682 resultados para MUSICA DE MESIAS MAIGUASHCA


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I libretti che Pascoli scrisse in forma di abbozzi e che sognò potessero calcare il palcoscenico di un teatro furono davvero un “melodramma senza musica”. In primo luogo, perché non giunsero mai ad essere vestiti di note e ad arrivare in scena; ma anche perché il tentativo di scrivere per il teatro si tinse per Pascoli di toni davvero melodrammatici, nel senso musicale di sconfitta ed annullamento, tanto da fare di quella pagina della sua vita una piccola tragedia lirica, in cui c’erano tante parole e, purtroppo, nessuna musica. Gli abbozzi dei drammi sono abbastanza numerosi; parte di essi è stata pubblicata postuma da Maria Pascoli.1 Il lavoro di pubblicazione è stato poi completato da Antonio De Lorenzi.2 Ho deciso di analizzare solo quattro di questi abbozzi, che io reputo particolarmente significativi per poter cogliere lo sviluppo del pensiero drammatico e della poetica di Pascoli. I drammi che analizzo sono Nell’Anno Mille (con il rifacimento Il ritorno del giullare), Gretchen’s Tochter (con il rifacimento La figlia di Ghita), Elena Azenor la Morta e Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante. La prima ragione della scelta risiede nel fatto che questi abbozzi presentano una lunghezza più consistente dell’appunto di uno scheletro di dramma registrato su un foglietto e, quindi, si può seguire attraverso di essi il percorso della vicenda, delle dinamiche dei personaggi e dei significati dell’opera. Inoltre, questi drammi mostrano cosa Pascoli intendesse comporre per sollevare le vesti del libretto d’opera e sono funzionali all’esemplificazione delle sue concezioni teoriche sulla musica e il melodramma, idee che egli aveva espresso nelle lettere ad amici e compositori. In questi quattro drammi è possibile cogliere bene le motivazioni della scelta dei soggetti, il loro significato entro la concezione melodrammatica del poeta, il sistema simbolico che soggiace alla creazione delle vicende e dei personaggi e i legami con la poetica pascoliana. Compiere un’analisi di questo tipo significa per me, innanzitutto, risalire alle concezioni melodrammatiche di Pascoli e capire esattamente cosa egli intendesse per dramma musicale e per rinnovamento dello stesso. Pascoli parla di musica e dei suoi tentativi di scrivere per il teatro lirico nelle lettere ai compositori e, sporadicamente, ad alcuni amici (Emma Corcos, Luigi Rasi, Alfredo Caselli). La ricostruzione del pensiero e dell’estetica musicale di Pascoli ha dovuto quindi legarsi a ricerche d’archivio e di materiali inediti o editi solo in parte e, nella maggioranza dei casi, in pubblicazioni locali o piuttosto datate (i primi anni del Novecento). Quindi, anche in presenza della pubblicazione di parte del materiale necessario, quest’ultimo non è certo facilmente e velocemente consultabile e molto spesso è semi sconosciuto. Le lettere di Pascoli a molti compositori sono edite solo parzialmente; spesso, dopo quei primi anni del Novecento, in cui chi le pubblicò poté vederle presso i diretti possessori, se ne sono perse le tracce. Ho cercato di ricostruire il percorso delle lettere di Pascoli a Giacomo Puccini, Riccardo Zandonai, Giovanni Zagari, Alfredo Cuscinà e Guglielmo Felice Damiani. Si tratta sempre di contatti che Pascoli tenne per motivi musicali, legati alla realizzazione dei suoi drammi. O per le perdite prodotte dalla storia (è il 1 Giovanni Pascoli, Nell’Anno Mille. Sue notizie e schemi da altri drammi, a c. di Maria Pascoli, Bologna, Zanichelli, 1924. 2 Giovanni Pascoli, Testi teatrali inediti, a c. di Antonio De Lorenzi, Ravenna, Longo, 1979. caso delle lettere di Pascoli a Zandonai, che andarono disperse durante la seconda guerra mondiale, come ha ricordato la prof.ssa Tarquinia Zandonai, figlia del compositore) o per l’impossibilità di stabilire contatti quando i possessori dei materiali sono privati e, spesso, collezionisti, questa parte delle mie ricerche è stata vana. Mi è stato possibile, però, ritrovare gli interi carteggi di Pascoli e i due Bossi, Marco Enrico e Renzo. Le lettere di Pascoli ai Bossi, di cui do notizie dettagliate nelle pagine relative ai rapporti con i compositori e all’analisi dell’Anno Mille, hanno permesso di cogliere aspetti ulteriori circa il legame forte e meditato che univa il poeta alla musica e al melodramma. Da queste riflessioni è scaturita