985 resultados para Piante commestibili, alimenti tradizionali, Asteracee, fenoli, attività antiosssidante,
Resumo:
Il lavoro di ricerca tenta di inquadrare sotto nuove prospettive una problematica ormai classica all’interno della semiotica della pubblicità: l’analisi dello spot. I punti chiave del lavoro – e la pretesa di una certa differenza rispetto a lavori con oggetti affini – consistono sostanzialmente in tre aspetti. Innanzitutto, vi è un ritorno alle origini flochiane nella misura in cui non solo il contesto complessivo e le finalità che la ricerca si propone sono fortemente ancorati all’interno di obiettivi di marketing, ma tutto lo studio nella sua interezza nasce dal dialogo concreto tra metodologia di analisi semiotica e prassi concreta all’interno degli istituti di ricerca di mercato. La tesi non presenta quindi una collezione di analisi di testi pubblicitari condotte in modo autoriferito, quanto piuttosto di “messe alla prova” della metodologia, funzionali alla definizione di disegni di ricerca per la marketing research. Questo comporta un dialogo piuttosto stretto con metodologie affini (sociologia qualitativa e quantitativa, psicologia motivazionale, ecc.) nella convinzione che la priorità accordata all’oggetto di analisi sia sovraordinata rispetto all’ortodossia degli strumenti metodologici. In definitiva, lo spot è sempre e comunque analizzato all’interno di una prospettiva brand-centrica che ha ben in mente la semiotica della situazione di consumo rispetto alla quale lo spot agisce da leva di valorizzazione per l’acquisto. In secondo luogo, gli oggetti analizzati sono piuttosto vari e differenziati: non solo lo spot nella sua versione audiovisiva definitiva (il “girato”), ma anche storyboard, animatic, concept (di prodotto e di comunicazione). La prospettiva generativa greimasiana va a innestarsi su problematiche legate (anche) alla genesi dello spot, alla sua progettazione e riprogettazione/ottimizzazione. La tesi mostra quindi come una semiotica per le consulenze di marketing si diriga sul proprio oggetto ponendogli domande ben circoscritte e finalizzate a un obiettivo specifico, sostanzialmente derivato dal brief contenente le intenzioni comunicazionali del cliente-azienda. Infine, pur rimanendo all’interno di una teoria semiotica generativa (sostanzialmente greimasiana e post greimasiana), la ricerca adotta una prospettiva intrinsecamente multidisciplinare che se da un lato guarda a problematiche legate al marketing, al branding e alla comunicazione pubblicitaria e d’impresa tout court, dall’altro ritorna alle teorie dell’audiovisivo, mostrando affinità e differenze rispetto a forme audiovisive standard (il “film”) e a mutuazioni da nuove estetiche (la neotelevisione, il videoclip, ecc). La tesi si mostra solidamente convinta del fatto che per parlare di efficacia discorsiva sia imprescindibile approfondire le tematiche riguardanti il sincretismo espressivo e le specifiche modalità di manifestazione stilistica. In questo contesto, il lavoro si compone di quattro grandi aree tematiche. Dopo una breve introduzione sull’attualità del tema “spot” e sulla prospettiva analiticometodologica adottata (§ 1.), nel secondo capitolo si assume teoreticamente che i contenuti dello spot derivino da una specifica (e di volta in volta diversa) creolizzazione tra domini tematici derivanti dalla marca, dal prodotto (inteso tanto come concept di prodotto, quanto come prodotto già “vestito” di una confezione) e dalle tendenze socioculturali. Le tre dimensioni vengono valutate in relazione all’opposizione tra heritage, cioè continuità rispetto al passato e ai concorrenti e vision, cioè discontinuità rispetto alla propria storia comunicazionale e a quella dei concorrenti. Si esplorano inoltre altri fattori come il testimonial-endorser che, in quanto elemento già intrinsecamente foriero di elementi di valorizzazione, va a influire in modo rilevante sul complesso tematico e assiologico della pubblicità. Essendo la sezione della tesi che prende in considerazione il piano specificatamente contenutistico dello spot, questa parte diventa quindi anche l’occasione per ritornare sul modello delle assiologie del consumo di Jean-Marie Floch, approntando alcune critiche e difendendo invece un modello che – secondo la prospettiva qui esposta – contiene punti di attualità ineludibili rispetto a schematizzazioni che gli sono successive e in qualche modo debitrici. Segue una sezione (§ 3.) specificatamente dedicata allo svolgimento e dis-implicazione del sincretismo audiovisivo e quindi – specularmente alla precedente, dedicata alle forme e sostanze del contenuto – si concentra sulle dinamiche espressive. Lo spot viene quindi analizzato in quanto “forma testuale” dotata di alcune specificità, tra cui in primis la brevità. Inoltre vengono approfondite le problematiche legate all’apporto di ciascuna specifica sostanza: il rapporto tra visivo e sonoro, lo schermo e la sua multiprospetticità sempre più evidente, il “lavoro” di punteggiatura della musica, ecc. E su tutto il concetto dominante di montaggio, intrinsecamente unito a quello di ritmo. Il quarto capitolo ritorna in modo approfondito sul rapporto tra semiotica e ricerca di mercato, analizzando sia i rapporti di reciproca conoscenza (o non conoscenza), sia i nuovi spazi di intervento dell’analisi semiotica. Dopo aver argomentato contro un certo scetticismo circa l’utilità pragmatica dell’analisi semiotica, lo studio prende in esame i tradizionali modelli di valutazione e misurazione dell’efficacia pubblicitaria (pre- e post- test) cercando di semiotizzarne il portato. Ne consegue la proposta di disegni di ricerca semiotici modulari: integrabili tra loro e configurabili all’interno di progetti semio-quali-quantitativi. Dopo aver ridefinito le possibilità di un’indagine semiotica sui parametri di efficacia discorsiva, si procede con l’analisi di un caso concreto (§ 5.): dato uno spot che si è dimostrato efficace agli occhi dell’azienda committente, quali possono essere i modi per replicarne i fattori di successo? E come spiegare invece quelli di insuccesso delle campagne successive che – almeno teoricamente – erano pensate per capitalizzare l’efficacia della prima? Non si tratta quindi di una semiotica ingenuamente chiamata a “misurare” l’efficacia pubblicitaria, che evidentemente la marketing research analizza con strumenti quantitativi assodati e fondati su paradigmi di registrazione di determinati parametri sul consumatore (ricordo spontaneo e sollecitato, immagine di marca risultante nella mente di user e prospect consumer, intenzione d’acquisto stimolata). Piuttosto l’intervento qui esposto si preoccupa più funzionalmente a spiegare quali elementi espressivi, discorsivi, narrativi, siano stati responsabili (e quindi prospetticamente potranno condizionare in positivo o in negativo in futuro) la ricezione dello spot. L’analisi evidenzia come elementi apparentemente minimali, ancorati a differenti livelli di pertinenza siano in grado di determinare una notevole diversità negli effetti di senso. Si tratta quindi di un problema di mancata coerenza tra intenzioni comunicative e testo pubblicitario effettivamente realizzato. La risoluzione di tali questioni pragmatiche conduce ad approfondimenti teoricometodologici su alcuni versanti particolarmente interessanti. In primo luogo, ci si interroga sull’apporto della dimensione passionale nella costruzione dell’efficacia e nel coinvolgimento dello spettatore/consumatore. Inoltre – e qui risiede uno dei punti di maggior sintesi del lavoro di tesi – si intraprende una proficua discussione dei modelli di tipizzazione dei generi pubblicitari, intesi come forme discorsive. Si fanno quindi dialogare modelli diversi ma in qualche misura coestensivi e sovrapponibili come quelli di Jean Marie Floch, Guido Ferraro, Cosetta Saba e Chiara Giaccardi. Si perviene così alla costruzione di un nuovo modello sintetico, idealmente onnipervasivo e trasversale alle prospettive analizzate.
