997 resultados para Art-Filosofia


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La tesi defensa la transmutació de la filosofia en la societat de la informació i del coneixement, tant pel que fa referència als nous espais d'aplicació, com als dels temes objecte d'estudi i els mètodes a seguir en la recerca i activitat filosòfica. La tesi està dividida en tres parts: la primera analitza les diferents perspectives filosòfiques de la tècnica i la tecnologia al llarg de la història; la segona reflexiona sobre les característiques de la societat de la informació, la comunicació i del coneixement; i, per últim, la tercera part, com a conseqüència de les dues anteriors, tracta del sentit i de la funció de la filosofia en relació amb la tecnologia i societat actuals.

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This article claim to estabilish a epistemologic discourse from the science history´s point of view in a moment where its statute,methods , approachs and possibility conditions, in history´s crisis period, depares itself in risk, as universitary institutions as european´s social imagination about knowing for excellence. Our spotlight though is the concept of space, a strong question to a timeless snip, once philosophy and History renounced this concept due to the time question, so commum used until nowdays in both discourses. From this perspective, we search to elucidate Spengler´s history and space point of view, attempting to the occidental idea produced by the author, tapping to the symbolical and discursive dynamics and its dialogic relation with westerner´s political and cultural in the end of XIX century toward second great war. Thereby Spengler´s effort was always crucial to define concepts of history, science, art, space,civilizations, culture, city, country and mainly discussing spenglerian relation to social-political facts that sorrounded him. And finally, his project of cientific revolution, which was displayed by Spengler as a challenge to History of science´s paradigm

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Nous présentons ici quelques considérations concernant la confrontation/rencontre entre la philosophie et la littérature. Dans la littérature brésilienne contemporaine, l'oeuvre de Clarice Lispector nous offre l'occasion d'analyser l'oeuvre d'art d'un point de vue interdisciplinaire.

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The most challenging Deleuze/Guattari’s lesson regar- ding art is that it is an autonomous way of thinking and bears of no lack relatively to philosophy and science. In fact, creating artistically is thinking. Throughout this article, I will try to show that art and philosophy are autonomous modes of thinking, as far as the statute of their creations is multiplicity. The multiplicity that characterizes philosophy is concept; the multiplicity that characterizes art is sen- sation. Both of them have their multiplicity character guaranteed by the instance of the problems, to which they are solutions. The most important is that the problems although independent constitute in- terference channels through which two modalities of meeting could happen. First, sensations point out how could a thinker endures in the instance of problems, avoiding both to deprive the concept and to fall in philosophical illusions. In second place in the instance of the problem philosophy and art exchange, so that either a thinker takes an art sensation and extracts from it its generating problem to be philosophically solved or, vice-versa, an artist takes a concept and solves its problem creating new art sensations.

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In front of the vast and widespread use of new technology in 3D animation currently, this research aims to give an overview adjacent to major film productions with Studio Ghibli and its main director/animator: Hayao Miyazaki. Showing up as an interesting exception to worldwide success, the Ghibli feature films are made with the predominance of 2D hand-drawn art. Its process dates back to the first animations created in the early twentieth century, though such tools have been “overcome” by big studios like Walt Disney, Pixar and Dreamworks, the works of Miyazaki still get considerable highlight, preferring the pencil and paper than the computer. With the aid of some authors in particular as McCloud and the founders of Anima Mundi, and other theorists of design and subjective philosophy, some analyzes are mapped to better understand the connection between the work of Miyazaki and his contribution to the field of illustration and originality as a whole. The objective is to find the key points of Ghibli animations which will drive new parameters between creativity, illustration and Western and Eastern praxis.

