946 resultados para Conto. João Guimarães Rosa. Voz narrativa.
Resumo:
Pós-graduação em Letras - FCLAR
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La relazione interdisciplinare tra letteratura e fotografia, nella rilettura della storia recente del Mozambico, è l’oggetto di studio della presente tesi. Il presupposto coincide in primo luogo con la disamina interna della dialettica esistente tra archivio coloniale e oralità, modalità narrativa in parte transitata nella estória, declinazione lusofona della forma breve che permette di recuperare l’eredità popolare del racconto tradizionale. Il dialogo tra verbale e visuale consente a sua volta di stabilire nuovi paradigmi interpretativi nel dibattito postcoloniale tra memoria, trauma e rappresentazione. L’analisi comparativa tra la narrativa di João Paulo Borges Coelho e la fotografia di Ricardo Rangel rivela sguardi diversi sul mondo circostante, ma anche convergenze contemplative che si completano nell’incorporazione reciproca delle “omologie strutturali” comuni alle due modalità espressive. La fotografia colma delle lacune fornendoci delle visioni del passato, ma, in quanto “rappresentazione”, ci mostra il mondo per come appare e non per come funziona. Il testo letterario, grazie al suo approccio dialogico-narrativo, consente la rielaborazione museologica della complessa pletora di interferenze semantiche e culturali racchiuse nelle immagini, in altre parole fornisce degli “indizi di verità” da cui (ri)partire per l’elaborazione di nuovi archetipi narrativi tra l’evento rappresentato e la Storia di cui fa parte. Il punto di tangenza tra i due linguaggi è la cornice, espediente fotografico e narrativo che permette di tracciare i confini tra l’indicibile e l’invisibile, ma anche tra ciò che si narra e ciò che sta fuori dalla narrazione, ovvero fuori dalla storia. La tensione dialettica che si instaura tra questi due universi è seminale per stabilire le ragioni della specificità letteraria mozambicana perché, come afferma Luandino Vieira, “nel contesto postcoloniale gli scrittori sono dei satelliti che ruotano intorno ai «buchi neri della storia» la cui forza di attrazione permette la riorganizzazione dell’intero universo letterario.
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La tesi analizza la rappresentazione del maquis nella letteratura spagnola contemporanea, scritti in castigliano e pubblicati dal 1985 ad oggi. La tesi si articola in tre capitoli: il primo presenta a livello teorico la metodologia e gli strumenti utilizzati nello svolgimento dello studio, ed è incentrato innanzitutto sul tentativo di definizione e catalogazione dei romanzi del maquis, con una particolare attenzione alla temperie culturale cui fanno riferimento, presentando le estetiche postmoderna e neomoderna e cercando di situare le opere narrative facenti parte del corpus della ricerca. Nel secondo capitolo è centrale in cambio l’analisi dei rapporti tra Storia e narrazione: oltre a concentrarsi sul dibattito interdisciplinare circa le connessioni tra la Storia e la narrativa, si cerca di dar conto dei riflessi di questa riflessione contemporanea all’interno delle opere facenti parte del corpus. Infine, il terzo capitolo riguarda l’analisi delle metafore animali rintracciabili nei romanzi sul maquis scelti, concentrandosi principalmente su Luna de lobos di Julio Llamazares e La agonía del búho chico di Justo Vila. L’impiego di questa figura retorica, che si ritrova in vari gradi in tutte le opere narrative scelte, risponde tanto ad una ricerca di verosimiglianza quanto alle modalità di rappresentazione della realtà empirica, riportando l’attenzione sui metodi atti alla figurazione e all’accesso alla conoscenza del mondo. La proposta di un cambio di paradigma estetico e narrativo in atto nella letteratura contemporanea spagnola cerca quindi una conferma nel momento dell’analisi, attraverso la quale si cerca di indagare se, e in che misura, il romanzo sul maquis si inserisce nel dibattito letterario odierno, e quanto contribuisce allo sviluppo del medesimo paradigma estetico in via di definizione – quello neomoderno –, cercando una conferma che si basa sulla presenza di quelle tematiche segnalate nel momento della discussione teorica e metodologica come tratti basilari e strutturanti le opere.