Resumo:
L’importanza dell’acqua nel territorio ravennate è facilmente riscontrabile nella sua storia: la città sorge letteralmente in mezzo all’acqua, composta da fiumi, canali e specchi d’acqua, mutati profondamente nel corso del tempo grazie alle bonifiche e all’opera dell’uomo. Diventa, quindi, fondamentale uno studio di come la città abbia convissuto, si sia adattata all’acqua e di come l’uomo abbia cambiato la conformazione della città nel tempo in base al sistema idrico. Ora Ravenna ha, per cosi dire, perso il suo carattere di città marittima, ciò che prima si trovava a diretto contatto con il mare ora risulta distaccato e le tracce di questa evoluzione si sono via via perse col passare degli anni. L’unico collegamento al mare e alle zona lagunare limitrofa al porto rimane il canale Candiano, un collegamento che porta l’acqua fino al confine del centro storico. Il porto che prima rivestiva un ruolo importante e di sopravvivenza, in quanto il mercato ittico rappresentava un punto nodale nella vita della città e dei suoi abitanti, ora ha cambiato la sua destinazione a crocevia del commercio e di materie prime utilizzate dalle industrie sorte lungo le sponde del canale Candiano. Il museo delle acque vuole essere perciò un salto nel passato, riscoprendo e valorizzando l’antico legame tra uomo, città e acqua. Alla luce dello stato di fatto, dei cambiamenti e degli studi condotti sull’area, andiamo ora a chiarire gli aspetti basilari e generatori dell’edificio museale: - L’ingresso verrà posto lungo l’asse viario proveniente dalla città e dal mausoleo di Teodorico. - L’intero progetto verrà immerso nel verde, e collegato al vicino parco di Teodorico. - Il museo verrà realizzato all’interno di una piazza urbana che diverrà il fulcro della nuova cittadella della cultura. Prima di tutto è importante capire cosa si vuole esporre all’interno del museo e a che tipo di visitatore le mostre sono dedicate. Il museo prevede per lo più mostre permanenti dedicate al tema dell’acqua. L’esposizione si dividerà principalmente in due parti, la prima riguarderà le lagune costiere presenti nelle zone del porto di Ravenna, la seconda dedicata al Mare saranno quindi idealmente due percorsi differenti. Il percorso inizierà al primo piano con una sala completamente buia nella quale verranno presentati gli aspetti principali dei fondali. Nel caso delle lagune, saranno esposte le stratificazione e composizione dei fondali con carotaggi e pannelli illustrativi dell’evoluzione nel tempo, gli aspetti chimici e soprattutto idraulici di questo sistema. Il tutto sarà improntato per far comprendere l’importanza delle lagune, grazie alle quali è possibile il corretto funzionamento del porto, dovuto elle maree. Al secondo piano del Museo verrà illustrata la vita all’interno della laguna, quindi le specie presenti, sia animali che vegetali, siano esse naturali o introdotte dall’uomo, come nel caso degli allevamenti di vongole filippine, determinando le dinamiche di conservazione di questo patrimonio faunistico e naturalistico, con attività di analisi legate al centro ricerche. Si provvederà in questo senso anche a controllare i vari livelli massimi di inquinamento delle attività industriali presenti nel canale. Al terzo piano si andranno ad analizzare e mostrare gli aspetti che legano queste zone alle attività umane, che possiamo riunire in due settori principali quali la pesca e la navigazione. Verranno esposti utilizzando modelli in scala, cartellonistica, pannelli illustrativi ed immagini e tutta una serie di oggetti che illustrano le relazioni tre l’uomo e il luogo. Ci sarà una sezione dedicata alle imbarcazioni utilizzate per il guado dei canali, fino ai più piccoli strumenti usati proprio nelle attività di pesca. Al quarto piano si concluderà l’esposizione cercando di lasciare l’aspetto scientifico e ci si dedicherà all’evoluzione del porto dalle origini con il suo mercato ittico, fino ai giorni nostri in cui i traffici di materie prime destinate alle industrie sono l’aspetto principale. Il percorso museale si eleva a spirale, è formato da due rampe quadrate che servono i piani e che si intrecciano senza mai toccarsi. Questo permette al visitatore di scegliere il percorso che più gli interessa e nel modo che vuole, non è obbligato né dall’architettura né dal percorso espositivo, è quindi un sistema molto flessibile rispetto quello del museo classico, può capitare che due visitatori entrino nel museo insieme, inizino il giro in senso opposto, e non si incontrino mai, questa idea risulta complessa e nuova in un edificio che almeno esternamente sembra molto regolare e schematico. Per quanto riguarda la parte dell’illuminazione, che ha avuto anch’essa un ruolo molto importante all’interno del progetto del museo, l’idea è quella di rendere un effetto di risalita dalle profondità del mare fino alla superficie, man mano che si sale lungo il percorso espositivo. Per fare ciò, è stato svolto uno studio attento delle aperture, lasciando il primo piano espositivo cieco ed aprendo il secondo e il terzo piano in maniera da avere un progressivo aumento di luce nelle sale. Le finestre sono state posizionate compatibilmente con la composizione esterna dei prospetti, alla ricerca di un giusto equilibrio tra pieni e vuoti e tra composizione e tecnica.
Resumo:
“Tecnologie sostenibili per il social housing”: la mia tesi affronta il tema dell’edilizia sociale cercando di capire se può ancora diventare un campo di ricerca e sperimentazione architettonica come lo è stato in più occasioni nell’ultimo secolo. La ricerca si è sviluppata in due fasi: una prima attività di studio della vicenda storica dell’abitazione sociale in Italia, con alcuni confronti europei, fino ad analizzare il nuovo quadro che si è andato delineando dalla fine degli anni ’90 e che caratterizza la situazione attuale. Successivamente, la progettazione di un piccolo intervento di edilizia abitativa che si propone di rispondere agli attuali profili della domanda, puntando a scelte tipologiche e costruttive coerenti. Nel trentennio 1950-’80, nell’Europa uscita dalla Seconda guerra mondiale, e in Italia in particolare, l’edilizia popolare ha vissuto un periodo dinamico, ricco di interventi normativi da parte dello Stato, (su tutte la legge Fanfani, e le norme Gescal) che hanno permesso di realizzare molti degli edifici ancora oggi utilizzati, accelerando la ripresa economica e sociale. Dopo gli anni ’80, le ricerche e le sperimentazioni in campo architettonico si spostano verso altri temi; superata la necessità di fornire una casa a milioni di persone, il tema dell’alloggio sembra perdere il forte rilievo sociale che aveva avuto nei decenni precedenti. Fino a ritenere che il tema dell’alloggio e in particolare dell’alloggio sociale, non avesse più la necessità di essere sperimentato e approfondito. Oggi la situazione riguardante la sperimentazione non è molto diversa: sono ancora molto limitati, infatti, gli studi e le ricerche sul tema dell’alloggio sociale. Ciò che è nuovamente mutata, invece, è l’emergenza di una nuova domanda di casa e la drammatica esigenza sociale di fornire un alloggio a milioni di famiglie che non se lo possono permettere. Le dinamiche che guidano questa nuova ondata di richiesta di alloggi sono molteplici, sia di natura sociale che economica. Sul piano sociale: - l’aumento del numero delle famiglie, passate da 22.226.000 nel 200o a 24.642.000 nel 2010, con un aumento del 9,8% in un solo decennio; - la “nuclearizzazione” delle famiglie e la loro contrazione dimensionale, fino agli attuali 2,4 componenti per nucleo; - l’invecchiamento della popolazione; - l’aumento della popolazione straniera, con oltre 3.900.000 di immigrati regolari. Su quello economico: - l’aumento della povertà assoluta: in Italia 1.162.000 famiglie (4,7%) corrispondenti a 3.074.000 individui vivono sotto la soglia di povertà; - l’aumento della povertà relativa, che investe oggi 2.657.000 famiglie (9,3%) e l’aumento delle famiglie a rischio di povertà (920.000 famiglie, pari al 3,7% dei nuclei). Questi dati evidenziano la dimensione del problema abitativo e smentiscono l’opinione che si tratti di una questione marginale: nel 2010 in Italia almeno 1.162.000 non hanno le risorse per pagare un affitto, nemmeno a canone agevolato, e 4.739.000 famiglie non riescono a pagare un affitto ai prezzi del libero mercato, ma non hanno la possibilità di entrare nelle graduatorie per l’assegnazione di un alloggio sociale. Da questa panoramica sulle dimensioni del disagio abitativo, prende spunto la progettazione del mio sistema costruttivo, che si pone come obiettivo quello di ridurre i costi di costruzione tramite la standardizzazione dei componenti, consentendo di conseguenza, un minor costo di costruzione e quindi la possibilità di canoni di affitto ridotti, mantenendo buoni standard di qualità degli alloggi, sostenibilità ambientale e risparmio energetico. Le linee guida che hanno portato alla progettazione del sistema sono: - modularità degli spazi abitativi - zonizzazione funzionale - razionalizzazione impiantistica - illuminazione naturale - industrializzazione dei sistema costruttivo - standardizzazione dei componenti. Il risultato è un catalogo di alloggi di diverse metrature, aggregabili secondo tre tipologie residenziali. - a ballatoio - in linea - a torre Messo a punto questo sistema costruttivo, è stato progettato un intervento in un contesto specifico, per verificare l’applicabilità delle soluzioni sviluppate ed esplorarne alcune possibilità.
