999 resultados para teorema del viriale, instabilità di Jeans, campo magnetico, formazione stellare
Resumo:
Il presente studio ha avuto l’obiettivo di indagare la produzione di bioetanolo di seconda generazione a partire dagli scarti lignocellulosici della canna da zucchero (bagassa), facendo riscorso al processo enzimatico. L’attività di ricerca è stata svolta presso il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Lund (Svezia) all’interno di rapporti scambio con l’Università di Bologna. Il principale scopo è consistito nel valutare la produzione di etanolo in funzione delle condizioni operative con cui è stata condotta la saccarificazione e fermentazione enzimatica (SSF) della bagassa, materia prima che è stata sottoposta al pretrattamento di Steam Explosion (STEX) con aggiunta di SO2 come catalizzatore acido. Successivamente, i dati ottenuti in laboratorio dalla SSF sono stati utilizzati per implementare, in ambiente AspenPlus®, il flowsheet di un impianto che simula tutti gli aspetti della produzione di etanolo, al fine di studiarne il rendimento energetico dell’intero processo. La produzione di combustibili alternativi alle fonti fossili oggigiorno riveste primaria importanza sia nella limitazione dell’effetto serra sia nel minimizzare gli effetti di shock geopolitici sulle forniture strategiche di un Paese. Il settore dei trasporti in continua crescita, consuma nei paesi industrializzati circa un terzo del fabbisogno di fonti fossili. In questo contesto la produzione di bioetanolo può portare benefici per sia per l’ambiente che per l’economia qualora valutazioni del ciclo di vita del combustibile ne certifichino l’efficacia energetica e il potenziale di mitigazione dell’effetto serra. Numerosi studi mettono in risalto i pregi ambientali del bioetanolo, tuttavia è opportuno fare distinzioni sul processo di produzione e sul materiale di partenza utilizzato per comprendere appieno le reali potenzialità del sistema well-to-wheel del biocombustibile. Il bioetanolo di prima generazione ottenuto dalla trasformazione dell’amido (mais) e delle melasse (barbabietola e canna da zucchero) ha mostrato diversi svantaggi: primo, per via della competizione tra l’industria alimentare e dei biocarburanti, in secondo luogo poiché le sole piantagioni non hanno la potenzialità di soddisfare domande crescenti di bioetanolo. In aggiunta sono state mostrate forti perplessità in merito alla efficienza energetica e del ciclo di vita del bioetanolo da mais, da cui si ottiene quasi la metà della produzione di mondiale di etanolo (27 G litri/anno). L’utilizzo di materiali lignocellulosici come scarti agricolturali e dell’industria forestale, rifiuti urbani, softwood e hardwood, al contrario delle precedenti colture, non presentano gli svantaggi sopra menzionati e per tale motivo il bioetanolo prodotto dalla lignocellulosa viene denominato di seconda generazione. Tuttavia i metodi per produrlo risultano più complessi rispetto ai precedenti per via della difficoltà di rendere biodisponibili gli zuccheri contenuti nella lignocellulosa; per tale motivo è richiesto sia un pretrattamento che l’idrolisi enzimatica. La bagassa è un substrato ottimale per la produzione di bioetanolo di seconda generazione in quanto è disponibile in grandi quantità e ha già mostrato buone rese in etanolo se sottoposta a SSF. La bagassa tal quale è stata inizialmente essiccata all’aria e il contenuto d’acqua corretto al 60%; successivamente è stata posta a contatto per 30 minuti col catalizzatore acido SO2 (2%), al termine dei quali è stata pretrattata nel reattore STEX (10L, 200°C e 5 minuti) in 6 lotti da 1.638kg su peso umido. Lo slurry ottenuto è stato sottoposto a SSF batch (35°C e pH 5) utilizzando enzimi cellulolitici per l’idrolisi e lievito di birra ordinario (Saccharomyces cerevisiae) come consorzio microbico per la fermentazione. Un obiettivo della indagine è stato studiare il rendimento della SSF variando il medium di nutrienti, la concentrazione dei solidi (WIS 5%, 7.5%, 10%) e il carico di zuccheri. Dai risultati è emersa sia una buona attività enzimatica di depolimerizzazione della cellulosa che un elevato rendimento di fermentazione, anche per via della bassa concentrazione di inibitori prodotti nello stadio di pretrattamento come acido acetico, furfuraldeide e HMF. Tuttavia la concentrazione di etanolo raggiunta non è stata valutata sufficientemente alta per condurre a scala pilota un eventuale distillazione con bassi costi energetici. Pertanto, sono stati condotti ulteriori esperimenti SSF batch con addizione di melassa da barbabietola (Beta vulgaris), studiandone preventivamente i rendimenti attraverso fermentazioni alle stesse condizioni della SSF. I risultati ottenuti hanno suggerito che con ulteriori accorgimenti si potranno raggiungere gli obiettivi preposti. E’ stato inoltre indagato il rendimento energetico del processo di produzione di bioetanolo mediante SSF di bagassa con aggiunta di melassa in funzione delle variabili più significative. Per la modellazione si è fatto ricorso al software AspenPlus®, conducendo l’analisi di sensitività del mix energetico in uscita dall’impianto al variare del rendimento di SSF e dell’addizione di saccarosio. Dalle simulazioni è emerso che, al netto del fabbisogno entalpico di autosostentamento, l’efficienza energetica del processo varia tra 0.20 e 0.53 a seconda delle condizioni; inoltre, è stata costruita la curva dei costi energetici di distillazione per litro di etanolo prodotto in funzione delle concentrazioni di etanolo in uscita dalla fermentazione. Infine sono già stati individuati fattori su cui è possibile agire per ottenere ulteriori miglioramenti sia in laboratorio che nella modellazione di processo e, di conseguenza, produrre con alta efficienza energetica bioetanolo ad elevato potenziale di mitigazione dell’effetto serra.
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La Tesi tratta della modellazione e dell'analisi di ponti ad arco in muratura. In particolare è stato studiato il caso del vecchio ponte di Bagno di Piano, sito al km 14 della S.P. 18 "Palludese" in comune di Sala Bolognese in Provincia di Bologna. L’obiettivo della Tesi di Laurea è duplice, nel senso che da un lato si cerca di risalire alle probabili cause del crollo e, dall’altra si intende mettere a punto un quadro operativo per l’analisi strutturale di ponti ad arco in muratura.
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In questa tesi si è voluta porre l’attenzione sulla suscettibilità alle alte temperature delle resine che li compongono. Lo studio del comportamento alle alte temperature delle resine utilizzate per l’applicazione dei materiali compositi è risultato un campo di studio ancora non completamente sviluppato, nel quale c’è ancora necessità di ricerche per meglio chiarire alcuni aspetti del comportamento. L’analisi di questi materiali si sviluppa partendo dal contesto storico, e procedendo successivamente ad una accurata classificazione delle varie tipologie di materiali compositi soffermandosi sull’ utilizzo nel campo civile degli FRP (Fiber Reinforced Polymer) e mettendone in risalto le proprietà meccaniche. Considerata l’influenza che il comportamento delle resine riveste nel comportamento alle alte temperature dei materiali compositi si è, per questi elementi, eseguita una classificazione in base alle loro proprietà fisico-chimiche e ne sono state esaminate le principali proprietà meccaniche e termiche quali il modulo elastico, la tensione di rottura, la temperatura di transizione vetrosa e il fenomeno del creep. Sono state successivamente eseguite delle prove sperimentali, effettuate presso il Laboratorio Resistenza Materiali e presso il Laboratorio del Dipartimento di Chimica Applicata e Scienza dei Materiali, su dei provini confezionati con otto differenti resine epossidiche. Per valutarne il comportamento alle alte temperature, le indagini sperimentali hanno valutato dapprima le temperature di transizione vetrosa delle resine in questione e, in seguito, le loro caratteristiche meccaniche. Dalla correlazione dei dati rilevati si sono cercati possibili legami tra le caratteristiche meccaniche e le proprietà termiche delle resine. Si sono infine valutati gli aspetti dell’applicazione degli FRP che possano influire sul comportamento del materiale composito soggetto alle alte temperature valutando delle possibili precauzioni che possano essere considerate in fase progettuale.
