968 resultados para Serino-protease NS3 HCV
Resumo:
Nelle epatopatie croniche l’estensione della fibrosi è il principale determinante della prognosi. Sebbene la biopsia epatica rimanga il gold standard ai fini di una stadiazione, il crescente interesse nei confronti di metodi diagnostici non invasivi di fibrosi ha portato allo sviluppo di diversi modelli predittivi basati su parametri clinicolaboratoristici quali Fibrotest, indice APRI, indice Forns. Gli scopi dello studio sono: di stabilire l’accuratezza di un’analisi con rete neurale artificiale (ANN), tecnica di cui è stata dimostrata l’efficacia predittiva in situazioni biologiche complesse nell’identificare lo stadio di fibrosi, di confrontarne i risultati con quelli ottenuti dal calcolo degli indici APRI e Forns sullo stesso gruppo di pazienti e infine di validarne l’efficacia diagnostica in gruppi esterni.
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La storia naturale dell’epatopatia HCV-relata passa dall’epatite cronica alla cirrosi ed eventualmente all’epatocarcinoma fino ad arrivare alla possibile necessità del trapianto di fegato. HCV non esercita citolisi diretta, pertanto i fattori immunologici giocano il duplice ruolo di determinare l’evoluzione dell’infezione e il danno epatico. All’interno del sistema immunitario esistono linfociti in grado di inibire l’attivazione delle cellule effettrici modulando la risposta immunitaria; la popolazione regolatoria meglio conosciuta è costituita dai cosiddetti T-reg caratterizzati dal fenotipo CD4+CD35hiFoxp3+. Scopo di questo studio è stato determinare fenotipo e funzione dei T-reg, valutandone le correlazioni con caratteristiche cliniche e parametri biochimici e virologici, nelle diverse fasi della malattia epatica da HCV, a partire dall’epatite cronica, passando per la cirrosi, l’epatocarcinoma e terminando con il follow-up post-trapianto di fegato. Sono stati reclutati 80 pazienti con infezione cronica da HCV non in trattamento antivirale, di cui 52 con epatite cronica, 12 con cirrosi e 16 con epatocarcinoma. Di questi, 11 sono andati incontro a trapianto di fegato e sono stati poi seguiti fino a 36 mesi di follow up. Ventinove soggetti avevano transaminasi persistentemente nella norma e 28 mostravano ALT costantemente oltre 2.5x i valori normali. Quaranta donatori di sangue sono stati utilizzati come controlli sani. Marcatori di superficie (CD4, CD25) ed intracellulari (Foxp3) sono stati valutati in citofluorimetria su sangue intero periferico per tutti i soggetti al basale ed ogni 2-4 settimane dopo trapianto. In una quota di pazienti i T-reg sono stati estratti dai linfociti del sangue periferico con metodi immunomagnetici e la loro funzione valutata come percentuale di inibizione di proliferazione e produzione di IFN-γ da parte delle cellule bersaglio CD4+CD25- in esperimenti di co-coltura effettuati al basale e dopo 24-36 settimane dal trapianto. La percentuale di T-reg e l’espressione del Foxp3 sono risultate aumentate nei soggetti con HCV rispetto ai controlli sani, in particolare in coloro con cirrosi, HCC e nei pazienti con transaminasi normali indipendentemente dallo stadio di malattia, correlando inversamente con i livelli di transaminasi e direttamente con il punteggio MELD. La produzione di IFN-γ è incrementata in tutti i pazienti HCV ma efficacemente controllata solamente dai T-reg dei pazienti con transaminasi normali. Dopo il trapianto di fegato, si verifica una precoce e reversibile riduzione delle T-reg circolanti. Alla 24ma e 36ma settimana dal trapianto la percentuale dei T-reg circolanti è sovrapponibile al basale e i loro effetti, sia in termini di proliferazione che di produzione di IFN-γ, sulle cellule bersaglio, già dotate di una ridotta attività intrinseca, appaiono particolarmente incisivi. In conclusione, l’epatopatia cronica da HCV è caratterizzata da una popolazione di T-reg espansa che però, con l’eccezione dei soggetti con transaminasi normali, non appare in grado di limitare il danno epatico immuno-mediato e potrebbe favorire lo sviluppo e la crescita di lesioni tumorali nei pazienti con malattia avanzata. Il trapianto di fegato, probabilmente a causa della terapia immunosoppressiva, si associa ad un marcato e transitorio declino dei T-reg le cui numerosità e funzione vengono completamente recuperate a sei mesi dall’intervento. La migliore conoscenza dei meccanismi alla base delle cinetica e della funzione delle cellule regolatorie potrà fornire utili strumenti per il loro utilizzo come adiuvanti nella terapia dell’epatopatia cronica HCV relata.
