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The convergence of information technology and consumer electronics towards battery powered portable devices has increased the interest in high efficiency, low dissipation amplifiers. Class D amplifiers are the state of the art in low power consumption and high performance amplification. In this thesis we explore the possibility of exploiting nonlinearities introduced by the PWM modulation, by designing an optimized modulation law which scales its carrier frequency adaptively with the input signal's average power while preserving the SNR, thus reducing power consumption. This is achieved by means of a novel analytical model of the PWM output spectrum, which shows how interfering harmonics and their bandwidth affect the spectrum. This allows for frequency scaling with negligible aliasing between the baseband spectrum and its harmonics. We performed low noise power spectrum measurements on PWM modulations generated by comparing variable bandwidth, random test signals with a variable frequency triangular wave carrier. The experimental results show that power-optimized frequency scaling is both feasible and effective. The new analytical model also suggests a new PWM architecture that can be applied to digitally encoded input signals which are predistorted and compared with a cosine carrier, which is accurately synthesized by a digital oscillator. This approach has been simulated in a realistic noisy model and tested in our measurement setup. A zero crossing search on the obtained PWM modulation law proves that this approach yields an equivalent signal quality with respect to traditional PWM schemes, while entailing the use of signals whose bandwidth is remarkably smaller due to the use of a cosine instead of a triangular carrier.
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Nel presente studio sono state eseguite analisi chimiche su sedimenti fluviali, prelevati in 233 siti rappresentativi, fra i corsi d'acqua che attraversano la pianura Padana. L'obbiettivo dello studio era di caratterizzare il sedimento e determinarne il suo stato di qualità. Parallelamente è stata effettuata, un'indagine sulle comunità di macroinvertebrati, fra alcuni degli affluenti di sinistra del Po e sul Po stesso. I sedimenti sono stati analizzati con uno spettrofotometro a fluorescenza a raggi x (XRF). I risultati ottenuti, durante le analisi e le elaborazioni cartografiche eseguite, vengono riportati e discussi in questo documento. Le analisi chimiche indicano che la composizione del sedimento è caratteristica secondo la sua provenienza ed è determinata dalla litologia dell'area che i fiumi attraversano. Sono state riscontrate particolari anomalie, delle concentrazioni di alcuni elementi potenzialmente tossici, a valle dei centri urbani. Lo studio delle comunità di macroinvertebrati concorda con i risultati ottenuti attraverso le analisi chimiche.
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Nell’ambito di questa Tesi sono state affrontate le fasi di progettazione, sviluppo e caratterizzazione di materiali biomimetici innovativi per la realizzazione di membrane e/o costrutti 3D polimerici, come supporti che mimano la matrice extracellulare, finalizzati alla rigenerazione dei tessuti. Partendo dall’esperienza di ISTEC-CNR e da un’approfondita conoscenza chimica su polimeri naturali quali il collagene, è stata affrontata la progettazione di miscele polimeriche (blends) a base di collagene, addizionato con altri biopolimeri al fine di ottimizzarne i parametri meccanici e la stabilità chimica in condizioni fisiologiche. I polimeri naturali chitosano ed alginato, di natura polisaccaridica, già noti per la loro biocompatibilità e selezionati come additivi rinforzanti per il collagene, si sono dimostrati idonei ad interagire con le catene proteiche di quest’ultimo formando blends omogenei e stabili. Al fine di ottimizzare l’interazione chimica tra i polimeri selezionati, sono stati investigati diversi processi di blending alla base dei quali è stato applicato un processo complesso di co-fibrazione-precipitazione: sono state valutate diverse concentrazioni dei due polimeri coinvolti e ottimizzato il pH dell’ambiente di reazione. A seguito dei processi di blending, non sono state registrate alterazioni sostanziali nelle caratteristiche chimiche e nella morfologia fibrosa del collagene, a riprova del fatto che non hanno avuto luogo fenomeni di denaturazione della sua struttura nativa. D’altro canto entrambe le tipologie di compositi realizzati, possiedano proprietà chimico-fisiche peculiari, simili ma non identiche a quelle dei polimeri di partenza, risultanti di una reale interazione chimica tra le due molecole costituenti il blending. Per entrambi i compositi, è stato osservato un incremento della resistenza all’attacco dell’enzima collagenasi ed elevato grado di swelling, quest’ultimo lievemente inferiore per il dispositivo contenente chitosano. Questo aspetto, negativo in generale per quanto concerne la progettazione di impianti per la rigenerazione dei tessuti, può avere aspetti positivi poiché la minore permeabilità nei confronti dei fluidi corporei implica una maggiore resistenza