Resumo:
La ricerca approfondisce gli studi iniziati dalla dott.ssa Baldini in occasione della tesi di laurea e amplia le indagini critiche avviate per la mostra sull’Aemilia Ars (2001). La ricerca si è interessata alle aree di Bologna e di Faenza individuando le connessioni che tra Otto e Novecento intercorrono tra la cultura artistica locale e quella nazionale ed europea. Nasce infatti in questo periodo Aemilia Ars, uno dei più innovativi movimenti del contesto nazionale nel campo delle arti decorative. I membri del gruppo, raccoltisi intorno alla carismatica figura di Alfonso Rubbiani nei primi anni Ottanta, sono attratti da influenze nordeuropee e sin dall’inizio si mostrano orientati a seguire precetti ruskiniani e preraffaelliti. Molto importante in entrambe le città, per l’evoluzione dello scenario artistico e artigianale – in questi anni più che mai unite in un rapporto di strettissima correlazione – è l’apporto e il sostegno offerto dai salotti, dai circoli, dai caffè e dai cenacoli locali. Dal punto di vista dello stile, forme lineari con una marcata tendenza all’astrazione caratterizzano la produzione dei principali interpreti faentini e bolognesi dell’ultimo ventennio dell’Ottocento allineandoli con le ricerche dei loro contemporanei nel resto d’Europa. I settori produttivi che si sono indagati sono quelli della ceramica, dell’ebanisteria, dei ferri battuti, dell’oreficeria, delle arti tessili e dei cuoi. Gran parte di queste lavorazioni – attardatesi nella realizzazione di oggetti dalle forme di ispirazione seicentesca, certamente poco adatte alla produzione industriale – subiscono ora una decisa accelerazione verso forme più svelte che, adeguandosi alla possibilità di riproduzione seriale degli oggetti, si diffonderanno quasi capillarmente tra l’aristocrazia e la borghesia, faticando tuttavia a raggiungere le classi meno abbienti a causa degli elevati costi di produzione. Nell’ultima parte viene tracciato sinteticamente il quadro delle attività artistiche e artigianali faentine del periodo indicato, con una particolare attenzione all’opera delle personalità afferenti al Cenacolo baccariniano.
Resumo:
Listeria monocytogenes è un batterio patogeno responsabile di una malattia potenzialmente molto grave per l’uomo. L’infezione avviene soprattutto tramite l’ingestione di alimenti di origine animale contaminati, e può propagarsi per via transplacentare al feto. Il potenziale patogeno di L. monocytogenes è dovuto soprattutto a caratteristici fattori di virulenza con i quali alcuni ceppi sono in grado di attaccare la cellula dell’organismo ospite potendo aderire, invadere, moltiplicare e propagare alle cellule adiacenti. Il presente studio è rivolto al rilevamento tramite reazione polimerasica a catena (PCR) di alcuni fattori di virulenza di ceppi di L. monocytogenes isolati da campioni prelevati presso macelli suini, mediante l’identificazione dei geni responsabili della sintesi delle proteine di superficie che intervengono nel processo patogenetico, allo scopo di valutare la potenziale pericolosità di quelli isolati sia sulle carcasse, sia dal contenuto intestinale.
Resumo:
Le biomasse hanno sempre rappresentato per l’umanità una fonte estremamente versatile e rinnovabile di risorse e tutt’oggi il loro impiego risulta vantaggioso in particolare per produrre energia termica ed elettrica attraverso processi di combustione, sistemi che tuttavia emettono sostanze dannose verso la salute umana e l’ecosistema. Queste pressioni ambientali hanno indotto alcune amministrazioni regionali (fra cui la Lombardia) a bandire temporaneamente l’installazione di nuovi impianti a biomasse, per prevenire e contenere le emissioni in atmosfera a tutela della salute e dell’ambiente. Il presente studio intende approfondire l’effetto ambientale di tali sistemi di riscaldamento domestico attraverso la tecnologia di analisi LCA (Life Cycle Assessment). Lo scopo dell’elaborato di Tesi consiste nell’eseguire un’analisi dell’intero ciclo di vita di due processi di riscaldamento domestico che utilizzino biomassa legnosa: una stufa innovativa a legna e una stufa a pellet. L’analisi ha quindi posto a confronto i due scenari con mezzi di riscaldamento domestico alternativi quali il boiler a gas, il pannello solare termico integrato con caldaia a gas e la pompa di calore elettrica. È emerso che tra i due scenari a biomassa quello a legna risulti decisamente più impattante verso le categorie salute umana e qualità dell’ecosistema , mentre per il pellet si è riscontrato un impatto maggiore del precedente nella categoria consumo di risorse. Dall’analisi di contributo è emerso che l’impatto percentuale maggiore per entrambi gli scenari sia legato allo smaltimento delle ceneri, pertanto si è ipotizzata una soluzione alternativa in cui esse vengano smaltite nell’inceneritore, riducendo così gli impatti. I risultati del punteggio singolo mostrano come lo scenario di riscaldamento a legna produca un quantitativo di particolato superiore rispetto al processo di riscaldamento a pellet, chiaramente dovuto alle caratteristiche chimico-fisiche dei combustibili ed alla efficienza di combustione. Dal confronto con gli scenari di riscaldamento alternativi è emerso che il sistema più impattante per le categorie salute umana e qualità dell’ecosistema rimane quello a legna, seguito dal pellet. I processi alternativi presentano impatti maggiori alla voce consumo di risorse. Per avvalorare i risultati ottenuti per i due metodi a biomassa è stata eseguita un’analisi di incertezza attraverso il metodo Monte Carlo, ad un livello di confidenza del 95%. In conclusione si può affermare che i sistemi di riscaldamento domestico che impiegano processi di combustione della biomassa legnosa sono certamente assai vantaggiosi, poiché pareggiano il quantitativo di CO2 emessa con quella assorbita durante il ciclo di vita, ma al tempo stesso possono causare maggiori danni alla salute umana e all’ecosistema rispetto a quelli tradizionali.
Resumo:
Questo lavoro si è posto l’obiettivo di valutare l’effetto dei processi di combustione della biomassa sulla composizione chimica del particolato atmosferico. Sono state analizzate le polveri totali sospese (TSP) e le sotto-frazioni PM10 e PM2.5. Il sito di campionamento è collocato in un’area suburbana costiera nella provincia di Rimini. L’area di studio è soggetta all’apporto di contaminanti derivanti dalle emissioni del traffico autoveicolare (urbano e della vicina autostrada A14) e di piccole attività industriali, tra cui la più importante è l’inceneritore di rifiuti solidi urbani. Il campionamento è stato effettuato nei mesi marzo-aprile 2011. Durante questo periodo ricorre la tradizionale festa popolare delle “Focheracce” dove si bruciano enormi cataste di legna per salutare l’inverno ed accogliere la primavera. In corrispondenza proprio di questa giornata si registra in atmosfera un forte incremento della concentrazione di polveri accompagnato da una variazione nella loro composizione chimica. Il levoglucosano (LG), marker specifico dei processi di combustione della biomassa, mostra concentrazioni di un ordine più elevato rispetto a tutto il periodo di campionamento. Incrementi si registrano, più in generale, per tutti quei composti direttamente imputabili ai processi di combustione incompleta, come CO, CE ed IPA. Il campionamento in occasione dei fuochi ha inoltre evidenziato maggiori concentrazioni in atmosfera di potassio, magnesio, ammonio, nitrati e carbonati nella frazione TSP-PM10. In conclusione, dai risultati della caratterizzazione chimica nelle diverse frazioni granulometriche delle polveri è possibile affermare che i processi di combustione della biomassa, hanno nell’area di studio un ruolo importante nel determinare il carico complessivo delle PM. La correlazione inversa tra temperatura atmosferica e concentrazione di levoglucosano induce a pensare che il contributo dovuto alla combustione di biomassa sulle PM sia imputabile al riscaldamento domestico.
Resumo:
L’idrogeno è un elemento di elevato interesse economico, con una produzione industriale che supera i 55 x 1010 m3/anno e notevoli prospettive di sviluppo delle sue applicazioni. Attualmente l’idrogeno è prodotto principalmente in impianti di larga scala (circa 1000 m3/h) da combustibili fossili attraverso processi di steam reforming ed ossidazione parziale catalitica. Per aumentare la produzione di idrogeno un ruolo fondamentale è svolto dalla reazione di water gas shift (WGS) che abbatte il contenuto di CO, massimizzando la produzione di idrogeno. La reazione è condotta industrialmente in due stadi, operanti ad alta temperatura (HTS, circa 350 °C) e bassa temperatura (LTS, circa 250 °C), utilizzando rispettivamente catalizzatori a base di ferro o rame. Tuttavia, è evidente l’interesse per nuove formulazioni in grado di operare in un unico stadio a temperatura intermedia (MTS), mantenendo le caratteristiche ottimali di attività e stabilità. In questo lavoro di tesi, condotto in collaborazione con AIR LIQUIDE (F), è stato affrontato uno studio della reazione di WGS finalizzato allo sviluppo di nuove formulazioni attive e stabili nell’MTS. In particolare, sono stati sintetizzati precursori idrotalcitici Cu/Zn/Al (contenenti carbonati o silicati), con bassi contenuti di rame (diversamente da quanto riportato in letteratura), modulandone le proprietà chimico-fisiche, l’attività catalitica e la stabilità con il tempo di reazione. Si è osservato come i catalizzatori con minori contenuti di rame ed ottenuti da precursori contenenti carbonati mostrassero un’elevata attività e selettività nell’MTS, raggiungendo valori di conversione del CO analoghi a quelli all’equilibrio termodinamico già a 300 °C, indipendentemente dai valori del rapporto S/DG e del tempo di contatto. Tutti i catalizzatori mostrano un’elevata stabilità con il tempo di reazione, con incrementi del quantitativo del CO in uscita dopo 100h di circa lo 0,7 % v/v. I catalizzatori scaricati dopo le prove catalitiche evidenziano gli effetti dei processi di sinterizzazione (diminuzione dell’area superficiale ed incremento delle dimensioni dei cristalliti), la cui entità diminuisce al diminuire del contenuto di rame. Infine, confrontando l’attività dei migliori catalizzatori preparati in questo lavoro di tesi con quella di uno dei più utilizzati catalizzatori commerciali per la reazione di WGS a bassa temperatura, si sono osservati valori di attività analoghi, raggiungendo quelli di equilibrio per temperature 300°C, ma con una attività significativamente superiore nelle condizioni LTS, soprattutto considerando il valore del tempo di contatto inferiore a quelli comunemente utilizzati negli impianti industriali.
