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Il lavoro di ricerca esplora il panorama dell’efficienza energetica dei sistemi acquedottistici, soffermandosi a considerare possibili indicatori che possano valutarla in maniera corretta e completa, in particolare nei confronti della presenza di perdite in rete. Si prendono in considerazione con maggiore attenzione, tra tutte le strategie per aumentare l’efficienza energetica, quelle che contemporaneamente producono anche risparmi idrici, come la riduzione della pressione e la ricerca attiva delle perdite . Dopo un inquadramento internazionale, sono stati analizzati mediante mappe tematiche di intensità energetica, i consumi energetici specifici sui sistemi acquedottistici della regione Emilia Romagna per gli anni 2006 e 2007, si è passati ad una analisi critica degli indicatori attualmente in uso. Inoltre per casi di studio sintetici e tutti i casi di studio proposti, si sono valutate curve di relazione tra percentuale di perdita idrica e aumento del consumo energetico, in grado di dare indicazioni su come ciascun sistema reagisce, in termini di aumento dell’energia consumata, all’aumentare del livello di perdita. Questa relazione appare fortemente influenzata da fattori come la modalità di pompaggio, la posizione delle rotture sulla rete e la scabrezza delle condotte. E’ emersa la necessità solo poter analizzare separatamentel’influenza sull’efficienza energeticadei sistemi di pompaggio e della rete, mostrando il ruolo importante con cui questa contribuisce all’efficienza globale del sistema. Viene proposto uno sviluppo ulteriore dell’indicatore GEE Global Energy Efficiency (Abadia, 2008), che consente di distinguere l’impatto sull’efficienza energetica dovuto alle perdite idriche e alla struttura intrinseca della rete, in termini di collocazione reciproca tra risorsa idrica e domanda e schema impiantistico.Questa metodologia di analisi dell’efficienza energetica è stata applicata ai casi di studio, sia sintetici che reali, il distretto di Marzaglia (MO) e quello di Mirabello (FE), entrambi alimentati da pompe a giri variabili.. La ricerca ha consentito di mostrare inoltre il ruolo della modellazione numerica in particolare nell’analisi dell’effetto prodotto sull’efficienza energetica dalla presenza di perdite idriche. Nell’ultimo capitolo si completa la panoramica dei benefici ottenibili attraverso la riduzione della pressione, che nei casi citati viene conseguita tramite pompe asservite ad inverter, con il caso di studio del distretto Bolognina all’interno del sistema di distribuzione di Bologna, che vede l’utilizzo di valvole riduttrici di pressione. Oltre a stimare il risparmio energetico derivante dalla riduzione delle perdite ottenuta tramite le PRV, sono stati valutati su modello i benefici energetici conseguenti all’introduzione nel distretto di turbine per la produzione di energia

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L’obiettivo della tesi è la caratterizzazione termica e la definizione del potenziale geotermico dell’acquifero freatico costiero e quello semiconfinato della provincia di Ravenna. L'area di studio si estende dalla foce del fiume Reno sino alla foce del Fiume Savio, per una lunghezza complessiva pari a 30 km circa ed una larghezza di 10 km nel punto di massima distanza dal mare. Il lavoro svolto per il raggiungimento dello scopo suddetto si compone di diverse fasi. Innanzitutto è stato necessario misurare le temperature dell’acquifero. Per tale motivo sono state effettuate due campagne di monitoraggio (giugno e dicembre 2010) durante le quali, mediante apposite sonde, sono stati reperiti i dati di temperatura della falda freatica. Queste operazioni sono state possibili grazie a una rete di 56 piezometri omogeneamente distribuita sull’area di studio. In un secondo momento, si è organizzato un database in cui raccogliere tutti i valori registrati. Tale documento è stato il punto di partenza per la fase successiva, l’elaborazione dei dati. Mediante i software Excel ed EnviroInsite sono stati realizzati profili di temperatura, mappe e sezioni di temperatura dell’acquifero, le quali mostrano efficacemente le condizioni termiche dell’acquifero. Diverse le anomalie termiche riscontrate. Queste risultano giustificabili solo parzialmente dai consueti fattori proposti in letteratura quali: il clima, i corsi fluviali, la litologia, la copertura vegetale. Si è evidenziata, infatti, una particolare interazione tra il drenaggio superficiale (gestito dalle idrovore) e gli scambi di calore tra i diversi orizzonti dell’acquifero. Considerata la condizione di bassa entalpia in cui si trova l’acquifero ravennate, la valutazione del potenziale geotermico non è stata eseguita mediante il metodo proposto da Muffler & Cataldi (1977); si è determinato, invece, il rendimento potenziale di una pompa di calore geotermica. La pompa di calore risulta essere, infatti, l’unica tecnologia (attualmente in commercio) in grado di sfruttate il calore presente nell’acquifero. Possiamo concludere che nonostante i rendimenti calcolati risultino lievemente al di sotto delle soglie di rendimento consigliate in bibliografia, l’installazione della suddetta tecnologia può risultare economicamente vantaggiosa.