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Patienten mit akuter, selbstlimitierender HCV-Infektion und solche mit IFN-a Therapieresponse (SCR) zeigten eine hochregulierte NS3-spezifische T-Helferzellantwort.Über die funktionelle Bedeutung der T-Helferzellantwort und der Antikörpersynthese besteht jedoch noch Unklarheit.In dieser Studie wurde die proliferative Antwort der PBMC von Patienten mit anhaltender Therapieresponse (SCR; n=8), Non-Respondern (NR; n=13) und unbehandelten HCV-Patienten(UTR; n=10) sowie gesunden Kontrollen (HC; n=5) auf die rekombinanten HCV-Antigene Core, Helicase, NS3, NS4 und NS5-4 bestimmt und ihre Sekretion von IFN-.
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In an attempt to develop a Staphylococcus aureus vaccine, we have applied reverse vaccinology approach, mainly based on in silico screening and proteomics. By using this approach SdrE, a protein belonging to serine-aspartate repeat protein family was identified as potential vaccine antigen against S. aureus. We have investigated the biochemical properties as well as the vaccine potential of SdrE and its highly conserved CnaBE3 domain. We found the protein SdrE to be resistant to trypsin. Further analysis of the resistant fragment revealed that it comprises a CnaBE3 domain, which also showed partial trypsin resistant behavior. Furthermore, intact mass spectrometry of rCnaBE3 suggested the possible presence of isopeptide bond or some other post-translational modification in the protein.However, this observation needs further investigation. Differential Scanning Fluorimetry study reveals that calcium play role in protein folding and provides stability to SdrE. At the end we have demonstrated that SdrE is immunogenic against clinical strain of S. aureus in murine abscess model. In the second part, I characterized a protein, annotated as epidermin leader peptide processing serine protease (EpiP), as a novel S. aureus vaccine candidate. The crystal structure of the rEpiP was solved at 2.05 Å resolution by x-ray crystallography . The structure showed that rEpiP was cleaved somewhere between residues 95 and 100 and cleavage occurs through an autocatalytic intra-molecular mechanism. In addition, the protein expressed by S. aureus cells also appeared to undergo a similar processing event. To determine if the protein acts as a serine protease, we mutated the catalytic serine 393 residue to alanine, generating rEpiP-S393A and solved its crystal structure at a resolution of 1.95 Å. rEpiP-S393A was impaired in its protease activity, as expected. Protective efficacy of rEpiP and the non-cleaving mutant protein was comparable, implying that the two forms are interchangeable for vaccination purposes.