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In questi ultimi anni il tema della sicurezza sismica degli edifici storici in muratura ha assunto particolare rilievo in quanto a partire soprattutto dall’ordinanza 3274 del 2003, emanata in seguito al sisma che colpì il Molise nel 2002, la normativa ha imposto un monitoraggio ed una classificazione degli edifici storici sotto tutela per quanto riguarda la vulnerabilità sismica (nel 2008, quest’anno, scade il termine per attuare quest’opera di classificazione). Si è posto per questo in modo più urgente il problema dello studio del comportamento degli edifici storici (non solo quelli che costituiscono monumento, ma anche e soprattutto quelli minori) e della loro sicurezza. Le Linee Guida di applicazione dell’Ordinanza 3274 nascono con l’intento di fornire strumenti e metodologie semplici ed efficaci per affrontare questo studio nei tempi previsti. Il problema si pone in modo particolare per le chiese, presenti in grande quantità sul territorio italiano e di cui costituiscono gran parte del patrimonio culturale; questi edifici, composti di solito da grandi elementi murari, non presentano comportamento scatolare, mancando orizzontamenti, elementi di collegamento efficace e muri di spina interni e sono particolarmente vulnerabili ad azioni sismiche; presentano inoltre un comportamento strutturale a sollecitazioni orizzontali che non può essere colto con un approccio globale basato, ad esempio, su un’analisi modale lineare: non ci sono modi di vibrare che coinvolgano una sufficiente parte di massa della struttura; si hanno valori dei coefficienti di partecipazione dei varii modi di vibrare minori del 10% (in generale molto più bassi). Per questo motivo l’esperienza e l’osservazione di casi reali suggeriscono un approccio di studio degli edifici storici sacri in muratura attraverso l’analisi della sicurezza sismica dei cosiddetti “macroelementi” in cui si può suddividere un edificio murario, i quali sono elementi che presentano un comportamento strutturale autonomo. Questo lavoro si inserisce in uno studio più ampio iniziato con una tesi di laurea dal titolo “Analisi Limite di Strutture in Muratura. Teoria e Applicazione all'Arco Trionfale” (M. Temprati), che ha studiato il comportamento dell’arco trionfale della chiesa collegiata di Santa Maria del Borgo a San Nicandro Garganico (FG). Suddividere un edificio in muratura in più elementi è il metodo proposto nelle Linee Guida, di cui si parla nel primo capitolo del presente lavoro: la vulnerabilità delle strutture può essere studiata tramite il moltiplicatore di collasso quale parametro in grado di esprimere il livello di sicurezza sismica. Nel secondo capitolo si illustra il calcolo degli indici di vulnerabilità e delle accelerazioni di danno per la chiesa di Santa Maria del Borgo, attraverso la compilazione delle schede dette “di II livello”, secondo quanto indicato nelle Linee Guida. Nel terzo capitolo viene riportato il calcolo del moltiplicatore di collasso a ribaltamento della facciata della chiesa. Su questo elemento si è incentrata l’attenzione nel presente lavoro. A causa della complessità dello schema strutturale della facciata connessa ad altri elementi dell’edificio, si è fatto uso del codice di calcolo agli elementi finiti ABAQUS. Della modellazione del materiale e del settaggio dei parametri del software si è discusso nel quarto capitolo. Nel quinto capitolo si illustra l’analisi condotta tramite ABAQUS sullo stesso schema della facciata utilizzato per il calcolo manuale nel capitolo tre: l’utilizzo combinato dell’analisi cinematica e del metodo agli elementi finiti permette per esempi semplici di convalidare i risultati ottenibili con un’analisi non-lineare agli elementi finiti e di estenderne la validità a schemi più completi e più complessi. Nel sesto capitolo infatti si riportano i risultati delle analisi condotte con ABAQUS su schemi strutturali in cui si considerano anche gli elementi connessi alla facciata. Si riesce in questo modo ad individuare con chiarezza il meccanismo di collasso di più facile attivazione per la facciata e a trarre importanti informazioni sul comportamento strutturale delle varie parti, anche in vista di un intervento di ristrutturazione e miglioramento sismico.
Resumo:
Gli istoni sono proteine basiche che possono essere classificate in varie classi: H1, H2A, H2B, H3 e H4. Queste proteine formano l’ottamero proteico attorno al quale si avvolge il DNA per formare il nucleosoma che è l’unità fondamentale della cromatina. A livello delle code N-terminali, gli istoni possono essere soggetti a numerose modifiche posttraduzionali quali acetilazioni, metilazioni, fosforilazioni, ADP-ribosilazioni e ubiquitinazioni. Queste modifiche portano alla formazione di diversi siti di riconoscimento per diversi complessi enzimatici coinvolti in importanti processi come la riparazione e la replicazione del DNA e l’assemblaggio della cromatina. La più importante e la più studiata di queste modifiche è l’acetilazione che avviene a livello dei residui amminici della catena laterale dell’amminoacido lisina. I livelli corretti di acetilazione delle proteine istoniche sono mantenuti dall’attività combinata di due enzimi: istone acetil transferasi (HAT) e istone deacetilasi (HDAC). Gli enzimi appartenenti a questa famiglia possono essere suddivisi in varie classi a seconda delle loro diverse caratteristiche, quali la localizzazione cellulare, la dimensione, l’omologia strutturale e il meccanismo d’azione. Recentemente è stato osservato che livelli aberranti di HDAC sono coinvolti nella carcinogenesi; per questo motivo numerosi gruppi di ricerca sono interessati alla progettazione e alla sintesi di composti che siano in grado di inibire questa classe enzimatica. L’inibizione delle HDAC può infatti provocare arresto della crescita cellulare, apoptosi o morte cellulare. Per questo motivo la ricerca farmaceutica in campo antitumorale è mirata alla sintesi di inibitori selettivi verso le diverse classi di HDAC per sviluppare farmaci meno tossici e per cercare di comprendere con maggiore chiarezza il ruolo biologico di questi enzimi. Il potenziale antitumorale degli inibitori delle HDAC deriva infatti dalla loro capacità di interferire con diversi processi cellulari, generalmente non più controllati nelle cellule neoplastiche. Nella maggior parte dei casi l’attività antitumorale risiede nella capacità di attivare programmi di differenziamento, di inibire la progressione del ciclo cellulare e di indurre apoptosi. Inoltre sembra essere molto importante anche la capacità di attivare la risposta immunitaria e l’inibizione dell’angiogenesi. Gli inibitori delle HDAC possono essere a loro volta classificati in base alla struttura chimica, alla loro origine (naturale o sintetica), e alla loro capacità di inibire selettivamente le HDAC appartenenti a classi diverse. Non è ancora chiaro se la selettività di queste molecole verso una specifica classe di HDAC sia importante per ottenere un effetto antitumorale, ma sicuramente inibitori selettivi possono essere molto utili per investigare e chiarire il ruolo delle HDAC nei processi cellulari che portano all’insorgenza del tumore. Nel primo capitolo di questa tesi quindi è riportata un’introduzione sull’importanza delle proteine istoniche non solo da un punto di vista strutturale ma anche funzionale per il destino cellulare. Nel secondo capitolo è riportato lo stato dell’arte dell’analisi delle proteine istoniche che comprende sia i metodi tradizionali come il microsequenziamento e l’utilizzo di anticorpi, sia metodi più innovativi (RP-LC, HILIC, HPCE) ideati per poter essere accoppiati ad analisi mediante spettrometria di massa. Questa tecnica consente infatti di ottenere importanti e precise informazioni che possono aiutare sia a identificare gli istoni come proteine che a individuare i siti coinvolti nelle modifiche post-traduzionali. Nel capitolo 3 è riportata la prima parte del lavoro sperimentale di questa tesi volto alla caratterizzazione delle proteine istoniche mediante tecniche cromatografiche accoppiate alla spettrometria di massa. Nella prima fase del lavoro è stato messo a punto un nuovo metodo cromatografico HPLC che ha consentito di ottenere una buona separazione, alla linea di base, delle otto classi istoniche (H1-1, H1-2, H2A-1, H2A-2, H2B, H3-1, H3-2 e H4). La separazione HPLC delle proteine istoniche ha permesso di poter eseguire analisi accurate di spettrometria di massa mediante