74 resultados para A. veneta


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The introduction of earthworms into soils contaminated with metals and metalloids has been suggested to aid restoration practices. Eisenia veneta (epigeic), Lumbricus terrestris (anecic) and Allolobophora chlorotica (endogeic) earthworms were cultivated in columns containing 900 g soil with 1130, 345, 113 and 131 mg kg1 of As, Cu, Pb and Zn, respectively, for up to 112 days, in parallel with earthworm-free columns. Leachate was produced by pouring water on the soil surface to saturate the soil and generate downflow. Ryegrass was grown on the top of columns to assess metal uptake into biota. Different ecological groups affected metals in the same way by increasing concentrations and free ion activities in leachate, but anecic L. terrestris had the greatest effect by increasing leachate concentrations of As by 267%, Cu by 393%, Pb by 190%, and Zn by 429% compared to earthworm-free columns. Ryegrass grown in earthworm-bearing soil accumulated more metal and the soil microbial community exhibited greater stress. Results are consistent with earthworm enhanced degradation of organic matter leading to release of organically bound elements. The degradation of organic matter also releases organic acids which decrease the soil pH. The earthworms do not appear to carry out a unique process, but increase the rate of a process that is already occurring. The impact of earthworms on metal mobility and availability should therefore be considered when inoculating earthworms into contaminated soils as new pathways to receptors may be created or the flow of metals and metalloids to receptors may be elevated.

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Questo tema è alquanto attuale per la città di Venezia e soprattutto per quanto riguarda proprio il ponte dell’Accademia che, nato come provvisorio, è rimasto tale fino ai giorni nostri. Per comprendere al meglio la natura di questi manufatti, ho analizzato i quattro ponti sul Canal Grande, partendo dal ponte di Rialto, poi Scalzi e Accademia e infine il ponte della Costituzione. L’analisi è stata compiuta sia dal punto di vista storico che costruttivo, ho esaminato tutte le vicende storiche che hanno caratterizzato la loro “immagine” attuale e infine ho deciso di scomporli e studiare ogni parte, partendo dalle fondazioni fino ad arrivare ai parapetti. Oltre a questa minuziosa analisi, abbiamo affrontato il tema dei materiali che compongono questi quattro manufatti e cioè: la pietra, il legno, l’acciaio e il cemento armato. Si è rilevato importante non studiare solo le caratteristiche fisiche e meccaniche, ma anche la loro evoluzione nel tempo e nella storia dell’architettura dei ponti. Queste analisi sono state importanti per realizzare un progetto che non rompesse il filo conduttore che li lega e cioè che sono tutti ad arco ribassato con una freccia sempre minore con l’aumento delle innovazioni tecnologiche. Il progetto, quindi, si evoluto mano a mano che le analisi venivano compiute e in base al bando per il ponte dell’Accademia del comune di Venezia, bandito nel giugno del 2009. Il bando è stato il punto cardine che ha fatto da perno al progetto, delineando i punti fondamentali da seguire e da sviluppare. La documentazione relativa al bando è stata sufficiente per iniziare uno studio approfondito della struttura precedente per comprenderla in tutte le sue parti. Anche l’analisi dei progetti redatti per la Terza Mostra Internazionale dell’Architettura è stata un’occasione per approfondire e sviluppare una forma nuova e nel contempo non invasiva per la città veneta. Tutto questo ha portato alla realizzazione di un progetto che rispetta tutti i punti che il bando impone, utilizzando sia materiali innovativi che tradizionali, creando un manufatto che non stravolge l’immagine di Venezia e che finalmente offre un volto al ponte dell’Accademia che da ottant’anni continua ad avere la “fama di ponte provvisorio.