la prima parte della tesi, Giovanni Pascoli, i musicisti e la musica. I rapporti tra Pascoli e i musicisti sono già noti grazie soprattutto agli studi di De Lorenzi. Ho sentito il bisogno di ripercorrerli e di darne un aggiornamento alla luce proprio dei nuovi materiali emersi, che, quando non sono gli inediti delle lettere di Pascoli ai Bossi, possono essere testi a stampa di scarsa diffusione e quindi poco conosciuti. Il quadro, vista la vastità numerica e la dispersione delle lettere di Pascoli, può subire naturalmente ancora molti aggiornamenti e modifiche. Quello che ho qui voluto fare è stato dare una trattazione storico-biografica, il più possibile completa ed aggiornata, che vedesse i rapporti tra Pascoli e i musicisti nella loro organica articolazione, come premessa per valutare le posizioni del poeta in campo musicale. Le lettere su cui ho lavorato rientrano tutte nel rapporto culturale e professionale di Pascoli con i musicisti e non toccano aspetti privati e puramente biografici della vita del poeta: sono legate al progetto dei drammi teatrali e, per questo, degne di interesse. A volte, nel passato, alcune di queste pagine sono state lette, soprattutto da giornalisti e non da critici letterari, come un breve aneddoto cronachistico da inserire esclusivamente nel quadro dell’insuccesso del Pascoli teatrale o come un piccolo ragguaglio cronologico, utile alla datazione dei drammi. Ricostruire i rapporti con i musicisti equivale nel presente lavoro a capire quanto tenace e meditato fu l’avvicinarsi di Pascoli al mondo del teatro d’opera, quali furono i mezzi da lui perseguiti e le proposte avanzate; sempre ho voluto e cercato di parlare in termini di materiale documentario e archivistico. Da qui il passo ad analizzare le concezioni musicali di Pascoli è stato breve, dato che queste ultime emergono proprio dalle lettere ai musicisti. L’analisi dei rapporti con i compositori e la trattazione del pensiero di Pascoli in materia di musica e melodramma hanno in comune anche il fatto di avvalersi di ricerche collaterali allo studio della letteratura italiana; ricerche che sconfinano, per forza di cose, nella filosofia, estetica e storia della musica. Non sono una musicologa e non è stata mia intenzione affrontare problematiche per le quali non sono provvista di conoscenze approfonditamente adeguate. Comprendere il panorama musicale di quegli anni e i fermenti che si agitavano nel teatro lirico, con esiti vari e contrapposti, era però imprescindibile per procedere in questo cammino. Non sono pertanto entrata negli anfratti della storia della musica e della musicologia, ma ho compiuto un volo in deltaplano sopra quella terra meravigliosa e sconfinata che è l’opera lirica tra Ottocento e Novecento. Molti consigli, per non smarrirmi in questo volo, mi sono venuti da valenti musicologi ed esperti conoscitori della materia, che ho citato nei ringraziamenti e che sempre ricordo con viva gratitudine. Utile per gli studi e fondamentale per questo mio lavoro è stato riunire tutte le dichiarazioni, da me conosciute finora, fornite da Pascoli sulla musica e il melodramma. Ne emerge quella che è la filosofia pascoliana della musica e la base teorica della scrittura dei suoi drammi. Da questo si comprende bene perché Pascoli desiderasse tanto scrivere per il teatro musicale: egli riteneva che questo fosse il genere perfetto, in cui musica e parola si compenetravano. Così, egli era convinto che la sua arte potesse parlare ed arrivare a un pubblico più vasto. Inoltre e soprattutto, egli intese dare, in questo modo, una precisa risposta a un dibattito europeo sul rinnovamento del melodramma, da lui molto sentito. La scrittura teatrale di Pascoli non è tanto un modo per trovare nuove forme espressive, quanto soprattutto un tentativo di dare il suo contributo personale a un nuovo teatro musicale, di cui, a suo dire, l’umanità aveva bisogno. Era quasi un’urgenza impellente. Le risposte che egli trovò sono in linea con svariate concezioni di quegli anni, sviluppate in particolare dalla Scapigliatura. Il fatto poi che il poeta non riuscisse a trovare un compositore disposto a rischiare fino in fondo, seguendolo nelle sue creazioni di drammi tutti interiori, con scarso peso dato all’azione, non significa che egli fosse una voce isolata o bizzarra nel contesto culturale a lui contemporaneo. Si potranno, anche in futuro, affrontare studi sugli elementi di vicinanza tra