Resumo:
Oggigiorno si osserva a livello mondiale un continuo aumento dei consumi di acqua per uso domestico, agricolo ed industriale che dopo l’impiego viene scaricata nei corpi idrici (laghi, fiumi, torrenti, bacini, ecc) con caratteristiche chimico fisiche ed organolettiche completamente alterate, necessitando così di specifici trattamenti di depurazione. Ricerche relative a metodi di controllo della qualità dell’acqua e, soprattutto, a sistemi di purificazione rappresentano pertanto un problema di enorme importanza. I trattamenti tradizionali si sono dimostrati efficienti, ma sono metodi che operano normalmente trasferendo l’inquinante dalla fase acquosa contaminata ad un’altra fase, richiedendo perciò ulteriori processi di depurazione. Recentemente è stata dimostrata l’efficacia di sistemi nano strutturati come TiO2-Fe3O4 ottenuto via sol-gel, nella foto-catalisi di alcuni sistemi organici. Questo lavoro di tesi è rivolto alla sintesi e caratterizzazione di un catalizzatore nanostrutturato composito costituito da un core di Fe3O4 rivestito da un guscio di TiO2 separate da un interstrato inerte di SiO2, da utilizzare nella foto-catalisi di sistemi organici per la depurazione delle acque utilizzando un metodo di sintesi alternativo che prevede un “approccio” di tipo colloidale. Partendo da sospensioni colloidali dei diversi ossidi, presenti in commercio, si è condotta la fase di deposizione layer by layer via spray drying, sfruttando le diverse cariche superficiali dei reagenti. Questo nuovo procedimento permette di abbattere i costi, diminuire i tempi di lavoro ed evitare possibili alterazioni delle proprietà catalitiche della titania, risultando pertanto adatto ad una possibile applicazione su scala industriale. Tale sistema composito consente di coniugare le proprietà foto-catalitiche dell’ossido di titanio con le proprietà magnetiche degli ossidi di ferro permettendo il recupero del catalizzatore a fine processo. Il foto-catalizzatore è stato caratterizzato durante tutte la fasi di preparazione tramite microscopia SEM e TEM, XRF, Acusizer, spettroscopia Raman e misure magnetiche. L’attività foto-calitica è stata valutata con test preliminari utilizzando una molecola target tipo il rosso di metile in fase acquosa. I risultati ottenuti hanno dimostrato che il sistema core-shell presenta inalterate sia le proprietà magnetiche che quelle foto-catalitiche tipiche dei reagenti.
Resumo:
La trasformazione di glicerolo ad acido acrilico può essere un fattore importante per la valorizzazione del processo di produzione di biodiesel, il quale prevede la coproduzione di enormi quantità di glicerolo. La sintesi di acido acrilico in un unico step è stata studiata attraverso vari catalizzatori solidi bifunzionali di diversa natura, contenenti proprietà acide e redox. I catalizzatori devono avere un’adeguata acidità di Brønsted per promuovere la trasformazione di glicerolo ad acroleina, mentre le proprietà ossidanti, necessarie per la sintesi di acido acrilico sono ottenute mediante l’inserimento di un metallo ossidante nella struttura. Si vuole quindi sintetizzare e testare una serie di catalizzatori che mostrino questa bifunzionalità in grado di soddisfare requisiti di attività e selettività nei confronti della reazioni . Per questo studio sono stati sintetizzati e caratterizzati ossidi misti di W/V, nella forma di aggregati dispersi sulla titania ed ossidi misti di Zr/Nb/V in struttura bulk. Sono stati quindi eseguiti dei test di reattività in fase gas ed in presenza di ossigeno utilizzando un reattore tubolare in quarzo a letto fisso.
Resumo:
La tesi può intendersi schematicamente suddivisibile in quattro macrosettori: il primo concerne un excursus storico-giuridico sulla nascita ed evoluzione dei Monti di Pietà, nonché delle Casse di Risparmio; il secondo macrosettore si riferisce peculiarmente alla profonda trasformazione e riorganizzazione delle Banche Pubbliche in Società per Azioni e alla conseguente nascita delle Fondazioni Bancarie, con l'approfondimento delle problematiche attinenti alla loro natura giuridica, e con il richiamo alle sentenze nn. 300 e 301/2003 della Corte Costituzionale; il terzo prende in esame il ruolo delle Fondazioni nella prospettiva della operatività del principio di sussidiarietà orizzontale; infine, nell'ambito del quarto macrosettore ci si è soffermati sulla struttura organizzativa delle Fondazioni, sul loro regime fiscale e sul tema dell'attività d'impresa delle stesse.
Resumo:
Il concetto fondante e le motivazioni alla base di questo lavoro di tesi sono costituiti dalla volontà di analizzare a fondo la problematica energetica ed ambientale, focalizzando l‟indagine sul ruolo delle Fonti Energetiche Rinnovabili e contestualizzandola nel contesto “locale” relativo alla Regione Emilia Romagna: questo lavoro di tesi, infatti, è stato sviluppato nell‟ambito di un progetto di collaborazione stipulato tra Università e Regione Emilia Romagna e si è svolto all‟interno dell‟Assessorato alle Attività Produttive della Regione, lavorando con il “Servizio Politiche Energetiche” emiliano-romagnolo. La crisi energetica (e, contestualmente, la crisi ambientale) rappresenta una problematica al centro del dibattito globale da oltre mezzo secolo, affrontata finora in maniera non organica e realmente efficace dalle nazioni e dagli organismi sovranazionali coinvolti in tale dibattito. Tale tematica è divenuta ancora più pregnante (e la ricerca di una “soluzione” al riguardo, ancora più pressante) negli ultimi anni, in seguito alla deflagrazione di una crisi globale –economica e sociale- che ha intaccato i modelli di crescita e sviluppo (anche tecnologico) conosciuti finora, ponendo di fronte agli occhi dell‟umanità la necessità impellente di ridefinire politiche economiche, ambientali e, conseguentemente, energetiche, caratterizzate da una maggiore sostenibilità globale. La continua crescita della popolazione e il progressivo incremento generalizzato (e disomogeneo) degli standard di vita alimentano con ritmi esponenziali la domanda –e la conseguente produzione- di energia, inevitabilmente correlata (proprio a causa dei modelli di sviluppo seguiti finora) ad un drammatico incremento delle emissioni climalteranti, che continuano a nuocere irreversibilmente alla salubrità del nostro fragile ecosistema. Oltre alla problematica ambientale si aggiunge, con impellenza sempre più marcata, quella relativa alla disponibilità delle principali fonti energetiche (quelle fossili), che si profilano in esaurimento entro lassi temporali che potrebbero divenire drammaticamente prossimi: il “rischio reale” connesso alla prosecuzione di politiche energetiche poggiate sullo sfruttamento intensivo di tali fonti non è tanto connesso all‟eventuale esaurimento assoluto delle risorse stesse, quanto ad una loro progressiva riduzione, tale da renderle viepiù costose e sempre meno convenienti economicamente. Uno scenario di questo tipo si tradurrebbe inevitabilmente in una condizione per la quale solamente i Paesi più ricchi potrebbero usufruire di tali risorse, estremamente costose, mentre i Paesi meno evoluti economicamente rischierebbero di trovarsi nell‟impossibilità di approvvigionarsi, andando incontro a condizioni di deficit energetico: uno scenario inquietante, che però non appare così “ipotetico”, se si tiene conto di come –già ora- siano in aumento segnali di allarme e di conflitto, attivati da localizzate insufficienze energetiche. In un quadro globale di questo tipo le strade risolutive finora riconosciute e percorse dal mondo scientifico, politico ed economico sono sostanzialmente due: - L‟implementazione del risparmio energetico, in un‟ottica di drastica riduzione dei consumi globali; - La “conversione” della produzione energetica (attualmente fondata sulle fonti convenzionali, ossia quelle fossili) verso le cosiddette “Fonti Energetiche Alternative”. Questa seconda direttrice di marcia sembra poter essere quella in grado di reindirizzare verso un orizzonte di maggiore sostenibilità l‟attuale sistema energetico globale, e in quest‟ottica assumono quindi enorme importanza strategica le tecnologie alternative e, prime tra tutte, le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER). Queste consentirebbero infatti sia di ridurre l‟impatto ambientale connesso alla produzione energetica da fonti convenzionali, che di implementare politiche di autosufficienza energetica per quei Paesi che attualmente, dal punto di vista del bilancio energetico interno, dipendono in misura marcata dall‟importazione di combustibili fossili dall‟estero. La crisi energetica e il conseguente ruolo chiave delle Fonti Energetiche Rinnovabili è quindi il punto di partenza di questa tesi, che ha voluto confrontarsi con tale problematica globale, misurandosi con le azioni e con i provvedimenti intrapresi al riguardo a livello locale, focalizzando l‟attenzione sulla realtà e sugli sviluppi delle Fonti Energetiche Rinnovabili nella Regione Emilia Romagna. Per sviluppare il lavoro si è proceduto definendo prima di tutto un quadro complessivo della situazione, in termini di problematica energetica e di stato attuale delle Fonti Energetiche Rinnovabili, scendendo progressivamente nel dettaglio: partendo da una fotografia a livello mondiale, quindi europeo, successivamente italiano (basandosi sui dati di pubblicazioni italiane ed estere, di enti competenti in materia come Terna, il GSE o l‟Enea per l‟Italia, e l‟IEA, l‟EIA, l‟UE per l‟Europa e il resto del