accoppiamento con un analizzatore a trappola ionica tramite la sorgente electrospray (ESI). E’ stato così possibile identificare e quantificare tutte le isoforme istoniche, che differiscono per il tipo e il numero di modifiche post-traduzionali alle quali sono soggette, previa estrazione da colture cellulari di HT29 (cancro del colon). Un’analisi così dettagliata delle isoforme non può essere ottenuta con i metodi immunologici e permette di eseguire un’indagine molto accurata delle modifiche delle proteine istoniche correlandole ai diversi stadi della progressione del ciclo e alla morte cellulare. Il metodo messo a punto è stato convalidato mediante analisi comparative che prevedono la stessa separazione cromatografica ma accoppiata a uno spettrometro di massa avente sorgente ESI e analizzatore Q-TOF, dotato di maggiore sensibilità e risoluzione. Successivamente, per identificare quali sono gli specifici amminoacidi coinvolti nelle diverse modifiche post-traduzionali, l’istone H4 è stato sottoposto a digestione enzimatica e successiva analisi mediante tecniche MALDI-TOF e LC-ESI-MSMS. Queste analisi hanno permesso di identificare le specifiche lisine acetilate della coda N-terminale e la sequenza temporale di acetilazione delle lisine stesse. Nel quarto capitolo sono invece riportati gli studi di inibizione, mirati a caratterizzare le modifiche a carico delle proteine istoniche indotte da inibitori delle HDAC, dotati di diverso profilo di potenza e selettività. Dapprima Il metodo messo a punto per l’analisi delle proteine istoniche è stato applicato all’analisi di istoni estratti da cellule HT29 trattate con due noti inibitori delle HDAC, valproato e butirrato, somministrati alle cellule a dosi diverse, che corrispondono alle dosi con cui sono stati testati in vivo, per convalidare il metodo per studi di inibizione di composti incogniti. Successivamente, lo studio è proseguito con lo scopo di evidenziare effetti legati alla diversa potenza e selettività degli inibitori. Le cellule sono state trattate con due inibitori più potenti, SAHA e MS275, alla stessa concentrazione. In entrambi i casi il metodo messo a punto ha permesso di evidenziare l’aumento dei livelli di acetilazione indotto dal trattamento con gli inibitori; ha inoltre messo in luce differenti livelli di acetilazione. Ad esempio il SAHA, potente inibitore di tutte le classi di HDAC, ha prodotto un’estesa iperacetilazione di tutte le proteine istoniche, mentre MS275 selettivo per la classe I di HDAC, ha prodotto modifiche molto più blande. E’ stato quindi deciso di applicare questo metodo per studiare la dose e la tempo-dipendenza dell’effetto di quattro diversi inibitori delle HDAC (SAHA, MS275, MC1855 e MC1568) sulle modifiche post-traduzionali di istoni estratti da cellule HT29. Questi inibitori differiscono oltre che per la struttura chimica anche per il profilo di selettività nei confronti delle HDAC appartenenti alle diverse classi. Sono stati condotti quindi studi di dose-dipendenza che hanno consentito di ottenere i valori di IC50 (concentrazione capace di ridurre della metà la quantità relativa dell’istone meno acetilato) caratteristici per ogni inibitore nei confronti di tutte le classi istoniche. E’ stata inoltre calcolata la percentuale massima di inibizione per ogni inibitore. Infine sono stati eseguiti studi di tempo-dipendenza. I risultati ottenuti da questi studi hanno permesso di correlare i livelli di acetilazione delle varie classi istoniche con la selettività d’azione e la struttura chimica degli inibitori somministrati alle cellule. In particolare, SAHA e MC1855, inibitori delle HDAC di classi I e II a struttura idrossamica, hanno causato l’iperacetilazione di tutte le proteine istoniche, mentre MC1568 (inibitore selettivo per HDAC di classe II) ha prodotto l’iperacetilazione solo di H4. Inoltre la potenza e la selettività degli inibitori nel provocare un aumento dei livelli di acetilazione a livello delle distinte classi istoniche è stata correlata al destino biologico della cellula, tramite studi di vitalità cellulare. E’ stato osservato che il SAHA e MC1855, inibitori potenti e non selettivi, somministrati alla coltura HT29 a dose 50 μM producono morte cellulare, mentre MS275 alla stessa dose produce accumulo citostatico in G1/G0. MC1568, invece, non produce effetti significatici sul ciclo cellulare. Questo studio ha perciò dimostrato che l’analisi tramite HPLC-ESI-MS delle proteine istoniche permette di caratterizzare finemente la potenza e la selettività di nuovi composti inibitori delle HDAC, prevedendone l’effetto sul ciclo cellulare. In maggiore dettaglio è risultato che l’iperacetilazione di H4 non è in grado di provocare modifiche significative sul ciclo cellulare. Questo metodo, insieme alle analisi MALDI-TOF e LC-ESI-MSMS che permettono di individuare l’ordine di acetilazione delle lisine della coda N-terminale, potrà fornire importanti informazioni sugli inibitori delle HDAC e potrà essere applicato per delineare la potenza, la selettività e il meccanismo di azione di nuovi potenziali inibitori di questa classe enzimatica in colture cellulari tumorali.
Resumo:
Oggetto di questa tesi è lo studio della qualità del servizio di trasporto erogato che condiziona la qualità percepita dall’utente, poiché spesso proprio a causa di un errato processo di pianificazione e gestione della rete, molte aziende non sono in grado di consolidare un alto livello di efficienza che permetta loro di attrarre e servire la crescente domanda. Per questo motivo, si è deciso di indagare sugli aspetti che determinano la qualità erogata e sui fattori che la influenzano, anche attraverso la definizione di alcuni indicatori rappresentativi del servizio erogato. L’area di studio considerata è stata quella urbana di Bologna, e sono state prese in esame due linee di ATC, la 19 e la 27, caratterizzate entrambe da una domanda di trasporto molto elevata. L’interesse è ricaduto in modo particolare sugli aspetti legati alla regolarità del servizio, ovvero al rispetto della cadenza programmata delle corse e alla puntualità, ossia il rispetto dell’orario programmato delle stesse. Proprio da questi due aspetti, infatti, dipende in larga misura la percezione della qualità che gli utenti hanno del servizio di trasporto collettivo. Lo studio è stato condotto sulla base di dati raccolti attraverso due campagne di rilevamento, una effettuata nel mese di maggio dell’anno 2008 e l’altra nel mese di settembre dello stesso anno. La scelta del periodo, della zona e delle modalità di rilevamento è strettamente connessa all’obiettivo prefissato. Il servizio è influenzato dalle caratteristiche del sistema di trasporto: sia da quelle legate alla domanda che da quelle legate all’offerta. Nel caso della domanda di trasporto si considera l’influenza sul servizio del numero di passeggeri saliti e del tempo di sosta alle fermate. Nel caso dell’offerta di trasporto si osservano soprattutto gli aspetti legati alla rete di trasporto su cui si muovono gli autobus, analizzando quindi i tempi di movimento e le velocità dei mezzi, per vedere come le caratteristiche dell’infrastruttura possano condizionare il servizio. A tale proposito è opportuno dire che, mentre i dati della prima analisi ci sono utili per lo studio dell’influenza del tempo di sosta sull’intertempo, nella seconda analisi si vuole cercare di effettuare ulteriori osservazioni sull’influenza del tempo di movimento sulla cadenza, prendendo in esame altri elementi, come ad esempio tratti di linea differenti rispetto al caso precedente. Un’attenzione particolare, inoltre, verrà riservata alla verifica del rispetto della cadenza, dalla quale scaturisce la definizione del livello di servizio per ciò che riguarda la regolarità. Per quest’ultima verrà, inoltre, determinato anche il LOS relativo alla puntualità. Collegato al problema del rispetto della cadenza è il fenomeno dell’accodamento: questo si verifica quando i mezzi di una stessa linea arrivano contemporaneamente ad una fermata uno dietro l’altro. L’accodamento ha, infatti, origine dal mancato rispetto della cadenza programmata tra i mezzi ed è un’evidente manifestazione del mal funzionamento di un servizio di trasporto. Verrà infine condotta un’analisi dei fattori che possono influenzare le prestazioni del servizio di trasporto pubblico, così da collocare i dati ottenuti dalle operazioni di rilevamento in un quadro più preciso, capace di sottolineare alcuni elementi di criticità e possibili rapporti di causalità.