Pascoli e alcuni compositori o possibili influenze tra sue poesie e libretti d’opera, ma penso non si potrà mai prescindere da cosa egli effettivamente avesse ascoltato e avesse visto rappresentato. Il che, documenti alla mano, non è molto. Solo ciò a cui possiamo effettivamente risalire come dato certo e provato è valido per dire che Pascoli subì il fascino di questa o di quell’opera. Per questo motivo, si trova qui (al termine del secondo capitolo), per la prima volta, un elenco di quali opere siamo certi Pascoli avesse ascoltato o visto: lo studio è stato possibile grazie ai rulli di cartone perforato per il pianoforte Racca di Pascoli, alle testimonianze della sorella Maria circa le opere liriche che il poeta aveva ascoltato a teatro e alle lettere del poeta. Tutto questo è stato utile per l’interpretazione del pensiero musicale di Pascoli e dei suoi drammi. I quattro abbozzi che ho scelto di analizzare mostrano nel concreto come Pascoli pensasse di attuare la sua idea di dramma e sono quindi interpretati attraverso le sue dichiarazioni di carattere musicale. Mi sono inoltre avvalsa degli autografi dei drammi, conservati a Castelvecchio. In questi abbozzi hanno un ruolo rilevante i modelli che Pascoli stesso aveva citato nelle sue lettere ai compositori: Wagner, Dante, Debussy. Soprattutto, Nell’Anno Mille, il dramma medievale sull’ultima notte del Mille, vede la significativa presenza del dantismo pascoliano, come emerge dai lavori di esegesi della Commedia. Da questo non è immune nemmeno Aasvero o Caino nel trivio o l’Ebreo Errante, che è il compimento della figura di Asvero, già apparsa nella poesia di Pascoli e portatrice di un messaggio di rinascita sociale. I due drammi presentano anche una specifica simbologia, connessa alla figura e al ruolo del poeta. Predominano, invece, in Gretchen’s Tochter e in Elena Azenor la Morta le tematiche legate all’archetipo femminile, elemento ambiguo, materno e infero, ma sempre incaricato di tenere vivo il legame con l’aldilà e con quanto non è direttamente visibile e tangibile. Per Gretchen’s Tochter la visione pascoliana del femminile si innesta sulle fonti del dramma: il Faust di Marlowe, il Faust di Goethe e il Mefistofele di Boito. I quattro abbozzi qui analizzati sono la prova di come Pascoli volesse personificare nel teatro musicale i concetti cardine e i temi dominanti della sua poesia, che sarebbero così giunti al grande pubblico e avrebbero avuto il merito di traghettare l’opera italiana verso le novità già percorse da Wagner. Nel 1906 Pascoli aveva chiaramente compreso che i suoi drammi non sarebbero mai arrivati sulle scene. Molti studi e molti spunti poetici realizzati per gli abbozzi gli restavano inutilizzati tra le mani. Ecco, allora, che buona parte di essi veniva fatta confluire nel poema medievale, in cui si cantano la storia e la cultura italiane attraverso la celebrazione di Bologna, città in cui egli era appena rientrato come professore universitario, dopo avervi già trascorso gli anni della giovinezza da studente. Le Canzoni di Re Enzio possono quindi essere lette come il punto di approdo dell’elaborazione teatrale, come il “melodramma senza musica” che dà il titolo a questo lavoro sul pensiero e l’opera del Pascoli teatrale. Già Cesare Garboli aveva collegato il manierismo con cui sono scritte le Canzoni al teatro musicale europeo e soprattutto a Puccini. Alcuni precisi parallelismi testuali e metrici e l’uso di fonti comuni provano che il legame tra l’abbozzo dell’Anno Mille e le Canzoni di Re Enzio è realmente attivo. Le due opere sono avvicinate anche dalla presenza del sostrato dantesco, tenendo presente che Dante era per Pascoli uno dei modelli a cui guardare proprio per creare il nuovo e perfetto dramma musicale. Importantissimo, infine, è il piccolo schema di un dramma su Ruth, che egli tracciò in una lettera della fine del 1906, a Marco Enrico Bossi. La vicinanza di questo dramma e di alcuni degli episodi principali della Canzone del Paradiso è tanto forte ed evidente da rendere questo abbozzo quasi un cartone preparatorio della Canzone stessa. Il Medioevo bolognese, con il suo re prigioniero, la schiava affrancata e ancella del Sole e il giullare che sulla piazza intona la Chanson de Roland, costituisce il ritorno del dramma nella poesia e l’avvento della poesia nel dramma o, meglio, in quel continuo melodramma senza musica che fu il lungo cammino del Pascoli librettista.