mondo). Nella terza parte della tesi si è scesi al dettaglio di questo stato attuale delle Fonti Energetiche Rinnovabili a livello Regionale (Emiliano-Romagnolo) e Provinciale (le nove Province della Regione): per procedere alla definizione di questo quadro la “tecnica operativa” è consistita in una raccolta dati effettuata in collaborazione con il ”Servizio Politiche Energetiche” della Regione Emilia Romagna, estesa alle 9 Province e ai 348 Comuni del territorio emiliano-romagnolo. La richiesta di dati avanzata è stata relativa agli impianti alimentati da fonte energetica rinnovabile in esercizio e a quelli in fase di valutazione sul territorio afferente all‟Ente considerato. Il passo successivo è consistito nell‟aggregazione di questi dati, nella loro analisi e nella definizione di un quadro organico e coerente, relativo allo stato attuale (Ottobre 2010) delle Fonti Energetiche Rinnovabili sul territorio emiliano-romagnolo, tale da permettere di realizzare un confronto con gli obiettivi definiti per le FER all‟interno dell‟ultimo Piano Energetico Regionale e con lo stato delle FER nelle altre Regioni italiane. Sono stati inoltre realizzati due “Scenari”, relativi all‟evoluzione stimata del parco “rinnovabile” emiliano-romagnolo, definiti al 2012 (“Breve Termine”) e al 2015 (“Medio Termine”). I risultati ottenuti hanno consentito di verificare come, nell‟orizzonte “locale” emiliano-romagnolo, il sistema globale connesso alle Fonti Energetiche Rinnovabili abbia attecchito e si sia sviluppato in misura marcata: gli obiettivi relativi alle FER definiti nel precedente Piano Energetico Regionale sono infatti stati sostanzialmente raggiunti in toto. Dalla definizione degli “Scenari” previsionali è stato possibile stimare l‟evoluzione futura del parco “rinnovabile” emilianoromagnolo, verificando come questo risulti essere in continua crescita e risulti “puntare” su due fonti rinnovabili in maniera particolare: la fonte fotovoltaica e la fonte a biocombustibili. Sempre dall‟analisi degli “Scenari” previsionali è stato possibile stimare l‟evoluzione delle singole tecnologie e dei singoli mercati rinnovabili, verificando limiti allo sviluppo (come nel caso della fonte idroelettrica) o potenziali “espansioni” molto rilevanti (come nel caso della fonte eolica). Il risultato finale di questo lavoro di tesi è consistito nel poter definire dei nuovi obiettivi, relativi alle differenti Fonti Energetiche, da potersi inserire all‟interno del prossimo Piano Energetico Regionale: l‟obiettivo “complessivo” individua –avendo il 2015 come orizzonte temporale- una crescita incrementale delle installazioni alimentate da FER pari a 310 MWe circa. Questo lavoro di tesi è stato ovviamente organizzato in più “Parti”, ciascuna ulteriormente suddivisa in “Capitoli”. Nella “Prima Parte”, costituita dai primi 4 Capitoli, si è proceduto ad introdurre la problematica energetica e il contesto in cui si muovono le decisioni e le politiche (comunitarie, nazionali e sovra-nazionali) destinate a trovare soluzioni e risposte: Il Primo Capitolo, introduttivo, definisce prima di tutto gli “strumenti” e i concetti che verranno successivamente richiamati più volte nel resto della Tesi, partendo dal concetto di “energia”, definito sia “concettualmente” che attraverso le unità di misura utilizzate per quantificarlo. Il passo successivo è stato quello di contestualizzare l‟evoluzione dello sfruttamento di questa “risorsa”, in relazione allo sviluppo delle tecnologie e delle stesse condizioni di vita umane, così da definire un background storico per le considerazioni introdotte nel Capitolo successivo. Il Secondo Capitolo, infatti, introduce la problematica attuale (ma mutuata dal background storico evidenziato in precedenza) della “crisi energetica” e della “crisi ambientale” ad essa correlata, considerandone gli aspetti prima di tutto globali, connessi a considerazioni di natura sociale, demografica e –conseguentemente economica e sociale: all‟interno di questa analisi, vengono citati anche gli scenari previsionali elaborati da numerosi enti di ricerca e istituzioni, coinvolti su più livelli nell‟ottica di riuscire ad individuare una “risposta” alle problematiche sollevate dallo sfruttamento intensivo della risorsa energetica per vie convenzionali. Tale risposta è rappresentata dalle normative sovranazionali, europee e italiane varate nell‟ottica di attuare una “transizione etica” in materia di sviluppo sostenibile, impatto ambientale e sfruttamento energetico: un presupposto imprescindibile per la transizione energetica sostenibile è proprio l‟impegno a livello locale (quindi anche e prima di tutto di istituzioni quali, in Italia, le Regioni, le Province e i Comuni), senza il quale difficilmente si potranno raggiungere traguardi avanzati, che implicano anche un sostanziale cambio di mentalità. Nell‟ottica di approfondire ulteriormente il contesto all‟interno del quale vengono adottate azioni e intrapresi provvedimenti utili a concretizzare risposte a livello italiano –nazionale e locale- il Terzo Capitolo introduce il tema delle “politiche energetiche sostenibili”, partendo dalla definizione dell‟attuale condizione Italiana (in termini di inquinamento atmosferico e di sfruttamento intensivo della risorsa energetica, nonché di scenari previsionali), per definire successivamente le politiche nazionali per le fonti rinnovabili, per il settore dei trasporti, del riscaldamento e del raffreddamento, della pianificazione energetica e della generazione distribuita. Il Capitolo introduce anche il tema degli interventi in ambito di fiscalità energetica (“Certificati Verdi”, “Certificati Bianchi” e il “Conto Energia”). Proprio per definire al meglio i meccanismi di incentivazione, il Quarto Capitolo esplicita (facendo riferimento alla documentazione pubblicata da enti quali GSE, Terna, GRTN) il meccanismo del cosiddetto “mercato elettrico” e degli scambi che vi avvengono, in modo tale da comprendere come i metodi di incentivazione alle fonti alternative che si appoggiano su interventi di fiscalità energetica, riescano ad avere –o meno- presa sul sistema. La “Seconda Parte” (costituita dai Capitoli dal 5° al 13°) è invece dedicata al necessario approfondimento sullo stato delle Fonti Energetiche Rinnovabili (FER): in ogni capitolo è stato infatti approfondita la condizione attuale delle principali FER (fonte a Biocombustibili, Eolica, Geotermica, Idraulica, Solare Fotovoltaica, Solare Termica, Solare Termodinamica). Tale approfondimento è stato condotto in termini di sviluppo della tecnologia, incidenza e contributo della singola FER sui bilanci elettrici (considerando prima il quadro mondiale, quindi quello europeo, per scendere infine al dettaglio italiano). Nella parte finale di ogni capitolo sono state riportate anche le principali criticità riscontrate per ogni fonte presa in considerazione, oltre che gli scenari previsionali stimati considerandone i potenziali sviluppi, in un‟ottica di medio termine e di lungo termine. La “Terza Parte” (comprendente i Capitoli dal 14° al 22°) di questa Tesi raccoglie invece il lavoro svolto e i risultati ottenuti e permette di definire lo stato attuale e gli scenari previsionali (a breve termine e a medio termine) per le Fonti Energetiche Rinnovabili nella Regione Emilia Romagna, con un livello di dettaglio sia Regionale che Provinciale. Il lavoro, come detto, è consistito nella raccolta dati effettuata presso gli enti di “governo territoriale” emiliano-romagnoli (la Regione, le 9 Province e i 348 Comuni) e nella successiva aggregazione, elaborazione e interpretazione di questi stessi dati. I Capitoli dal 15° al 19° definiscono lo stato attuale (all‟Ottobre 2010) e gli scenari previsionali (a breve termine e medio termine) per le differenti FER (rispettivamente, Biocombustibili, Eolica, Fotovoltaica, Geotermica e Idroelettrica), prima a livello Provinciale, quindi a livello Regionale. Nella conclusione di ogni Capitolo è contenuto un confronto con lo stato della FER presa in considerazione relativo agli anni precedenti, oltre che il confronto con gli obiettivi definiti per la tecnologia al 2010 dal precedente Piano Energetico Regionale. Questi Capitoli si chiudono con l‟analisi del trend storico della Fonte Energetica Rinnovabile considerata e con la conseguente individuazione dei potenziali obiettivi al 2012 e al 2015 da inserire nel prossimo Piano Energetico Regionale. E‟ presente anche l‟evoluzione stimata del “mercato” della singola FER presa in considerazione, oltre che della “tipologia tecnologica” sulla quale gli installatori e gli investitori tenderanno ad orientarsi sia nel breve che nel medio termine. I Capitoli 20°, 21° e 22° contengono invece lo stato “riassuntivo” delle Fonti Energetiche Rinnovabili, definite per il panorama emiliano-romagnolo (anche in questo caso, prima a livello Provinciale, successivamente a livello regionale) sotto un‟ottica temporale differente: il Capitolo 20° riassume lo stato attuale del parco “rinnovabile” complessivo emiliano-romagnolo, definendone l‟evoluzione storica e confrontandolo con gli obiettivi fissati al 2010 dal precedente Piano Energetico regionale, permettendo così di verificare –nel complesso- se le stime del 2004 erano state corrette. Il Capitolo 21° definisce l‟evoluzione del parco “rinnovabile” complessivo emiliano-romagnolo al 2012, sia a livello Provinciale che Regionale, definendone in questo modo un trend stimato di crescita e dei conseguenti obiettivi di breve termine, riferiti