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E’ stato in primo luogo definito il criterio di efficienza dal punto di vista economico (con una accenno anche ai parametri elaborati dagli studiosi di discipline aziendali), nelle sue varie accezioni, ponendo altresì ciascuna di queste in relazione alle condizioni di concorrenza perfetta. Le nozioni di efficienza che sono state definite a tal fine sono quelle di efficienza allocativa, efficienza tecnica, efficienza dinamica ed efficienza distributiva. Ciascuna di esse é stata inquadrata a livello teorico secondo le definizioni fornite dalla letteratura, esaminandone le ipotesi sottostanti. E’ stata altresì descritta, contestualizzandola temporalmente, l’evoluzione della nozione, e ne sono state evidenziate le implicazioni ai fini della ricerca della forma di mercato più “efficiente”. Sotto quest’ultimo aspetto l’attenzione dello scrivente si é incentrata sul rapporto tra le diverse accezioni di efficienza economica oggetto di analisi e la desiderabilità o meno di un regime di concorrenza perfetta. Il capitolo si conclude con una breve panoramica sulle metodologie di misurazione finalizzata ad individuare i principali parametri utilizzati per determinare il livello di efficienza, di un mercato, di un’attività produttiva o di un’impresa, posto che, come verrà specificato nel prosieguo della tesi, la valutazione di efficienza in ambito antitrust deve essere verificata, ove possibile, anche basandosi sull’evidenza empirica delle singole imprese esaminate, come richiede il criterio della rule of reason. Capitolo 2 Presupposto per avere una regolazione che persegua l’obiettivo di avere una regolazione efficiente ed efficace, è, a parere di chi scrive, anche l’esistenza di autorità pubbliche deputate a esercitare la funzione regolatoria che rispettino al proprio interno e nel proprio agire la condizione di efficienza definita rispetto ai pubblici poteri. Lo sviluppo di questa affermazione ha richiesto in via preliminare, di definire il criterio di efficienza in ambito pubblicistico individuandone in particolare l’ambito di applicazione, il suo rapporto con gli altri principi che reggono l’azione amministrativa (con particolare riferimento al criterio di efficacia). Successivamente é stato collocato nel nostro ordinamento nazionale, ponendolo in relazione con il principio di buon andamnento della Pubblica Amministrazione, benchè l’ordinamento italiano, per la sua specificità non costituisca un esempio estendibile ad ordinamenti. Anche con riferimento al criterio di efficienza pubblica, un paragrafo é stato dedicato alle metodologie di misurazione di questa, e, nello specifico sull’Analisi Costi-Benefici e sull’Analisi di Impatto della Regolazione Una volta inquadrata la definizione di efficienza pubblica, questa é stata analizzata con specifico riferimento all’attività di regolazione dell’economia svolta dai soggetti pubblici, ambito nella quale rientra la funzione antitrust. Si é provato in particolare ad evidenziare, a livello generale, quali sono i requisiti necessari ad un’autorità amministrativa antitrust, costituita e dotata di poteri ad hoc, affinché essa agisca, nella sua attività di regolazione, secondo il principio di efficienza, Il capitolo si chiude allargando l’orizzonte della ricerca verso una possibile alternativa metodologica al criterio di efficienza precedentemente definito: vi si é infatti brevemente interrogati circa lo schema interpretativo nel quale ci muoviamo, affrontando la questione definitoria del criterio di efficienza, ponendolo in relazione con l’unico modello alternativo esistente, quello sviluppatosi nella cultura cinese. Non certo per elaborare un’applicazione in “salsa cinese” del criterio di efficienza alla tutela della concorrenza, compito al quale lo scrivente non sarebbe stato in grado di ottemperare, bensì, più semplicemente per dare conto di un diverso approccio alla questione che il futuro ruolo di superpotenza economica della Cina imporrà di prendere in considerazione. Capitolo 3 Nel terzo capitolo si passa a definire il concetto di concorrenza come istituto oggetto di tutela da parte della legge antitrust, per poi descrivere la nascita e l’evoluzione di tale legislazione negli Stati Uniti e della sua applicazione, posto che il diritto antitrust statunitense ancora oggi costituisce il necessario punto di riferimento per lo studioso di questa materia. L’evoluzione del diritto antitrust statunitense é stata analizzata parallelamente allo sviluppo delle principali teorie di law and economics che hanno interpretato il diritto della concorrenza quale possibile strumento per conseguire l’obiettivo dell’efficienza economica: la Scuola di Harvard e il paradigma strutturalista, la teoria evoluzionista della Scuola Austriaca, la Scuola di Chicago; le c.d. teorie “Post-Chicago”. Nel terzo capitolo, in altri termini, si é dato conto dell’evoluzione del pensiero economico con riferimento alla sua applicazione al diritto antitrust, focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto negli Stati Uniti, paese nel quale sono nati sia l’istituto giuridico della tutela della concorrenza sia l’analisi economica del diritto. A conclusione di questa ricostruzione dottrinale ho brevemente esaminato quelle che sono le nuove tendenze dell’analisi economica del diritto, e specificatamente la teoria del comportamento irrazionale, benché esse non abbiano ancora ricevuto applicazione al diritto antitrust. Chi scrive ritiene infatti che queste teorie avranno ricadute anche in questa materia poiché essa costituisce uno dei principali ambiti applicativi della law and economics. Capitolo 4 Nel quarto capitolo é stata effettuata una disanima della disciplina comunitaria antitrust sottolineando come l’Unione Europea si proponga attraverso la sua applicazione, soprattutto in materia di intese, di perseguire fini eterogenei, sia economici che non economici, tra loro diversi e non di rado contrastanti, e analizzando come questa eterogeneità di obiettivi abbia influito sull’applicazione del criterio di efficienza. Attenendomi in questo capitolo al dato normativo, ho innanzitutto evidenziato l’ampiezza dell’ambito di applicazione della disciplina comunitaria antitrust sia dal punto di vista soggettivo che territoriale (dottrina dell’effetto utile), sottolineando come la norma giustifichi esplicitamente il ricorso al criterio di efficienza solo nella valutazione delle intese: il comma 3 dell’art. 81 del Trattato include, infatti, tra i requisiti di una possibile esenzione dall’applicazione del divieto per le intese qualificate come restrittive della concorrenza, la possibilità di ottenere incrementi di efficienza tecnica e/o dinamica attraverso l’implementazione delle intese in questione. Tuttavia la previsione da parte dello stesso art. 81 (3) di altri requisiti che devono contemporaneamente essere soddisfatti affinché un intesa restrittiva della concorrenza possa beneficiare dell’esenzione, nonché la possibile diversa interpretazione della locuzione “progresso tecnico ed economico”, impone, o comunque ammette, il perseguimento di altri obiettivi, contestualmente a quello dell’efficienza, giustificando così quell’eterogeneità dei fini che contraddistingue la politica della concorrenza dell’Unione Europea. Se la disciplina delle intese aiuta a comprendere il ruolo del criterio di efficienza nell’applicazione dei precetti antitrust da parte degli organi comunitari, l’art. 82 del Trattato non contiene invece alcun riferimento alla possibilità di utilizzare il criterio di efficienza nella valutazione delle condotte unilaterali poste in essere da imprese in posizione dominante sul mercato rilevante. Si è peraltro dato conto della consultazione recentemente avviata dalla Commissione Europea finalizzata all’elaborazione di Linee Guida che definiscano i criteri di interpretazione che l’organo comunitario dovrà seguire nella valutazione dei comportamenti unilaterali. A parere dello scrivente, anzi, l’assenza di un preciso schema cui subordinare la possibilità di ricorrere al criterio di efficienza nella valutazione della fattispecie, attribuisce alle autorità competenti un più ampio margine di discrezionalità nell’utilizzo del suddetto criterio poiché manca il vincolo della contestuale sussistenza delle altre condizioni di cui all’art. 81(3). Per quanto concerne infine la disciplina delle concentrazioni, essa, come abbiamo visto, prevede un riferimento ai possibili incrementi di efficienza (tecnica e dinamica) derivanti da operazioni di fusione, utilizzando la nozione utilizzata per le intese, così come nel precedente Regolamento 4064/89. Si é infine analizzato il nuovo Regolamento in materia di concentrazioni che avrebbe potuto costituire l’occasione per recepire nella disciplina comunitaria l’attribuzione della facoltà di ricorrere all’efficiency defense in presenza di una fattispecie, quella della fusione tra imprese, suscettibile più di altre di essere valutata secondo il criterio di efficienza, ma che si é invece limitato a riprendere la medesima locuzione presente nell’art. 81(3). Il capitolo attesta anche l’attenzione verso l’istanza di efficienza che ha riguardato il meccanismo di applicazione della norma antitrust e non il contenuto della norma stessa; a questo profilo attiene, infatti, l’innovazione apportata dal Regolamento 1/2003 che ha permesso, a parere dello scrivente, un’attribuzione più razionale della competenza nella valutazione dei casi tra la Commissione e le autorità nazionali