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L'intento della tesi è realizzare un'unità didattica rivolta ad una classe di terza media, incentrata sullo studio della simmetria, partendo dall'osservazione delle arti decorative, nella fattispecie dei fregi, fino ad approdare all'analisi di particolari composizioni musicali. Nel primo capitolo ci proponiamo di classificare i \textit{gruppi dei fregi}, ovvero i sottogruppi discreti dell'insieme delle isometrie del piano euclideo in cui le traslazioni formano un sottogruppo ciclico infinito. Nel secondo capitolo trasferiremo i concetti introdotti nel primo capitolo dal piano euclideo a quello musicale. Nel terzo capitolo troveremo la descrizione della proposta didattica costruita sulla base dei contenuti raccolti nei primi due capitoli. Tale laboratorio è stato ideato nel tentativo di assolvere un triplice compito: fornire uno strumento in più per lo studio matematico delle isometrie e delle simmetrie, mostrare in che modo un processo fisico come la musica può essere rappresentato sul piano cartesiano come funzione del tempo, offrendo un primo assaggio di ciò che molti ragazzi dovranno affrontare nel prosieguo dei loro studi e infine introdurre lo studente ad un approccio più critico e ``scientifico'' all’arte in generale, e in particolare alla musica.

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Scopo di questa tesi è di valutare le tecnologie diffuse ai giorni nostri che possano consentire la realizzazione di un software per l’esplorazione virtuale dei musei della musica. Lo studio si sofferma inizialmente sulla definizione di istituto museale, per capire precisamente i possibili requisiti e servizi che deve offrire un’applicazione ad essi dedicata. Con un’analisi di questi requisiti vengono poi valutati i dispositivi attualmente disponibili in commercio, tenendo in cosiderazione le caratteristiche hardware e software, oltre a valutare la diffusione in mercato di tali piattaforme. Buona parte dello studio è dedicato alle scelte progettuali possibili per sviluppare il software, indicando per entrambi gli strumenti e gli ambienti di sviluppo e analizzando vantaggi e svantaggi dei diversi approcci. L’orientamento verso una delle scelte progettuali è poi seguita da un approfondimento sulle tecnologie da adottare per l’implementazione delle funzionalità valutate in sede di analisi dei requisiti, fornendo alcune documentazioni e dimostrazioni di fattibilità.

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Nel percorso di tesi si è affrontato il tema del museo e dell'auditorium in architettura. Pesaro è la città oggetto della progettazione. Il centro storico di questa era difeso da mura medioevali di forma pentagonale. A seguito di sventramenti ne sopravvivono due soli. Uno di questi, il bastione Miralfiore, si configura come area di progetto per un museo rossiniano e città della musica a Pesaro. Le preesistenze principali da considerarsi nella progettazione di questi, sono: le mura difensive del bastione che perimetrano buona parte dell'area, il Teatro Rossini oggetto di ampliamento e di integrazione tramite lo sviluppo di due nuove sale per lo spettacolo e Piazza Lazzarini da un secolo inconclusa e ora governata dal traffico cittadino. Si affronta anche il tema della residenza che si interpone tra città storica e parco urbano ricavato dal bastione.