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Diese Arbeit legt, im Rahmen eines interdisziplinären BMBF Projekts, die Grundlage für eine neue, potentielle Früherkennungsmethode für Prostatakrebs. Ausgehend von der Idee, einen sensitiv detektierbaren Farbstoff in selektiv, Hepsin-spaltbare Kapseln einzubringen, wurde ein Modellsystem erarbeitet. Als Zielsubstrat für das Enzym Hepsin wurde die Sequenz RQLRVVGG identifiziert. Basierend auf dem hier entwickelten Modell, könnte in Zukunft eine Detektion von Hepsin und damit von Prostatakrebs im Frühstadium in vivo erfolgen. rnUm das Konzept der Enzymspaltbarkeit zu zeigen,wurden, basierend auf einem Modell,enzymatisch-spaltbare, polymere Nanopartikeldargestellt. In dieser Arbeit konnte die Synthese von vier Generationen spezifisch Protease-spaltbarer, hydrophober Nanopartikel gezeigt werden. Die Enzyme Pepsin und Trypsin, die selektiv die Peptidsequenz GFF spalten, wurden als Modellenzyme für das im Prostatakarzinom überexprimierte Hepsin eingesetzt. rnrnAls Ausgangspolymer diente Poly(styrol-co-acrylsäure), das in freier, radikalischer Polymerisation hergestellt und mit Molekulargewichten zwischen 8500 und 49400 g/mol erhalten wurde. Der Funktionalisierungsgrad wurde zwischen 5 und 16%-Gew. variiert. Die Charakterisierung erfolgte mittels GPC und NMR-Spektroskopie. In einer polymeranalogen Reaktion wurden die Säurefunktionen zu Aminogruppen umgesetzt. Die resultierendenPolymere wurden unter Einsatz der über Jahrzehnte entwickelten, effektiven Peptidkupplungschemie mit enzymspaltbarenPeptiden gekuppelt, um dadurch definierte Peptid-Polymer-Konjugate zu erhalten.Als enzymatisch spaltbarer Teil des Konjugats, wurden mithilfe der Festphasenpeptidsynthese (SPPS),FRET(Fluoreszenz-Resonanz-Energie-Transfer)-markiertePeptide synthetisiert, die auf der Trypsin-spaltbaren Sequenz GFF basierten. Zum Nachweis der Vernetzung der späteren Nanopartikel, wurde zusätzlich einern15N-markierte Aminosäure (Fmoc-(15N)-Glycin) am N-Terminus der Peptide eingebaut, um die Reaktion des Amins zu einem Amid verfolgen zu können.Die Charakterisierung der Peptide erfolgte mittels1H-, 13C-NMR-Spektroskopie, MALDI TOF-MS und HPLC. Aus den Polymeren und dem Peptid wurden Peptid-Polymer-Konjugate hergestellt und die erfolgreiche Anbindung mittels DOSY-NMR-Spektroskopie und HPLC nachgewiesen. Aus den Konjugaten konnten im nächsten Schritt, durch Anwendung des inversen Miniemulsionsprozesses, Nanopartikel formuliertund diese in wässriges Milieu überführt werden. Die Dispersionen konnten mittels PCCS, REM und Zetapotentialmessungen charakterisiert werden, wobei Partikeldurchmesser um 230 nm resultierten. Der Nachweis der Vernetzung des Polymers in den Partikeln konnte durch die Reaktion desrn15N-Amins zu einem 15N-Amid mittels 15N-Festkörper-NMR-Spektroskopie nachverfolgt werden. Abschließend konnten die Partikel durch Trypsin gespalten werden, was durch das eingebaute FRET-Paar über eine in situ Detektion der relativen Fluoreszenz erfolgte. rnIn dieser Arbeit konnten Peptid-vernetzte, Polystyrol basierte Nanopartikel hergestellt und in Heterophase von Trypsin gespalten werden.rn
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Introduzione:l’interferone (IFN) usato per l’eradicazione del virus dell’Epatite C, induce effetti collaterali anche riferibili alla sfera psichica. I dati sugli eventi avversi di tipo psichiatrico dei nuovi farmaci antivirali (DAA) sono limitati. Lo scopo di questo studio è di valutare lo sviluppo di effetti collaterali di tipo psichiatrico in corso di due distinti schemi di trattamento: IFN-peghilato e ribavirina [terapia duplice (standard o SOC)]; DAA in associazione a IFN-peghilato e ribavirina (terapia triplice). Metodi: pazienti HCV+ consecutivi seguiti presso l’Ambulatorio delle Epatiti Croniche della Semeiotica Medica del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche dell’Università di Bologna in procinto di intraprendere un trattamento antivirale a base di IFN, sottoposti ad esame psicodiagnostico composto da intervista clinica semistrutturata e test autosomministrati: BDI, STAXI-2, Hamilton Anxiety Scale, MMPI – 2. Risultati: Sono stati arruolati 84 pazienti, 57/84 (67.9%) nel gruppo in triplice e 27/84 nel gruppo SOC. Quasi tutti i pazienti arruolati hanno eseguito l’intervista clinica iniziale (82/84; 97.6%), mentre scarsa è stata l’aderenza ai test (valori missing>50%). Ad eccezione dell’ansia, la prevalenza di tutti gli altri disturbi (irritabilità, astenia, disfunzioni neurocognitive, dissonnia) aumentava in corso di trattamento. In corso di terapia antivirale 43/84 (51.2%) hanno avuto bisogno di usufruire del servizio di consulenza psichiatrica e 48/84 (57.1%) hanno ricevuto una psicofarmacoterapia di supporto, senza differenze significative fra i due gruppi di trattamento. Conclusioni : uno degli elementi più salienti dello studio è stata la scarsa aderenza ai test psicodiagnostici, nonostante l’elevata prevalenza di sintomi psichiatrici. I risultati di questo studio oltre ad evidenziare l’importanza dei sintomi psichiatrici in corso di trattamento e la rilevanza della consulenza psicologica e psichiatrica per consentire di portare a termine il ciclo terapeutico previsto (migliorandone l’efficacia), ha anche dimostrato che occorre ripensare gli strumenti diagnostici adattandoli probabilmente a questo specifico target.