degli Stati membri; tuttavia pone alcune questioni che investono direttamente il tema dei criteri di valutazione utilizzati dalle autorità competenti. Capitolo 5 L’analisi del quarto capitolo é stata condotta, sebbene in forma più sintetica, con riferimento alle normative antitrust dei principali Stati membri della Comunità Europea (Germania, Gran Bretagna, Spagna, Francia e Italia), rapportando anche queste al criterio di efficienza, ove possibile. Particolare attenzione é stata dedicata ai poteri e alle competenze attribuite alle autorità nazionali antitrust oggetto di studio dall’ordinamento giuridico cui appartengono e al contesto, in termini di sistema giuridico, nel quale esse operano. Capitolo 6 Si é provato ad effettuare una valutazione del livello di efficienza delle autorità prese in esame, la Commissione e le diverse autorità nazionali e ciò con particolare riferimento alla idoneità di queste a svolgere i compiti istituzionali loro affidati (criterio di efficienza dal punto di vista giuridico): affinchè un’autorità si possa ispirare al criterio di efficienza economica nell’adozione delle decisioni, infatti, è preliminarmente necessario che essa sia idonea a svolgere il compito che le è stato affidato dall’ordinamento. In questo senso si é osservata la difficoltà dei paesi di civil law a inquadrare le autorità indipendenti all’interno di un modello, quello appunto di civil law, ispirato a una rigida tripartizione dei poteri. Da qui la difficile collocazione di queste autorità che, al contrario, costituiscono un potere “ibrido” che esercita una funzione di vigilanza e garanzia non attribuibile integralmente né al potere esecutivo né a quello giurisdizionale. Si rileva inoltre una certa sovrapposizione delle competenze e dei poteri tra autorità antitrust e organi ministeriali, in particolare nel campo delle concentrazioni che ingenera un rischio di confusione e bassa efficienza del sistema. Mantenendo, infatti, un parziale controllo politico si rischia, oltre all’introduzione di criteri di valutazione politica che prescindono dagli effetti delle fattispecie concrete sul livello di concorrenza ed efficienza del mercato, anche di dare luogo a conflitti tra le diverse autorità del sistema che impediscano l’adozione e l’implementazione di decisioni definitive, incrementando altresì i costi dell’intervento pubblico. Un giudizio a parte è stato infine formulato con riguardo alla Commissione Europea, istituzione, in quanto avente caratteristiche e poteri peculiari. Da un lato l’assenza di vincolo di mandato dei Commissari e l’elevata preparazione tecnica dei funzionari costituiscono aspetti che avvicinano la Commissione al modello dell’autorità indipendenti, e l’ampiezza dei poteri in capo ad essa le permette di operare efficientemente grazie anche alla possibilità di valersi dell’assistenza delle autorità nazionali. Dall’altra parte, tuttavia la Commissione si caratterizza sempre di più come un organo politico svolgente funzioni esecutive, di indirizzo e di coordinamento che possono influenzare gli obiettivi che essa persegue attraverso l’attività antitrust, deviandola dal rispetto del criterio di efficienza. Capitolo 7 Una volta definito il contesto istituzionale di riferimento e la sua idoneità a svolgere la funzione affidatagli dall’ordinamento comunitario, nonché da quelli nazionali, si è proceduto quindi all’analisi delle decisioni adottate da alcune delle principali autorità nazionali europee competenti ad applicare la disciplina della concorrenza dal punto di vista dell’efficienza. A tal fine le fattispecie rilevanti a fini antitrust dal punto di vista giuridico sono state classificate utilizzando un criterio economico, individuando e definendo quelle condotte che presentano elementi comuni sotto il profilo economico e per ciascuna di esse sono state inquadrate le problematiche rilevanti ai fini dell’efficienza economica sulla scorta dei contributi teorici e delle analisi empiriche svolte dalla letteratura. 6 Con riferimento a ciascuna condotta rilevante ho esaminato il contenuto di alcune delle decisioni antitrust più significative e le ho interpretate in base al criterio di efficienza. verificando se e in quale misura le autorità antitrust prese in esame utilizzano tale criterio, cercando altresì di valutare l’evoluzione dei parametri di valutazione occorsa nel corso degli anni. Le decisioni analizzate sono soprattutto quelle adottate dalla Commissione e le eventuali relative sentenze della Corte di Giustizia Europea; ciò sia per la maggior rilevanza dei casi trattati a livello comunitario, sia in quanto le autorità nazionali, con qualche rara eccezione, si conformano generalmente ai criteri interpretativi della Commissione. Riferimenti a decisioni adottate dalle autorità nazionali sono stati collocati allorquando i loro criteri interpretativi si discostino da quelli utilizzati dagli organi comunitari. Ne è emerso un crescente, anche se ancora sporadico e incostante, ricorso al criterio di efficienza da parte degli organi europei preposti alla tutela della concorrenza. Il tuttora scarso utilizzo del criterio di efficienza nello svolgimento dell’attività antitrust è motivato, a parere di chi scrive, in parte dall’eterogeneità degli obiettivi che l’Unione Europea persegue attraverso la politica della concorrenza comunitaria (completamento del mercato unico, tutela del consumatore, politica industriale, sviluppo delle aree svantaggiate), in parte dall’incapacità (o dall’impossibilità) delle autorità di effettuare coerenti analisi economiche delle singole fattispecie concrete. Anche le principali autorità nazionali mostrano una crescente propensione a tendere conto dell’efficienza nella valutazione dei casi, soprattutto con riferimento agli accordi verticali e alle concentrazioni, sulla scia della prassi comunitaria. Più innovativa nell’applicazione del criterio di efficienza economica così come nella ricerca di uso ottimale delle risorse si è finora dimostrato l’OFT, come vedremo anche nel prossimo capitolo. Al contrario sembra più lenta l’evoluzione in questo senso dell’Ufficio dei Cartelli tedesco sia a causa delle già citate caratteristiche della legge antitrust tedesca, sia a causa del persistente principio ordoliberale della prevalenza del criterio della rule of law sulla rule of reason. Peraltro, anche nei casi in cui le Autorità siano propense ad utilizzare il criterio di efficienza nelle loro valutazioni, esse si limitano generalmente ad un’analisi teorica dell’esistenza di precondizioni che consentano alle imprese in questione di ottenere guadagni di efficienza. La sussistenza di tali pre-condizioni viene infatti rilevata sulla base della capacità potenziale della condotta dell’impresa (o delle imprese) di avere un effetto positivo in termini di efficienza, nonché sulla base delle caratteristiche del mercato rilevante. Raramente, invece, si tiene conto della capacità reale dei soggetti che pongono in essere la pratica suscettibile di essere restrittiva della concorrenza di cogliere effettivamente queste opportunità, ovvero se la struttura e l’organizzazione interna dell’impresa (o delle imprese) non è in grado di mettere in pratica ciò che la teoria suggerisce a causa di sue carenza interne o comunque in ragione delle strategie che persegue. Capitolo 8 Poiché l’approccio ispirato al criterio di efficienza economica non può prescindere dalle caratteristiche del settore e del mercato in cui operano l’impresa o le imprese che hanno posto in essere la condotta sotto esame, e poiché una valutazione approfondita di tutti i settori non era effettuabile per quantità di decisioni adottate dalle autorità, ho infine ritenuto di svolgere un’analisi dettagliata dell’attività delle autorità con riferimento ad uno specifico settore. La scelta è caduta sul settore dei trasporti in quanto esso presenta alcune problematiche che intrecciano l’esigenza di efficienza con la tutela della concorrenza, nonché per la sua importanza ai fini dello sviluppo economico. Tanto più alla luce del fenomeno della crescente apertura dei mercati che ha enfatizzato la triplice funzione dei trasporti di merci, di livellamento nello spazio dei prezzi di produzione, di redistribuzione nello spazio dell’impiego dei fattori della produzione, e soprattutto di sollecitazione al miglioramento delle tecnologie utilizzate nella produzione stessa in quanto contribuiscono alla divisione territoriale del lavoro e alla specializzazione produttiva. A loro volta, d’altra parte, i miglioramenti tecnici e organizzativi intervenuti nel settore negli ultimi trenta anni hanno reso possibile il fenomeno della globalizzazione nella misura in cui lo conosciamo. Così come le riduzioni di costo e di tempo conseguite nel trasporto di persone hanno consentito massicci spostamenti di lavoratori e più in generale di capitale umano da una parte all’altra del globo, e favorito altresì la spettacolare crescita del settore turistico. Ho quindi condotto un’analisi delle decisioni antitrust relative al settore dei trasporti, suddividendo la casistica in base al comparto al quale esse si riferivano, cercando sempre di non perdere di vista i crescenti legami che esistono tra i vari comparti alla luce dell’ormai affermato fenomeno del trasporto multimodale. Dall’analisi svolta emerge innanzitutto come l’assoggettamento del settore dei trasporti alla disciplina di tutela della concorrenza sia un fenomeno relativamente recente rispetto alle altre attività economiche, laddove la ragione di tale ritardo