Fil: Castellino, Marta Elena. Universidad Nacional de Cuyo. Facultad de Filosofía y Letras

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La poesía de Armando Tejada Gómez (1929-1992) se destaca con perfiles nítidos en el desarrollo de las letras mendocínas correspondiente a la segunda mitad del siglo XX y constituye una faceta más de un interesante movimiento cultural no exclusivamente literario, que se conoce como la Generación del '50. En el presente artículos se analizan las fuerzas que juegan en el campo intelectual de mediados del siglo XX: el viraje a lo popular con la incorporación del coloquialismo y la asunción de los ritmos de la canción popular, la temática ciudadana, la preocupación social y el sentido americanista. Esta nueva estética, que ha recibido las denominaciones de realismo romántico (Freidemberg), de poesía existencial (César Fernández Moreno), de neohumanismo (José Isaacson), presenta además como rasgo saliente una gran libertad interior y exterior. Todas estas características se ponen de manifiesto en la poesía de Tejada Gómez. A ello hay que sumar también la libertad en el manejo de las convenciones literarias, la borradura de límites entre los géneros, por ejemplo, lírico y dramático, o la incorporación de las denominadas "formas populares" al registro de la lírica mal llamada "culta". En cuanto a la libertad métrica de la que también hace gala, viene a ser apenas una consecuencia técnica de aquella libertad de fondo ya aludida, que asume como objeto poético aun la trivialidad de lo cotidiano.

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Este trabajo se dedica en especial al estudio del primer volumen de la Autobiografía de Victoria Ocampo, denominada El Archipiélago. Si bien partimos de la convicción de que la escritura refleja la época y el medio en el que surge, este análisis no pretende validar de modo exclusivo este enfoque, sino insertarse antropológicamente en las actitudes vitales que conducen, partiendo del discurso creativo-confesional, al testimonio sobre la realidad argentina. Entre las escritoras de comienzo de siglo -Delfina Bunge, María Rosa Oliver, Norah Lange- Victoria Ocampo se destaca por una búsqueda lúcida y autónoma en donde la reflexión prepondera y encuentra en el discurso autorreferido el modo más acertado de ser testigo-protagonista y crítico a la vez. Sus alegatos -condicionados por circunstancias personales- aciertan a constituir en su conjunto, un archipiélago fundante de intenso y fecundo diálogo con políticos, escritores, músicos de diferente origen. En este marco apreciativo se destacará la importancia de sus "recuerdos de infancia" y de sus "testimonios" sobre nuestra sociedad, en el medio siglo que nos antecede. Este primer volumen, de los seis que componen su Autobiografía, se suma al ya creciente corpus de la literatura autorreferida en la Argentina y favorece los estudios específicos sobre los "recuerdos de infancia" como un género discursivo que participa tanto de la autobiografía propiamente dicha como de la novela lírica.

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El autor presenta esquemáticamente y con justa profundidad para el lector no especializado, un completo panorama de todo lo referente a la práctica del arte adivinatorio y oracular. El lector emprenderá un agradable viaje a través de los paisajes religiosos, literarios, filosóficos y culturales de la Grecia arcaica y clásica.

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Este artículo estudia la visión de la poeta española Rosalía de Castro (1837-1885) de su Galicia natal a partir de algunos de sus poemas, en especial del libro En las orillas del Sar (1884), la colección lírica considerada como la más importante de la autora. Desde el análisis de algunas piezas significativas sobre el tema de Galicia, se cubre inicialmente su visión personal de contestación a favor de su tierra natal. La segunda parte del estudio se centra en la temática social en Rosalía de Castro en relación con la defensa del emigrante gallego.

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La figura del hijo pródigo conforma, junto con otras de origen mitológico, la galería de símbolos axiales de la poesía neorromántica argentina del '40. Constituye un recurso retórico e imaginario de primer orden en el proceso de mitificación del sujeto, reconocible en la lírica de los poetas neorrománticos. La imagen bíblica se desarrolla en las transposiciones poéticas de un modo sistemático: reaparece en un número significativo de casos, en escritores vinculados a través de cenáculos literarios y revistas, en un lapso relativamente acotado de tiempo. Por otra parte, la condición sistemática del símbolo se verifica cuando su uso frecuente encuentra una motivación en la poética y en la visión del mundo de un autor. Tal es el caso de Enrique Molina, para quien el destino errante se asume como rasgo antropológico esencial. En su universo imaginario, el hijo pródigo tiene un valor axial, ya que reaparece con cierta frecuencia a partir de Pasiones terrestres (1946) como un medio para representar, a través de alusiones expresas y transposiciones, la ruptura del yo con el orden familiar y social heredados. En el presente estudio se propone considerar los poemas en los cuales Molina recrea la figura. La observación se concentra en el giro hermenéutico operado por el poeta en la materia bíblica original, los eventuales cauces de mediación que hacen posible este giro y su sentido en la obra literaria de Molina.

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En este trabajo se analizan por primera vez dos libros del médico y escritor zaragozano Jesús Fernando Escanero: “El desván de las nubes" y “Belén inacabado". Relatos autobiográficos de ficción, ambos recuperan en imágenes el mundo ya ido en una prosa lírica de inusitada belleza.

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Joseph Blanco White fue uno de los primeros en traducir a Shakespeare al castellano y fue el primero en defender el valor de traducirlo. En España, la obra de Shakespeare era juzgada defectuosa por no cumplir con los requisitos neoclásicos de unidad y decoro; era vista, además, como emblema del poderío británico. Blanco White, por el contrario, defiende a Shakespeare como poeta-genio universal. Propone que todas sus obras, incluidas las dramáticas, deben ser traducidas y leídas como poesía lírica, lo cual para él implica que, a diferencia de una representación teatral, éstas poseen un alto grado de abstracción que las libera de toda atadura contextual. El presente artículo analiza estas ideas a la luz de las ataduras biográficas y culturales, no de Shakespeare, sino del mismo Blanco White. Su partida a Inglaterra en 1810 y el contexto multilingüe en el que trabajó lo han situado en los márgenes de la historia literaria española. Sin embargo, este artículo propone rescatar, desde un punto de vista comparatista, sus traducciones y algunos de sus aportes críticos, entre ellos, su visión de Shakespeare más allá de las rivalidades entre España e Inglaterra y su incorporación de un público hispanoamericano como interlocutor.

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El artículo se compone de una introducción que examina el pasaje evangélico de Mc 12, 13-17 en relación con el pago de los impuestos, como la fuente sustancial de la arcaica problemática religioso-política cristiana. El tema de religión y política de intrínseca complejidad incluye el estudio de un documento gnóstico directo, el Tratado Tripartito (NHC I, 5), porque él encierra el vocabulario filosófico político usado por los primeros cristianos. El estudio del testimonio investigado es, además, de utilidad, porque permite analizar con superior tecnicismo la concepción político-religiosa de Pablo de Tarso y sus posibles aplicaciones a la cultura política cristiana en formación. Teniendo en cuenta este contexto es posible ir más a fondo en la captación del sentido del kath’ ékhon que aparece en la epístola deutero-paulina a los tesalonicenses (2 Tes. 2, 1-12) y la relación de este conjunto de conceptos político-religiosos con las ideas paralelas, aunque ambivalentes, acuñadas por los autores de las generaciones inmediatas, es decir, los Padres Apostólicos. Las conclusiones abordan las consecuencias que se pueden extraer de estos planteamientos antiguos que se han mantenido en el Medioevo, y su posible efectividad para el mejoramiento de la concepción cristiana actual de la política.