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La ricerca analizza il tema della relazione tra storia e narrazione nella letteratura degli ultimi quindici anni in tre contesti nazionali: Italia, Spagna e Portogalo. Per indagare un campo così vasto si sono identificate tre direttrici principali connesse tra loro, coincidenti con tre "crisi": la crisi del rapporto tra letteratura e mercato, la crisi del concetto di verità e la crisi dello stato nazione. Attraverso le riflessioni sul postmoderno (Lyotard, Jameson Hutcheon) e l’analisi di Bourdieu si indaga il rapporto tra mercato e autore letterario, facendo particolare riferimento ai percorsi letterari di Rafael Chirbes, Mia Couto e Wu Ming. Il tema della forma letteraria è invece letto atttraverso le analisi di Hutcheon e analizzando i testi di Helder Macedo (Pedro e Paula), Isaac Rosa (¡Otra maldita novela sobre la guerra civil!) e Tommaso De Lorenzis-Guido Favale (L’aspra stagione). La crisi del concetto di verità viene analizzata alla luce del dibattito sulla storiografia nella seconda metà del Novecento. In particolare si evidenzia la tensione tra Hayden White e Carlo Ginzuburg. Per evidenziare come le relazioni di potere influenzino la narrazione della storia si fa inoltre riferimento alle analisi di Michel Foucault, Michel de Certeau, Stephen Greenbaltt e Gayatri Spivak. Si analizzano quindi Anatomía de un instante, di Javier Cercas, Romanzo criminale, di Giancarlo de Cataldo e As três vidas, di João Tordo. Infine ci si riferisce alla crisi dello stato-nazione individuando una tensione tra le analisi di György Lukács e Franco Moretti, e allargando la riflessione agli studi sociologici di Immanuel Wallerstein e Saskia Sassen. Inoltre, attraverso i testi di Benedict Anderson, Homi B. Bhabha, José Saramao e Eduardo Lourenço si articola una riflessione sull’immaginario politico nazionale. I testi analizzati sono Victus, di Albert Sánchez Piñol, Pro Patria, di Ascanio Celestini e A voz da terra di Miguel Real.
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En los volúmenes de cuentos Las mil y una noches argentinas y El loro adivino, Juan Draghi Lucero, escritor mendocino (1897-1994), recupera los códigos culturales de la sociedad cuyana del siglo XIX. En el espacio de la escritura de estos cuentos a los que considero texto artístico único, se entrama un código oral que les sirve de cañamazo y los semantiza al inscribirlos en la virtualidad del acto de contar para un auditorio. De este modo, el escritor construye un sistema equivalente al de la lengua oral natural, hecho que coloca los cuentos en la frontera de confluencia de dos lenguajes no traducibles uno en otro: el escrito y el oral. La creolización de la escritura activa en el lector la memoria cultural regional anclada en la oralidad, códigos en los que se transmitieron los saberes de la comunidad criolla que fundaron la cuyanidad en el siglo XIX.
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El intento del artículo es percibir cómo el cronista portugués Fernão Lopes (1385-1460) se apropia, en el último texto suyo, del discurso del castellano Pero Lopez de Ayala (1332-1407) en la Crónica de D. Juan I. La parte elegida para el examen fue el bienio de 1383-1384, antes, por lo tanto, de la Batalla de Aljubarrota (1385). La comparación de las crónicas citadas todavía ya fue realizada por investigadores renombrados, sin embargo mi trabajo sigue el camino por la reducción de escala, o sea, por un análisis interpretativo de un bienio especifico, con la finalidad de iniciar un análisis más abarcador del rasgo de la crónica medieval ibérica medieval, objeto de mi presente pesquisa.