risiede nel fatto che tradizionalmente questo settore era caratterizzato da un intervento pubblico diretto e da una pervasiva regolamentazione, a sua volta giustificata da vari fattori economici: le caratteristiche di monopolio naturale delle infrastrutture; le esigenze di servizio pubblico connesse all’erogazione di molti servizi di trasporto; il ruolo strategico svolto dal trasporto sia di persone che di merci ai fini della crescita economica di un sistema. Si concretizza, inoltre, con riferimento ai trasporti marittimi e aerei, l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che spesso hanno effetti letteralmente globali. Le imprese marittime e aeree coinvolte nelle fattispecie da noi esaminate, infatti, in molti casi predisponevano, direttamente o mediatamente, tramite “alleanze”, collegamenti tra tutte le aree del mondo, individuando nell’Europa solo un nodo di un network ben più ampio Da questa constatazione discende, a parere dello scrivente, l’impossibilità per l’autorità comunitaria e ancor più per quella nazionale di individuare tutti gli effetti in termini di efficienza che la fattispecie concreta può provocare, non includendo pertanto solo quelli evidenti sul mercato comunitario. Conseguentemente una reale applicazione del criterio di efficienza all’attività antitrust nel settore dei trasporti non può prescindere da una collaborazione tra autorità a livello mondiale sia a fini di indagine che a fini di individuazione di alcuni principi fondamentali cui ispirarsi nello svolgimento della loro missione istituzionale. Capitolo 9. Conclusioni L’opera si chiude con l’individuazione delle evidenze e degli elementi emersi dalla trattazione considerati dallo scrivente maggiormente rilevanti nell’ambito dell’attuale dibattito di economia positiva circa le principali problematiche che affiggono l’intervento antitrust con particolare riferimento al suo rispetto del criterio di efficienza. Sono state altresì proposte alcune soluzioni a quelle che sono, a parere dello scrivente, le principali carenze dell’attuale configurazione dell’intervento antitrust a livello europeo, sempre in una prospettiva di efficienza sia delle autorità competenti sia dei mercati in cui le autorità stesse cercano di mantenere o ripristinare condizioni di concorrenza effettiva. Da un lato il modello costituito dalla Commissione Europea, l’autorità antitrust comunitaria, non replicabile né esente da critiche: la Commissione, infatti, rappresenta il Governo dell’Unione Europea e come tale non può ovviamente costituire un esempio di autorità indipendente e neutrale recepibile da parte degli Stati membri. Ciò anche a prescindere dalla questione della sua legittimazione, che in questa sede non affrontiamo. Dall’altro in una prospettiva di efficienza dei mercati la crescente applicazione delle teorie economiche da parte delle autorità esaminate è rimasta a un livello astratto, senza porre la dovuta attenzione alle specificità dei mercati rilevanti né tantomeno alle dinamiche interne alle singole imprese, con particolare riferimento alla loro capacità di rendere effettivi i guadagni di efficienza individuabili a livello potenziale, così come prescrive la più recente teoria economica applicata al diritto antitrust. Sotto il profilo dell’applicazione del criterio di efficienza si può comunque affermare che l’evoluzione che ha avuto la prassi decisionale e la giurisprudenza, comunitaria e degli Stati membri, in materia antitrust è stata caratterizzata dal loro progressivo avvicinamento alle tendenze sviluppatesi nelle agencies e nella giurisprudenza statunitense a partire dagli anni’70, caratterizzate dalla valutazione degli effetti, piuttosto che della forma giuridica, dal riconoscimento del criterio di efficienza e dalla rule of reason quale approccio metodologico. L’effetto è stato quello di determinare una significativa riduzione delle differenze inizialmente emerse tra le due esperienze, nate inizialmente sotto diverse prospettive politiche. Per quanto concerne specificatamente i trasporti sono emersi sotto il profilo economico due aspetti rilevanti, oltre al perdurante ritardo con cui il processo di liberalizzazione del trasporto ferroviario che limita fortemente l’intervento antitrust nel comparto, ma che esula dalla competenza delle stesse autorità antitrust. Il primo consiste nella spesso troppo rigida separazione tra comparti adottata dalle autorità. Il secondo è l’estensivo ricorso all’essential facility doctrine nelle fattispecie riguardanti infrastrutture portuali e aeroportuali: la massimizzazione dell’efficienza dinamica consiglierebbe in questi casi una maggiore cautela, in quanto si tratta di un paradigma che, una volta applicato, disincentiva la duplicazione e l’ampliamento di tali infrastrutture autoalimentandone il carattere di essenzialità. Ciò soprattutto laddove queste infrastrutture possono essere sostituite o duplicate piuttosto facilmente da un punto di vista tecnico (meno da un punto di vista economico e giuridico), essendo esse nodi e non reti. E’stata infine sottolineata l’inadeguatezza della dimensione nazionale e comunitaria delle autorità competenti rispetto a comportamenti di impresa che con riferimento ai trasporti marittimi ed aerei hanno effetti letteralmente globali. E’ di tutta evidenza che le autorità comunitarie e tantomeno quelle nazionali non sono da sole in grado di condurre le analisi quantitative necessarie ad una valutazione di tali condotte ispirata a un criterio di efficienza che tenga conto degli effetti di lungo periodo della fattispecie concreta. Né tali autorità sono sufficientemente neutre rispetto alla nazionalità delle imprese indagate per poter giudicare sulla liceità o meno della condotta in questione senza considerare gli effetti della loro decisione sull’economia interna, rendendo così ancora più improbabile un corretto utilizzo del criterio di efficienza. Da ultimo ho constatato come l’applicazione del concetto di efficienza giuridica imporrebbe di concepire autorità antitrust del tutto nuove, sganciate quanto più possibile dall’elemento territoriale, in grado di elaborare regole e standards minimi comuni e di permettere il controllo dei comportamenti di impresa in un contesto ampliato rispetto al tradizionale mercato unico, nonchè ai singoli mercati nazionali. Il processo di armonizzazione a livello globale è difficile e il quadro che attualmente viene formato è ancora confuso e incompleto. Vi sono tuttavia sparsi segnali attraverso i quali é possibile intravedere i lineamenti di una futura global governance della concorrenza che permetterà, sperabilmente, di incrementare l’efficienza di un sistema, quello antitrust, che tanto più piccolo è l’ambito in cui opera quanto più si sta dimostrando inadeguato a svolgere il compito affidatogli. Solo il futuro, peraltro, ci consentirà di verificare la direzione di sviluppo di questi segnali.
Resumo:
La tesi è il frutto di un lavoro di ricerca sul rapporto tra educazione e politica sviluppato considerando letteratura, studi e ricerche in ambito pedagogico, sociologico e delle scienze politiche. I nuclei tematici oggetto delle letture preliminari e degli approfondimenti successivi che sono diventati il corpo della tesi sono i seguenti: • la crisi del ruolo dei partiti politici in Italia e in Europa: diminuiscono gli iscritti e la capacità di dare corpo a proposte politiche credibili che provengano dalla “base”dei partiti; • la crisi del sistema formativo1 in Italia e il fatto che l’educazione alla cittadinanza sia poco promossa e praticata nelle scuole e nelle istituzioni; • la diffusa mancanza di fiducia degli adolescenti e dei giovani nei confronti delle istituzioni (scuola inclusa) e della politica in molti Paesi del mondo2; i giovani sono in linea con il mondo adulto nel dimostrare i sintomi di “apatia politica” che si manifesta anche come avversione verso la politica; • il fatto che le teorie e gli studi sulla democrazia non siano stati in grado di prevenire la sistematica esclusione di larghi segmenti di cittadinanza dalle dinamiche decisionali dimostrando che la democrazia formale sia drasticamente differente da quella sostanziale. Una categoria tra le più escluse dalle decisioni è quella dei minori in età. Queste tematiche, se poste in relazione, ci inducono a riflettere sullo stato della democrazia e ci invitano a cercare nuovi orizzonti in cui inserire riflessioni sulla cittadinanza partendo dall’interesse centrale delle scienze pedagogiche: il ruolo dell’educazione. Essenziale è il tema dei diritti umani: per cominciare, rileviamo che sebbene la Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia sia stata approvata da quasi vent’anni (nel 1989) e malgrado numerose istituzioni nazionali e internazionali (Onu, Consiglio d’Europa, Banca Mondiale, Unesco) continuino ad impegnarsi nella promozione dei diritti sanciti e ratificati con leggi da quasi tutti i Paesi del mondo, questi diritti sono spesso trascurati: in particolare i diritti di bambini, adolescenti e giovani fino a 18 anni ad essere ascoltati, ad esprimersi liberamente, a ricevere informazioni adeguate nonché il diritto ad associarsi. L’effetto di tale trascuratezza, ossia la scarsa partecipazione di adolescenti e giovani alla vita sociale e politica in ogni parte del mondo (Italia inclusa) è un problema su cui cercheremo di riflettere e trovare soluzioni. Dalle più recenti ricerche svolte sul rapporto tra giovani e politica3, risulta che sono in particolare i giovani tra i quindici e i diciassette