verso enzimi responsabili della degradazione in vivo. Studi morfologici al SEM hanno consentito di visualizzare le porosità e le caratteristiche topografiche delle superfici evidenziando in molti casi morfologie ibride che confermano il buon livello d’interazione tra le fasi; una più bassa omogeneità morfologica si è osservata nel caso dei composti collagene-alginato e solo dopo reidratazione dello scaffold. Per quanto riguarda le proprietà meccaniche, valutate in termini di elasticità e resistenza a trazione, sono state rilevate variazioni molto basse e spesso dentro l’errore sperimentale per quanto riguarda il modulo di Young; discorso diverso per la resistenza a trazione, che è risultata inferiore per i campione di collagene-alginato. Entrambi i composti hanno comunque mostrato un comportamento elastico con un minore pre-tensionamento iniziale, che li rendono promettenti nelle applicazioni come impianti per la rigenerazione di miocardio e tendini. I processi di blending messi a punto nel corso della ricerca hanno permesso di ottenere gel omogenei e stabili per mezzo dei quali è stato possibile realizzare dispositivi con diverse morfologie per diversi ambiti applicativi: dispositivi 2D compatti dall’aspetto di membrane semitrasparenti idonei per rigenerazione del miocardio e ligamenti/tendini e 3D porosi, ottenuti attraverso processi di liofilizzazione, con l’aspetto di spugne, idonei alla riparazione/rigenerazione osteo-cartilaginea. I test di compatibilità cellulare con cardiomioblasti, hanno dimostrato come entrambi i materiali compositi realizzati risultino idonei a processi di semina di cellule differenziate ed in grado di promuovere processi di proliferazione cellulare, analogamente a quanto avviene per il collagene puro.
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I copolimeri derivanti da acido lattico, hanno attirato una grande attenzione, negli ultimi decenni, per le loro caratteristiche di biodegradabilità e biocompatibilità e per questo sono stati ampiamente studiati i loro metodi di sintesi e le loro proprietà. Il lavoro presentato parte dalla sintesi dei due monomeri trimetilene carbonato (TMC) e p-diossanone (PDO) da utilizzare poi nella formazione di copolimeri a blocchi con il lattide commerciale racemo e levogiro. Tali copolimeri dovrebbero presentare la proprietà di memoria di forma. Nell’elaborato sono presentate le diverse tecniche di polimerizzazione sperimentate per ognuno dei copolimeri sintetizzati: la prima parte riguarderà i copolimeri TMC-lattide, inizialmente con lattide racemo (DL-lattide) e poi, trovato un metodo di sintesi appropriato, approfondito con esempi di polimerizzazione TMC-L-lattide; la seconda parte esaminerà invece i copolimeri PDO-DL-lattide.
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Le celle a combustibile ad ossido solido (SOFC) sono reattori elettrochimici che convertono l’energia chimica di un gas combustibile direttamente in energia elettrica con un’alta efficienza e con basse emissioni. Il materiale più comunemente usato come anodo, il Ni/YSZ cermet, mostra però numerosi svantaggi nell’applicazione quali la suscettibilità all’avvelenamento da zolfo e la deposizione di coke per cracking degli idrocarburi usati come combustibile. E’ perciò necessario sviluppare materiali alternativi che sopperiscano a questi problemi. Il titanato di stronzio drogato con lantanio con stechiometria La0.4Sr0.4TiO3 (LST) è stato scelto come anodo alternativo per le ottime proprietà possedute. Lo scopo del lavoro di tesi è stato quindi lo studio dell’influenza della natura dei precursori, delle condizioni di sintesi e dell’aggiunta di agenti porizzanti necessari per l’ottenimento della fase perovskitica pura e con porosità controllata. In un primo tempo è stata verificata la possibilità di ottenere la fase La0.4Sr0.4TiO3 pura mediante sintesi allo stato solido, trattando termicamente miscele di precursori diversi. I risultati ottenuti hanno evidenziato che l’utilizzo di nitrati metallici porta a risultati migliori rispetto all’utilizzo di carbonati ed ossidi poiché permette la formazione della fase perovskite a temperature inferiori e con una purezza maggiore. Poiché l’analisi elementare sui materiali preparati in questa prima fase ha evidenziato un problema sulla stechiometria, il metodo di sintesi è stato ottimizzato solubilizzando preventivamente i precursori di lantanio e stronzio e determinandone il titolo mediante ICP. Inoltre, sono state effettuate delle sintesi utilizzando TiO2 a diversa area superficiale, per verificare l’effetto sulle fasi formate di una maggior reattività di questo componente. Per completezza la perovskite è stata sintetizzata anche tramite sintesi sol-gel, utilizzando il metodo Pechini, ottenendo a 700°C la fase pura. L’analisi morfologica ha evidenziato che le polveri con caratteristiche migliori per la formatura sono quelle ottenute tramite sintesi allo stato solido. Le pastiglie prodotte, miscelando tali polveri e agenti porizzanti opportuni, hanno evidenziato la stabilità della fase perovskitica voluta ma anche la necessità di ottimizzare l’aggiunta del porizzante per avere una porosità adeguata all’applicazione del sistema quale anodo SOFC.