alle singole FER. Il Capitolo 22° definisce infine l‟evoluzione del parco “rinnovabile” complessivo emiliano-romagnolo al 2015 (ancora una volta, sia a livello Provinciale che Regionale) permettendo così di ricavare un trend stimato di crescita e, soprattutto, gli obiettivi di medio termine -riferiti alle singole FER- da inserire all‟interno del prossimo Piano Energetico Regionale. La conclusione permette di chiudere sinteticamente il lavoro svolto in precedenza, traendo le indicazioni più rilevanti dai dati e dalle considerazioni pregresse: come si evincerà, l‟Emilia Romagna risulta una Regione in cui gli obiettivi rinnovabili (e di “conversione energetica”) sono stati sostanzialmente raggiunti e, in alcuni casi, perfino superati. Il mercato rinnovabile è in crescita e le politiche locali e sovra locali evidenziano una marcata volontà di puntare prevalentemente su settori e tecnologie quali quella della biomassa e quella solare fotovoltaica. Nonostante questo, si evidenzia anche la necessità di lavorare a livello di enti regionali e provinciali, per omogeneizzare ulteriormente la distribuzione energetica “rinnovabile” sul territorio (implementando lo sviluppo di determinate fonti su distretti territoriali al momento non ancora raggiunti da tali mercati) e per provvedere ad una riduzione dei consumi energetici che consenta alle FER di avere una maggiore incidenza sui bilanci energetici ed elettrici, locali e regionali. Si ricorda che la “costruzione” di questa tesi è stata sviluppata parallelamente ad un‟attività di stage presso il settore Politiche energetiche dell‟Assessorato alle Attività Produttive della Regione Emilia – Romagna, che in questa fase sta procedendo alla definizione del nuovo Piano Energetico Regionale, e alla conseguente individuazione d
Resumo:
I policlorobifenili (PCB) sono inquinanti tossici e fortemente recalcitranti che contaminano suoli e sedimenti di acqua dolce e marini. Le tecnologie attualmente impiegate per la loro rimozione (dragaggio e trattamento chimoco-fisico o conferimento in discarica) sono molto costose, poco efficaci o ad alto impatto ambientale. L’individuazione di strategie alternative, di natura biologica, consentirebbe lo sviluppo di un processo alternativo più sostenibile. Nel processo di declorurazione riduttiva i congeneri di PCB a più alto grado di clorurazione, che sono i più tossici, recalcitranti e maggiormente tendenti al bioaccumulo, vengono utilizzati da alcuni microrganismi anaerobici come accettori finali di elettroni nella catena respiratoria e bioconvertiti in congeneri a minor grado di clorurazione, meno pericolosi, che possono essere mineralizzati da parte di batteri aerobi. La declorurazione riduttiva dei PCB è stata spesso studiata in colture anaerobiche di arricchimento in terreno minerale ottenute a partire da sedimenti di acqua dolce; questi studi hanno permesso di dimostrare che batteri del phylum dei Chloroflexi e appartenenti al genere Dehalococcoides o filogeneticamente facenti parte del gruppo dei Dehalococcoides-like sono i decloruranti. Sono tuttavia scarse le informazioni riguardanti l'occorrenza della declorurazione dei PCB in ambienti marini, nei quali l'alta salinità e concentrazione di solfati influenzano diversamente l'evoluzione delle popolazioni microbiche. In sedimenti contaminati della laguna di Venezia è stata osservata declorurazione sia dei PCB preesistenti che di congeneri esogeni; questi studi hanno permesso l'ottenimento di colture di arricchimento fortemente attive nei confronti di 5 congeneri di PCB coplanari. In questa tesi, a partire dalle colture capaci di declorurare i PCB coplanari, sono stati allestiti nuovi passaggi di arricchimento su Aroclor®1254, una miscela di PCB più complessa e che meglio rappresenta la contaminazione ambientale. Le colture sono state allestite come microcosmi anaerobici in fase slurry, preparati risospendendo il sedimento nell'acqua superficiale, ricreando in tal modo in laboratorio le stesse condizioni biogeochimiche presenti in situ; gli slurry sterili sono stati inoculati per avviare le colture. Per favorire la crescita dei microrganismi decloruranti e stimolare così la decloruraazione dei PCB sono stati aggiunti inibitori selettivi di metanogeni (Bromoetansulfonato o BES) e solfato-riduttori (molibdato), sono state fornite fonti di carbonio ed energia (eD), quali acidi grassi a corta catena e idrogeno, utilizzate di batteri decloruranti noti, e per semplificare la comunità microbica sono stati aggiunti antibiotici cui batteri decloruranti del genere Dehalococcoides sono resistenti. Con questo approccio sono stati allestiti passaggi di arricchimento successivi e le popolazioni microbiche delle colture sono state caratterizzate con analisi molecolari di fingerprinting (DGGE). Fin dal primo passaggio di arricchimento nei microcosmi non ammendati ha avuto luogo un'estesa declorurazione dell'Aroclor®1254; nei successivi passaggi si è notato un incremento della velocità del processo e la scomparsa della fase di latenza, mentre la stessa stereoselettività è stata mantenuta a riprova dell’arricchimento degli stessi microrganismi decloruranti. Le velocità di declorurazione ottenute sono molto alte se confrontate con quelle osservate in colture anaerobiche addizionate della stessa miscela descritte in letteratura. L'aggiunta di BES o molibdato ha bloccato la declorurazione dei PCB ma in presenza di BES è stata riscontrata attività dealogenante nei confronti di questa molecola. La supplementazione di fonti di energia e di carbonio ha stimolato la metanogenesi e i processi fermentativi ma non ha avuto effetti sulla declorurazione. Ampicillina e vancomicina hanno incrementato la velocità di declorurazione quando aggiunte singolarmente, insieme o in combinazione con eD. E' stato però anche dimostrato che la declorurazione dei PCB è indipendente sia dalla metanogenesi che dalla solfato-riduzione. Queste attività respiratorie hanno avuto velocità ed estensioni diverse in presenza della medesima attività declorurante; in particolare la metanogenesi è stata rilevata solo in dipendenza dall’aggiunta di eD alle colture e la solfato-riduzione è stata inibita dall’ampicillina in microcosmi nei quali un’estesa declorurazione dei PCB è stata osservata. La caratterizzazione delle popolazioni microbiche, condotte mediante analisi molecolari di fingerprinting (DGGE) hanno permesso di descrivere le popolazioni batteriche delle diverse colture come complesse comunità microbiche e di rilevare in tutte le colture decloruranti la presenza di una banda che l’analisi filogenetica ha ascritto al batterio m-1, un noto batterio declorurante in grado di dealogenare un congenere di PCB in colture di arricchimento ottenute da sedimenti marini appartenente al gruppo dei Dehalococcoides-like. Per verificare se la crescita di questo microrganismo sia legata alla presenza dei PCB, l'ultimo passaggio di arricchimento ha previsto l’allestimento di microcosmi addizionati di Aroclor®1254 e altri analoghi privi di PCB. Il batterio m-1 è stato rilevato in tutti i microcosmi addizionati di PCB ma non è mai stato rilevato in quelli in cui i PCB non erano presenti; la presenza di nessun altro batterio né alcun archebatterio è subordinata all’aggiunta dei PCB. E in questo modo stato dimostrato che la presenza di m-1 è dipendente dai PCB e si ritiene quindi che m-1 sia il declorurante in grado di crescere utilizzando i PCB come accettori di elettroni nella catena respiratoria anche in condizioni biogeochimiche tipiche degli habitat marini. In tutte le colture dell'ultimo passaggio di arricchimento è stata anche condotta una reazione di PCR mirata alla rilevazione di geni per dealogenasi riduttive, l’enzima chiave coinvolto nei processi di dealogenazione. E’ stato ottenuto un amplicone di lughezza analoga a quelle di tutte le dealogenasi note in tutte le colture decloruranti ma un tale amplificato non è mai stato ottenuto da colture non addizionate di PCB. La dealogenasi ha lo stesso comportamento di m-1, essendo stata trovata come questo sempre e solo in presenza di PCB e di declorurazione riduttiva. La sequenza di questa dealogenasi è diversa da tutte quelle note sia in termini di sequenza nucleotidica che aminoacidica, pur presentando due ORF con le stesse caratteristiche e domini presenti nelle dealogenasi note. Poiché la presenza della dealogenasi rilevata nelle colture dipende esclusivamente dall’aggiunta di PCB e dall’osservazione della declorurazione riduttiva e considerato che gran parte delle differenze genetiche è concentrata nella parte di sequenza che si pensa determini la specificità di substrato, si ritiene che la dealogenasi identificata sia specifica per i PCB. La ricerca è stata condotta in microcosmi che hanno ricreato fedelmente le condizioni biogeochimiche presenti in situ e ha quindi permesso di rendere conto del reale potenziale declorurante della microflora indigena dei sedimenti della laguna di Venezia. Le analisi molecolari condotte hanno permesso di identificare per la prima volta un batterio responsabile della declorurazione dei PCB in sedimenti marini (il batterio m-1) e una nuova dealogenasi specifica per PCB. L'identificazione del microrganismo declorurante permette di aprire la strada allo sviluppo di tecnologie di bioremediation mirata e il gene della dealogenasi potrà essere utilizzato come marker molecolare per determinare il reale potenziale di declorurazione di miscele complesse di PCB in sedimenti marini.