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Il presente lavoro di tesi nasce dalla collaborazione tra l’Università di Bologna, Polo Scientifico Didattico di Ravenna, e l’Agenzia Regionale Prevenzione ed Ambiente dell’Emilia Romagna (ARPA EMR), sezione di Ravenna, inserendosi nell’ambito del progetto di Dottorato “Sviluppo di tecniche per la progettazione delle reti di monitoraggio della qualità dell’aria”. Lo scopo principale dello studio è quello di definire una metodologia di tipo Top-Down per disaggregare spazialmente sulla Provincia di Ravenna le emissioni in atmosfera stimate dall’inventario provinciale di ARPA EMR. La metodologia CORINAIR (COordination INformation AIR), sviluppata dalla Agenzia Europea per l’Ambiente, prefigura due possibili procedure di stima delle emissioni in atmosfera: Top-Down (parte dalla scala spaziale più ampia e discende a livelli inferiori) e Bottom-Up (parte invece dall’analisi della realtà produttiva locale per passare a quella relativa a livelli di aggregazione maggiori). La metodologia proposta, di tipo Top-Down, si avvale volutamente di variabili proxy facilmente reperibili a livello comunale, in modo che possa essere applicata anche ad altre realtà locali, meno ricche di dati statistici e ambientali di quanto non lo sia la regione Emilia Romagna in generale e la provincia di Ravenna in particolare. La finalità ultima dello studio è quella di fornire una metodologia per ottenere, attraverso dati resi disponibili da ogni amministrazione comunale, un quadro conoscitivo della situazione emissiva in atmosfera a livello locale a supporto della gestione della qualità dell’aria e dei relativi fattori di pressione. Da un punto di vista operativo, il lavoro di tesi è stato suddiviso in: una fase progettuale, con l’obiettivo di individuare i Macrosettori CORINAIR e gli inquinanti principali da tenere in considerazione nello studio, ed identificare le variabili proxy più opportune per la disaggregazione delle emissioni; una fase di raccolta dei dati ed infine, l’elaborazione dei dati con l’ausilio del software GIS ArcMap 9.3. La metodologia Top-Down è stata applicata in due fasi: con la prima si è effettuata la disaggregazione dal livello provinciale a quello comunale; con la seconda, le emissioni attribuite al comune di Ravenna sono state distribuite spazialmente su una griglia le cui celle hanno dimensione 100m x 100m in modo da ottenere una disaggregazione ad alta risoluzione. I risultati ottenuti dalla disaggregazione effettuata sono stati confrontati, là dove possibile, con dati ottenuti da un approccio Bottom-Up, allo scopo di validare la metodologia proposta. I confronti fra le stime effettuate con l’approccio Top-Down e quelle derivanti dall’approccio Bottom-Up hanno evidenziato risultati diversi per i differenti Macrosettori investigati. Per il macrosettore industriale, si sono evidenziate una serie di limitazioni dimostrando che l’utilizzo della proxy ‘superficie industriale’, così come applicata, non è adeguata né a livello qualitativo né quantitativo. Limitazioni significative, si osservano anche per il macrosettore ‘traffico veicolare’ per il quale è possibile effettuare una stima accurata delle emissioni totali ma poi la disaggregazione spaziale ad alta risoluzione appare insoddisfacente. Ottime risultano invece le performance della metodologia proposta per il macrosettore combustione non industriale, per il quale si osserva un buon accordo sia per i valori emissivi globali, sia per la loro distribuzione spaziale ad alta risoluzione. Relativamente agli altri settori e macrosettori analizzati (‘Altre sorgenti mobili’ e ‘Agricoltura’), non è stato possibile effettuare confronti con dati provenienti dall’approccio Bottom- Up. Nonostante ciò, dopo un’attenta ricerca bibliografica, si può affermare, che le proxy utilizzate sono fra quelle più impiegate in letteratura, ed il loro impiego ha permesso l’ottenimento di una distribuzione spaziale verosimile ed in linea con l’inventario provinciale ARPA EMR. In ultimo, le mappe di pressione ottenute con l’ausilio di ArcMap sono state analizzate qualitativamente per identificare, nel territorio del Comune di Ravenna, le zone dove insiste una maggiore pressione emissiva sul comparto atmosferico. E’ possibile concludere che il livello di dettaglio ottenuto appare sufficiente a rappresentare le zone più critiche del territorio anche se un ulteriore lavoro dovrà essere previsto per sviluppare meglio i macrosettori che hanno mostrato le maggiori criticità. Inoltre, si è riusciti a tracciare una metodologia sufficientemente flessibile per poterla applicare anche ad altre realtà locali, tenendo comunque sempre presente che, la scelta delle proxy, deve essere effettuata in funzione delle caratteristiche intrinseche del territorio.

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Il lavoro valuta le prestazioni di 14 stati membri dell'Unione Europea, la quale attraverso la strategia Europa 2020 propone il raggiungimento di 8 target fondamentali per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva entro il 2020. I target riguardano l'occupazione, il tasso d'istruzione superiore, la percentuale di energia rinnovabile, il consumo energetico, le emissioni di gas serra, la spesa in ricerca e sviluppo, la povertà , il prematuro abbandono scolastico. A tali target corrispondono indicatori che sono annualmente censiti attraverso le autorità statistiche nazionali ed Eurostat. La misura della performance degli Stati è stata effettuata mediante il calcolo della distanza dal target di ciascun paese negli anni compresi tra il 2000 e il 2009. In particolare si è effettuato, adattandolo alle esigenze del lavoro, il calcolo della distanza euclidea e della distanza di Mahalanobis. Con le limitazioni dovute alla qualità dei dati disponibili e ad una difficoltà oggettiva di stabilire una linea di base, il lavoro ha permesso di dare un giudizio alla qualità dello sforzo compiuto da ciascun paese per raggiungere i target, fornendo un quadro analitico e articolato dei rapporti che intercorrono tra i diversi indicatori. In particolare è stato realizzato un modello relazionale basato su quattro indicatori che sono risultati essere correlati e legati da relazioni di tipo causale. I risultati possono essere sintetizzati come segue. La strategia Europa 2020 sembra partire da buone basi in quanto si è potuto osservare che in generale tutti gli stati membri osservati, Europa a 15, mostrano avere un miglioramento verso i loro rispettivi target dal 2005. Durante gli anni osservati si è notato che il range temporale 2005 e 2008 sembra essere stato il periodo dove gli stati hanno rallentato maggiormente la loro crescita di performance, con poi un buon miglioramento nell'anno finale. Questo miglioramento è stato indagato ed è risultato essere coincidente con l'anno di inizio della crisi economica. Inoltre si sono osservate buone relazioni tra il GDP e gli indicatori che hanno contribuito alla diminuzione delle performance, ma il range di riferimento non molto ampio, non ha permesso di definire la reale correlazione tra il GDP e il consumo energetico ed il GDP e l'investimento in ricerca e sviluppo.