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Il presente lavoro è stato avviato per caratterizzare dal punto di vista geochimico i siti di alimentazione e di riproduzione del Fenicottero ed ottenere così un dataset relativo alle concentrazioni di metalli nei sedimenti di alcune zone umide, utilizzate da questa specie per alimentarsi e riprodursi e scarsamente studiate in passato. Il lavoro di tesi qui presentato si è articolato in due differenti studi: • Un’indagine dettagliata sulla presenza e distribuzione di metalli ed elementi potenzialmente tossici nei sedimenti provenenti da alcune delle principali aree di alimentazione del Fenicottero nell’Alto Adriatico; • Un’indagine preliminare relativa ai metalli contenuti nei sedimenti provenienti da alcuni siti riproduttivi del Fenicottero nel Mediterraneo occidentale. Per quanto riguarda i siti di alimentazione sono state campionate tre zone umide dell’area deltizia del fiume Po: le Valli di Rosolina, Valle Bertuzzi e le Valli di Comacchio. Riguardo i siti riproduttivi sono state campionate cinque aree umide nel Mediterraneo occidentale: le Paludi dell’Odiel nel sud-ovest della Spagna, la Camargue in Francia, lo Stagno di Cagliari in Sardegna, le Valli di Comacchio in Emilia-Romagna e Valle Dogà in Laguna di Venezia. I 57 campioni raccolti sono stati analizzati mediante analisi XRF ed analisi termiche, presso il Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, dell’Università di Bologna, e mediante analisi ICP-MS, presso l’AcmeLabs di Vancouver (Canada). Il complesso deltizio del fiume Po ha registrato concentrazioni anomale di Cd, Pb, Sb e Sn mostrando un generale arricchimento nei sedimenti delle aree umide investigate rispetto al valore di riferimento. Analizzando le correlazioni di questo elemento con le frazioni dei sedimenti, si è evidenziata una buona correlazione con la componente organica del sedimento. Ciò potrebbe indicare la presenza di fenomeni di adsorbimento di questo elemento ad opera della matrice organica. L’area di studio non è apparentemente interessata da importanti attività industriali, che potrebbero in parte spiegare le elevate concentrazioni di Cd, Pb, Sb e Sn. Due potenziali sorgenti antropogeniche di contaminazione sono rappresentate da un’estensiva attività agricola nelle zone limitrofe alle valli considerate e da un elevata pressione venatoria esercitata proprio all’interno di queste zone umide. In particolare, quest’ultima attività umana, potrebbe rappresentare una spiegazione più che plausibile per l’elevata presenza di Pb, messa in evidenza dallo studio, dato che fino ad pochissimi anni venivano utilizzate munizioni al Pb con conseguente rilascio in ambiente di ingenti quantitativi di questo metallo. Il Cu e lo Zn si distribuiscono invece in modo relativamente omogeneo nelle tre zone umide investigate, con un debole arricchimento di questi due elementi nei sedimenti delle Valli di Rosolina. Per quanto riguarda l’As, la sua distribuzione nell’area di studio, confrontata con i valori di background, non sembra sollevare particolare preoccupazione, cosi come la presenza di Hg in tutti e tre i siti investigati. Le Valli di Comacchio e Valle Bertuzzi sono inoltre caratterizzate da concentrazioni elevate di Cr e Ni, dati che confermano il naturale arricchimento di questi due elementi nell’area di studio evidenziato da un ampia letteratura e riconducibile ad apporti litologici provenienti dai depositi ofiolitici delle Alpi occidentali trasportati dal fiume Po verso l’Adriatico. Tuttavia, in alcuni campioni la concentrazione di Cr è molto superiore a quella caratteristica delle ofioliti di origine alpina, soprattutto per Valle Bertuzzi. Per spiegare queste anomalie sono necessarie indagini più approfondite sulla presenza e distribuzione di Cr nell’area di Comacchio e Bertuzzi. Riguardo ai 5 siti riproduttivi del Fenicottero, la colonia di Odiel (Spagna) si distingue per essere il sito maggiormente contaminato tra quelli investigati. Si sono infatti riscontrate elevate concentrazioni di As, Cu, Hg, Pb, Sb, Sn e Zn, se confrontate con quelle degli altri siti campionati. Questo risultato non sorprende. Il sito è infatti riconosciuto in letteratura come uno dei sistemi estuarini più inquinati dell’Europa occidentale, in quanto interessato dall’attività mineraria della IPB (Iberian Pyrite Belt), uno dei più importanti siti minerari mondiali, e dall’attività del polo industriale di Huelva. La colonia francese della Camargue si distingue invece per essere il sito meno impattato dall’attività antropica, non mostrando concentrazioni anomale per nessuno degli elementi in traccia analizzati. I sito riproduttivo situato nei pressi di Cagliari, in Sardegna, ha riportato elevate concentrazioni di Cd, Hg e Pb. La contaminazione di questo sito a seguito di ingenti scarichi di rifiuti industriali contenenti Hg e Pb a partire dagli anni ’60 è ben documentata in letteratura. Sebbene negli anni ’90 siano stati realizzati progetti di bonifica del sito, le concentrazioni ottenute nel presente studio sono ancora elevate suggerendo la possibilità che il processo di rimozione di Hg e Pb messo in atto in passato possa aver avuto scarsa efficacia. La colonia riproduttiva di Comacchio ha registrato concentrazioni elevate di Cr, Ni e Pb. Come già detto riguardo ai siti di alimentazione l’abbondanza di Cr e Ni nell’area è da ricondurre a fattori naturali, mentre le elevate concentrazioni di Pb non trovano riscontri in precedenti studi. La presenza di alcuni campioni con concentrazioni anomale di Cr e il generale arricchimento di Pb nel sito suggeriscono la necessità di studi più approfonditi e specifici sulla presenza di questi elementi nell’area di Comacchio. Infine, la colonia situata in Laguna di Venezia si caratterizza per avere concentrazioni relativamente elevate di Cd e Hg riconducibili all’attività del polo industriale di Porto Marghera, come già evidenziato da numerosi studi. Tuttavia, i dati del presente studio non confermano le concentrazioni anomale di Zn messe in evidenza da molti studi effettuati nell’intera laguna veneta. Ciò può trovare una spiegazione nel fatto che il sito indagato in questo studio corrisponde ad un piccola porzione dell’intera laguna, molto raramente investigato negli studi passati. Mediante il presente studio è stato quindi possibile implementare le scarse conoscenze geochimiche relative ai sedimenti di alcune zone umide frequentate dai fenicotteri nell’Alto Adriatico e, al contempo, mettere in luce alcune importanti criticità, in particolar modo riguardo Cd, Cr, Pb, Sb e Sn, la cui presenza e distribuzione nell’area dovrebbero essere ulteriormente investigate da studi futuri.