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Die Leishmaniose gehört zu den „vernachlässigten tropischen Erkrankungen“. Sie wird durch parasitäre Protozoen der Gattung Leishmania ausgelöst. Weltweit sind ca. 12 Mio. Menschen infiziert, ca. 70 Tausend erliegen ihr jährlich. Die aktuelle Therapie wird überschattet von Toxizitäts- und Teratogenitätsproblemen und von aufkommenden Resistenzen. Die von den Leishmanien exprimierten Cysteinproteasen spielen vielfältige Rollen bei Wachstum und Vermehrung der Erreger. Aufgrund der evolutionären Verwandtschaft der Enzyme sind die parasitären Cysteinproteasen strukturell den humanen sehr ähnlich. Die Herausforderung bei der Entwicklung antiparasitärer Wirkstoffe, basierend auf der Hemmung dieser Proteasen, besteht deshalb darin, sehr selektive Inhibitoren zu entwickeln, die die Wirtsproteasen nicht, oder nur in einem vertretbaren Rahmen, inhibieren. Das Ziel dieser Arbeit war die Weiterentwicklung der Aziridin-2,3-dicarbonsäure-basierten Cysteinproteaseinhibitoren RV122C bzw. CS09 hinsichtlich Selektivität und Aktivität gegenüber der parasitären Cathepsin-L-ähnlichen Cystein-Protease LmCPB2.8 durch Design, incl. Docking, Synthese und Testung. Neben der gezielten Variation nicht essenzieller Gruppen wurde molekulares Docking mittels AutoDock Vina an Cruzain als verwandtes Modellenzym durchgeführt, um durch Variationen K.O.-Kandidaten für die Differenzierung zwischen zwei postulierten Bindungsmodi zu finden. Die Ergebnisse der Enzymassays zeigen eine Verbesserung der Hemmeigenschaften bei gleichzeitig verbesserter Selektivität sowie erhöhter ligand efficiency und ligand lipophilic efficiency für Derivate mit sterisch anspruchsvolleren Ester-Resten und für Derivate mit einer freien Carbonsäurefunktion am Aziridin-Ring (Halbester).
