444 resultados para rifiuti solidi urbaniincenerimentorecupero energeticocicli combinatiintegrazione


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Nel presente lavoro sono stati illustrati i risultati preliminari di uno studio mirato alla modellazione del processo di vagliatura di RSU. Il modello, sviluppato sulla base di ipotesi sia cinematiche che probabilistiche, è stato implementato ed applicato per la verifica dell’influenza delle condizioni operative sull’efficienza del processo di separazione. La modellazione è stata sviluppata studiando la cinematica di una particella all’interno di un vaglio rotante, prima studiando il comportamento della singola particella e poi studiando il comportamento di più particelle. Lo sviluppo di tale modello, consente di determinare l’efficienza di rimozione per le diverse frazioni merceologiche di un rifiuto, ciascuna caratterizzata da una propria distribuzione dimensionale,. La validazione è stata svolta effettuando una campagna di misurazioni utilizzando un vaglio in scala (1:10) e un vaglio di dimensioni reali . Da queste misurazioni è emerso che il modello è ben rappresentativo della realtà, in alcuni casi, si sono evidenziate delle discrepanze dal comportamento reale del rifiuto, ciò è senz’altro da attribuite alla forte eterogeneità dei materiali costituenti il rifiuto solido urbano e dall’interferenza che le une causano sulle altre. Si è appurato che, variando i parametri quali: l’angolo di inclinazione longitudinale del vaglio, la velocità di rotazione si ha un diverso comportamento del rifiuto all’interno del vaglio e quindi una variazione dell’efficienza di separazione di quest’ultimo. In particolare è stata mostrata una possibile applicazione del modello legata alla valutazione delle caratteristiche del sopravaglio nel caso questo sia destinato alla produzione di CDR. Attraverso la formula di Dulong si è calcolato il potere calorifico superiore, (sia allo stato umido che allo stato secco), ottenuto effettuando delle variazioni dei parametri citati precedentemente, calcolato sulla massa uscente dal sopravaglio e quindi quella utilizzata come combustibile per gli impianti di termovalorizzazione.( C.D.R.) Si è osservato il legame esistente tra le condizioni operative inclinazione e velocità di rotazione del tamburo ed il potere calorifico del flusso selezionato con l’obiettivo di massimizzare quest’ultimo. Dalle è prove è emerso come il fattore umidità giochi un ruolo fondamentale per l’ottimizzazione del CDR, l’umidità infatti incide negativamente sul potere calorifico del rifiuto invertendo il rapporto normalmente direttamente proporzionale tra percentuale di sopravaglio e potere calorifico, dunque a causa dell’umidità all’aumentare del flusso di sopravaglio si ha una diminuzione del potere calorifico. Lo sviluppo e la validazione di un modello teorico, ci permette di affrontare il problema della selezione e separazione dei RSU,non più solo tramite un procedimento induttivo basato unicamente sulle osservazioni, ma tramite un procedimento deduttivo grazie al quale "conoscendo l’input si prevede quale sarà l’output". Allo stato attuale la scelta e il dimensionamento delle unità di separazione dimensionale nei processi di selezione è basata unicamente su conoscenze di natura empirica L’obiettivo principale è stato dunque quello di costruire uno strumento in grado di determinare le caratteristiche dei flussi uscenti dall’unità di vagliatura, note che siano le caratteristiche del flusso in ingresso ed i parametri operativi Questo approccio permette di eseguire valutazioni oggettive circa la reale rispondenza delle caratteristiche dei flussi in uscita a standard prefissati,peraltro consente di eseguire valutazioni sulle uscite di processo rispetto alla variabilità delle caratteristiche dei rifiuti in ingresso .

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Con questo lavoro di tesi si è cercato da un lato di dare un contributo al settore dei sensori chimici, caratterizzando e sviluppando diversi sistemi che presentano promettenti proprietà per l’utilizzo nella realizzazione di sensori luminescenti, e dall’altro di studiare sistemi di nanoparticelle di oro per identificarne e caratterizzarne i processi che portano all’interazione con un’unità fluorescente di riferimento, il pirene. Quest’ultima parte della tesi, sviluppata nel capitolo 4, sebbene possa apparire “slegata” dall’ambito della sensoristica, in realtà non lo è in quanto il lavoro di ricerca svolto rappresenta una buona base di partenza per lo sviluppo di sistemi di nanoparticelle metalliche con un possibile impiego in campo biomedico e diagnostico. Tutte le specie studiate, seppur molto diverse tra loro, posseggono quindi buone caratteristiche di luminescenza ed interessanti capacità di riconoscimento, più o meno selettivo, di specie in soluzione o allo stato gassoso. L’approccio generale che è stato adottato comporta una iniziale caratterizzazione in soluzione ed una susseguente ottimizzazione del sistema mirata a passare al fissaggio su supporti solidi in vista di possibili applicazioni pratiche. A tal proposito, nel capitolo 3 è stato possibile ottenere un monostrato organico costituito da un recettore (un cavitando), dotato di una parte fluorescente le cui proprietà di luminescenza sono sensibili alla presenza di una funzione chimica che caratterizza una classe di analiti, gli alcoli. E’ interessante sottolineare come lo stesso sistema in soluzione si comporti in maniera sostanzialmente differente, mostrando una capacità di segnalare l’analita molto meno efficiente, anche in funzione di una diversa orientazione della parte fluorescente. All’interfaccia solido-gas invece, l’orientamento del fluoroforo gioca un ruolo chiave nel processo di riconoscimento, e ottimizzando ulteriormente il setup sperimentale e la composizione dello strato, sarà possibile arrivare a segnalare quantità di analita sempre più basse. Nel capitolo 5 invece, è stato preso in esame un sistema le cui potenzialità, per un utilizzo come sonda fluorescente nel campo delle superfici di silicio, sembra promettere molto bene. A tal proposito sono stati discussi anche i risultati del lavoro che ha fornito l’idea per la concezione di questo sistema che, a breve, verrà implementato a sua volta su superficie solida. In conclusione, le ricerche descritte in questa tesi hanno quindi contribuito allo sviluppo di nuovi chemosensori, cercando di migliorare sia le proprietà fotofisiche dell’unità attiva, sia quelle dell’unità recettrice, sia, infine, l’efficienza del processo di traduzione del segnale. I risultati ottenuti hanno inoltre permesso di realizzare alcuni prototipi di dispositivi sensoriali aventi caratteristiche molto promettenti e di ottenere informazioni utili per la progettazione di nuovi dispositivi (ora in fase di sviluppo nei laboratori di ricerca) sempre più efficienti, rispondendo in tal modo alle aspettative con cui questo lavoro di dottorato era stato intrapreso.