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La catena respiratoria mitocondriale è principalmente costituita da proteine integrali della membrana interna, che hanno la capacità di accoppiare il flusso elettronico, dovuto alle reazioni redox che esse catalizzano, al trasporto di protoni dalla matrice del mitocondrio verso lo spazio intermembrana. Qui i protoni accumulati creano un gradiente elettrochimico utile per la sintesi di ATP ad opera dell’ATP sintasi. Nonostante i notevoli sviluppi della ricerca sulla struttura e sul meccanismo d’azione dei singoli enzimi della catena, la sua organizzazione sovramolecolare, e le implicazioni funzionali che ne derivano, rimangono ancora da chiarire in maniera completa. Da questa problematica trae scopo la presente tesi volta allo studio dell’organizzazione strutturale sovramolecolare della catena respiratoria mediante indagini sia cinetiche che strutturali. Il modello di catena respiratoria più accreditato fino a qualche anno fa si basava sulla teoria delle collisioni casuali (random collision model) che considera i complessi come unità disperse nel doppio strato lipidico, ma collegate funzionalmente tra loro da componenti a basso peso molecolare (Coenzima Q10 e citocromo c). Recenti studi favoriscono invece una organizzazione almeno in parte in stato solido, in cui gli enzimi respiratori si presentano sotto forma di supercomplessi (respirosoma) con indirizzamento diretto (channeling) degli elettroni tra tutti i costituenti, senza distinzione tra fissi e mobili. L’importanza della comprensione delle relazioni che si instaurano tra i complessi , deriva dal fatto che la catena respiratoria gioca un ruolo fondamentale nell’invecchiamento, e nello sviluppo di alcune malattie cronico degenerative attraverso la genesi di specie reattive dell’ossigeno (ROS). E’ noto, infatti, che i ROS aggrediscono, anche i complessi respiratori e che questi, danneggiati, producono più ROS per cui si instaura un circolo vizioso difficile da interrompere. La nostra ipotesi è che, oltre al danno a carico dei singoli complessi, esista una correlazione tra le modificazioni della struttura del supercomplesso, stress ossidativo e deficit energetico. Infatti, la dissociazione del supercomplesso può influenzare la stabilità del Complesso I ed avere ripercussioni sul trasferimento elettronico e protonico; per cui non si può escludere che ciò porti ad un’ulteriore produzione di specie reattive dell’ossigeno. I dati sperimentali prodotti a sostegno del modello del respirosoma si riferiscono principalmente a studi strutturali di elettroforesi su gel di poliacrilammide in condizioni non denaturanti (BN-PAGE) che, però, non danno alcuna informazione sulla funzionalità dei supercomplessi. Pertanto nel nostro laboratorio, abbiamo sviluppato una indagine di tipo cinetico, basata sull’analisi del controllo di flusso metabolico,in grado di distinguere, funzionalmente, tra supercomplessi e complessi respiratori separati. Ciò è possibile in quanto, secondo la teoria del controllo di flusso, in un percorso metabolico lineare composto da una serie di enzimi distinti e connessi da intermedi mobili, ciascun enzima esercita un controllo (percentuale) differente sull’intero flusso metabolico; tale controllo è definito dal coefficiente di controllo di flusso, e la somma di tutti i coefficienti è uguale a 1. In un supercomplesso, invece, gli enzimi sono organizzati come subunità di una entità singola. In questo modo, ognuno di essi controlla in maniera esclusiva l’intero flusso metabolico e mostra un coefficiente di controllo di flusso pari a 1 per cui la somma dei coefficienti di tutti gli elementi del supercomplesso sarà maggiore di 1. In questa tesi sono riportati i risultati dell’analisi cinetica condotta su mitocondri di fegato di ratto (RLM) sia disaccoppiati, che accoppiati in condizioni fosforilanti (stato 3) e non fosforilanti (stato 4). L’analisi ha evidenziato l’associazione preferenziale del Complesso I e Complesso III sia in mitocondri disaccoppiati che accoppiati in stato 3 di respirazione. Quest’ultimo risultato permette per la prima volta di affermare che il supercomplesso I+III è presente anche in mitocondri integri capaci della fosforilazione ossidativa e che il trasferimento elettronico tra i due complessi possa effettivamente realizzarsi anche in condizioni fisiologiche, attraverso un fenomeno di channeling del Coenzima Q10. Sugli stessi campioni è stata eseguita anche un analisi strutturale mediante gel-elettroforesi (2D BN/SDS-PAGE) ed immunoblotting che, oltre a supportare i dati cinetici sullo stato di aggregazione dei complessi respiratori, ci ha permesso di evidenziare il ruolo del citocromo c nel supercomplesso, in particolare per il Complesso IV e di avviare uno studio comparativo esteso ai mitocondri di cuore bovino (BHM), di tubero di patata (POM) e di S. cerevisiae.

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Organic electronics has grown enormously during the last decades driven by the encouraging results and the potentiality of these materials for allowing innovative applications, such as flexible-large-area displays, low-cost printable circuits, plastic solar cells and lab-on-a-chip devices. Moreover, their possible field of applications reaches from medicine, biotechnology, process control and environmental monitoring to defense and security requirements. However, a large number of questions regarding the mechanism of device operation remain unanswered. Along the most significant is the charge carrier transport in organic semiconductors, which is not yet well understood. Other example is the correlation between the morphology and the electrical response. Even if it is recognized that growth mode plays a crucial role into the performance of devices, it has not been exhaustively investigated. The main goal of this thesis was the finding of a correlation between growth modes, electrical properties and morphology in organic thin-film transistors (OTFTs). In order to study the thickness dependence of electrical performance in organic ultra-thin-film transistors, we have designed and developed a home-built experimental setup for performing real-time electrical monitoring and post-growth in situ electrical characterization techniques. We have grown pentacene TFTs under high vacuum conditions, varying systematically the deposition rate at a fixed room temperature. The drain source current IDS and the gate source current IGS were monitored in real-time; while a complete post-growth in situ electrical characterization was carried out. At the end, an ex situ morphological investigation was performed by using the atomic force microscope (AFM). In this work, we present the correlation for pentacene TFTs between growth conditions, Debye length and morphology (through the correlation length parameter). We have demonstrated that there is a layered charge carriers distribution, which is strongly dependent of the growth mode (i.e. rate deposition for a fixed temperature), leading to a variation of the conduction channel from 2 to 7 monolayers (MLs). We conciliate earlier reported results that were apparently contradictory. Our results made evident the necessity of reconsidering the concept of Debye length in a layered low-dimensional device. Additionally, we introduce by the first time a breakthrough technique. This technique makes evident the percolation of the first MLs on pentacene TFTs by monitoring the IGS in real-time, correlating morphological phenomena with the device electrical response. The present thesis is organized in the following five chapters. Chapter 1 makes an introduction to the organic electronics, illustrating the operation principle of TFTs. Chapter 2 presents the organic growth from theoretical and experimental points of view. The second part of this chapter presents the electrical characterization of OTFTs and the typical performance of pentacene devices is shown. In addition, we introduce a correcting technique for the reconstruction of measurements hampered by leakage current. In chapter 3, we describe in details the design and operation of our innovative home-built experimental setup for performing real-time and in situ electrical measurements. Some preliminary results and the breakthrough technique for correlating morphological and electrical changes are presented. Chapter 4 meets the most important results obtained in real-time and in situ conditions, which correlate growth conditions, electrical properties and morphology of pentacene TFTs. In chapter 5 we describe applicative experiments where the electrical performance of pentacene TFTs has been investigated in ambient conditions, in contact to water or aqueous solutions and, finally, in the detection of DNA concentration as label-free sensor, within the biosensing framework.