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I materiali polimerici espansi sono utilizzati come core di pannelli compositi di tipo sandwich (tipicamente a base di polivinilcloruro, polistirene e poliuretani). Negli ultimi anni molte ricerche si sono concentrate sulla possibilità di aumentare le loro proprietà meccaniche, termiche, di resistenza agli agenti esterni, ignifughe, etc cercando contemporaneamente la diminuzione del peso e del costo (sia delle materia prime che di processo). In questo contesto, l’obiettivo di questa tesi di laurea è lo studio, la preparazione e la caratterizzazione di espansi in PVC di natura cross-linked per la produzione di pannelli compositi a sandwich potenzialmente utilizzabili in campo eolico e navale.
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In such territories where food production is mostly scattered in several small / medium size or even domestic farms, a lot of heterogeneous residues are produced yearly, since farmers usually carry out different activities in their properties. The amount and composition of farm residues, therefore, widely change during year, according to the single production process periodically achieved. Coupling high efficiency micro-cogeneration energy units with easy handling biomass conversion equipments, suitable to treat different materials, would provide many important advantages to the farmers and to the community as well, so that the increase in feedstock flexibility of gasification units is nowadays seen as a further paramount step towards their wide spreading in rural areas and as a real necessity for their utilization at small scale. Two main research topics were thought to be of main concern at this purpose, and they were therefore discussed in this work: the investigation of fuels properties impact on gasification process development and the technical feasibility of small scale gasification units integration with cogeneration systems. According to these two main aspects, the present work was thus divided in two main parts. The first one is focused on the biomass gasification process, that was investigated in its theoretical aspects and then analytically modelled in order to simulate thermo-chemical conversion of different biomass fuels, such as wood (park waste wood and softwood), wheat straw, sewage sludge and refuse derived fuels. The main idea is to correlate the results of reactor design procedures with the physical properties of biomasses and the corresponding working conditions of gasifiers (temperature profile, above all), in order to point out the main differences which prevent the use of the same conversion unit for different materials. At this scope, a gasification kinetic free model was initially developed in Excel sheets, considering different values of air to biomass ratio and the downdraft gasification technology as particular examined application. The differences in syngas production and working conditions (process temperatures, above all) among the considered fuels were tried to be connected to some biomass properties, such elementary composition, ash and water contents. The novelty of this analytical approach was the use of kinetic constants ratio in order to determine oxygen distribution among the different oxidation reactions (regarding volatile matter only) while equilibrium of water gas shift reaction was considered in gasification zone, by which the energy and mass balances involved in the process algorithm were linked together, as well. Moreover, the main advantage of this analytical tool is the easiness by which the input data corresponding to the particular biomass materials can be inserted into the model, so that a rapid evaluation on their own thermo-chemical conversion properties is possible to be obtained, mainly based on their chemical composition A good conformity of the model results with the other literature and experimental data was detected for almost all the considered materials (except for refuse derived fuels, because of their unfitting chemical composition with the model assumptions). Successively, a dimensioning procedure for open core downdraft gasifiers was set up, by the analysis on the fundamental thermo-physical and thermo-chemical mechanisms which are supposed to regulate the main solid conversion steps involved in the gasification process. Gasification units were schematically subdivided in four reaction zones, respectively corresponding to biomass heating, solids drying, pyrolysis and char gasification processes, and the time required for the full development of each of these steps was correlated to the kinetics rates (for pyrolysis and char gasification processes only) and to the heat and mass transfer phenomena from gas to solid phase. On the basis of this analysis and according to the kinetic free model results and biomass physical properties (particles size, above all) it was achieved that for all the considered materials char gasification step is kinetically limited and therefore temperature is the main working parameter controlling this step. Solids drying is mainly regulated by heat transfer from bulk gas to the inner layers of particles and the corresponding time especially depends on particle size. Biomass heating