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Il presente lavoro ha come oggetto l’analisi di impatto ambientale, svolta mediante la metodologia Life Cycle Assessment (LCA) di un gruppo elettrogeno prodotto da COGEM s.r.l., azienda italiana situata a Castel d’Argile, nel bolognese, con l’obiettivo di supportare eventuali scelte di riprogettazione del prodotto anche in termini di Design for Disassembly. Dopo una prima analisi del contesto attuale in cui si colloca, la metodologia LCA è stata studiata nel dettaglio per poterla poi applicare al prodotto in oggetto. Esso è stato individuato mediante un’analisi delle vendite di COGEM, in seguito si è svolta una fase di raccolta dati e si sviluppata l’analisi LCA usando il software SimaPro 7.1. I risultati ottenuti hanno consentito di individuare le possibili aree di miglioramento dell’impatto ambientale dell’intero ciclo di vita del gruppo elettrogeno. In particolare si sono valutate due soluzioni innovative: un gruppo elettrogeno alimentato a olio vegetale e uno progettato in ottica DFD per consentire un corretto smaltimento dei rifiuti.

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Il progetto di riqualificazione della Caserma Sani si ispira allʼinteresse nei confronti delle tematiche del recupero edilizio e urbano. Esso nasce dallʼintenzione di reintegrare unʼarea urbana in via di dismissione nel suo contesto attraverso lʼinserimento di nuove funzioni che rispondano alle esigenze di questa parte di città e nel contempo riqualificare i fabbricati esistenti attraverso un progetto di recupero e completamento che favorisca il dialogo del complesso esistente con il sistema urbano circostante. La volontà di riuso della maggioranza degli edifici facenti parte del vecchio impianto si basa su considerazioni legate alla natura stessa del sito: lʼintenzione è quella di conservarne la memoria, non tanto per il suo valore storico-architettonico, ma perché nel caso specifico della Caserma più che di memoria è opportuno parlare di scoperta, essendo, per propria natura militare, un luogo da sempre estraneo alla comunità e al suo contesto, chiuso e oscurato dal limite fisico del muro di cinta. La caserma inoltre si compone di edifici essenzialmente funzionali, di matrice industriale, la cui versatilità si legge nella semplicità e serialità morfologica, rendendoli “organismi dinamici” in grado di accogliere trasformazioni e cambi di funzione. Il riuso si muove in parallelo ai concetti di risignificazione e riciclaggio, dividendosi in modo egualmente efficace fra presupposti teorici e pratici. Esso costituisce una valida alternativa alla pratica della demolizione, nel caso in cui questa non sia specificatamente necessaria, e alle implicazione economiche e ambientali (smaltimento dei rifiuti, impiego dei trasporti e fondi economici, ecc.) che la accompagnano. Alla pratica del riuso si affianca nel progetto quella di completamento e ampliamento, arricchendo il vecchio sistema di edifici con nuove costruzioni che dialoghino discretamente con la preesistenza stabilendo un rapporto di reciproca complementarietà. Il progetto di riqualificazione si basa su più ampie considerazioni a livello urbano, che prevedono lʼintegrazione dellʼarea ad un sistema di attraversamento pedonale e ciclabile che colleghi da nord a sud le principali risorse verdi del quartiere passando per alcuni dei principali poli attrattori dellʼarea, quali la Stazione Centrale, il Dopolavoro Ferroviario adibito a verde attrezzato, il nuovo Tecno Polo che sorgerà grazie al progetto di riqualificazione previsto per lʼex Manifattura Tabacchi di Pier Luigi Nervi e il nuovo polo terziario che sorgerà dalla dismissione delle ex Officine Cevolani. In particolare sono previsti due sistemi di collegamento, uno ciclo-pedonale permesso dalla nuova pista ciclabile, prevista dal nuovo Piano Strutturale lungo il sedime della vecchia ferrovia che correrà da nord a sud collegando il Parco della Montagnola e in generale il centro storico al Parco Nord, situato oltre il limite viario della tangenziale. Parallelamente alla pista ciclabile, si svilupperà allʼinterno del tessuto un ampio viale pedonale che, dal Dopolavoro Ferroviario (parco attrezzato con impianti sportivi) collegherà la grande area verde che sorgerà dove ora giacciono i resti delle ex Industrie Casaralta, adiacenti alla Caserma Sani, già oggetto di bonifica e in via di dismissione, incontrando lungo il suo percorso differenti realtà e funzioni: complessi residenziali, terziari, il polo culturale e le aree verdi. Allʼinterno dellʼarea della Caserma sarà integrato agli edifici, nuovi e preesistenti, un sistema di piazze pavimentate e percorsi di attraversamento che lo riuniscono al tessuto circostante e favoriscono il collegamento da nord a sud e da est a ovest di zone della città finora poco coinvolte dal traffico pedonale, in particolare è il caso del Fiera District separato dal traffico veloce di Via Stalingrado rispetto alla zona residenziale della Bolognina. Il progetto lascia ampio spazio alle aree verdi, le quali costituiscono più del 50 % della superficie di comparto, garantendo una preziosa risorsa ambientale per il quartiere. Lʼintervento assicura lʼinserimento di una molteplicità di funzioni e servizi: residenze unifamiliari e uno studentato, uffici e commercio, una biblioteca, un auditorium e un polo museale.