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I poriferi rappresentano un importante campo di ricerca anche in ambito applicativo in quanto potenzialmente utili come fonte di metaboliti secondari da impiegarsi in ambito clinico (antitumorali, antibiotici, antivirali, ecc.) e industriale (antifouling). I processi di biosilicificazione interessano invece per aspetti legati alle biotecnologie marine. Questo Phylum ha un importante ruolo strutturale e funzionale nell’ecologia dei popolamenti bentonici, in quanto può essere dominante in numerosi habitat e svolgere un ruolo ecologico fondamentale nelle dinamiche degli ecosistemi marini. Per questo, la variazione spaziale e temporale della loro abbondanza può avere effetti considerevoli su altri membri della comunità. Lo studio delle dinamiche di popolazione e del ciclo riproduttivo dei poriferi potrebbe permettere di valutare come i cambiamenti climatici ne influenzino la crescita e la riproduzione e potrebbe quindi fornire una base per lo sviluppo di corrette tecniche di gestione ambientale. La spugna Axinella polypoides è inserita all’interno delle liste di protezione della Convenzione di Berna e di Barcellona, dove sono elencate le specie da proteggere perché minacciate o in pericolo di estinzione. Questa specie, avendo una morfologia eretta, è fortemente minacciata soprattutto da attività antropiche quali pesca e ancoraggi, ma nonostante questo la letteratura relativa ad essa è scarsa, La sua importanza è legata soprattutto al recente utilizzo come modello per numerosi esperimenti. A. polypoides rappresenta, infatti, il più basso livello nella scala evolutiva in cui sono stati rinvenuti meccanismi biochimici cellulari di reazione all’aumento di temperatura (incremento dell’attività ADP-ribosil ciclasica, sintesi di ossido nitrico) tipici degli organismi superiori. Lo scopo di questa tesi è di aumentare le conoscenze sull’ecologia e sulla biologia di questo porifero, al fine di consentire una migliore predisposizione di eventuali piani di tutela. Dallo studio delle colonie effettuato presso l’Isola Gallinara (SV), emerge una dinamica di crescita lenta ed un ciclo riproduttivo estivo, coerentemente con quanto osservato per altre specie mediterranee del genere Axinella. Le analisi istologiche effettuate hanno mostrato variabilità temporale nella densità e nella dimensione di particolari cellule sferulose, che si ipotizza siano collegate a fenomeni di proliferazione cellulare e rigenerazione in seguito a danni. È stata individuata inoltre la presenza di una particolare tipologia cellulare dendritica la cui funzione si ritiene abbia affinità con le funzioni sensoriali di Phyla superiori. Queste osservazioni, e l’evidente vulnerabilità della specie agli impatti antropici, hanno evidenziato la necessità di sviluppare adeguati piani di monitoraggio e di conservazione.

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È ormai noto che numerosi organismi marini, dalle alghe unicellulari ai pesci coabitino con diverse specie di spugne, con un rapporto che varia, secondo i casi, dal semplice inquilinismo facoltativo alle più complesse simbiosi obbligate. All’interno di molte spugne si trovano degli endobionti, alcuni organismi rappresentano degli ospiti puramente occasionali, altri manifestano una notevole costanza e l’esistenza in associazione alla spugna sembra rappresenti la norma. In Adriatico settentrionale, nell’area compresa tra Grado ed il delta del fiume Po, sono presenti degli affioramenti rocciosi organogeni carbonatici che prendono il nome di tegnùe. In questi affioramenti è stata riscontrata una grande varietà di specie macrobentoniche sia sessili che vagili. Tra queste specie, è presente con elevate abbondanze e grandi dimensioni, fuori dal comune, la spugna massiva Geodia cydonium, oggetto del nostro studio. Lo scopo del presente lavoro è di caratterizzare la diversità della fauna associata alla demospongia Geodia cydonium, cercando di mettere in evidenza l’importante ruolo ecologico legato proprio all’elevato numero di inquilini che ospita. Sono stati prelevati campioni di spugna, con la relativa fauna associata, da tre siti presenti all’interno della Zona di Tutela Biologica di Chioggia. Date le grandi dimensioni degli esemplari e per non danneggiare la popolazione naturale di questa rara specie protetta, sono stati prelevati in immersione delle porzioni di spugna, incidendo verticalmente gli esemplari. Nei campioni sono stati riscontrati 28 taxa, tra cui prevalgono per abbondanza i policheti come Ceratonereis costae e Sphaerosyllis bulbosa e piccoli crostacei come Apseudopsis acutifrons e Leptochelia savignyi. Per molte specie prevalgono individui giovanili rispetto agli adulti. L’abbondanza e la ricchezza dei popolamenti associati alla spugna non risultano variare ne tra i siti di campionamento ne in relazione alle dimensioni degli esemplari da cui provengono i campioni. Questo fa supporre che la spugna crei un ambiente ideale per alcune specie, almeno nelle fasi giovanili, creando così associazioni relativamente stabili, più di quanto non sia la naturale variabilità dei popolamenti circostanti. Queste relazioni meritano di essere approfondite, investigando i cicli vitali e i comportamenti delle singole specie.

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Nella definizione di incidente rilevante presente nelle Direttive Seveso, come pure nel loro recepimento nella legislazione italiana, rientrano eventi incidentali che abbiano conseguenze gravi per il bersaglio “ambiente”, sia in concomitanza sia in assenza di effetti dannosi per l’uomo. Tuttavia, a fronte di questa attenzione al bersaglio “ambiente” citata dalle norme, si constata la mancanza di indici quantitativi per la stima del rischio di contaminazione per i diversi comparti ambientali e, conseguentemente, anche di metodologie per il loro calcolo. Misure di rischio quantitative consolidate e modelli condivisi per la loro stima riguardano esclusivamente l’uomo, con la conseguenza che la valutazione di rischio per il bersaglio “ambiente” rimane ad un livello qualitativo o, al più, semi-quantitativo. Questa lacuna metodologica non consente di dare una piena attuazione al controllo ed alla riduzione del rischio di incidente rilevante, secondo l’obiettivo che le norme stesse mirano a raggiungere. E d‘altra parte il verificarsi periodico di incidenti con significativi effetti dannosi per l’ambiente, quali, ad esempio lo sversamento di gasolio nel fiume Lambro avvenuto nel febbraio 2010, conferma come attuale e urgente il problema del controllo del rischio di contaminazione ambientale. La ricerca presentata in questo lavoro vuole rappresentare un contributo per colmare questa lacuna. L’attenzione è rivolta al comparto delle acque superficiali ed agli sversamenti di liquidi oleosi, ovvero di idrocarburi insolubili in acqua e più leggeri dell’acqua stessa. Nel caso in cui il rilascio accidentale di un liquido oleoso raggiunga un corso d’acqua superficiale, l’olio tenderà a formare una chiazza galleggiante in espansione trasportata dalla corrente e soggetta ad un complesso insieme di trasformazioni fisiche e chimiche, denominate fenomeni di “oil weathering”. Tra queste rientrano l’evaporazione della frazione più volatile dell’olio e la dispersione naturale dell’olio in acqua, ovvero la formazione di una emulsione olio-in-acqua nella colonna d’acqua al di sotto della chiazza di olio. Poiché la chiazza si muove solidale alla corrente, si può ragionevolmente ritenere che l’evaporato in atmosfera venga facilmente diluito e che quindi la concentrazione in aria dei composti evaporati non raggiunga concentrazioni pericolose esternamente alla chiazza stessa. L’effetto fisico dannoso associato allo sversamento accidentale può pertanto essere espresso in doversi modi: in termini di estensione superficiale della chiazza, di volume di olio che emulsifica nella colonna d’acqua, di volume della colonna che si presenta come emulsione olio-in-acqua, di lunghezza di costa contaminata. In funzione di questi effetti fisici è possibile definire degli indici di rischio ambientale analoghi alle curve di rischio sociale per l’uomo. Come una curva di rischio sociale per l’uomo esprime la frequenza cumulata in funzione del numero di morti, così le curve di rischio sociale ambientale riportano la frequenza cumulata in funzione dell’estensione superficiale della chiazza, ovvero la frequenza cumulata in funzione del volume di olio che emulsifica in acqua ovvero la frequenza cumulata in funzione del volume di colonna d’acqua contaminato ovvero la frequenza cumulata in funzione della lunghezza di costa contaminata. Il calcolo