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L’attività nel teatro della Villa medicea di Pratolino, presso Firenze, giunse al culmine nel primo decennio del ’700, quando il principe Ferdinando de’ Medici commissionò e vi fece rappresentare, una per anno, opere in musica di Alessandro Scarlatti e di Giacomo Antonio Perti. Benché le partiture siano perdute, sopravvive un’ingente quantità di materiale documentario, in massima parte inedito, il quale dà un eccezionale resoconto sul mecenatismo del Principe e sul funzionamento della macchina teatrale. La dissertazione si concentra sulle sei opere poste in musica da Perti ("Lucio Vero", 1700, in collaborazione con Martino Bitti; "Astianatte", 1701; "Dionisio re di Portogallo", 1707; "Ginevra principessa di Scozia", 1708; "Berenice regina d’Egitto", 1709; "Rodelinda regina de’ Longobardi", 1710), sui rapporti del compositore col Principe, col librettista Antonio Salvi, col rivale Scarlatti, coi cantanti e con la corte medicea, sullo stile da lui perseguito e – per quanto è dato sapere o lecito ipotizzare – sulla fisionomia dei suoi lavori (strutture e risorse letterarie, teatrali e musicali).

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Questo lavoro si occupa di studiare l’effetto delle rappresentazioni sociali della musica degli studenti universitari che diventeranno insegnanti di scuola dell’infanzia e in particolare i cambiamenti che intervengono durante il periodo di formazione universitaria sia italiana sia venezuelana. Obiettivo fondamentale è quindi realizzare un’analisi comparativa sulle seguenti tematiche: bambino musicale, competenze dell’insegnante e finalità dell’educazione musicale. Questo lavoro si è inserito all’interno del progetto “Il sapere musicale come rappresentazione sociale” (Addessi-Carugati 2010). L’ipotesi guida è che le concezioni implicite della musica funzionino come rappresentazioni sociali che influenzano le pratiche dell’insegnamento e dell’educazione musicale. Il primo capitolo, affronta i temi dei bambini, degli insegnanti e dell’educazione musicale nella scuola dell’infanzia in Italia e Venezuela. Nel secondo vengono presentati gli studi sui saperi musicali; la teoria delle rappresentazioni sociali (Moscovici 1981) e il progetto pilota realizzato presso l’Università di Bologna “Il sapere musicale come Rappresentazione Sociale”. Il capitolo successivo presenta l'analisi e l'interpretazione dell’indagine empirica effettuata su un gruppo di studenti dei corsi di formazione per insegnanti dell’Università di Mérida (Venezuela). Nel quarto capitolo si sviluppano riflessioni e discussioni riguardo i risultati dello studio comparativo; i piani e programmi di studio universitari e il profilo professionale musicale dell’insegnante. Le conclusioni finali illustrano come l’ipotesi iniziale sia effettivamente confermata: dall’analisi e interpretazione dei dati sembra che le concezioni implicite sui saperi musicali possedute dagli studenti influiscano sulla loro pratica professionale in qualità di futuri insegnanti. Si è anche osservato che le differenze incontrate sembrano essere dovute ai diversi tipi di variabili del contesto dove si trova l’insegnante di educazione musicale; e soprattutto ai significati espressi dai programmi di studi, dai contenuti didattici diversi, dai contesti sociali e culturali e dal curriculum universitario.

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Il presente progetto di ricerca, nato inizialmente con l’obbiettivo d’individuare in che modo e in che misura, i testi teatrali del drammaturgo e comico dell’Arte Giovan Battista Andreini, detto Lelio, figlio d’Isabella e Francesco, anche loro attori e letterati d’alto livello, risentirono dell’influenza del mondo dei coevi teatri in musica, dall’intermedio al balletto, si è progressivamente evoluto, divenendo, ben presto, uno studio sulle modalità compositive sperimentali dell’Andreini, dove, in verità, la dimensione del sonoro e la manipolazione dell’elemento musicale, non furono altro che uno dei vari aspetti di suddetta poetica dell’innovazione. Analizzando dunque, minuziosamente, tutte le pièce andreiniane e contestualizzandole, di volta in volta, nel composito panorama sociale, politico e culturale, della prima metà del XVII secolo, in Italia come in Francia, giacché egli lavorò in entrambi gli stati con una certa regolarità - per questo motivo le ricerche sul campo si sono equamente ripartite tra i due paesi - si è giunti a ricostruire, nel dettaglio, quel tessuto, variegato e multiforme, di legami ed influenze, caratterizzato dalla perpetua pulsione alla sperimentazione, esistente tra l’universo performativo barocco e quello che può considerarsi uno dei più alti esponenti della commedia dell’Arte italiana dell’epoca, ridisegnando così i confini di una carriera interamente votata al Teatro e durata più di mezzo secolo.