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La presente Tesi di Laurea Specialistica considera, partendo da un'analisi della normativa vigente e delle procedure aziendali interne, il Sistema di Gestione Integrato Qualità  Sicurezza Ambiente (SGI QSA) di HERA SpA con particolare attenzione alle tematiche relative alla Prevenzione e Protezione sul luogo di lavoro in riferimento al Testo Unico sulla sicurezza (D.Lgs 81/2008) . Nello specifico, l'elaborato si basa sull'esperienza maturata durante cinque mesi di stage effettuati presso l'ufficio "Servizio Prevenzione e Protezione" della Struttura Operativa Territoriale (SOT) Bologna. Durante la mia permanenza in HERA SpA, ho avuto modo di osservare e prendere parte alle attività  quotidianamente svolte sia in ufficio che presso gli impianti dislocati nel territorio della provincia di Bologna con particolare riguardo alla raccolta, gestione e fruibilità  dei dai inerenti la sicurezza dei luoghi di lavoro. Nell'ambito dello stage, ho avuto anche la possibilità , estremamente formativa, di prendere visione dei processi, delle tecnologie e delle modalità  operative sottostanti l'erogazione di servizi da parte di una Multiutility; acquisire consapevolezza e know how in merito alle energie messe in campo per effettuare attività  quali la raccolta e lo smaltimento di rifiuti piuttosto che rendere disponibile alle utenze la fornitura di acqua e gas. Ritengo che questo possa darmi un valore aggiunto sia da un punto di vista professionale che da un punto di vista umano. Scopo primario di questa trattazione è effettuare l'istantanea di un'azienda complessa e in rapida evoluzione come HERA a partire della Salute e Sicurezza dei Lavoratori con l'obiettivo di indicare le attività  eseguite durante lo stage e il contributo fornito allo sviluppo e al mantenimento del SGS (Sistema di Gestione per la Salute e la sicurezza). Per meglio evidenziare la diversa natura delle informazioni riportate, l'elaborato risulta diviso in due parti fondamentali: La I PARTE riguarda lo studio della normativa che regola il settore con particolare riferimento al TUSL Testo Unico per la Sicurezza sui Luoghi di Lavoro (norma vigente in Italia) e allo standard britannico OHSAS 18001 a cui possono fare riferimento le organizzazioni che intendono certificare il proprio sistema di gestione in materia di sicurezza. In seguito si andranno ad analizzare le norme ISO 9001e ISO14001 che riguardano rispettivamente la possibilità  di certificare il proprio sistema di gestione in merito a Qualità  del servizio e tutela dell'Ambiente. Infine saranno proposte alcune riflessioni riguardanti la necessità  di sviluppare un sistema di gestione integrato e certificato che permetta di avere una visione unitaria di Qualità  Sicurezza e Ambiente. Nella II PARTE si entrerà  nel merito delle attività  svolte dall'ufficio Prevenzione e Protezione: a partire dalle procedure aziendali che fungono da punto di contatto fra gli obblighi normativi e la necessità  di regolare l'operatività  dei lavoratori, saranno descritte le mansioni che mi sono state affidate e le attività  svolte durante lo stage.

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La presente dissertazione si apre con l’analisi della costa dell’Emilia Romagna, in particolare quella antistante la città di Cesenatico. Nel primo capitolo si è voluto fare un breve inquadramento delle problematiche che affliggono le acque costiere a debole ricambio. Il Mare Adriatico e in particolare le acque costiere, ormai da più di trent’anni, sono afflitti da una serie di problemi ambientali correlati all’inquinamento. Sulla costa romagnola, già verso la metà degli anni settanta, le prime estese morie di organismi viventi acquatici avevano posto sotto gli occhi dell’opinione pubblica l’insorgenza di situazioni drammatiche per l’ambiente, per la salute pubblica e per due importanti settori dell’economia regionale e nazionale quali il turismo e la pesca. Fino ad allora aveva dominato la diffusa convinzione che la diluizione nell’enorme quantità di acqua disponibile avrebbe consentito di immettere nel mare quantità crescenti di sostanze inquinanti senza intaccare in misura apprezzabile la qualità delle acque. Questa teoria si rivelò però clamorosamente errata per i mari interni con scarso ricambio di acqua (quali per esempio il Mare Adriatico), perché in essi le sostanze che entrano in mare dalla terraferma si mescolano per lungo tempo solo con un volume limitato di acqua antistante la costa. Solo se l’immissione di sostanze organiche è limitata, queste possono essere demolite agevolmente attraverso processi di autodepurazione per opera di microrganismi naturalmente presenti in mare. Una zona molto critica per questo processo è quella costiera, perché in essa si ha la transizione tra acque dolci e acque salate, che provoca la morte sia del plancton d’acqua dolce che di quello marino. Le sostanze estranee scaricate in mare giungono ad esso attraverso tre vie principali: • dalla terraferma: scarichi diretti in mare e scarichi indiretti attraverso corsi d’acqua che sfociano in mare; • da attività svolte sul mare: navigazione marittima e aerea, estrazione di materie prime dai fondali e scarico di rifiuti al largo; • dall’atmosfera: tramite venti e piogge che trasportano inquinanti provenienti da impianti e attività situati sulla terraferma. E’ evidente che gli scarichi provenienti dalla terraferma sono quelli più pericolosi per la salvaguardia delle acque costiere, in particolare vanno considerati: gli scarichi civili (enormemente accresciuti nel periodo estivo a causa del turismo), gli scarichi agricoli e gli scarichi industriali. Le sostanze estranee scaricate in mare contengono una grande abbondanza di sali nutrienti per i vegetali (in particolare nitrati e fosfati) che provengono dai concimi chimici, dai residui del trattamento biologico negli impianti di depurazione e dall’autodepurazione dei fiumi. Queste sostanze una volta giunte in mare subiscono un nuovo processo di autodepurazione che genera ulteriori quantità di nutrienti; i sali di fosforo e azoto così formati si concentrano soprattutto nelle acque basse e ferme della costa e vengono assimilati dalle alghe che possono svilupparsi in modo massivo: tale fenomeno prende il nome di eutrofizzazione. La produzione eccessiva di biomasse vegetali pone seri problemi per la balneazione in quanto può portare a colorazioni rossastre, brune, gialle o verdi delle acque; inoltre la decomposizione delle alghe impoverisce di ossigeno l’acqua, soprattutto sul fondo, provocando morie della fauna ittica. Nello specifico, in questo lavoro di tesi, si prende in considerazione il Porto Canale di Cesenatico, e come le acque da esso convogliate vadano ad influenzare il recettore finale, ovvero il Mar Adriatico. Attraverso l’uso di un particolare software, messo a mia disposizione dal D.I.C.A.M. è stata portata avanti un’analisi dettagliata, comprendente svariati parametri, quali la velocità dell’acqua, la salinità, la concentrazione dell’inquinante e la temperatura, considerando due possibili situazioni. A monte di ciò vi è stata una lunga fase preparatoria, in cui dapprima sono state recepite, attraverso una campagna di misure progettata ad hoc, ed elaborate le informazione necessarie per la compilazione del file di input; in seguito è stato necessario calibrare e tarare il programma, in quanto sono state apportate numerose variazioni di recepimento tutt’altro che immediato; dopodiché è stata introdotta la geometria rappresentante l’area presa in esame, geometria molto complessa in quanto trattasi di una zona molto ampia e non uniforme, infatti vi è la presenza di più barriere frangiflutti, sommerse ed emerse, che alterano in svariati punti la profondità del fondale. Non è stato semplice, a tal proposito, ricostruire l’area e ci si è avvalsi di una carta nautica riportante la batimetria del litorale antistante Cesenatico. Come è stato già detto, questa fase iniziale ha occupato molto tempo e si è dimostrata molto impegnativa. Non sono state comunque da meno le fasi successive. Inoltre, tale simulazione è stata effettuata su due scenari differenti, per poter valutare le differenti conclusioni alle quali essi hanno indotto. Dopo molti “tentativi”, l’eseguibile ha girato ed è arrivato al termine ricoprendo un lasso di tempo pari a ventiquattro ore. I risultati ottenuti in output, sono stati tradotti e vagliati in modo da essere graficati e resi più interpretabili. Segue infine la fase di analisi che ha portato alle deduzioni conclusive. Nei prossimi capitoli, si riporta nel dettaglio quello che in questo paragrafo è stato sinteticamente citato.