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Progetto per la città di Jesolo, situato nell'area denominata Parco della Musica nel P.R.G. e in cui insiste già un progetto denominato X-Site. Si prevede la realizzazioone di un ecomuseo per la laguna veneta completo di altri edifici al suo servizio come una stazione fluviale, case d'affitto e laboratoti e aule didattiche.

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L’elaborato ha avuto ad oggetto l’analisi delle sofisticate soluzioni normative proposte dall’ordinamento nazionale in relazione all’evoluzione della finanza di progetto. In particolare, è stata condotto un dettagliato studio delle fasi che compongono il project financing, nonché dei soggetti che, a diverso titolo e ragione, vi partecipano. L’elaborato contiene, poi, recenti esempi concreti di project financing nelle infrastrutture primarie (autostrade) tra cui il progetto di costruzione e la successiva gestione dell’autostrada regionale Medio Padana veneta, dell’autostrada regionale Cispadana, e dell’autostrada “Nogara-mare”. L’ultimo parte della tesi è stata infine incentrata sull’analisi delle più recenti pronunce giurisprudenziali in materia di project financing. In particolare, si ha avuto modo di analizzare il fenomeno dello jus poenitendi dell’amministrazione aggiudicatrice, nonché, più in generale gli eventi che possono negativamente incidere sulla finanza di progetto (mancata aggiudicazione, risoluzione del contratto di gestione, ecc.).

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La tesi contiene uno studio sperimentale sul comportamento di una sabbia limosa del sottosuolo della laguna veneta e propone un'interpretazione dei risultati sperimentali ottenuti alla luce dei presupposti teorici di un approccio costitutivo avanzato noto come "Plasticità Generalizzata". Il programma sperimentale è consistito nella realizzazione di prove edometriche e prove triassiali su campioni di sabbia provenienti dal sito di Treporti, situato in prossimità della bocca di Lido. La risposta sperimentale, in termini di modulo volumetrico, è stata messa a confronto con i risultati di alcuni studi di letteratura, con particolare riferimento a quelli condotti da Jefferies & Been (2000). La disponibilità di prove di compressione edometrica realizzate nella cella K0 e la conseguente possibilità di valutare il coefficiente di spinta a riposo ha permesso di interpretare le prove in termini di tensione media efficace p' e di verificare l'applicabilità al caso in esame degli approcci di letteratura disponibili, spesso sviluppati a partire da prove di compressione isotropa effettuate in cella triassiale. Il comportamento tenso-deformativo osservato è stato successivamente simulato con un modello costitutivo per sabbie sviluppato nell'ambito della Plasticità Generalizzata. In particolare sono state utilizzate tre diverse formulazioni, che costituiscono un avanzamento dell'iniziale modello costitutivo proposto da Pastor, Zienkiewicz e Chan (1990), basate sull'uso di un parametro di stato del materiale definito rispetto alle condizioni di Stato Critico. Dal confronto tra previsioni del modello e risposta sperimentale è stato possibile individuare la formulazione che meglio simula il comportamento meccanico osservato sia in compressione edometrica sia in prove di taglio ed è stato proposto un set di parametri costitutivi ritenuti rappresentativi del terreno studiato.