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Krebs stellt eine der häufigsten Todesursachen in Europa dar. Grundlage für eine langfristige Verbesserung des Behandlungserfolgs ist ein molekulares Verständnis der Mechanismen, welche zur Krankheitsentstehung beitragen. In diesem Zusammenhang spielen Proteasen nicht nur eine wichtige Rolle, sondern stellen auch bei vielerlei Erkrankungen bereits anerkannte Zielstrukturen derzeitiger Behandlungsstrategien dar. Die Protease Threonin Aspartase 1 (Taspase1) spielt eine entscheidende Rolle bei der Aktivierung von Mixed Lineage Leukemia (MLL)-Fusionsproteinen und somit bei der Entstehung aggressiver Leukämien. Aktuelle Arbeiten unterstreichen zudem die onkologische Relevanz von Taspase1 auch für solide Tumore. Die Kenntnisse über die molekularen Mechanismen und Signalnetzwerke, welche für die (patho)biologischen Funktionen von Taspase1 verantwortlich sind, stellen sich allerdings noch immer als bruchstückhaft dar. Um diese bestehenden Wissenslücken zu schließen, sollten im Rahmen der Arbeit neue Strategien zur Inhibition von Taspase1 erarbeitet und bewertet werden. Zusätzlich sollten neue Einsichten in evolutionären Funktionsmechanismen sowie eine weitergehende Feinregulation von Taspase1 erlangt werden. Zum einen erlaubte die Etablierung und Anwendung eines zellbasierten Taspase1-Testsystem, chemische Verbindungen auf deren inhibitorische Aktivität zu testen. Überraschenderweise belegten solch zelluläre Analysen in Kombination mit in silico-Modellierungen eindeutig, dass ein in der Literatur postulierter Inhibitor in lebenden Tumorzellen keine spezifische Wirksamkeit gegenüber Taspase1 zeigte. Als mögliche Alternative wurden darüber hinaus Ansätze zur genetischen Inhibition evaluiert. Obwohl publizierte Studien Taspase1 als ααββ-Heterodimer beschreiben, konnte durch Überexpression katalytisch inaktiver Mutanten kein trans-dominant negativer Effekt und damit auch keine Inhibition des wildtypischen Enzyms beobachtet werden. Weiterführende zellbiologische und biochemische Analysen belegten erstmalig, dass Taspase1 in lebenden Zellen in der Tat hauptsächlich als Monomer und nicht als Dimer vorliegt. Die Identifizierung evolutionär konservierter bzw. divergenter Funktionsmechanismen lieferte bereits in der Vergangenheit wichtige Hinweise zur Inhibition verschiedenster krebsrelevanter Proteine. Da in Drosophila melanogaster die Existenz und funktionelle Konservierung eines Taspase1-Homologs postuliert wurde, wurde in einem weiteren Teil der vorliegenden Arbeit die evolutionäre Entwicklung der Drosophila Taspase1 (dTaspase1) untersucht. Obwohl Taspase1 als eine evolutionär stark konservierte Protease gilt, konnten wichtige Unterschiede zwischen beiden Orthologen festgestellt werden. Neben einem konservierten autokatalytischen Aktivierungsmechanismus besitzt dTaspase1 verglichen mit dem humanen Enzym eine flexiblere Substraterkennungs-sequenz, was zu einer Vergrößerung des Drosophila-spezifischen Degradoms führt. Diese Ergebnisse zeigen des Weiteren, dass zur Definition und Vorhersage des Degradoms nicht nur proteomische sondern auch zellbiologische und bioinformatische Untersuchungen geeignet und notwendig sind. Interessanterweise ist die differentielle Regulation der dTaspase1-Aktivität zudem auf eine veränderte intrazelluläre Lokalisation zurückzuführen. Das Fehlen von in Vertebraten hochkonservierten aktiven Kernimport- und nukleolären Lokalisationssignalen erklärt, weshalb dTaspase1 weniger effizient nukleäre Substrate prozessiert. Somit scheint die für die humane Taspase1 beschriebene Regulation von Lokalisation und Aktivität über eine Importin-α/NPM1-Achse erst im Laufe der Entwicklung der Vertebraten entstanden zu sein. Es konnte also ein bislang unbekanntes evolutionäres Prinzip identifiziert werden, über welches eine Protease einen Transport- bzw. Lokalisations-basierten Mechanismus zur Feinregulation ihrer Aktivität „von der Fliege zum Menschen“ nutzt. Eine weitere Möglichkeit zur dynamischen Funktionsmodulation bieten post-translationale Modifikationen (PTMs) der Proteinsequenz, zu welcher Phosphorylierung und Acetylierung zählen. Interessanterweise konnte für die humane Taspase1 über den Einsatz unabhängiger Methoden einschließlich massenspektrometrischer Analysen eine Acetylierung durch verschiedene Histon-Acetyltransferasen (HATs) nachgewiesen werden. Diese Modifikation erfolgt reversibel, wobei vor allem die Histon-Deacetylase HDAC1 durch Interaktion mit Taspase1 die Deacetylierung der Protease katalysiert. Während Taspase1 in ihrer aktiven Konformation acetyliert vorliegt, kommt es nach Deacetylierung zu einer Reduktion ihrer enzymatischen Aktivität. Somit scheint die Modulation der Taspase1-Aktivität nicht allein über intra-proteolytische Autoaktivierung, Transport- und Interaktionsmechanismen, sondern zudem durch post-translationale Modifikationen gesteuert zu werden. Zusammenfassend konnten im Rahmen dieser Arbeit entscheidende neue Einblicke in die (patho)biologische Funktion und Feinregulation der Taspase1 gewonnen werden. Diese Ergebnisse stellen nicht nur einen wichtigen Schritt in Richtung eines verbesserten Verständnis der „Taspase1-Biologie“, sondern auch zur erfolgreichen Inhibition und Bewertung der krebsrelevanten Funktion dieser Protease dar.