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IMPARARE LA SOSTENIBILITA’ Oggetto di questa tesi di laurea è la progettazione di un asilo nido in prossimità della scuola dell’infanzia “Coccinella” di Bertinoro (FC) per rispondere alle esigenze espresse dalla’Amministrazione Comunale, orientate a realizzare un ampliamento della struttura esistente, completando così il polo scolastico comprendente anche la scuola elementare comunale adiacente. La strategia di intervento che il progetto ha adottato prevede due scenari: uno che assume integralmente gli obiettivi dell’Amministrazione e prevede la realizzazione di una struttura per la prima infanzia ad ampliamento di quella esistente, e un secondo che invece propone anche la realizzazione di una nuova scuola materna, in sostituzione di quella attualmente presente. Il progetto ha adottato un approccio integrato dal punto di vista formale e costruttivo, mostrando particolari attenzioni alle tematiche ambientali, assunte come determinanti per ottenere elevati livelli di benessere per i fruitori. La scuola diventa così promotrice di una progettazione orientata a principi di sostenibilità ambientale, efficienza e risparmio energetico, attraverso scelte in cui, sin dalle prime fasi, tecnologia, ambiente, comfort e salute cercano un reciproco equilibrio. A scala urbana si è scelto di recuperare e ampliare il sistema di percorsi pedonali che consente il collegamento tra le diverse parti della città, valorizzando il paesaggio quale risorsa primaria. A scala locale, per garantire l’integrazione del nuovo intervento con l’ambiente e il territorio, il progetto ha richiesto un’approfondita analisi preliminare del sito, comprendente lo studio di elementi del contesto sociale, culturale, ambientale e paesaggistico. A questi si sono affiancati gli aspetti climatologici, funzionali alla scelta dell’esposizione da attribuire all’edificio in modo da mitigare gli effetti delle variazioni climatiche e ottimizzare la qualità indoor. Dal punto di vista funzionale e distributivo il progetto ha risposto a criteri di massima flessibilità e fruibilità degli ambienti interni, assecondando le esigenze di educatori e bambini. Particolare attenzione è stata rivolta alla scelta della tipologia costruttiva, adottando elementi prefabbricati in legno assemblati a secco. Questo sistema consente la realizzazione di strutture affidabili, durevoli nel tempo e rispondenti a tre criteri fondamentali nell’ottica della sostenibilità: impiego di materiali rinnovabili, minimizzazione dei rifiuti e del consumo di acqua in cantiere e possibilità di recupero tramite smontaggio. Per garantire un corretto rapporto tra costruito e contesto urbano si è deciso di utilizzare materiali da rivestimento della tradizione locale, quali la pietra, e di attenuare l’impatto visivo dell’intervento attraverso l’impiego di coperture verdi. Queste, oltre a restituire in copertura il suolo occupato dai volumi edificati, contribuiscono alla mitigazione del microclima, sia all’interno dell’edificio che nel suo intorno. Rispetto agli obiettivi di benessere degli utenti, il progetto si è posto l’obiettivo di superare i confini determinati dalla normativa sui requisiti energetici, puntando al raggiungimento di condizioni ottimali in termini di salubrità del costruito e confort abitativo. Questo intervento si propone di sperimentare un approccio ecologico di sensibilizzazione ai criteri di sostenibilità, capace di coinvolgere tutti i protagonisti della vita scolastica: i bambini, gli insegnanti, i genitori e la città. “Imparare la sostenibilità” è l’obiettivo del progetto e la linea guida della tesi, i “percorsi di sostenibilità”, rappresenta il frutto degli studi, delle analisi, delle scelte che ci hanno spinto ad ottenere lo scopo prefissato e racchiude in un significato sia fisico che metaforico i risultati finali, sia a scala urbana, che a scala dell’edificio. Il termine “percorsi” ci permette di comprendere sia la nuova rete di collegamenti tra l’area di intervento e il resto della città quali strumento di rigenerazione e di contatto con il paesaggio, ma anche il processo di crescita e formativo che il bambino, destinatario e protagonista del progetto, intraprenderà in questi luoghi. La realizzazione di edifici tecnologicamente efficienti dal punto di vista delle prestazioni energetiche (raggiungimento classe B per la struttura esistente, classe A per le ipotesi di ampliamento) ma anche dal punto di vista del confort luminoso rappresenta la premessa per la formazione di una nuova generazione più responsabile e rispettosa nei confronti dell’ambiente che la circonda.