is almost totally achieved by the radiative heat transfer from the hot walls of reactor to the bed of material. For pyrolysis, instead, working temperature, particles size and the same nature of biomass (through its own pyrolysis heat) have all comparable weights on the process development, so that the corresponding time can be differently depending on one of these factors according to the particular fuel is gasified and the particular conditions are established inside the gasifier. The same analysis also led to the estimation of reaction zone volumes for each biomass fuel, so as a comparison among the dimensions of the differently fed gasification units was finally accomplished. Each biomass material showed a different volumes distribution, so that any dimensioned gasification unit does not seem to be suitable for more than one biomass species. Nevertheless, since reactors diameters were found out quite similar for all the examined materials, it could be envisaged to design a single units for all of them by adopting the largest diameter and by combining together the maximum heights of each reaction zone, as they were calculated for the different biomasses. A total height of gasifier as around 2400mm would be obtained in this case. Besides, by arranging air injecting nozzles at different levels along the reactor, gasification zone could be properly set up according to the particular material is in turn gasified. Finally, since gasification and pyrolysis times were found to considerably change according to even short temperature variations, it could be also envisaged to regulate air feeding rate for each gasified material (which process temperatures depend on), so as the available reactor volumes would be suitable for the complete development of solid conversion in each case, without even changing fluid dynamics behaviour of the unit as well as air/biomass ratio in noticeable measure. The second part of this work dealt with the gas cleaning systems to be adopted downstream the gasifiers in order to run high efficiency CHP units (i.e. internal engines and micro-turbines). Especially in the case multi–fuel gasifiers are assumed to be used, weightier gas cleaning lines need to be envisaged in order to reach the standard gas quality degree required to fuel cogeneration units. Indeed, as the more heterogeneous feed to the gasification unit, several contaminant species can simultaneously be present in the exit gas stream and, as a consequence, suitable gas cleaning systems have to be designed. In this work, an overall study on gas cleaning lines assessment is carried out. Differently from the other research efforts carried out in the same field, the main scope is to define general arrangements for gas cleaning lines suitable to remove several contaminants from the gas stream, independently on the feedstock material and the energy plant size The gas contaminant species taken into account in this analysis were: particulate, tars, sulphur (in H2S form), alkali metals, nitrogen (in NH3 form) and acid gases (in HCl form). For each of these species, alternative cleaning devices were designed according to three different plant sizes, respectively corresponding with 8Nm3/h, 125Nm3/h and 350Nm3/h gas flows. Their performances were examined on the basis of their optimal working conditions (efficiency, temperature and pressure drops, above all) and their own consumption of energy and materials. Successively, the designed units were combined together in different overall gas cleaning line arrangements, paths, by following some technical constraints which were mainly determined from the same performance analysis on the cleaning units and from the presumable synergic effects by contaminants on the right working of some of them (filters clogging, catalysts deactivation, etc.). One of the main issues to be stated in paths design accomplishment was the tars removal from the gas stream, preventing filters plugging and/or line pipes clogging At this scope, a catalytic tars cracking unit was envisaged as the only solution to be adopted, and, therefore, a catalytic material which is able to work at relatively low temperatures was chosen. Nevertheless, a rapid drop in tars cracking efficiency was also estimated for this same material, so that an high frequency of catalysts regeneration and a consequent relevant air consumption for this operation were calculated in all of the cases. Other difficulties had to be overcome in the abatement of alkali metals, which condense at temperatures lower than tars, but they also need to be removed in the first sections of gas cleaning line in order to avoid corrosion of materials. In this case a dry scrubber technology was envisaged, by using the same fine particles filter units and by choosing for them corrosion resistant materials, like ceramic ones. Besides these two solutions which seem to be unavoidable in gas cleaning line design, high temperature gas cleaning lines were not possible to be achieved for the two larger plant sizes, as well. Indeed, as the use of temperature control devices was precluded in the adopted design procedure, ammonia partial oxidation units (as the only considered methods for the abatement of ammonia at high temperature) were