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El artículo desentraña los mecanismo técnicos y ficcionales utilizados por el autor de la novela Ursúa para lograr la construcción de un narrador que asume, desde su condición de mestizo, el rescate de la memoria del conquistador Pedro de Ursúa, la configuración de su propia identidad y la enunciación de América a través de la palabra poética que descubre, y describe el paisaje natural y humano del nuevo continente, mediante un enfoque narrativo contemporáneo que inscribe la obra dentro de la denominada nueva novela histórica latinoamericana.
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Fil: Molina, Hebe Beatriz. CONICET (Consejo Nacional de Investigaciones Científicas y Técnicas) - Universidad Nacional de Cuyo
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Aunque sujeta a debates y cuestionamientos de diverso tipo, blanco de expresiones de hastío o reproche ante los abusos realizados sobre una materia sensible, la literatura que se ocupa en España de la memoria traumática del pasado reciente no deja de ser, sin dudas, objeto de un incesante interés expresado sobre todo en el volumen de ventas de ciertas novelas y ensayos relacionados con el tema. Este interés trasciende las fronteras de España, acompañando un proceso paralelo de transnacionalización tanto del mercado literario como de los discursos sobre la memoria. Aquí se propone el examen, en un corpus acotado de textos de la narrrativa española de los últimos años (textos de Javier Cercas, Benjamín Prado, Almudena Grandes, Isaac Rosa, Antonio Muñoz Molina, Ignacio Martínez de Pisón, entre otros), de la recurrente autojustificación (en el linde paratextual o bien dentro del mismo cuerpo del texto, que asume con frecuencia una tonalidad metaficcional) de los usos y abusos de la historia y la memoria en la literatura, y con ello del modo en el cual se problematiza, desde estos textos, el lugar de la literatura en el presente, su relación con la historia, la política y el mercado
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En la novela Rabos de Lagartija (2000), Juan Marsé recrea el escenario de la posguerra en un margen de Barcelona a través de los ojos de un niño. Un constante zumbido en sus oídos convoca voces que le propondrán relatos alternativos, diversos, del contexto precario que lo rodea. El tópico del aparecido, recurrente en la narrativa de la memoria, se construye aquí con una lógica inversa a los relatos ya canónicos sobre la posguerra, dado que la presencia del padre desarma el relato heroico con el que la imaginación del niño trata de fortalecer su identidad como sujeto. En esta exposición analizaremos el uso del tópico puesto en relación con la poética del autor
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Debido a su carácter en cierta medida descentrado con respecto al canon del XIX hispánico, las novelas de Rosalía de Castro permiten problematizar categorías críticas fundacionales de la historiografía decimonónica tales como "romanticismo", "realismo", "costumbrismo" o, en el plano de los géneros literarios, "novela sentimental" y "folletín". Más conocida como poeta, la dedicación de la autora a la narrativa no fue un empeño marginal. Así lo demuestran obras como La hija del mar (1859), Flavio (1861), Ruinas (1866), El caballero de las botas azules (1867) y El primer loco (1880), estampas costumbristas como El cadiceño (1866), relatos breves como Conto gallego (1903) y otras incursiones prosísticas, a veces no ajenas al marco ficcional del relato epistolar como Las literatas (1865). Resulta innegable que la narrativa de Castro participa de algunas de las principales convenciones de la literatura decimonónica. Se acogió claramente al molde genérico del folletín en sus novelas Flavio y Ruinas, y trató en su obra el modo en que las nuevas condiciones de producción editorial transformaron la circulación de los libros de ficción en la segunda mitad del siglo XIX. Sin embargo, el tratamiento que la autora confiere a las emociones en su novelística difiere notablemente del canon sentimental propio de la novela por entregas. No es de extrañar, a esta luz, que a menudo en sus novelas se establezca una correlación explícita entre quienes sienten y quienes escriben. Esta correlación entre sentimiento y creación verbal permite establecer una compleja teoría literaria del sentir de la que, a su vez, surgen nuevas implicaciones políticas. El vínculo entre historia de las emociones y teoría de la ficción, como fundamento de una nueva "comunidad del sentir", podría arrojar nuevas perspectivas en el estudio de la novelística de Rosalía de Castro.