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La trasformazione di glicerolo ad acido acrilico può essere un fattore importante per la valorizzazione del processo di produzione di biodiesel, il quale prevede la coproduzione di enormi quantità di glicerolo. La sintesi di acido acrilico in un unico step è stata studiata attraverso vari catalizzatori solidi bifunzionali di diversa natura, contenenti proprietà acide e redox. I catalizzatori devono avere un’adeguata acidità di Brønsted per promuovere la trasformazione di glicerolo ad acroleina, mentre le proprietà ossidanti, necessarie per la sintesi di acido acrilico sono ottenute mediante l’inserimento di un metallo ossidante nella struttura. Si vuole quindi sintetizzare e testare una serie di catalizzatori che mostrino questa bifunzionalità in grado di soddisfare requisiti di attività e selettività nei confronti della reazioni . Per questo studio sono stati sintetizzati e caratterizzati ossidi misti di W/V, nella forma di aggregati dispersi sulla titania ed ossidi misti di Zr/Nb/V in struttura bulk. Sono stati quindi eseguiti dei test di reattività in fase gas ed in presenza di ossigeno utilizzando un reattore tubolare in quarzo a letto fisso.

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Con il termine Smart Grid si intende una rete urbana capillare che trasporta energia, informazione e controllo, composta da dispositivi e sistemi altamente distribuiti e cooperanti. Essa deve essere in grado di orchestrare in modo intelligente le azioni di tutti gli utenti e dispositivi connessi al fine di distribuire energia in modo sicuro, efficiente e sostenibile. Questo connubio fra ICT ed Energia viene comunemente identificato anche con il termine Smart Metering, o Internet of Energy. La crescente domanda di energia e l’assoluta necessità di ridurre gli impatti ambientali (pacchetto clima energia 20-20-20 [9]), ha creato una convergenza di interessi scientifici, industriali e politici sul tema di come le tecnologie ICT possano abilitare un processo di trasformazione strutturale di ogni fase del ciclo energetico: dalla generazione fino all’accumulo, al trasporto, alla distribuzione, alla vendita e, non ultimo, il consumo intelligente di energia. Tutti i dispositivi connessi, diventeranno parte attiva di un ciclo di controllo esteso alle grandi centrali di generazione così come ai comportamenti dei singoli utenti, agli elettrodomestici di casa, alle auto elettriche e ai sistemi di micro-generazione diffusa. La Smart Grid dovrà quindi appoggiarsi su una rete capillare di comunicazione che fornisca non solo la connettività fra i dispositivi, ma anche l’abilitazione di nuovi servizi energetici a valore aggiunto. In questo scenario, la strategia di comunicazione sviluppata per lo Smart Metering dell’energia elettrica, può essere estesa anche a tutte le applicazioni di telerilevamento e gestione, come nuovi contatori dell’acqua e del gas intelligenti, gestione dei rifiuti, monitoraggio dell’inquinamento dell’aria, monitoraggio del rumore acustico stradale, controllo continuo del sistema di illuminazione pubblico, sistemi di gestione dei parcheggi cittadini, monitoraggio del servizio di noleggio delle biciclette, ecc. Tutto ciò si prevede possa contribuire alla progettazione di un unico sistema connesso, dove differenti dispositivi eterogenei saranno collegati per mettere a disposizione un’adeguata struttura a basso costo e bassa potenza, chiamata Metropolitan Mesh Machine Network (M3N) o ancora meglio Smart City. Le Smart Cities dovranno a loro volta diventare reti attive, in grado di reagire agli eventi esterni e perseguire obiettivi di efficienza in modo autonomo e in tempo reale. Anche per esse è richiesta l’introduzione di smart meter, connessi ad una rete di comunicazione broadband e in grado di gestire un flusso di monitoraggio e controllo bi-direzionale esteso a tutti gli apparati connessi alla rete elettrica (ma anche del gas, acqua, ecc). La M3N, è un’estensione delle wireless mesh network (WMN). Esse rappresentano una tecnologia fortemente attesa che giocherà un ruolo molto importante nelle futura generazione di reti wireless. Una WMN è una rete di telecomunicazione basata su nodi radio in cui ci sono minimo due percorsi che mettono in comunicazione due nodi. E’ un tipo di rete robusta e che offre ridondanza. Quando un nodo non è più attivo, tutti i rimanenti possono ancora comunicare tra di loro, direttamente o passando da uno o più nodi intermedi. Le WMN rappresentano una tipologia di rete fondamentale nel continuo sviluppo delle reti radio che denota la divergenza dalle tradizionali reti wireless basate su un sistema centralizzato come le reti cellulari e le WLAN (Wireless Local Area Network). Analogamente a quanto successo per le reti di telecomunicazione fisse, in cui si è passati, dalla fine degli anni ’60 ai primi anni ’70, ad introdurre schemi di rete distribuite che si sono evolute e man mano preso campo come Internet, le M3N promettono di essere il futuro delle reti wireless “smart”. Il primo vantaggio che una WMN presenta è inerente alla tolleranza alla caduta di nodi della rete stessa. Diversamente da quanto accade per una rete cellulare, in cui la caduta di una Base Station significa la perdita di servizio per una vasta area geografica, le WMN sono provviste di un’alta tolleranza alle cadute, anche quando i nodi a cadere sono più di uno. L'obbiettivo di questa tesi è quello di valutare le prestazioni, in termini di connettività e throughput, di una M3N al variare di alcuni parametri, quali l’architettura di rete, le tecnologie utilizzabili (quindi al variare della potenza, frequenza, Building Penetration Loss…ecc) e per diverse condizioni di connettività (cioè per diversi casi di propagazione e densità abitativa). Attraverso l’uso di Matlab, è stato quindi progettato e sviluppato un simulatore, che riproduce le caratteristiche di una generica M3N e funge da strumento di valutazione delle performance della stessa. Il lavoro è stato svolto presso i laboratori del DEIS di Villa Grifone in collaborazione con la FUB (Fondazione Ugo Bordoni).