not suitable for the large scale units, because of the high increase of reactors temperature by the exothermic reactions involved in the process. In spite of these limitations, yet, overall arrangements for each considered plant size were finally designed, so that the possibility to clean the gas up to the required standard degree was technically demonstrated, even in the case several contaminants are simultaneously present in the gas stream. Moreover, all the possible paths defined for the different plant sizes were compared each others on the basis of some defined operational parameters, among which total pressure drops, total energy losses, number of units and secondary materials consumption. On the basis of this analysis, dry gas cleaning methods proved preferable to the ones including water scrubber technology in al of the cases, especially because of the high water consumption provided by water scrubber units in ammonia adsorption process. This result is yet connected to the possibility to use activated carbon units for ammonia removal and Nahcolite adsorber for chloride acid. The very high efficiency of this latter material is also remarkable. Finally, as an estimation of the overall energy loss pertaining the gas cleaning process, the total enthalpy losses estimated for the three plant sizes were compared with the respective gas streams energy contents, these latter obtained on the basis of low heating value of gas only. This overall study on gas cleaning systems is thus proposed as an analytical tool by which different gas cleaning line configurations can be evaluated, according to the particular practical application they are adopted for and the size of cogeneration unit they are connected to.
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Lo scopo di questo lavoro è quello di sviluppare un consorzio altamente performante in grado di degradare il tricloroetilene (TCE) e l’1,1,2,2-tetracloroetano (TeCA) attraverso una degradazione aerobica cometabolica in reattori a letto impaccato (PBRs). Per questo obiettivo, sono state campionate da differenti pozzi di monitoraggio cinque acque di falda contaminate dai solventi clorurati sopra descritti e sono stati preparati 20 vial batch da 119 mL per testare differenti substrati di crescita della biomassa: metano, propano, butano, pentano. Substrato ed ossigeno sono stati periodicamenti riaggiunti. I solventi clorurati sono stati aggiunti a concentrazioni crescenti. Sono stati anche allestiti quattro reattori a colonna impaccata per testare il carrier più adatto per la biomassa selezionata. In tali reattori sono state condotte prove fluidodinamiche preliminari.
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Scopo di questa tesi di laurea sperimentale (LM) è stata la produzione di geopolimeri a base metacaolinitica con una porosità controllata. Le principali tematiche affrontate sono state: -la produzione di resine geopolimeriche, studiate per individuare le condizioni ottimali ed ottenere successivamente geopolimeri con un’ultra-macro-porosità indotta; -lo studio dell’effetto della quantità dell’acqua di reazione sulla micro- e meso-porosità intrinseche della struttura geopolimerica; -la realizzazione di schiume geopolimeriche, aggiungendo polvere di Si, e lo studio delle condizioni di foaming in situ; -la preparazione di schiume ceramiche a base di allumina, consolidate per via geopolimerica. Le principali proprietà dei campioni così ottenuti (porosità, area superficiale specifica, grado di geopolimerizzazione, comportamento termico, capacità di scambio ionico sia delle resine geopolimeriche che delle schiume, ecc.) sono state caratterizzate approfonditamente. Le principali evidenze sperimentali riscontrate sono: A)Effetto dell’acqua di reazione: la porosità intrinseca del geopolimero aumenta, sia come quantità che come dimensione, all’aumentare del contenuto di acqua. Un’eccessiva diluizione porta ad una minore formazione di nuclei con l’ottenimento di nano-precipitati di maggior dimensioni. Nelle schiume geopolimeriche, l’acqua gioca un ruolo fondamentale nell’espansione: deve essere presente un equilibrio ottimale tra la pressione esercitata dall’H2 e la resistenza opposta dalla parete del poro in formazione. B)Effetto dell’aggiunta di silicio metallico: un elevato contenuto di silicio influenza negativamente la reazione di geopolimerizzazione, in particolare quando associato a più elevate temperature di consolidamento (80°C), determinando una bassa geopolimerizzazione nei campioni. C)Effetto del grado di geopolimerizzazione e della micro- e macro-struttura: un basso grado di geopolimerizzazione diminuisce l’accessibilità della matrice geopolimerica determinata per scambio ionico e la porosità intrinseca determinata per desorbimento di N2. Il grado di geopolimerizzazione influenza anche le proprietà termiche: durante i test dilatometrici, se il campione non è completamente geopolimerizzato, si ha un’espansione che termina con la sinterizzazione e nell’intervallo tra i 400 e i 600 °C è presente un flesso, attribuibile alla transizione vetrosa del silicato di potassio non reagito. Le prove termiche evidenziano come la massima temperatura di utilizzo delle resine geopolimeriche sia di circa 800 °C.