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Pergularain e I, a cysteine protease with thrombin-like activity, was purified by ion exchange chromatography from the latex of Pergularia extensa. Its homogeneity was characterized by sodium dodecyl sulfate polyacrylamide gel electrophoresis (SDS-PAGE), native PAGE and reverse-phase high-performance liquid chromatography (RP-HPLC). The molecular mass of pergularain e I by matrix-assisted laser desorption ionization-time of flight (MALDI-TOF) was found to be 23.356 kDa and the N-terminal sequence is L-P-H-D-V-E. Pergularain e I is a glycoprotein containing approximately 20% of carbohydrate. Pergularain e I constituted 6.7% of the total protein with a specific activity of 9.5 units/mg/min with a 2.11-fold increased purity. Proteolytic activity of the pergularain e I was completely inhibited by iodoacetic acid (IAA). Pergularain e I exhibited procoagulant activity with citrated plasma and fibrinogen similar to thrombin. Pergularain e I increases the absorbance of fibrinogen solution in concentration-dependent and time-dependent manner. At 10 microg concentration, an absorbance of 0.48 was reached within 10 min of incubation time. Similar absorbance was observed when 0.2 NIH units of thrombin were used. Thrombin-like activity of pergularain e I is because of the selective hydrolysis of A alpha and B beta chains of fibrinogen and gamma-chain was observed to be insusceptible to hydrolysis. Molecular masses of the two peptide fragments released from fibrinogen due to the hydrolysis by pergularain e I at 5-min incubation time were found to be 1537.21 and 1553.29 and were in close agreement with the molecular masses of 16 amino acid sequence of fibrinopeptide A and 14 amino acid sequence of fibrinopeptide B, respectively. Prolonged fibrinogen-pergularain e I incubation releases additional peptides and their sequence comparison of molecular masses of the released peptides suggested that pergularain e I hydrolyzes specifically after arginine residues.
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Background Hepatitis C virus (HCV) infection is a major cause of morbidity in HIV infected individuals. Coinfection with HIV is associated with diminished HCV-specific immune responses and higher HCV RNA levels. Aims To investigate whether long-term combination antiretroviral therapy (cART) restores HCV-specific T cell responses and improves the control of HCV replication. Methods T cell responses were evaluated longitudinally in 80 HIV/HCV coinfected individuals by ex vivo interferon-γ-ELISpot responses to HCV core peptides, that predominantly stimulate CD4+ T cells. HCV RNA levels were assessed by real-time PCR in 114 individuals. Results The proportion of individuals with detectable T cell responses to HCV core peptides was 19% before starting cART, 24% in the first year on cART and increased significantly to 45% and 49% after 33 and 70 months on cART (p=0.001). HCV-specific immune responses increased in individuals with chronic (+31%) and spontaneously cleared HCV infection (+30%). Median HCV RNA levels before starting cART were 6.5 log10 IU/ml. During long-term cART, median HCV-RNA levels slightly decreased compared to pre-cART levels (−0.3 log10 IU/ml, p=0.02). Conclusions Successful cART is associated with increasing cellular immune responses to HCV core peptides and with a slight long-term decrease in HCV RNA levels. These findings are in line with the favourable clinical effects of cART on the natural history of hepatitis C and with the current recommendation to start cART earlier in HCV/HIV coinfected individuals.
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Paraneoplastic pemphigus (PNP) is a devastating autoimmune blistering disease, involving mucocutaneous and internal organs, and associated with underlying neoplasms. PNP is characterized by the production of autoantibodies targeting proteins of the plakin and cadherin families involved in maintenance of cell architecture and tissue cohesion. Nevertheless, the identity of an antigen of Mr 170,000 (p170), thought to be critical in PNP pathogenesis, has remained unknown.