anni a provare “disgusto” per la politica e a non avere alcune fiducia né nei confronti dei politici, né delle istituzioni. Il disgusto è strettamente legato alla sfiducia, alla delusione , alla disillusione che oltretutto porta al rifiuto per la politica e quindi anche a non informarsi volutamente, a tenere ciò che riguarda la politica lontano dalla propria sfera personale. In Italia, ciò non è una novità. Né i governi che si sono succeduti dagli anni dell’Unità ad oggi, né le teorie democratiche italiane e internazionali sono riusciti a cambiare l’approccio degli italiani alla politica: “fissità della cultura politica, indolenza di fronte alla mancanza di cultura della legalità, livelli bassi di informazione, di competenza, di fiducia nella democrazia”4. Tra i numerosi fattori presi in analisi nelle ricerche internazionali (cfr. Cap. I par.65) ve ne sono due che si è scoperto influenzano notevolmente la partecipazione politica della popolazione e che vedono l’Italia distante dalle altre democrazie europee: 1) la vicinanza alla religione istituzionale , 2) i caratteri della morale6. Religione istituzionale Non c’è studio o ricerca che non documenti la progressiva secolarizzazione degli stati. Eppure, dividendo la popolazione dei Paesi in: 1) non credenti, 2) credenti non praticanti e 3) credenti praticanti, fatto salvo per la Francia, si assiste ad una crescita dei “credenti non praticanti” in Europa e dei “credenti praticanti” in particolare in Italia (risultavano da un’indagine del 2005, il 42% della popolazione italiana). La spiegazione di questa “controtendenza” dell’Italia, spiega la Sciolla, “potrebbe essere il crescente ruolo pubblico assunto dalla Chiesa italiana e della sua sempre più pervasiva presenza su temi di interesse pubblico o direttamente politico (dalla fecondazione assistita alle unioni tra omosessuali) oltreché alla sua visibilità mediatica che, insieme al generale e diffuso disorientamento, potrebbe aver esercitato un autorevole richiamo”. Pluralismo morale Frutto innanzitutto del processo di individualizzazione che erode le forme assolute di autorità e le strutture gerarchiche e dell’affermarsi dei diritti umani con l’ampliamento degli spazi di libertà di coscienza dei singoli. Una conferma sul piano empirico di questo quadro è data dal monitoraggio di due configurazioni valoriali che più hanno a che vedere con la partecipazione politica: 1) Grado di civismo (in inglese civicness) che raggruppa giudizi sui comportamenti lesivi dell’interesse pubblico (non pagare le tasse, anteporre il proprio interesse e vantaggio personale all’interesse pubblico). 2) Libertarismo morale o cultura dei diritti ovvero difesa dei diritti della persona e della sua liberà di scelta (riguarda la sessualità, il corpo e in generale la possibilità di disporre di sé) In Italia, il civismo ha subito negli anni novanta un drastico calo e non è più tornato ai livelli precedenti. Il libertarismo è invece aumentato in tutti i Paesi ma Italia e Stati Uniti hanno tutt’ora un livello basso rispetto agli altri Stati. I più libertari sono gli strati giovani ed istruiti della popolazione. Queste caratteristiche degli italiani sono riconducibili alla storia del nostro Paese, alla sua identità fragile, mai compatta ed unitaria. Non è possibile tralasciare l’influenza che la Chiesa ha sempre avuto nelle scelte politiche e culturali del nostro Paese. Limitando il campo al secolo scorso, dobbiamo considerare che la Chiesa cattolica ha avuto continuativamente un ruolo di forte ingerenza nei confronti delle scelte dei governi (scelte che, come vedremo nel Cap. I, par.2 hanno influenzato le scelte sulla scuola e sull’educazione) che si sono succeduti dal 1948 ad oggi7. Ciò ha influito nei costumi della nostra società caratterizzandoci come Stato sui generis nel panorama europeo Inoltre possiamo definire l’Italia uno "Stato nazionale ed unitario" ma la sua identità resta plurinazionale: vi sono nazionalità, trasformate in minoranze, comprese e compresse nel suo territorio; lo Stato affermò la sua unità con le armi dell'esercito piemontese e questa unità è ancora da conquistare pienamente. Lo stesso Salvemini fu tra quanti invocarono un garante per le minoranze constatando che di fronte a leggi applicate da maggioranze senza controllo superiore, le minoranze non hanno sicurezza. Riteniamo queste riflessioni sull’identità dello Stato Italiano doverose per dare a questa ricerca sulla promozione della partecipazione politica di adolescenti e giovani, sull’educazione alla cittadinanza e sul ruolo degli enti locali una opportuna cornice culturale e di contesto. Educazione alla cittadinanza In questo scritto “consideriamo che lo stimolo al cambiamento e al controllo di ciò che succede nelle sfere della politica, la difesa stessa della democrazia, è più facile che avvenga se i membri di una comunità, singolarmente o associandosi, si tengono bene informati, possiedono capacità riflessive e argomentative, sono dunque adeguatamente competenti e in grado di formarsi un’opinione autonoma e di esprimerla pubblicamente. In questo senso potremmo dire che proprio l’educazione alla democrazia, di chi nella democrazia vive, godendone i vantaggi, è stata rappresentata da Montiesquieu e da J.S Mill come uno dei caratteri basilari della democrazia stessa e la sua assenza come uno dei peggiori rischi in cui si può incorrere”8 L’educazione alla cittadinanza - considerata come cornice di un ampio spettro di competenze, complessivamente legate alla partecipazione e pienamente consapevole alla vita politica e sociale - e in particolare la formazione alla cittadinanza attiva sono da tempo riconosciute come elementi indispensabili per il miglioramento delle condizioni di benessere dei singoli e delle società e sono elementi imprescindibili per costituire un credibile patto sociale democratico. Ma che tipo di sistema formativo meglio si adatta ad un Paese dove - decennio dopo decennio - i decisori politici (la classe politica) sembrano progressivamente allontanarsi dalla vita dei cittadini e non propongono un’idea credibile di stato, un progetto lungimirante per l’Italia, dove la politica viene vissuta come distante dalla vita quotidiana e dove sfiducia e disgusto per la politica sono sentimenti provati in particolare da adolescenti e giovani? Dove la religione e il mercato hanno un potere concorrente a quello dei principi democratici ? La pedagogia può in questo momento storico ricoprire un ruolo di grande importanza. Ma non è possibile formulare risposte e proposte educative prendendo in analisi una sola istituzione nel suo rapporto con adolescenti e giovani. Famiglia, scuola, enti locali, terzo settore, devono essere prese in considerazione nella loro interdipendenza. Certo, rispetto all’educazione alla cittadinanza, la scuola ha avuto, almeno sulla carta, un ruolo preminente avendo da sempre l’obiettivo di formare “l’uomo e il cittadino” e prevedendo l’insegnamento dell’educazione civica. Ma oggi, demandare il ruolo della “formazione del cittadino” unicamente alla scuola, non è una scelta saggia. La comunità, il territorio e quindi le istituzioni devono avere un ruolo forte e collaborare con la scuola. Educazione formale, non formale e informale devono compenetrarsi. Gli studi e le riflessioni della scrivente hanno portato all’ individuazione degli enti locali come potenziali luoghi privilegiati della formazione politica dei giovani e dell’educazione alla cittadinanza. Gli enti locali I Comuni, essendo le Istituzioni più vicine ai cittadini, possono essere il primo luogo dove praticare cittadinanza attiva traducendo in pratiche anche le politiche elaborate a livello regionale e nazionale. Sostiene la Carta riveduta della partecipazione dei giovani9 “La partecipazione attiva dei giovani alle decisioni e alle attività a livello locale e regionale è essenziale se si vogliono costruire società più democratiche, solidali e prospere. Partecipare alla vita politica di una comunità, qualunque essa sia, non implica però unicamente il fatto di votare e presentarsi alle elezioni, per quanto importanti siano tali elementi. Partecipare ed essere un cittadino attivo vuol dire avere i diritti, gli strumenti intellettuali e materiali, il luogo, la possibilità, e, se del caso, il necessario sostegno per intervenire nelle decisioni, influenzarle ed impegnarsi in attività e iniziative che possano determinare la costruzione di una società migliore”. In Italia, il ruolo degli enti locali è stato per lo più dominante nella definizione delle politiche sociali, sanitarie ed educative ma è divenuto centrale soprattutto in seguito alla riforma del titolo V della Costituzione italiana operata nel 2001. Sono gli enti locali – le Regioni in primis – ad avere la funzione istituzionale di legiferare rispetto ai temi inerenti il sociale. Le proposte e le azioni di Province e Comuni dovrebbero ispirarsi al “principio di sussidiarietà” espresso nell’art. 118 della Costituzione: «Stato, Regioni, Province, Città metropolitane, Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà»10 e nei Trattati dell’Unione Europea. Il Trattato istitutivo della Comunità europea accoglie il principio nell’art.5 “La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato. Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario (…)”. Il principio di sussidiarietà può dunque essere recepito anche prevedendo, promuovendo e accogliendo la partecipazione dei cittadini alla vita della città in molteplici forme. Conseguentemente, facilitare l’avvicinamento degli adolescenti e dei giovani (in quanto cittadini) alla vita collettiva, al bene pubblico, alla politica considerandoli una risorsa e mettendoli nelle condizioni di essere socialmente e politicamente attivi rientra nelle possibili applicazioni del principio di sussidiarietà. L’oggetto della ricerca La ricerca condotta dalla scrivente prende le mosse dal paradigma ecologico e si ispira allo stile fenomenologico prendendo in analisi un contesto determinato da numerosi soggetti tra loro interrelati. La domanda di ricerca: “gli enti locali possono promuovere di progetti e interventi di educazione alla cittadinanza di cui adolescenti e giovani siano protagonisti? Se si, in che modo?”. Gli studi preliminari alla ricerca hanno mostrato uno scenario complesso che non era mai stato preso in analisi da chi si occupa di educazione. E’ stato dunque necessario comprendere: 1) Il ruolo e le funzioni degli enti locali rispetto alle politiche educative e di welfare in generale in Italia 2) La condizione di adolescenti e giovani in Italia e nel mondo 3) Che cos’è l’educazione alla cittadinanza 4) Che cosa si può intendere per partecipazione giovanile Per questo il lavoro di ricerca empirica svolto dalla scrivente è basato sulla realizzazione di due indagini esplorative (“Enti locali, giovani e politica (2005/2006)11 e “Nuovi cittadini di pace” (2006/2007)12) tramite le quali è stato possibile esaminare progetti e servizi di promozione della partecipazione degli adolescenti e dei giovani alla vita dei Comuni di quattro regioni italiane e in particolare della Regione Emilia-Romagna. L’oggetto dell’interesse delle due indagini è (attraverso l’analisi di progetti e servizi e di testimonianze di amministratori, tecnici e politici) esplorare le modalità con cui gli enti locali (i Comuni in particolare) esplicano la loro funzione formativa rivolta ad adolescenti e giovani in relazione all’educazione alla cittadinanza democratica. Ai fini delle nostre riflessioni ci siamo interessati di progetti, sevizi permanenti e iniziative rivolti alla fascia d’età che va dagli 11 ai 20/22 anni ossia quegli anni in cui si giocano molte delle sfide che portano i giovani ad accedere al mondo degli adulti in maniera “piena e autentica” o meno. Dall’analisi dei dati, emergono osservazioni su come gli enti locali possano educare alla cittadinanza in rete con altre istituzioni (la scuola, le associazioni), promuovendo servizi e progetti che diano ad adolescenti e giovani la possibilità di mettersi all’opera, di avere un ruolo attivo, realizzare qualche cosa ed esserne responsabili (e nel frattempo apprendere come funziona e che cos’è il governo di una città, di un territorio), intrecciare relazioni, lavorare in gruppo, in una cornice che va al di là delle politiche giovanili e che propone politiche integrate. In questo contesto il ruolo degli adulti (genitori, insegnanti, educatori, politici) è centrale: è dunque essenziale che le famiglie, il mondo della scuola, gli attivisti dei partiti politici, le istituzioni e il mondo dell’informazione attraverso l’agire quotidiano, dimostrino ad adolescenti e giovani coerenza tra azioni e idee dimostrando fiducia nelle istituzioni, tenendo comportamenti coerenti e autorevoli improntati sul rispetto assoluto della legalità, per esempio. Per questo, la prima fase di approfondimento qualitativo delle indagini è avvenuta tramite interviste in profondità a decisori politici e amministratori tecnici. Il primo capitolo affronta il tema della crisi della democrazia ossia il fatto che le democrazie odierne stiano vivendo una fase di dibattito interno e di riflessione verso una prospettiva di cambiamento necessaria. Il tema dell’inserimento dei diritti umani nel panorama del dibattito sulle società democratiche e sulla cittadinanza si intreccia con i temi della globalizzazione, della crisi dei partiti politici (fenomeno molto accentuato in Italia). In questa situazione di smarrimento e di incertezza, un’operazione politica e culturale che metta al primo posto l’educazione e i diritti umani potrebbe essere l’ancora di salvezza da gettare in un oceano di incoerenza e di speranze perdute. E’ necessario riformare il sistema formativo italiano investendo risorse sull’educazione alla cittadinanza in particolare per adolescenti e giovani ma anche per coloro che lavorano con e per i giovani: insegnanti, educatori, amministratori. La scolarizzazione, la formazione per tutto l’arco della vita sono alcuni dei criteri su cui oggi nuovi approcci misurano il benessere dei Paesi e sono diritti inalienabili sanciti, per bambini e ragazzi dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia.13 La pedagogia e la politica devono avere in questo momento storico un ruolo di primo piano; gli obiettivi a cui dovrebbero tendere sono la diffusione di una cultura dei diritti, una cultura del rispetto dell’infanzia e di attenzione prioritaria ai temi del’educazione alla cittadinanza. “Rimuovere gli ostacoli sociali ed economici”14 a che questi diritti vengano rispettati è compito dello Stato e anche degli enti locali. Il secondo capitolo descrive la condizione dei giovani nel mondo e in Italia in rapporto ai diritti di partecipazione. Il contesto mondiale che la Banca Mondiale (organismo dell’Onu)15 dipinge è potenzialmente positivo: “il numero di giovani tra i 12 e i 24 anni è intorno a 1, 3 miliardi ossia il livello più elevato della storia; questo gruppo è in migliore salute e meglio istruito di sempre. I Paesi ricchi come quelli poveri devono approfittare di questa opportunità prima che l’invecchiamento della società metta fine a questo periodo potenzialmente assai fruttuoso per il mondo intero. In Italia invece “Viene dipinto un quadro deprimente in cui “gli adulti mandano segnali incerti, ambigui, contraddittori. Se si può dunque imputare qualcosa alle generazioni dei giovani oggi è di essere, per certi versi, troppo simili ai loro padri e alle loro madri”16 Nel capitolo vengono mostrati e commentati i dati emersi da rapporti e ricerche di organizzazioni internazionali che dimostrano come anche dal livello di istruzione, di accesso alla cultura, ma in particolare dal livello di partecipazione attiva alla vita civica dei giovani, dipenda il futuro del globo intero e dunque anche del nostro Paese . Viene inoltre descritto l’evolversi delle politiche giovanili in Italia anche in rapporto al mutare del significato del concetto controverso di “partecipazione”: il termine è presente in numerose carte e documenti internazionali nonché utilizzato nei programmi politici delle amministrazioni comunali ma sviscerarne il significato e collocarlo al di fuori dei luoghi comuni e dell’utilizzo demagogico obbliga ad un’analisi approfondita e multidimensionale della sua traduzione in azioni. Gli enti locali continuano ad essere l’oggetto principale del nostro interesse. Per questo vengono riportati i risultati di un’indagine nazionale sui servizi pubblici per adolescenti che sono utili per contestualizzare le indagini regionali svolte dalla scrivente. Nel terzo capitolo si esamina l’ “educazione alla cittadinanza” a partire dalla definizione del Consiglio d’Europa (EDC) cercando di fornire un quadro accurato sui contenuti che le pertengono ma soprattutto sulle metodologie da intraprendere per mettere autenticamente in pratica l’EDC. La partecipazione di adolescenti e giovani risulta essere un elemento fondamentale per promuovere e realizzare l’educazione alla cittadinanza in contesti formali, non formali e informali. Il quarto capitolo riporta alcune riflessioni sulla ricerca pedagogica in Italia e nel panorama internazionale e pone le basi ontologiche ed epistemologiche della ricerca svolta dalla scrivente. Nel quinto capitolo vengono descritte dettagliatamente le due indagini svolte dalla scrivente per raccogliere dati e materiali di documentazione sui progetti di promozione della partecipazione dei giovani promossi dagli Enti locali emiliano-romagnoli ai fini dell’educazione alla cittadinanza. “Enti locali, giovani e politica” indagine sui progetti di promozione della partecipazione sociale e politica che coinvolgono ragazzi tra i 15 e i 20 anni. E “Nuovi cittadini di pace”, un’indagine sui Consigli dei ragazzi nella Provincia di Bologna. Nel sesto capitolo la scrivente formula alcune conclusioni e proposte operative concentrando la propria attenzione in particolare sulle questione della formazione di educatori e facilitatori che operano in contesti di educazione non formale interistituzionale, sulla necessità di una ampia diffusione di una cultura dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza nel mondo della politica e della scuola e su un utilizzo del dialogo autentico (in quanto principio democratico) per far sì che adolescenti, giovani e adulti possano collaborare e contribuire insieme alla formulazione di politiche e alla realizzazione di progetti comuni. Ci sembra infine che si debba riconoscere che è tempo di puntare con tutte le forze e in tutti i setting educativi disponibili su un impegno formativo in cui la dimensione politica non solo sia chiaramente e consapevolmente presente, ma sia considerata una delle sue caratteristiche principali. Il nostro tempo lo richiede con urgenza: l’alternativa rischia di essere la disfatta dell’intera umanità e dunque l’impossibilità per l’uomo di realizzarsi nel suo più elevato significato e nel suo autentico valore. I giovani sempre più lo chiedono anche se non sempre utilizzano linguaggi decifrabili dagli adulti.