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La dissertazione si articola attorno all’idea di tradizione e alla concettualizzazione di genere nella musica di villaggio dei Banyoro e dei Batooro dell’Uganda occidentale. Il lavoro si sviluppa nel complesso in tre parti principali. Nella prima si presentano le trasformazioni storiche intervenute nelle relazioni di genere dal periodo precoloniale al presente e si introduce la musica di villaggio delle popolazioni considerate, ponendola a confronto con la musica di corte e con quella religiosa. La seconda sezione è dedicata allo studio dei repertori vocali e di danza di villaggio, a partire dalla documentazione realizzata con informatori anziani: di queste musiche sono considerate le caratteristiche stilistiche ed è condotta un’analisi che mira a mettere in luce le idee di genere trasmesse attraverso questi repertori. L’ultima parte del lavoro prende in considerazione le trasformazioni intervenute nel panorama musicale ugandese nell’ultimo secolo, a partire dall’influenza di musiche esterne, dall’insegnamento della musica tradizionale nelle scuole e dall’istituzione di festival scolastici e di gruppi folklorici: diverse performance attuali di canti e di danza sotto sottoposte a studio analitico. Nel complesso, si rileva una generale rifunzionalizzazione di musiche e idee di genere che si rifanno al passato, ma hanno valore soprattutto per il recupero della cultura locale nel presente,connotato dal contesto multiculturale dell’Uganda contemporanea e dalle politiche, promosse dal Governo, che favoriscono l’emancipazione femminile.

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Oggetto di questo lavoro è un’analisi dettagliata di un campione ristretto di riprese televisive della Quinta Sinfonia di Beethoven, con l’obiettivo di far emergere il loro meccanismo costruttivo, in senso sia tecnico sia culturale. Premessa dell’indagine è che ciascuna ripresa sia frutto di un’autorialità specifica che si sovrappone alle due già presenti in ogni esecuzione della Quinta Sinfonia, quella del compositore e quella dell’interprete, definita perciò «terza autorialità» riassumendo nella nozione la somma di contributi specifici che portano alla produzione di una ripresa (consulente musicale, regista, operatori di ripresa). La ricerca esamina i rapporti che volta a volta si stabiliscono fra i tre diversi piani autoriali, ma non mira a una ricostruzione filologica: l’obiettivo non è ricostruire le intenzioni dell’autore materiale quanto di far emergere dall’esame della registrazione della ripresa, così com’è data a noi oggi (spesso in una versione già più volte rimediata, in genere sotto forma di dvd commercializzato), scelte tecniche, musicali e culturali che potevano anche essere inconsapevoli. L’analisi dettagliata delle riprese conferma l’ipotesi di partenza che ci sia una sorta di sistema convenzionale, quasi una «solita forma» o approccio standardizzato, che sottende la gran parte delle riprese; gli elementi che si possono definire convenzionali, sia per la presenza sia per la modalità di trattamento, sono diversi, ma sono soprattutto due gli aspetti che sembrano esserne costitutivi: il legame con il rito del concerto, che viene rispettato e reincarnato televisivamente, con la costruzione di una propria, specifica aura; e la presenza di un paradigma implicito e sostanzialmente ineludibile che pone la maggior parte delle riprese televisive entro l’alveo della concezione della musica classica come musica pura, astratta, che deve essere compresa nei suoi propri termini.