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E’ stimato che circa 4.000 sostanze diverse vengano utilizzate nella medicina umana, fra cui soprattutto analgesici, antinfiammatori, contraccettivi, antibiotici, beta-bloccanti, regolatori lipidici, composti neuroattivi e molti altri. Inoltre un elevato numero di farmaci, spesso simili a quelli umani tra cui antibiotici e antinfiammatori, viene usato nella medicina veterinaria. L’uso può essere diverso nei diversi Paesi ma farmaci quali l’ibuprofene, la carbamazepina, o i beta-bloccanti vengono consumati in quantità di tonnellate per anno. Le analisi chimiche hanno riscontrato la presenza dei residui dei farmaci nelle acque reflue dai depuratori, nei fiumi e nei laghi in maniera ubiquitaria a concentrazioni nell’intervallo di 10-1000 ng/L. Come ci si aspetta, i farmaci sono molto concentrati nelle acque reflue degli ospedali, tuttavia la percentuale di farmaci provenienti dagli ospedali è stata valutata complessivamente non oltre il 20% del quantitativo totale. L’origine preponderante dei farmaci proviene dall’uso domiciliare, per cui gli impianti municipali di raccolta delle acqua di rifiuto sono la maggiore via di ingresso in ambiente. Una volta ingeriti e metabolizzati, i farmaci vengono escreti via urine o feci e introdotti nella rete fognaria fino alle sedi di trattamento delle acque. Altra sorgente è rappresentata dalle manifatture dei farmaci, dalle quali possono derivare scarichi illegali o accidentali. Una sorgente importante di farmaci, soprattutto di antibiotici, è rappresentata dagli allevamenti animali, sia in ambienti interni che al pascolo, e dall’acquacoltura. Nel primo caso in particolare vengono prodotti e raccolti una grande quantità di rifiuti, che di solito sono accumulati temporaneamente e poi dispersi sui suoli agricoli. I farmaci presenti nei suoli possono essere trasportati alle acque sotterranee, o dilavati a livello superficiale contribuendo ad aumentare il livello di farmaci nei corsi d’acqua oppure una volta sciolti nell’acqua interstiziale possono essere assunti dai vegetali. Gli impianti di depurazione attuali non sono pianificati per eliminare microinquinanti altamente polari come i farmaci, e in relazione alle differenti molecole la eliminazione può essere in percentuale diversa, spesso anche molto bassa. I test ecotossicologici di tipo acuto utilizzati per molto tempo per valutare la tossicità dei farmaci ambientali hanno riportato effetti soltanto a concentrazioni superiori a quelle ambientali; nei 2-3 anni più recenti tuttavia è stato messo in luce come, già a basse concentrazioni, alcuni farmaci modifichino le attività riproduttive o il metabolismo di pesci e molluschi. Da qui è nata l’esigenza di studiare quale sia la possibile interazione dei residui dei farmaci con la fauna acquatica a concentrazioni compatibili con quelle ambientali, e valutare il meccanismo d’azione sfruttando per quanto possibile le conoscenze disponibili per i farmaci messi in commercio. I farmaci infatti sono composti disegnati per avere effetti terapeutici attraverso specifici meccanismi d’azione. Negli organismi non bersaglio che risultano esposti ai residui dei farmaci in ambiente, queste sostanze potrebbero però indurre effetti simili a quelli specifici nel caso i bersagli molecolari siano stati conservati durante l’evoluzione. Inoltre, i farmaci manifestano effetti collaterali, in genere se usati a dosi elevate o per lungo tempo, e molto spesso si tratta di effetti ossidanti. E’ possibile che tali effetti siano indotti dai farmaci ambientali nei molluschi o nei pesci, magari a basse dosi se questi animali sono più sensibili dell’uomo. Lo scopo di questa tesi è stato quello di valutare nei mitili Mytilus galloprovincialis i potenziali effetti indotti dalla fluoxetina (farmaco antidepressivo), dal propranololo (farmaco β-bloccante), o dalla loro miscela con riferimento a quelli classificati come collaterali nell’uomo. In particolare, è stata studiata l’espressione di geni che codificano per gli enzimi antiossidanti catalasi (CAT), glutatione S transferasi (GST) e superossido dismutasi (SOD), mediatori della risposta allo stress ossidativo. I possibili effetti dei farmaci sono stati valutati dopo esposizione dei mitili Mytilus galloprovincialis per 7 giorni a fluoxetina (FX) e propranololo (PROP) ad un range di concentrazioni che comprendono quelle misurate in ambiente, e alla loro miscela alla concentrazione di 0,3 ng/l, scelta perché rappresentativa delle dosi inferiori dei due farmaci riscontrate in ambiente acquatico. I risultati hanno dimostrato che FX causa una generale diminuzione dell’espressione dei geni CAT, mentre per i geni codificanti per GST e SOD si osservano variazioni significative soltanto ad una concentrazione di FX, 300 e 3 ng/L rispettivamente. La riduzione dei livelli di espressione di CAT non sempre accompagnata dalla significativa variazione dei livelli di espressione di SOD e GST, può indicare che il sistema anti-ossidante non è in grado di adattarsi in modo efficiente all’alterazione indotta dall’esposizione a FX, portando ad un progressivo aumento dei livelli di stress. Per quanto riguarda gli effetti del PROP, i risultati ottenuti mostrano che nei mitili esposti a concentrazioni crescenti del farmaco i geni CAT e SOD risultano progressivamente sovra-espressi rispetto al controllo, anche se in maniera non significativa mentre i livelli di espressione di GST non sono significativamente alterati. I dati ottenuti esponendo i mitili alla miscela dei due farmaci, indicano che FX e PROP possono avere effetti interattivi sulla regolazione dei tre geni coinvolti nella risposta antiossidante. In presenza della miscela si osserva infatti una riduzione significativa dell’espressione del gene CAT, del gene GST mentre non ci sono effetti sul gene SOD. In conclusione, concentrazioni di PROP e FX nell’intervallo di quelle misurate in ambiente possono generare significativi effetti sui geni CAT, GST, e SOD. Come riscontrato nella precedente letteratura, l’attività o l’espressione degli enzimi antiossidanti risente molto dello stato fisiologico dei mitili e della stagionalità, quindi il ruolo degli enzimi antiossidanti come biomarker deve essere interpretato all’interno di batterie più ampie di risposte subletali degli organismi sentinella. Nel laboratorio questi dati sono stati ottenuti in precedenti lavoro di Tesi (Tosarelli, Tesi Magistrale in Biologia Marina, A.A. 2011; Inzolia, Tesi Magistrale in Biologia Marina, A.A. 2011). Le alterazioni ottenute a concentrazioni circa 1.000 volte inferiori rispetto a quelle efficaci nei test ecotossicologici acuti, dimostrano comunque che i farmaci possono avere effetti sugli organismi anche a concentrazioni molto basse come quelle ambientali. In particolare, poiché gli effetti ossidativi sono i più comuni effetti collaterali dei farmaci nell’Uomo che ne assuma elevate quantità o somministrazioni prolungate nel tempo, possiamo affermare che questi hanno luogo anche negli organismi non-target, a concentrazioni basse e dopo soli 7 giorni di esposizione. I dati della tesi non dimostrano che propranololo e fluoxetina hanno effetti deleteri sulle popolazioni o le comunità dei molluschi, ma debbono essere considerati come indicatori della vulnerabilità degli animali a questi composti.