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L’ermeneutica filosofica di Hans-Georg Gadamer – indubbiamente uno dei capisaldi del pensiero novecentesco – rappresenta una filosofia molto composita, sfaccettata e articolata, per così dire formata da una molteplicità di dimensioni diverse che si intrecciano l’una con l’altra. Ciò risulta evidente già da un semplice sguardo alla composizione interna della sua opera principale, Wahrheit und Methode (1960), nella quale si presenta una teoria del comprendere che prende in esame tre differenti dimensioni dell’esperienza umana – arte, storia e linguaggio – ovviamente concepite come fondamentalmente correlate tra loro. Ma questo quadro d’insieme si complica notevolmente non appena si prendano in esame perlomeno alcuni dei numerosi contributi che Gadamer ha scritto e pubblicato prima e dopo il suo opus magnum: contributi che testimoniano l’importante presenza nel suo pensiero di altre tematiche. Di tale complessità, però, non sempre gli interpreti di Gadamer hanno tenuto pienamente conto, visto che una gran parte dei contributi esegetici sul suo pensiero risultano essenzialmente incentrati sul capolavoro del 1960 (ed in particolare sui problemi della legittimazione delle Geisteswissenschaften), dedicando invece minore attenzione agli altri percorsi che egli ha seguito e, in particolare, alla dimensione propriamente etica e politica della sua filosofia ermeneutica. Inoltre, mi sembra che non sempre si sia prestata la giusta attenzione alla fondamentale unitarietà – da non confondere con una presunta “sistematicità”, da Gadamer esplicitamente respinta – che a dispetto dell’indubbia molteplicità ed eterogeneità del pensiero gadameriano comunque vige al suo interno. La mia tesi, dunque, è che estetica e scienze umane, filosofia del linguaggio e filosofia morale, dialogo con i Greci e confronto critico col pensiero moderno, considerazioni su problematiche antropologiche e riflessioni sulla nostra attualità sociopolitica e tecnoscientifica, rappresentino le diverse dimensioni di un solo pensiero, le quali in qualche modo vengono a convergere verso un unico centro. Un centro “unificante” che, a mio avviso, va individuato in quello che potremmo chiamare il disagio della modernità. In altre parole, mi sembra cioè che tutta la riflessione filosofica di Gadamer, in fondo, scaturisca dalla presa d’atto di una situazione di crisi o disagio nella quale si troverebbero oggi il nostro mondo e la nostra civiltà. Una crisi che, data la sua profondità e complessità, si è per così dire “ramificata” in molteplici direzioni, andando ad investire svariati ambiti dell’esistenza umana. Ambiti che pertanto vengono analizzati e indagati da Gadamer con occhio critico, cercando di far emergere i principali nodi problematici e, alla luce di ciò, di avanzare proposte alternative, rimedi, “correttivi” e possibili soluzioni. A partire da una tale comprensione di fondo, la mia ricerca si articola allora in tre grandi sezioni dedicate rispettivamente alla pars destruens dell’ermeneutica gadameriana (prima e seconda sezione) ed alla sua pars costruens (terza sezione). Nella prima sezione – intitolata Una fenomenologia della modernità: i molteplici sintomi della crisi – dopo aver evidenziato come buona parte della filosofia del Novecento sia stata dominata dall’idea di una crisi in cui verserebbe attualmente la civiltà occidentale, e come anche l’ermeneutica di Gadamer possa essere fatta rientrare in questo discorso filosofico di fondo, cerco di illustrare uno per volta quelli che, agli occhi del filosofo di Verità e metodo, rappresentano i principali sintomi della crisi attuale. Tali sintomi includono: le patologie socioeconomiche del nostro mondo “amministrato” e burocratizzato; l’indiscriminata espansione planetaria dello stile di vita occidentale a danno di altre culture; la crisi dei valori e delle certezze, con la concomitante diffusione di relativismo, scetticismo e nichilismo; la crescente incapacità a relazionarsi in maniera adeguata e significativa all’arte, alla poesia e alla cultura, sempre più degradate a mero entertainment; infine, le problematiche legate alla diffusione di armi di distruzione di massa, alla concreta possibilità di una catastrofe ecologica ed alle inquietanti prospettive dischiuse da alcune recenti scoperte scientifiche (soprattutto nell’ambito della genetica). Una volta delineato il profilo generale che Gadamer fornisce della nostra epoca, nella seconda sezione – intitolata Una diagnosi del disagio della modernità: il dilagare della razionalità strumentale tecnico-scientifica – cerco di mostrare come alla base di tutti questi fenomeni egli scorga fondamentalmente un’unica radice, coincidente peraltro a suo giudizio con l’origine stessa della modernità. Ossia, la nascita della scienza moderna ed il suo intrinseco legame con la tecnica e con una specifica forma di razionalità che Gadamer – facendo evidentemente riferimento a categorie interpretative elaborate da Max Weber, Martin Heidegger e dalla Scuola di Francoforte – definisce anche «razionalità strumentale» o «pensiero calcolante». A partire da una tale visione di fondo, cerco quindi di fornire un’analisi della concezione gadameriana della tecnoscienza, evidenziando al contempo alcuni aspetti, e cioè: primo, come l’ermeneutica filosofica di Gadamer non vada interpretata come una filosofia unilateralmente antiscientifica, bensì piuttosto come una filosofia antiscientista (il che naturalmente è qualcosa di ben diverso); secondo, come la sua ricostruzione della crisi della modernità non sfoci mai in una critica “totalizzante” della ragione, né in una filosofia della storia pessimistico-negativa incentrata sull’idea di un corso ineluttabile degli eventi guidato da una razionalità “irrazionale” e contaminata dalla brama di potere e di dominio; terzo, infine, come la filosofia di Gadamer – a dispetto delle inveterate interpretazioni che sono solite scorgervi un pensiero tradizionalista, autoritario e radicalmente anti-illuminista – non intenda affatto respingere l’illuminismo scientifico moderno tout court, né rinnegarne le più importanti conquiste, ma più semplicemente “correggerne” alcune tendenze e recuperare una nozione più ampia e comprensiva di ragione, in grado di render conto anche di quegli aspetti dell’esperienza umana che, agli occhi di una razionalità “limitata” come quella scientista, non possono che apparire come meri residui di irrazionalità. Dopo aver così esaminato nelle prime due sezioni quella che possiamo definire la pars destruens della filosofia di Gadamer, nella terza ed ultima sezione – intitolata Una terapia per la crisi della modernità: la riscoperta dell’esperienza e del sapere pratico – passo quindi ad esaminare la sua pars costruens, consistente a mio giudizio in un recupero critico di quello che egli chiama «un altro tipo di sapere». Ossia, in un tentativo di riabilitazione di tutte quelle forme pre- ed extra-scientifiche di sapere e di esperienza che Gadamer considera costitutive della «dimensione ermeneutica» dell’esistenza umana. La mia analisi della concezione gadameriana del Verstehen e dell’Erfahrung – in quanto forme di un «sapere pratico (praktisches Wissen)» differente in linea di principio da quello teorico e tecnico – conduce quindi ad un’interpretazione complessiva dell’ermeneutica filosofica come vera e propria filosofia pratica. Cioè, come uno sforzo di chiarificazione filosofica di quel sapere prescientifico, intersoggettivo e “di senso comune” effettivamente vigente nella sfera della nostra Lebenswelt e della nostra esistenza pratica. Ciò, infine, conduce anche inevitabilmente ad un’accentuazione dei risvolti etico-politici dell’ermeneutica di Gadamer. In particolare, cerco di esaminare la concezione gadameriana dell’etica – tenendo conto dei suoi rapporti con le dottrine morali di Platone, Aristotele, Kant e Hegel – e di delineare alla fine un profilo della sua ermeneutica filosofica come filosofia del dialogo, della solidarietà e della libertà.