degli indici di rischio così definiti può essere effettuato secondo una procedura analoga al calcolo del rischio per l’uomo, ovvero secondo i seguenti passi: 1) descrizione della sorgente di rischio; 2) descrizione del corso d’acqua che può essere contaminato in caso di rilascio dalla sorgente di rischio; 3) identificazione, degli eventi di rilascio e stima della loro frequenza di accadimento; 4) stima, per ogni rilascio, degli effetti fisici in termini di area della chiazza, di volume di olio emulsificato in acqua, di volume dell’emulsione olio-in-acqua, lunghezza di costa contaminata; 5) ricomposizione, per tutti i rilasci, degli effetti fisici e delle corrispondenti frequenze di accadimento al fine di stimare gli indici di rischio sopra definiti. Al fine di validare la metodologia sopra descritta, ne è stata effettuata l’applicazione agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante presenti nei bacini secondari che fanno parte del bacino primario del Po. E’ stato possibile calcolare gli indici di rischio per ogni stabilimento, sia in riferimento al corso d’acqua del bacino secondario a cui appartengono, sia in riferimento al Po, come pure ottenere degli indici di rischio complessivi per ogni affluente del Po e per il Po stesso. I risultati ottenuti hanno pienamente confermato la validità degli indici di rischio proposti al fine di ottenere una stima previsionale del rischio di contaminazione dei corsi d’acqua superficiali, i cui risultati possano essere utilizzati per verificare l’efficacia di diverse misure di riduzione del rischio e per effettuare una pianificazione d’emergenza che consenta, in caso di incidente, di contenere, recuperare e favorire la dispersione dell’olio sversato.

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Oggi, grazie al continuo progredire della tecnologia, in tutti i sistemi di produzione industriali si trova almeno un macchinario che permette di automatizzare determinate operazioni. Alcuni di questi macchinari hanno un sistema di visione industriale (machine vision), che permette loro di osservare ed analizzare ciò che li circonda, dotato di algoritmi in grado di operare alcune scelte in maniera automatica. D’altra parte, il continuo progresso tecnologico che caratterizza la realizzazione di sensori di visione, ottiche e, nell’insieme, di telecamere, consente una sempre più precisa e accurata acquisizione della scena inquadrata. Oggi, esigenze di mercato fanno si che sia diventato necessario che macchinari dotati dei moderni sistemi di visione permettano di fare misure morfometriche e dimensionali non a contatto. Ma le difficoltà annesse alla progettazione ed alla realizzazione su larga scala di sistemi di visione industriali che facciano misure dimensioni non a contatto, con sensori 2D, fanno sì che in tutto il mondo il numero di aziende che producono questo tipo di macchinari sia estremamente esiguo. A fronte di capacità di calcolo avanzate, questi macchinari necessitano dell’intervento di un operatore per selezionare quali parti dell’immagine acquisita siano d’interesse e, spesso, anche di indicare cosa misurare in esse. Questa tesi è stata sviluppata in sinergia con una di queste aziende, che produce alcuni macchinari per le misure automatiche di pezzi meccanici. Attualmente, nell’immagine del pezzo meccanico vengono manualmente indicate le forme su cui effettuare misure. Lo scopo di questo lavoro è quello di studiare e prototipare un algoritmo che fosse in grado di rilevare e interpretare forme geometriche note, analizzando l’immagine acquisita dalla scansione di un pezzo meccanico. Le difficoltà affrontate sono tipiche dei problemi del “mondo reale” e riguardano tutti i passaggi tipici dell’elaborazione di immagini, dalla “pulitura” dell’immagine acquisita, alla sua binarizzazione fino, ovviamente, alla parte di analisi del contorno ed identificazione di forme caratteristiche. Per raggiungere l’obiettivo, sono state utilizzate tecniche di elaborazione d’immagine che hanno permesso di interpretare nell'immagine scansionata dalla macchina tutte le forme note che ci siamo preposti di interpretare. L’algoritmo si è dimostrato molto robusto nell'interpretazione dei diametri e degli spallamenti trovando, infatti, in tutti i benchmark utilizzati tutte le forme di questo tipo, mentre è meno robusto nella determinazione di lati obliqui e archi di circonferenza a causa del loro campionamento non lineare.

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Nel trasporto di cose si registra l’intervento nella fase di riconsegna della merce di un soggetto diverso dall’originario contraente con il vettore: il destinatario. Tale contratto si caratterizza per uno sfasamento tra il momento della stipulazione del contratto tra mittente e vettore e quello della riconsegna delle merci, nel quale al destinatario viene riconosciuta facoltà di esercitare i diritti nascenti dal contratto di trasporto nei confronti del vettore; tale sfasamento temporale fra l’inizio e la fine della prestazione del vettore comporta una scissione in seno alla figura del creditore del trasporto nei confronti del vettore fra mittente e destinatario. Questo elemento crea una particolare situazione giuridica che è stata variamente inquadrata. Si verifica, infatti, un fenomeno di successione del destinatario al mittente nell’acquisto e nel conseguente esercizio dei diritti nascenti dal contratto di trasporto, ossia un trasferimento dei diritti dal mittente al destinatario, di portata apparentemente eversiva del principio della relatività degli effetti del contratto codificato dall’art. 1372 c.c. Si pone, dunque, il problema di individuare quali diritti nei confronti del vettore siano esercitabili dal destinatario, ossia quale sia il contenuto di tali diritti. In secondo luogo, si pone il problema di accertare con quali modalità temporali il destinatario acquisti tali diritti. Bisogna, poi, stabilire a quale titolo tale acquisto avvenga. Inoltre è necessario stabilire come si concili la legittimazione all’esercizio di tali diritti con i poteri di disposizione del carico e, in definitiva, di modifica del contratto del trasporto, riconosciuti al mittente e determinare a chi spetti la legittimazione ad esercitare le azioni derivanti dal contratto di trasporto verso il vettore. Questi quesiti toccano un problema di più ampia portata riguardante la configurazione giuridica della posizione negoziale assunta dal destinatario all’interno della complessa fattispecie contrattuale che vincola fra loro i tre soggetti e la determinazione del meccanismo giuridico che rende possibile il trasferimento dei diritti che nascono dal contratto di trasporto al destinatario, il quale si sostituisce al mittente nella titolarità degli stessi. La disciplina del trasporto non si presta ad una interpretazione univoca, ponendo problemi applicativi di non facile soluzione. Le esigenze di un’idonea configurazione giuridica del contratto di trasporto e dei rapporti intercorrenti fra i soggetti intorno ad esso interagiscono, quelle di un equo contemperamento degli interessi delle parti e quelle di una compiuta risposta ai problemi pratici connessi all’attuale realtà dei traffici non hanno trovato risposte condivise. La dottrina e la giurisprudenza hanno fornito diverse soluzioni, per lo più basate su un’interpretazione sistematica del contratto di trasporto, a margine del codice di commercio del 1882, prima, e del codice civile del 1942, poi. Si è dunque dato vita alla ricerca, all’interno delle norme generali in tema di obbligazioni e contratti, delle logiche e degli istituti ai quali può essere ricondotto l’acquisto da parte del destinatario del risultato della prestazione del vettore nella fase finale della riconsegna del carico. L’elaborato analizza tutte le teorie sviluppate dagli interpreti. In particolare viene esaminata la tesi accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie, volta a qualificare il trasporto come un contratto a favore a terzi, la tesi che qualifica tale contratto come un’ipotesi di indicazione o di delegazione di pagamento e la tesi che qualifica il trasporto come di cose come contratto naturalmente suscettibile di cessione al destinatario. Di tali teorie vengono indagate le conseguenze applicative, con particolare riferimento al contenuto dei diritti, delle azioni e delle eccezioni esercitabili dei soggetti che partecipano al contratto, per concludere che la teoria che fornisce il più ampio contemperamento degli interessi delle parti, alla luce dell’attuale realtà dei traffici, è quella che riconduce il trasferimento dei diritti inerenti al contratto di trasporto di cose all’istituto della cessione.