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L’attuale condizione che caratterizza il settore energetico richiede un necessario processo di riconversione che, oltre a favorire il risparmio energetico, riduca la dipendenza dai combustibili fossili ed accresca l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, dando un contributo fondamentale alla riduzione delle emissioni di gas serra come diversi accordi internazionali richiedono. Si rende pertanto necessario accelerare i processi che da alcuni anni stanno favorendo l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili. Tra queste, le fonti legate ai processi di trattamento biologico dei reflui stanno avendo un interessante sviluppo. Esistono numerosi processi biologici che consentono la produzione di energia in maniera indiretta, quali ad esempio i processi di digestione anaerobica finalizzati alla produzione di biogas e/o produzione biologica di idrogeno. In tale contesto si inserisce la tecnologia delle Microbial Fuel Cell, che consente la produzione diretta di energia elettrica, finalizzata al recupero energetico inteso al miglioramento dell’efficienza energetica e alla riduzione dei costi d’esercizio di impianti di trattamento biologico dei reflui. Il presente lavoro di Tesi di Dottorato sperimentale, svoltosi in collaborazione al laboratorio PROT.-IDR. della sede ENEA di Bologna, riporta i risultati dell’attività di ricerca condotta su una MFC (Microbial Fuel Cell) a doppio stadio biologico per il trattamento di reflui ad elevato carico organico e produzione continua di energia elettrica. E’ stata provata l’applicabilità della MFC con entrambi i comparti biotici utilizzando elettrodi di grafite non trattata ottenendo, con un carico organico in ingresso di circa 9 gd-1, valori di potenza massima prodotta che si attestano su 74 mWm-2, corrente elettrica massima generata di 175 mAm-2 ad una tensione di 421 mV, ed una conversione di COD in elettricità pari a 1,2 gCODm-2d-1. I risultati sono stati molto positivi per quanto riguarda le prestazioni depurative ottenute dalla MFC. L’efficienza di depurazione misurata ha raggiunto un valore massimo del 98% di rimozione del COD in ingresso, mentre e la concentrazione di azoto ammoniacale nell’effluente raccolto all’uscita del sedimentatore è sempre stata inferiore a 1 mgN-NH4+l-1. Tra gli obiettivi posti all’inizio della sperimentazione si è rivelata di notevole interesse la valutazione del possibile utilizzo della MFC come sistema per il monitoraggio on-line del COD e degli acidi grassi volatili (VFA) prodotti all’interno di un digestore anaerobico, attraverso la definizione di una correlazione tra i dati elettrici registrati in continuo e le concentrazioni di CODanaer e VFA misurate in diversi periodi della sperimentazione. L’analisi DGGE della biomassa catodica ha fornito uno strumento analitico utile allo studio della diversità della comunità microbica sospesa ed adesa al catodo e ha confermato la forte similarità delle specie batteriche riconosciute nei campioni analizzati. In particolare, le bande di sequenziamento ottenute sono affiliate ai gruppi batterici Firmicutes, -Proteobacteria, -Proteobacteria, -Proteobacteria e Bacteroidetes. Da quanto emerso dalla sperimentazione condotta si può pertanto concludere che ad oggi le MFC sono in fase di evoluzione rispetto ai primi prototipi utilizzati per lo studio delle comunità microbiali e per la comprensione dei meccanismi di trasferimento elettronico. Sfruttarne la potenza prodotta in maniera commerciale diviene una grande sfida per il futuro, ed è opinione comune che le prime applicazioni pratiche delle MFC saranno come fonte di recupero energetico per i dispositivi utilizzati per il monitoraggio dell’ambiente e per il trattamento delle acque reflue.