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To provide insights into the long-term evolution of aquatic ecosystems without human interference, we here evaluate a decadal- to centennial-scale-resolution diatom record spanning about 12 ka of the Holsteinian interglacial (Marine Isotope Stage 11c). Using a partially varved sediment core from the Dethlingen palaeolake (northern Germany), which has previously been studied for palynological and microfacies signals, we document the co-evolution of the aquatic and surrounding terrestrial environment. The diatom record is dominated by the genera Stephanodiscus, Aulacoseira, Ulnaria and Fragilaria. Based on the diatom assemblages and physical sediment properties, the evolution of the Dethlingen palaeolake can be subdivided into three major phases. During the oldest phase (lasting ~1900 varve years), the lake was ~10-15 m deep and characterized by anoxic bottom-water conditions and a high nutrient content. The following ~5600 years exhibited water depths >20 m, maximum diatom and Pediastrum productivity, and a peak in allochtonous nutrient input. During this phase, water-column mixing became more vigorous, resulting in a breakdown of anoxia. The youngest lake phase (~4000-5000 years) was characterized by decreasing water depth, turbulent water conditions and decreased nutrient loading. Based on our palaeolimnological data, we conclude that the evolution of the Dethlingen palaeolake during the Holsteinian interglacial responded closely to (i) changes within the catchment area (as documented by vegetation and sedimentation) related to the transition from closed forests growing on nutrient-rich soils (mesocratic forest phase) to open forests developing on poor soils (oligocratic forest phase), and (ii) short-term climate variability as reflected in centennial-scale climate perturbations.

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Radiolarians form a remarkable part of the fossil plankton for Cretaceous sediments of the North Atlantic. Selected sites with long-term sedimentary successions of deep facies were studied (ODP Leg 103 and DSDP Site 398 off northwest Spain and DSDP Site 603 off the east coast of the United States). Preservation of the radiolarian faunas is generally poor, and the faunal abundance and diversity reflect the diagenetic history of the host sediment rather than the original faunal productivity. Several exceptions include abundant and some well-preserved radiolarian faunas from lower Campanian, Cenomanian/Turonian boundary, upper Albian, lower Albian, and Barremian sediments. These increases in radiolarian abundance and preservation coincide with well-established Cretaceous oceanic events in the North Atlantic. Typical faunal associations of these sections are described, and faunal associations from the Cenomanian/Turonian Boundary Event are documented for the first time in the North Atlantic. The relationship of the radiolarian blooms with coeval oceanic events in the North Atlantic is also discussed.

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Studies combining sedimentological and biological evidence to reconstruct Holocene climate beyond the major changes, and especially seasonality, are rare in Europe, and are nearly completely absent in Germany. The present study tries to reconstruct changes of seasonality from evidence of annual algal successions within the framework of well-established pollen zonation and 14C-AMS dates from terrestrial plants. Laminated Holocene sediments in Lake Jues (10°20.70' E, 51°39.30' N, 241 m a.s.l.), located at the SW margin of the Harz Mountains, central Germany, were studied for sediment characteristics, pollen, diatoms and coccal green algae. An age model is based on 21 calibrated AMS radiocarbon dates from terrestrial plants. The sedimentary record covers the entire Holocene period. Trophic status and circulation/stagnation patterns of the lake were inferred from algal assemblages, the subannual structure of varves and the physico-chemical properties of the sediment. During the Holocene, mixing conditions alternated between di-, oligo- and meromictic depending on length and variability of spring and fall periods, and the stability of winter and summer weather. The trophic state was controlled by nutrient input, circulation patterns and the temperature-dependent rates of organic production and mineralization. Climate shifts, mainly in phase with those recorded from other European regions, are inferred from changing limnological conditions and terrestrial vegetation. Significant changes occurred at 11,600 cal. yr. BP (Preboreal warming), between 10,600 and 10,100 cal. yr. BP (Boreal cooling), and between 8,400 and 4,550 cal. yr. BP (warm and dry interval of the Atlantic). Since 4,550 cal. yr. BP the climate became gradually cooler, wetter and more oceanic. This trend was interrupted by warmer and dryer phases between 3,440 and 2,850 cal. yr. BP and, likely, between 2,500 and 2,250 cal. yr. BP.

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The diatom flora of three lakes in the ice-free Amery Oasis, East Antarctica, was studied. Two of the lakes are meltwater reservoirs, Terrasovoje Lake (31 m depth) and Radok Lake (362 m depth), while Beaver Lake (>435 m depth) is an epishelf lake. The lakes can be characterized as cold, ultra-oligotrophic and alkaline, displaying moderate (Radok and Terrasovoje lakes) to high (Beaver Lake) conductivities. There was no diatom phytoplankton present in any of the three lakes. While 34 benthic diatom taxa were identified from modern and Holocene sediments of Terrasovoje and Radok lakes, a 30-cm long sediment core recovered in Beaver Lake was barren. Five species (Luticola muticopsis, Muelleria peraustralis, Pinnularia cymatopleura, Psammothidium metakryophilum, P. stauroneioides) are endemic to the Antarctic region. All identified taxa are photographically documented and brief notes on their taxonomy, biogeography and ecology are provided. The most abundant diatom taxa are Amphora veneta, Craticula cf. molesta, Diadesmis spp, M. peraustralis and Stauroneis anceps. This is the first report on the diatom flora in lakes of the Amery Oasis.