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Nonostante negli ultimi anni si sia verificato un generale abbassamento degli infortuni sul lavoro, si rileva che gli incidenti legati alle esplosioni sono rimasti pressoché stazionari. Questo indica la necessità, sia di una maggiore aderenza delle soluzioni di limitazione dei rischi adottate, alle direttive nazionali ed europee pur introdotte in campo legislativo, sia – soprattutto – di asseverare processi di valutazione dei rischi medesimi, caso per caso presentati dalle differenti realtà produttive. Nel lavoro qui presentato si è proceduto, quindi, dopo un'introduzione sulle dinamiche dei fenomeni fisico-chimici che portano all’esplosione, a proporre ed illustrare una metodologia di analisi ed adeguamento alle principali normative in materia di ATEX, ovvero alle Direttive europee di riferimento e alle norme tecniche CEI specialistiche mediante un approccio classico di analisi del rischio. Fine ultimo di tale metodologia sarà la definizione del livello di riduzione del rischio ottenuto grazie all’adeguamento alle predette Direttive. Preliminarmente viene definita una procedura di ottimizzazione per l’individuazione e classificazione le sorgenti di emissione, sia di gas e vapori, che di polveri. Analogo ragionamento viene, poi, condotto per le principali fonti d’innesco delle nubi. Utilizzando opportuni software nel continuo si definisce il livello di rischio pre-adeguamento, le aree di maggiore criticità (in cui procedere agli interventi di prevenzione e protezione, materiali e organizzativi) e il livello di rischio residuo post-adeguamento. La metodologia è stata applicata al caso reale di un impianto per la distillazione dell’etanolo.

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I moderni sistemi embedded sono equipaggiati con risorse hardware che consentono l’esecuzione di applicazioni molto complesse come il decoding audio e video. La progettazione di simili sistemi deve soddisfare due esigenze opposte. Da un lato è necessario fornire un elevato potenziale computazionale, dall’altro bisogna rispettare dei vincoli stringenti riguardo il consumo di energia. Uno dei trend più diffusi per rispondere a queste esigenze opposte è quello di integrare su uno stesso chip un numero elevato di processori caratterizzati da un design semplificato e da bassi consumi. Tuttavia, per sfruttare effettivamente il potenziale computazionale offerto da una batteria di processoriè necessario rivisitare pesantemente le metodologie di sviluppo delle applicazioni. Con l’avvento dei sistemi multi-processore su singolo chip (MPSoC) il parallel programming si è diffuso largamente anche in ambito embedded. Tuttavia, i progressi nel campo della programmazione parallela non hanno mantenuto il passo con la capacità di integrare hardware parallelo su un singolo chip. Oltre all’introduzione di multipli processori, la necessità di ridurre i consumi degli MPSoC comporta altre soluzioni architetturali che hanno l’effetto diretto di complicare lo sviluppo delle applicazioni. Il design del sottosistema di memoria, in particolare, è un problema critico. Integrare sul chip dei banchi di memoria consente dei tempi d’accesso molto brevi e dei consumi molto contenuti. Sfortunatamente, la quantità di memoria on-chip che può essere integrata in un MPSoC è molto limitata. Per questo motivo è necessario aggiungere dei banchi di memoria off-chip, che hanno una capacità molto maggiore, come maggiori sono i consumi e i tempi d’accesso. La maggior parte degli MPSoC attualmente in commercio destina una parte del budget di area all’implementazione di memorie cache e/o scratchpad. Le scratchpad (SPM) sono spesso preferite alle cache nei sistemi MPSoC embedded, per motivi di maggiore predicibilità, minore occupazione d’area e – soprattutto – minori consumi. Per contro, mentre l’uso delle cache è completamente trasparente al programmatore, le SPM devono essere esplicitamente gestite dall’applicazione. Esporre l’organizzazione della gerarchia di memoria ll’applicazione consente di sfruttarne in maniera efficiente i vantaggi (ridotti tempi d’accesso e consumi). Per contro, per ottenere questi benefici è necessario scrivere le applicazioni in maniera tale che i dati vengano partizionati e allocati sulle varie memorie in maniera opportuna. L’onere di questo compito complesso ricade ovviamente sul programmatore. Questo scenario descrive bene l’esigenza di modelli di programmazione e strumenti di supporto che semplifichino lo sviluppo di applicazioni parallele. In questa tesi viene presentato un framework per lo sviluppo di software per MPSoC embedded basato su OpenMP. OpenMP è uno standard di fatto per la programmazione di multiprocessori con memoria shared, caratterizzato da un semplice approccio alla parallelizzazione tramite annotazioni (direttive per il compilatore). La sua interfaccia di programmazione consente di esprimere in maniera naturale e molto efficiente il parallelismo a livello di loop, molto diffuso tra le applicazioni embedded di tipo signal processing e multimedia. OpenMP costituisce un ottimo punto di partenza per la definizione di un modello di programmazione per MPSoC, soprattutto per la sua semplicità d’uso. D’altra parte, per sfruttare in maniera efficiente il potenziale computazionale di un MPSoC è necessario rivisitare profondamente l’implementazione del supporto OpenMP sia nel compilatore che nell’ambiente di supporto a runtime. Tutti i costrutti per gestire il parallelismo, la suddivisione del lavoro e la sincronizzazione inter-processore comportano un costo in termini di overhead che deve essere minimizzato per non comprometterre i vantaggi della parallelizzazione. Questo può essere ottenuto soltanto tramite una accurata analisi delle caratteristiche hardware e l’individuazione dei potenziali colli di bottiglia nell’architettura. Una implementazione del task management, della sincronizzazione a barriera e della condivisione dei dati che sfrutti efficientemente le risorse hardware consente di ottenere elevate performance e scalabilità. La condivisione dei dati, nel modello OpenMP, merita particolare attenzione. In un modello a memoria condivisa le strutture dati (array, matrici) accedute dal programma sono fisicamente allocate su una unica risorsa di memoria raggiungibile da tutti i processori. Al crescere del numero di processori in un sistema, l’accesso concorrente ad una singola risorsa di memoria costituisce un evidente collo di bottiglia. Per alleviare la pressione sulle memorie e sul sistema di connessione vengono da noi studiate e proposte delle