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In base ad una recensione esaustiva dei riferimenti alla musica e al sonoro nella produzione filosofica di Gilles Deleuze e Félix Guattari, la presente ricerca s’incentra sulla posizione che il pensiero musicale di John Cage occupa in alcuni testi deleuziani. Il primo capitolo tratta del periodo creativo di Cage fra il 1939 e il 1952, focalizzandosi su due aspetti principali: la struttura micro-macrocosmica che contraddistingue i suoi primi lavori, e i quattro elementi che in questo momento sintetizzano per Cage la composizione musicale. Questi ultimi sono considerati in riferimento alla teoria della doppia articolazione che Deleuze e Guattari riprendono da Hjelmslev; entrambi gli aspetti rimandano al sistema degli strati e della stratificazione esposta su Mille piani. Il secondo capitolo analizza la musica dei decenni centrali della produzione cagiana alla luce del luogo in Mille piani dove Cage è messo in rapporto al concetto di “piano fisso sonoro”. Un’attenzione particolare è posta al modo in cui Cage concepisce il rapporto fra durata e materiali sonori, e al grado variabile in cui sono presenti il caso e l’indeterminazione. Le composizioni del periodo in questione sono inoltre viste in riferimento al concetto deleuzo-guattariano di cartografia, e nelle loro implicazioni per il tempo musicale. L’ultimo quindicennio della produzione di Cage è considerata attraverso il concetto di rizoma inteso come teoria delle molteplicità. In primo luogo è esaminata la partitura di Sylvano Bussotti che figura all’inizio di Mille piani; in seguito, i lavori testuali e musicali di Cage sono considerati secondo le procedure compositive cagiane del mesostico, delle parentesi di tempo che concorrono a formare una struttura variabile, e dell’armonia anarchica dell’ultimo Cage.

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Henry David Thoreau and his masterpiece, Walden, are both deeply embedded in our lives. It’s almost impossible today to perform a candid walk through the pages of the book that brings in its title the name of the beautiful lake, near Concord, without carrying to our contemporary reading the constellation of fears that haunt us. We are the fragile inhabitants of the grim and probably desperate, “Anthropocene era”2. How can we follow the thoughts and steps from the solitary friend and disciple of Emerson, without seeing him as a forefather of our anguish before the future, seemingly captured by the shadows of economic doom and environmental collapse?

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