Resumo:
Il presente studio ha come obiettivi l’analisi, la modellazione numerica e la caratterizzazione del rischio idrogeologico di due siti dell’Appennino bolognese interessati negli ultimi due anni da colate detritiche, Serraglio (Comune di Castiglione dei Pepoli) e Chiapporato (Comune di Camugnano). Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Servizio Tecnico di Bacino Reno della Regione Emilia-Romagna, che ha reso disponibile la documentazione relativa ai due eventi analizzati. I predetti eventi possono esser definiti “anomali” in relazione sia alla loro collocazione – essendo il fenomeno delle colate detritiche diffuso principalmente in aree montuose caratterizzate da un’altitudine media rilevante, come l’arco alpino – sia al fatto che non sono né catalogati né ricordati a memoria d’uomo eventi, in tali località, precedenti a quelli in esame. Il rischio idrogeologico, indotto dalla possibilità non remota di nuovi eventi, è dato non dal volume o dall’area interessata dai fenomeni, ma piuttosto dall’estrema velocità caratterizzante le colate detritiche, appunto definite come manifestazioni parossistiche lungo la rete idrografica secondaria con trasporto in massa di sedimenti. L’analisi effettuata ha anche fornito l’occasione per effettuare un confronto tra due realtà, quella di Serraglio e quella di Chiapporato, accomunate dalla stessa tipologia di evento, ma differenti in relazione all’uso del suolo, alle caratteristiche geomorfologiche e alle modalità di propagazione nel corso dell’evento. L’abitato di Serraglio, sito nella frazione di Baragazza, è stato colpito da una colata detritica il 20 gennaio 2009. Da un punto di vista geologico e geomorfologico la località è sovrastata da un versante boscato notevolmente acclive, caratterizzato dall’affioramento della cosiddetta Formazione di Cervarola: tali rocce, appartenenti alla categoria delle arenarie e solitamente presenti in strati compatti, in seguito alla naturale degradazione dovuta agli agenti atmosferici hanno dato luogo ad un detrito composto da blocchi e ciottoli di varia dimensione immersi in una matrice sabbiosa. Il distacco è avvenuto proprio in questo materiale detritico, reso instabile dal notevole apporto pluviometrico verificatosi nei giorni precedenti. La colata, sviluppatasi in seguito alla fluidificazione del materiale coinvolto in uno scivolamento di detrito di ridotta volumetria, si è incanalata in uno dei rii effimeri che drenano il versante con traiettorie tra loro pseudo parallele. Il debris flow, accelerato da un dislivello complessivo di 125 m, ha poi raggiunto due abitazioni, fortunatamente non abitate al momento dell’evento, depositando uno spessore detritico di oltre 1,5 m nella zona di transito prima di proseguire verso valle nella sua frazione più fine, incanalandosi di fatto lungo lo stradello asfaltato di accesso alle abitazioni e interessando la strada provinciale che collega Castiglione dei Pepoli all’uscita autostradale di Roncobilaccio. Da un punto di vista meteo-climatico il mese di gennaio 2009 è stato caratterizzato da precipitazioni fortemente superiori alla media, accompagnate da una ridotta insolazione. La continua oscillazione dello zero termico tra 0 e 900 m ha dato luogo alla formazione di uno spessore nivale al suolo di circa 20 cm tre giorni prima dell’evento e poi al suo rapido scioglimento contestualmente all’aumento termico, dato dalla risalita di aria calda umida di origine africana, accompagnata da quella perturbazione che ha poi di fatto innescato il fenomeno. Nelle 48 ore precedenti l’evento sono stati registrati apporti nivo-pluviometrici corrispondenti ad oltre 130 mm, che hanno causato la completa saturazione del detrito superficiale, l’innesco dello scivolamento di detrito e la sua successiva fluidificazione. Il distacco del materiale detritico, la sua movimentazione e la notevole erosione che ha caratterizzato l’alveo del rio durante il fenomeno – quantificata mediamente in 20 cm – sono state favorite dalle mediocri condizioni di salute del castagneto che copre il versante interessato dall’evento: la totale assenza di manutenzione e l’abbandono della coltivazione “a pali” del bosco hanno inibito la naturale funzione stabilizzante del boscato, trasformatosi da fattore inibente a fattore predisponente il fenomeno. La seconda colata detritica analizzata ha invece interessato la strada comunale che collega la frazione di Stagno all’abitato di Chiapporato, splendida borgata cinquecentesca, frequentata soprattutto da turisti ed escursionisti durante la stagione estiva. Il versante sede della colata, occorsa in data 8 novembre 2010, è caratterizzato da numerosi affioramenti della cosiddetta Formazione di Stagno, arenarie intervallate da strati marnoso-pelitici. Tale litotipo, soggetto alla naturale degradazione indotta dagli agenti atmosferici, origina un detrito composto da massi e ciottoli, raccoltisi, nell’area in esame, in un canalone posto ai piedi di una scarpata pseudo verticale delimitante il pianoro di “Val di Sasso”. Tale materiale detritico è stato poi fluidificato dalle abbondanti piogge, depositando, dopo oltre 320 metri di dislivello, circa un metro di detrito sul piano stradale per poi proseguire la sua corsa verso il Torrente Limentra e il Bacino di Suviana. L’evento è stato innescato da precipitazioni intense e persistenti che hanno depositato al suolo oltre 69 mm di pioggia in 25 ore. Nel mese precedente il fenomeno sono stati misurati oltre 530 mm di pioggia, quantitativi superiori alla media climatologica, che hanno sicuramente accelerato anche la degradazione della scarpata e l’accumulo di detriti nell’area sorgente. Le colate sopra descritte sono state poi simulate utilizzando il modello DAN-W (Dynamic ANalysis) del prof. Oldrich Hungr della University of British Columbia (Canada). Tale modello si basa su una discretizzazione della massa movimentata tramite il metodo degli “elementi di contorno” e sulla soluzione alle differenze finite di tipo Lagrangiano dell’equazione di De Saint Venant. L’equazione del moto, integrata verticalmente, è applicata a colonne strette di flusso (elementi di contorno). L’equazione di continuità è invece risolta riferendosi agli elementi di massa delimitati dai predetti elementi di contorno. Il numero di incognite principali eguaglia il numero di equazioni disponibili ed il problema è quindi completamente determinato. Gli altri parametri caratterizzanti la colata sono determinati tramite interpolazioni basate sull’ipotesi che sia la superficie del flusso sia quella della traiettoria siano ragionevolmente lisce. La soluzione è esplicita ed avviene per step temporali successivi. Al fine della determinazione dei parametri l’utilizzatore ha la possibilità di scegliere tra vari modelli reologici, quantificanti il termine di resistenza caratterizzante il moto. Su indicazione dell’autore del modello sono stati utilizzati il modello frizionale e quello di Voellmy, che, in casi simili, forniscono risultati più realistici (in relazione alla modellizzazione di colate di detrito). I parametri utilizzati per la calibrazione sono lo spessore di detrito depositato sul piano stradale, nel caso di Chiapporato, e a tergo della prima abitazione investita dalla colata nel caso di Serraglio, unitamente alla massima distanza raggiunta dai detriti. I risultati ottenuti utilizzando il modello reologico frizionale mostrano profili di velocità scarsamente rappresentativi, con una costante sovrastima della stessa, a fronte di una migliore capacità descrittiva degli spessori accumulatisi. Il modello di Voellmy ha invece prodotto andamenti di velocità più realistici, confrontabili con i valori forniti dalla letteratura internazionale, riuscendo al contempo a quantificare con precisione l’accumulo di detrito rilevato a seguito degli eventi. I valori dei parametri utilizzati nella modellazione sono stati ricavati dalle indicazioni dell’autore del modello affiancate dai range resi disponibili dalla letteratura. Entrambe le caratterizzazioni reologiche