tecniche di partizionamento delle strutture dati. Queste tecniche richiedono che una singola entità di tipo array venga trattata nel programma come l’insieme di tanti sotto-array, ciascuno dei quali può essere fisicamente allocato su una risorsa di memoria differente. Dal punto di vista del programma, indirizzare un array partizionato richiede che ad ogni accesso vengano eseguite delle istruzioni per ri-calcolare l’indirizzo fisico di destinazione. Questo è chiaramente un compito lungo, complesso e soggetto ad errori. Per questo motivo, le nostre tecniche di partizionamento sono state integrate nella l’interfaccia di programmazione di OpenMP, che è stata significativamente estesa. Specificamente, delle nuove direttive e clausole consentono al programmatore di annotare i dati di tipo array che si vuole partizionare e allocare in maniera distribuita sulla gerarchia di memoria. Sono stati inoltre sviluppati degli strumenti di supporto che consentono di raccogliere informazioni di profiling sul pattern di accesso agli array. Queste informazioni vengono sfruttate dal nostro compilatore per allocare le partizioni sulle varie risorse di memoria rispettando una relazione di affinità tra il task e i dati. Più precisamente, i passi di allocazione nel nostro compilatore assegnano una determinata partizione alla memoria scratchpad locale al processore che ospita il task che effettua il numero maggiore di accessi alla stessa.

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I viaggi e gli studi compiuti in Croazia, Montenegro e Bosnia Erzegovina in occasione della Tesi di Laurea hanno costituito l’occasione per comprendere quanto sia consistente il retaggio di Roma antica sulla sponda orientale dell’Adriatico. Nello stesso tempo si è potuto constatare che, per diversi motivi, dal punto di vista prettamente scientifico, la ricchezza di questo patrimonio archeologico aveva sino allora trovato soltanto poche occasioni di studio. Da qui la necessità di provvedere a un quadro completo e generale relativo alla presenza romana in un territorio come quello della provincia romana di Dalmatia che, pur considerando la sua molteplicità geografica, etnica, economica, culturale, sociale e politica, ha trovato, grazie all’intervento di Roma, una sua dimensione unitaria, un comune denominatore, tanto da farne una provincia che ebbe un ruolo fondamentale nella storia dell’Impero. Il lavoro prende le mosse da una considerazione preliminare e generale, che ne costituisce quasi lo spunto metodologico più determinante: la trasmissione della cultura e dei modelli di vita da parte di Roma alle altre popolazioni ha creato un modello in virtù del quale l’imperialismo romano si è in certo modo adattato alle diverse culture incontrate ed assimilate, dando vita ad una rete di culture unite da elementi comuni, ma anche profondamente diversificate per sintesi originali. Quella che pare essere la chiave di lettura impiegata è la struttura di un impero a forma di “rete” con forti elementi di coesione, ma allo stesso tempo dotato di ampi margini di autonomia. E questo a cominciare dall’analisi dei fattori che aprirono il cammino dell’afflusso romano in Dalmatia e nello stesso tempo permisero i contatti con il territorio italico. La ricerca ne analizza quindi i fattori:il diretto controllo militare, la costruzione di una rete viaria, l’estensione della cittadinanza romana, lo sviluppo della vita locale attraverso la formazione di una rete di municipi, i contatti economici e l’immigrazione di genti romanizzate. L’analisi ha posto in evidenza una provincia caratterizzata da notevoli contraddizioni, che ne condizionarono – presso entrambi i versanti del Velebit e delle Alpi Dinariche – lo sviluppo economico, sociale, culturale e urbanistico. Le profonde differenze strutturali tra questi due territori rimasero sempre presenti: la zona costiera divenne, sotto tutti i punti di vista, una sorta di continuazione dell’Italia, mntre quella continentale non progredì di pari passo. Eppure l’influenza romana si diffuse anche in questa, così che essa si pote conformare, in una certa misura, alla zona litoranea. Come si può dedurre dal fatto che il severo controllo militare divenne superfluo e che anche questa regione fu dotata progressivamente di centri amministrati da un gruppo dirigente compiutamente integrato nella cultura romana. Oltre all’analisi di tutto ciò che rientra nel processo di acculturazione dei nuovi territori, l’obiettivo principale del lavoro è l’analisi di uno degli elementi più importanti che la dominazione romana apportò nei territori conquistati, ovvero la creazione di città. In questo ambito relativamente periferico dell’Impero, qual è il territorio della provincia romana della Dalmatia, è stato dunque possibile analizzare le modalità di creazione di nuovi centri e di adattamento, da parte di Roma, ai caratteri locali dell’insediamento, nonché ai condizionamenti ambientali, evidenziando analogie e differenze tra le città fondate. Prima dell’avvento di Roma, nessuna delle regioni entrate a far parte dei territori della Dalmatia romana, con la sola eccezione della Liburnia, diede origine a centri di vero e proprio potere politico-economico, come ad esempio le città greche del Mediterraneo orientale, tali da continuare un loro sviluppo all’interno della provincia romana. In altri termini: non si hanno testimonianze di insediamenti autoctoni importanti che si siano trasformati in città sul modello dei centri provinciali romani, senza aver subito cambiamenti radicali quali una nuova pianificazione urbana o una riorganizzazione del modello di vita locale. Questo non significa che la struttura politico-sociale delle diverse tribù sia stata cambiata in modo drastico: almeno nelle modeste “città” autoctone, nelle quali le famiglie appaiono con la cittadinanza romana, assieme agli ordinamenti del diritto municipale, esse semplicemente continuarono ad avere il ruolo che i loro antenati mantennero per generazioni all’interno della propria comunità, prima della conquista romana. Il lavoro mette compiutamente in luce come lo sviluppo delle città nella provincia abbia risentito fortemente dello scarso progresso politico, sociale ed economico che conobbero le tribù e le popolazioni durante la fase pre-romana. La colonizzazione greca, troppo modesta, non riuscì a far compiere quel salto qualitativo ai centri autoctoni, che rimasero sostanzialmente privi di concetti basilari di urbanistica, anche se è possibile notare, almeno nei centri costieri, l’adozione di tecniche evolute, ad esempio nella costruzione delle mura. In conclusione