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Questo lavoro è imperniato sullo studio di uno dei melodrammi più interessanti della fine del XVII secolo: “Il carceriere di sé medesimo” di Lodovico Adimari (1644-1708) e Alessandro Melani (1639-1703), allestito per la prima volta a Firenze nel 1681, e ripreso nel giro di una ventina d’anni a Reggio (1684), a Bologna (1697) e a Vienna (1702). L’opera vanta un’origine drammatica di spicco: risale infatti alla commedia “Guardarse a sí mismo” di Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) mediata dal “Geôlier de soi-mesme” di Thomas Corneille (1625-1709), e presenta qualità poetiche e musicali evidenti, assicurate dai nomi del poeta Lodovico Adimari e del compositore Alessandro Melani. A ciò si aggiungano una tradizione articolata in quattro allestimenti, nonché un elevato numero di testimoni superstiti: cinque edizioni del libretto (testimoniate da numerosi esemplari) e il numero fortunatissimo di tre partiture manoscritte, conservate a Parigi, Bologna e Modena. La tesi contiene l’edizione critica del “Carceriere di sé medesimo” di Adimari con tutte le varianti accumulatesi nella riedizione del libretto e nella copiatura della partitura, l’analisi del dramma, a partire dal confronto tra i testi di Calderón, Corneille e Adimari, e lo studio delle sue componenti drammatiche, formali e contenutistiche. Si aggiunge uno studio sul contesto storico-musicale degli allestimenti di Firenze, Reggio, Bologna e Vienna, nonché l’edizione dei restanti tre drammi di Adimari: la commedia “Le gare dell’amore e dell’amicizia” (1679), e il dramma per musica “L’amante di sua figlia” (1684).

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Quel che Steiner e molti altri criticano alla lingua contemporanea è il fatto di conformarsi troppo facilmente ai dettami della scienza e della società odierna, svuotando le parole del loro senso e della loro bellezza. Ciò che la scienza e la società in generale tendono a dimenticare, infatti, è che la lingua è composta di parole, fonemi, suoni. La tesi si articola in due Sezioni: una Premessa pedagogica e una Premessa antropologica. La Premessa pedagogica si compone di un solo capitolo, nel quale metteremo a confronto due metodi apparentemente molto diversi tra loro ma che, in realtà, trovano un loro accordo. Si tratta di Jean Piaget e Maria Montessori: del primo affronteremo opere quali Lo strutturalismo e L’epistemologia genetica dal punto di vista dell’acquisizione dei processi cognitivi, focalizzandoci soprattutto sull’apprendimento del linguaggio; della seconda sottolineeremo gli approcci educativi tenuti al fine di un apprendimento linguistico che non risenta di traumi ma che sia fondato su basi scientifiche. Introdurremo il ruolo della musica nei piani didattici e l’importanza di assegnarle una funzione più precisa e determinante. La Premessa antropologica si compone di due capitoli, entrambi dedicati alla musica. Nel Capitolo I parleremo della musicoterapia, un tipo di approccio fondato sul potere comunicativo della musica al fine di ripristinare la comunicazione verbale come è comunemente intesa. Nel Capitolo II, infine, parleremo del Mother Tongue Method introdotto da Shinichi Suzuki e ancora oggi riconosciuto in tutto il mondo. Si tratta di una metodologia che vuole rendere la musica parte delle vite degli individui tanto spontaneamente quanto il linguaggio. La musica diventa, dunque, uno strumento utile a formare i bambini sin da piccoli perché possano affrontare ogni ambito della loro vita con fermezza e abilità.

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Riassunto Il nostro viaggio attraverso la musica folk americana partirà dal un racconto della Grande Depressione, dello stato di indigenza nel quale versava la maggior parte della popolazione e attraverso le vicende e le canzoni del nonno della canzone di protesta: Woody Guthrie. Sottolineeremo come egli abbia influenzato successivamente tutta una serie di cantautori che si formarono con lui, attraverso i suoi scritti o i suoi pezzi. Vedremo dunque come un altro grande musicista, Pete Seeger lottò più volte contro la censura per dare risonanza a tante battaglie altrimenti inascoltate, come i movimenti per i diritti civili degli afroamericani e per la pace. Con le canzoni di Bob Dylan analizzeremo i movimenti giovanili e pacifisti contro la guerra nel Vietnam e i fermenti della beat generation. Considereremo con Bruce Springsteen i nuovi diseredati della recessione economica, la nuova ondata di nazionalismi, le censure successive agli attentati dell’ 11 Settembre 2001 e il nuovo ordine mondiale. La musica folk continuerà dunque a vivere grazie alla comunità che la rende viva e la fa circolare, ma soprattutto, grazie al passaggio di testimone tra i grandi artisti che l’hanno resa concretamente la voce dell’America.