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Tomando como punto de partida las consideraciones vigentes acerca de los resultados sociales y literarios del proceso de globalización acelerada que experimentó España a lo largo de las décadas posteriores a la transición democrática, este trabajo se propone realizar una confrontación entre el discurso de la crítica literaria y del pensamiento filosófico, en muchos casos poco favorable, en torno a las características de la lectura y el consumo de bienes culturales en el periodo mencionado y la construcción de la imagen de escritora que llevan a cabo Rosa Regás y Rosa Montero en su labor de columnistas en los periódicos El Correo y El País, respectivamente. El análisis pretende vincular conceptos de la teoría de género, específicamente provenientes del desarrollo del feminismo ilustrado, cuyos postulados es posible rastrear de modo no necesariamente consciente en las decisiones temáticas e ideológicas de las escritoras mencionadas; con consideraciones relativas al debate acerca del estatuto literario de la columna de opinión. En este punto, se tendrán en consideración las características dominantes del estado de la novela en el campo literario español hacia la década del 90 específicamente como trasfondo discursivo del que la práctica periodístico literaria surge (teniendo en cuenta que la narrativa de Montero y de Regás se desarrolla preferentemente dentro del género novela) y en el que surgen una construcción de sujeto y un modo de vincularse con la materia real que pueden describirse como relativos a un discurso superador de la vertiente rupturista posmoderna
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"A terceira margem do rio", conto de Joao Guimaraes Rosa, é objeto de análise deste trabalho, que se utiliza do referencial teórico da semiótica francesa que, desde os anos 1980, constrói uma semântica da dimensao passional dos discursos e passa a considerar a paixao "como efeito de sentido inscrito e codificado na linguagem". Nosso texto focaliza os estados de alma do sujeito da história, que, projetado no presente da enunciaçao, ao rememorar o passado, já entrado em anos, toma consciência da anulaçao de sua existência, que foi marcada pela ausência do pai. Focalizamos o percurso patêmico do "eu" narrador, como sujeito do enunciado, em cenas enunciativas do texto nas quais se manifestam variantes da paixao da cólera , tendo em vista o modo como Jacques Fontanille (2005) a descreve em Dictionnaire de passsions Littéraires. Nossa hipótese é que o eu nao teve consciencia da raiva e da revolta que sentiu em relaçao ao distanciamento do pai e, nesse sentido, observamos como essa revolta, ao final, provoca-lhe o sentimento de culpa e de medo. Logo, o estado afetivo de medo o impede de seguir o percurso do pai ao final da história
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Entre la multitud de ficciones que se apropian u ocupan en los últimos años de la memoria del más traumático pasado reciente en España, hay una escena retomada más de una vez y de diversas formas: la del lector harto de la recurrencia del tema de la memoria. Entre las diversas respuestas que este hartazgo ha encontrado en la crítica, la historiografía y la ficción, la de Isaac Rosa sobresale no sólo por lo logrado de sus novelas, sino también porque la proliferación paródica de voces y estratos de sentido que las caracteriza evita las soluciones simples y polarizantes. La respuesta a los abusos de la memoria - y a los peligros que conllevan - propicia así no el abandono de la cuestión, sino una vuelta de tuerca desde la especificidad de la escritura literaria, que ante la posibilidad de banalización, neutralización u olvido, despliega estrategias que pueden traducirse en modos de intervención en el campo literario así como, desde su (relativa) especificidad, en el terreno de los debates en torno a lo más traumático del pasado reciente español.