questo lavoro chiarisce analiticamente, con la raccolta di un’infinità di dati (archeologici e topografici, materiali ed epigrafici, e desunti dalle fonti storiche), come la formazione della città e l’urbanizzazione della sponda orientale dell’adriatico sia un fenomeno prettamente romano, pur differenziato, nelle sue dinamiche storiche, quasi caso per caso. I dati offerti dalla topografia delle città della Dalmatia, malgrado la scarsità di esempi ben documentati, sembrano confermare il principio della regolarità degli impianti urbani. Una griglia ortogonale severamente applicata la si individua innanzi tutto nelle città pianificate di Iader, Aequum e, probabilmente, anche a Salona. In primis nelle colonie, quindi, ma non esclusivamente. Anche numerosi municipi sviluppatisi da insediamenti di origine autoctona hanno espresso molto presto la tendenza allo sviluppo di un sistema ortogonale regolare, se non in tutta l’area urbana, almeno nei settori di più possibile applicazione. Ne sono un esempio Aenona, Arba, Argiruntum, Doclea, Narona ed altri. La mancanza di un’organizzazione spaziale regolare non ha tuttavia compromesso l’omogeneità di un’attrezzatura urbana tesa alla normalizzazione, in cui i componenti più importanti, forum e suoi annessi, complessi termali, templi dinastici e capitolia, si avviano a diventare canonici. Le differenze più sensibili, che pure non mancano, sembrano dipendere dalle abitudini delle diverse etnie, dai condizionamenti topografici e dalla disponibilità finanziaria dei notabili. Una città romana non può prendere corpo in tutta la sua pienezza solo per la volontà del potere centrale. Un progetto urbanistico resta un fatto teorico finché non si realizzano le condizioni per cui si fondano due fenomeni importantissimi: uno socio-culturale, che consiste nell’emergenza di una classe di notabili “fortunati” desiderosi di dare a Roma dimostrazioni di lealtà, pronti a rispondere a qualsiasi sollecitazione da parte del potere centrale e addirittura ad anticiparlo; l’altro politico-amministrativo, che riguarda il sistema instaurato da Roma, grazie al quale i suddetti notabili possono godere di un certo potere e muoversi in vista della promozione personale nell’ambito della propria città. Aiuti provenienti dagli imperatori o da governatori provinciali, per quanto consistenti, rimangono un fatto non sistematico se non imprevedibile, e rappresentano comunque un episodio circoscritto. Anche se qualche città risulta in grado di costruire pecunia publica alcuni importanti edifici del quadro monumentale, il ruolo del finanziamento pubblico resta relativamente modesto. Quando la documentazione epigrafica esiste, si rivela che sono i notabili locali i maggiori responsabili della costruzione delle opere pubbliche. Sebbene le testimonianze epigrafiche siano scarse e, per la Dalmatia non sia possibile formulare un quadro completo delle committenze che favorirono materialmente lo sviluppo architettonico ed artistico di molti complessi monumentali, tuttavia è possibile osservare e riconoscere alcuni aspetti significativi e peculiari della provincia.

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La dieta, nell’antica medicina greca, rappresentava il complesso delle norme di vita, come l’alimentazione, l’attività fisica, il riposo, atte a mantenere lo stato di salute di una persona. Al giorno d’oggi le si attribuisce un significato fortemente legato all’alimentazione, puo` riferirsi al complesso di cibi che una persona mangia abitualmente oppure, con un messaggio un po' più moderno, ad una prescrizione di un regime alimentare da parte di un medico. Ogni essere umano mangia almeno tre volte al giorno, ognuno in base al proprio stile di vita, cultura, età, etc. possiede differenti abitudini alimentari che si ripercuotono sul proprio stato di salute. Inconsciamente tutti tengono traccia degli alimenti mangiati nei giorni precedenti, chi più chi meno, cercando di creare quindi una pianificazione di cosa mangiare nei giorni successivi, in modo da variare i pasti o semplicemente perchè si segue un regime alimentare particolare per un certo periodo. Diventa quindi fondamentale tracciare questa pianificazione, in tal modo si puo' tenere sotto controllo la propria alimentazione, che è in stretta relazione con il proprio stato di salute e stress, e si possono applicare una serie di aggiustamenti dove necessario. Questo è quello che cerca di fare il “Menu Planning”, offrire una sorta di guida all’alimentazione, permettendo così di aver sotto controllo tutti gli aspetti legati ad essa. Si pensi, ad esempio, ai prezzi degli alimenti, chiunque vorrebbe minimizzare la spesa, mangiare quello che gli piace senza dover per forza rinunciare a quale piccolo vizio quotidiano. Con le tecniche di “Menu Planning” è possibile avere una visione di insieme della propria alimentazione. La prima formulazione matematica del “Menu Planning” (allora chiamato diet problem) nacque durante gli anni ’40, l’esercito Americano allora impegnano nella Seconda Guerra Mondiale voleva abbassare i costi degli alimenti ai soldati mantenendo però inalterata la loro dieta. George Stingler, economista americano, trovò una soluzione, formulando un problema di ottimizzazione e vincendo il premio Nobel in Economia nel 1982. Questo elaborato tratta dell’automatizzazione di questo problema e di come esso possa essere risolto con un calcolatore, facendo soprattutto riferimento a particolari tecniche di intelligenza artificiale e di rappresentazione della conoscenza, nello specifico il lavoro si è concentrato sulla progettazione e sviluppo di un ES case-based per risolvere il problema del “Menu Planning”. Verranno mostrate varie tecniche per la rappresentazione della conoscenza e come esse possano essere utilizzate per fornire supporto ad un programma per elaboratore, partendo dalla Logica Proposizionale e del Primo Ordine, fino ad arrivare ai linguaggi di Description Logic e Programmazione Logica. Inoltre si illustrerà come è possibile raccogliere una serie di informazioni mediante procedimenti di Knowledge Engineering. A livello concettuale è stata introdotta un’architettura che mette in comunicazione l’ES e un Ontologia di alimenti con l’utilizzo di opportuni framework di sviluppo. L’idea è quella di offrire all’utente la possibilità di vedere la propria pianificazione settimanale di pasti e dare dei suggerimenti su che cibi possa mangiare durante l’arco della giornata. Si mostreranno quindi le potenzialità di tale architettura e come essa, tramite Java, riesca a far interagire ES case-based e Ontologia degli alimenti.