sono poi state oggetto di un’analisi di sensitività ai fini di quantificare il peso dei parametri utilizzati. Il modello frizionale si è rivelato particolarmente sensibile all’andamento del coefficiente di attrito basale e al coefficiente di pressione dei pori, con un lieve preponderanza del primo, mentre il modello reologico di Voellmy si è mostrato fortemente influenzato dal coefficiente di turbolenza e dal coefficiente di attrito, pressoché paritari nell’effettivo condizionamento dei risultati. Gli output ottenuti simulando l’evento di Serraglio sono risultati generalmente meno realistici di quelli ricavati nel caso di Chiapporato: ciò è probabilmente dovuto alle caratteristiche reologiche proprie del fenomeno occorso a Serraglio, classificabile come un ibrido tra un mud flow e un debris flow. Sono state infine avanzate proposte di intervento e di monitoraggio dei siti indagati, al fine di una mitigazione del rischio idrogeologico gravante sulle aree esaminate. Il caso di Serraglio presenta, a parere dello scrivente, un rischio idrogeologico più elevato, se paragonato a quello presente a Chiapporato, dati la vicinanza ad un centro abitato e lo status quo caratterizzante il versante sede del dissesto. Nei circa 18 mesi trascorsi dopo l’evento è stato possibile rilevare un progressivo ampliamento della nicchia di distacco dello scivolamento, poi evolutosi in colata con andamento tipicamente retrogressivo. Lo stato della vegetazione permane in condizioni problematiche, con frequenti ribaltamenti e sradicamenti (processi noti in letteratura come chablis) dei castagni presenti, con un conseguente aumento dell’erosione superficiale del versante e l’apporto detritico all’interno del rio. Tale detrito è poi trattenuto all’interno dell’alveo da una serie di briglie naturali formatesi a seguito della caduta di varie piante all’interno del canale stesso a causa del passaggio del debris flow o a fenomeni di chablis. La forte sovraescavazione occorsa in occasione della colata ha poi favorito l’innesco di una serie di piccoli scivolamenti superficiali confluenti nel rio stesso, anch’essi apportatori di detrito, ingrediente principale per un nuovo debris flow. È inoltre da notare come la zona di runout è tuttora parzialmente occupata dal detrito depositatosi a seguito dell’evento: tale configurazione, causando di fatto una riduzione della potenziale area di “sfogo” di un nuovo debris flow, acuisce il rischio di un’estensione areale verso valle degli effetti di un nuovo fenomeno, con un conseguente possibile maggior coinvolgimento dell’abitato di Serraglio. È stato quindi proposto di attuare un’adeguata regimazione dell’area boschiva caratterizzante il versante, unitamente ad una regimazione fluviale del rio, tramite la realizzazione di briglie in legno e pietrame – essendo l’area non cantierabile – e la rimozione degli accumuli detritici in seno all’alveo stesso. La nicchia di distacco principale e le nicchie secondarie dovranno poi essere oggetto di opportuna stabilizzazione. Più a valle è stata suggerita la rimozione dell’accumulo detritico presente nell’area di runout e la realizzazione di un’adeguata opera di ricezione delle acque del rio e di eventuali nuove colate: a tal fine si è ipotizzato il ripristino dell’antico alveo, successivamente deviato e tombato per permettere l’edificazione dell’abitazione poi investita dalla colata. È stato inoltre proposto un monitoraggio attraverso l’installazione di un pluviometro, tarato con opportune soglie di allarme, dotato di datalogger e modem GPRS al fine di comunicare in tempo reale, ai tecnici incaricati e agli abitanti, un eventuale superamento della soglia di allarme. Il caso di Chiapporato è invece caratterizzato da problematiche connesse al rischio idrogeologico meno rilevanti di quelle presenti a Serraglio. Ciò è dovuto allo scarso traffico caratterizzante la strada comunale e all’assenza di altri edifici o infrastrutture potenzialmente coinvolgibili da un nuovo evento. La probabilità del verificarsi di una nuova colata è però concreta, considerata la forte erosione caratterizzante il versante: trascorsi sei mesi dall’evento, è stato possibile rilevare nell’area sorgente un accumulo medio di detrito di circa mezzo metro di spessore. Le cause del dissesto, a differenza di Serraglio, non sono in alcun modo imputabili all’azione antropica: si tratta infatti della naturale evoluzione del versante sovrastante il piano stradale. Si propone quindi la collocazione di cartelli stradali indicanti il pericolo di caduta massi e colate detritiche agli automobilisti e ai pedoni, unitamente all’installazione di un cavo a strappo posto lungo l’alveo torrentizio collegato ad un semaforo dislocato nei pressi del guado della strada comunale sul rio Casale. L’eventuale verificarsi di un nuovo evento comporterebbe la lacerazione del cavo installato e l’attivazione del semaforo – e di un eventuale allarme acustico – con conseguente inibizione del traffico stradale in occasione del transito del debris flow. Nel contesto geologico e geomorfologico dell’Appennino tosco-emiliano i debris flow rappresentano una tipologia di dissesto da frana poco diffusa, ma comunque potenzialmente presente nelle aree dove i processi di alterazione e degradazione degli ammassi rocciosi affioranti generino accumuli di detrito e in condizioni morfologiche caratterizzate da elevate pendenze dei versanti. Questo studio ha permesso di approfondire la conoscenza di questi fenomeni, che presentano una magnitudo notevolmente inferiore rispetto al contesto alpino, ma la cui interferenza con l’attività antropica acuisce notevolmente il rischio idrogeologico nelle zone interessate. Si sottolinea, inoltre, che nell’attuale contesto climatico caratterizzato da sempre più frequenti piogge brevi ed intense ed eventi cosiddetti di rain on snow, la frequenza sia temporale che spaziale di tali fenomeni di dissesto appare destinata ad aumentare, anche in aree in precedenza non interessate.
Resumo:
La Siria interna settentrionale rappresenta un’area di grande interesse dal punto di vista degli studi storico – archeologici. Da decenni, infatti, in questa zona si susseguono molteplici campagne di scavi archeologici e numerosi progetti di ricerca finalizzati alla ricostruzione ed alla caratterizzazione del paesaggio antico della Siria interna settentrionale. E’ proprio all’interno di tale contesto che si inquadra il presente lavoro di tesi, che vuol essere uno strumento di supporto interdisciplinare per le attività e le ricerche sotto differenti e molteplici punti di vista: ingegneristico, archeologico, geologico ed agrario. L’obiettivo principale di questo elaborato riguarda l’analisi e l’inquadramento del territorio della Siria interna settentrionale, attraverso l’impiego delle immagini satellitari e con il supporto dei dati presenti in letteratura, al fine di produrre una classificazione dell’area di interesse. Per permettere una migliore caratterizzazione del territorio, i risultati ottenuti sono inoltre valutati e comparati utilizzando differenti scale temporali e spaziali. Tali analisi hanno per loro natura un carattere multitemporale, con l’obiettivo di valutare le principali trasformazioni del territorio, analizzando in particolar modo il processo di urbanizzazione ed il differente utilizzo del suolo verificatisi negli ultimi 20 anni. Le analisi sono inoltre condotte su scale territoriali differenti, permettendo così di creare un database georeferenziato multiscala, che sia di supporto allo studio di questo territorio. Il lavoro ha comportato la messa a punto di procedure specifiche e l’applicazione di numerosi e diversi metodi propri del Telerilevamento ottico. A completamento delle elaborazioni di inquadramento del territorio della Siria interna settentrionale, è stato anche realizzato un layer relativo alla sismicità dell’area, che come noto presenta storicamente una forte attività sismica, con la organizzazione in ambiente GIS dei dati relativi ai principali sistemi di faglia presenti nell’area.