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Il lavoro di tesi è incentrato sulla valutazione del degrado del suolo dovuto a fenomeni di inquinamento da metalli pesanti aerodispersi, ovvero apportati al suolo mediante deposizioni atmosferiche secche ed umide, in ambiente urbano. Lo scopo della ricerca è legato principalmente alla valutazione dell’efficienza del metodo di monitoraggio ideato che affianca al campionamento e all’analisi pedologica l’utilizzo di bioindicatori indigeni, quali il muschio, il cotico erboso, le foglie di piante arboree e il materiale pulverulento depositatosi su di esse. Una semplice analisi pedologica infatti non permette di discriminare la natura dei contaminanti in esso ritrovati. I metalli pesanti possono raggiungere il suolo attraverso diverse vie. In primo luogo questi elementi in traccia si trovano naturalmente nei suoi; ma numerose sono le fonti antropiche: attività industriali, traffico veicolare, incenerimento dei rifiuti, impianti di riscaldamento domestico, pratiche agricole, utilizzo di acque con bassi requisiti di qualità, ecc. Questo fa capire come una semplice analisi del contenuto totale o pseudo - totale di metalli pesanti nel suolo non riesca a rispondere alla domanda su quale si la fonte di provenienza di queste sostanze. Il metodo di monitoraggio integrato suolo- pianta è stato applicato a due diversi casi di studio. Il primo denominato “Progetto per il monitoraggio e valutazione delle concentrazioni in metalli pesanti e micro elementi sul sistema suolo - pianta in aree urbane adibite a verde pubblico dell’Emilia – Romagna” ha permesso di valutare l’insorgenza di una diminuzione della qualità dell’ecosistema parco urbano causata dalla ricaduta di metalli pesanti aerotrasportati, in tre differenti realtà urbane dell’Emilia Romagna: le città di Bologna, Ferrara e Cesena. Le città presentano caratteristiche pedologiche, ambientali ed economico-sociali molto diverse tra loro. Questo ha permesso di studiare l’efficienza del metodo su campioni di suolo e di vegetali molto diversi per quanto riguarda le aliquote di metalli pesanti riscontrate. Il secondo caso di studio il “Monitoraggio relativo al contenuto in metalli pesanti e microelementi nel sistema acqua-suolo-pianta delle aree circostanti l’impianto di termovalorizzazione e di incenerimento del Frullo (Granarolo dell’Emilia - BO)” è stato invece incentrato sulla valutazione della qualità ambientale delle aree circostanti l’inceneritore. Qui lo scenario si presentava più omogeneo dal punto di vista pedologico rispetto al caso di studio precedente, ma molto più complesso l’ecosistema di riferimento (urbano, extra-urbano ed agricolo). Seppure il metodo suolo-pianta abbia permesso di valutare gli apporti di metalli pesanti introdotti per via atmosferica, non è stato possibile imputarne l’origine alle sole emissioni prodotte dall’inceneritore.

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L’imballaggio alimentare si può definire come un sistema coordinato per disporre i beni per il trasporto, la distribuzione, la conservazione, la vendita e l’utilizzo. Uno dei materiali maggiormente impiegati, nell’industria alimentare, per la produzione di imballaggi sono le materie plastiche. Esse sono sostanze organiche derivanti da petrolio greggio, sono composti solidi allo stato finito, ma possono essere modellate allo stato fluido. Un imballaggio alimentare deve svolgere determinate funzioni tra cui: - contenimento del prodotto - protezione del prodotto da agenti esterni - logistica - comunicativa - funzionale - ecologica L'ultimo punto sopracitato è il principale problema delle materie plastiche derivanti dal petrolio greggio. Questi materiali sono difficilmente riciclabili perché spesso un imballaggio è composto da più materiali stratificati o perché si trova a diretto contatto con gli alimenti. Inoltre questi materiali hanno un lungo tempo di degradazione (da 100 a 1000 anni) che ne rendono difficile e costoso lo smaltimento. Per questo nell’ultimo decennio è cominciata la ricerca di un materiale plastico, flessibile alle esigenze industriali e nel contempo biodegradabile. Una prima idea è stata quella di “imitare la natura” cercando di replicare macromolecole già esistenti (derivate da amido e zuccheri) per ottenere una sostanza plastico-simile utilizzabile per gli stessi scopi, ma biodegradabile in circa sei mesi. Queste bioplastiche non hanno preso piede per l’alto costo di produzione e perché risulta impossibile riconvertire impianti di produzione in tutto il mondo in tempi brevi. Una seconda corrente di pensiero ha indirizzato i propri sforzi verso l’utilizzo di speciali additivi aggiunti in minima misura (1%) ai classici materiali plastici e che ne permettono la biodegradazione in un tempo inferiore ai tre anni. Un esempio di questo tipo di additivi è l’ECM Masterbatch Pellets che è un copolimero di EVA (etilene vinil acetato) che aggiunto alle plastiche tradizionali rende il prodotto finale completamente biodegradabile pur mantenendo le proprie caratteristiche. Scopo di questo lavoro di tesi è stato determinare le modificazioni di alcuni parametri qualitativi di nettarine di Romagna(cv.-Alexa®) confezionate-con-film-plastici-tradizionali-e-innovativi. I campioni di nettarine sono stati confezionati in cestini in plastica da 1 kg (sigillati con un film flow-pack macroforato) di tipo tradizionale in polipropilene (campione denominato TRA) o vaschette in polipropilene additivato (campione denominato BIO) e conservati a 4°C e UR 90-95% per 7 giorni per simulare un trasporto refrigerato successivamente i campioni sono stati posti in una camera a 20°C e U.R. 50% per 4 giorni al fine di simulare una conservazione al punto vendita. Al tempo 0 e dopo 4, 7, 9 e 11 giorni sono state effettuate le seguenti analisi: - coefficiente di respirazione è stato misurata la quantità di CO2 prodotta - indice di maturazione espresso come rapporto tra contenuto in solidi solubili e l’acidità titolabile - analisi di immagine computerizzata - consistenza della polpa del frutto è stata misurata attraverso un dinamometro Texture Analyser - contenuto in solidi totali ottenuto mediante gravimetria essiccando i campioni in stufa sottovuoto - caratteristiche sensoriali (Test Accettabilità) Conclusioni In base ai risultati ottenuti i due campioni non hanno fatto registrare dei punteggi significativamente differenti durante tutta la conservazione, specialmente per quanto riguarda i punteggi sensoriali, quindi si conclude che le vaschette biodegradabili additivate non influenzano la conservazione delle nettarine durante la commercializzazione del prodotto limitatamente ai parametri analizzati. Si ritiene opportuno verificare se il processo di degradazione del polimero additivato si inneschi già durante la commercializzazione della frutta e soprattutto verificare se durante tale processo vengano rilasciati dei gas che possono accelerare la maturazione dei frutti (p.e. etilene), in quanto questo spiegherebbe il maggiore tasso di respirazione e la più elevata velocità di maturazione dei frutti conservati in tali vaschette. Alimentary packaging may be defined as a coordinate system to dispose goods for transport, distribution, storage, sale and use. Among materials most used in the alimentary industry, for the production of packaging there are plastics materials. They are organic substances deriving from crude oil, solid compounds in the ended state, but can be moulded in the fluid state. Alimentary packaging has to develop determinated functions such as: - Product conteniment - Product protection from fieleders agents - logistic - communicative - functional - ecologic This last term is the main problem of plastic materials deriving from crude oil. These materials are hardly recyclable because a packaging is often composed by more stratified materials or because it is in direct contact with aliments. Beside these materials have a long degradation time(from 100 to 1000 years) that make disposal difficult and expensive. For this reason in the last decade the research for a new plastic material is begin, to make industrial demands more flexible and, at the same time, to make this material biodegradable: At first, the idea to “imitate the nature” has been thought, trying to reply macromolecules already existents (derived from amid and sugars) to obtain a similar-plastic substance that can be used for the same purposes, but it has to be biodegradable in about six months. These bioplastics haven’t more success bacause of the high production cost and because reconvert production facilities of all over the wolrd results impossible in short times. At second, the idea to use specials addictives has been thought. These addictives has been added in minim measure (1%) to classics plastics materials and that allow the biodegradation in a period of time under three years. An example of this kind of addictives is ECM Masterbatch Pellets which is a coplymer of EVA (Ethylene vinyl acetate) that, once it is added to tradizional plastics, make final product completely biodegradable however maintaining their own attributes. The objective of this thesis work has been to determinate modifications of some Romagna’s Nectarines’ (cv. Alexa®) qualitatives parameters which have been packaged-with traditional and innovative-plastic film. Nectarines’ samples have been packaged in plastic cages of 1 kg (sealed with a macro-drilled flow-pack film) of traditional type in polypropylene (sample named TRA) or trays in polypropylene with addictives (sample named BIO) and conservated at 4°C and UR 90-95% for 7 days to simulate a refrigerated transport. After that, samples have been put in a camera at 20°C and U.R. 50% for 4 days to simulate the conservation in the market point. At the time 0 and after 4, 7, 9 and 11 days have been done the following analaysis: - Respiration coefficient wherewith the amount CO2 producted has been misurated - Maturation index which is expressed as the ratio between solid soluble content and the titratable acidity - Analysis of computing images - Consistence of pulp of the fruit that has been measured through Texture Analyser Dynanometer - Content in total solids gotten throught gravimetry by the drying of samples in vacuum incubator - Sensorial characteristic (Panel Test) Consequences From the gotten results, the two samples have registrated no significative different scores during all the conservation, expecially about the sensorial scores, so it’s possible to conclude that addictived biodegradable trays don’t influence the Nectarines’ conservation during the commercialization of the product qualifiedly to analized parameters. It’s advised to verify if the degradation process of the addicted polymer may begin already during the commercialization of the fruit and in particular to verify if during this process some gases could be released which can accelerate the maturation of fruits (p.e. etylene), because all this will explain the great respiration rate and the high speed of the maturation of fruits conservated in these trays.

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Il calcestruzzo è uno dei materiali più utilizzati nell’edilizia, ma il meno sostenibile. Per la sua produzione vengono sfruttate elevate quantità di risorse naturali non rinnovabili con un impatto ambientale non trascurabile, sia per le sostanze emesse in atmosfera, sia per le macerie derivate post utilizzo. L’ingresso nel XXI secolo ha segnato definitivamente l’affermazione del concetto di sviluppo sostenibile nei riguardi di tutti i processi produttivi dei beni, che devono essere necessariamente strutturati secondo una logica di risparmio energetico e di controllo della produzione di scorie e rifiuti, prevedendone un loro riutilizzo in altri settori, o un loro smaltimento senza provocare danni all’ambiente. Anche l’industria del cemento e del calcestruzzo è chiamata a svolgere il proprio ruolo per contribuire ad un miglior bilancio ecologico globale, indirizzando la ricerca verso possibilità d’impiego di materiali “innovativi”, che siano in grado di sostituire parzialmente o totalmente l’uso di materie prime non rinnovabili, tenendo conto dell’enorme richiesta futura di infrastrutture, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Negli ultimi anni si sta sempre più affermando il potenziale del riciclo dei materiali ottenuti dalla demolizione di edifici (C&DW – Construction and Demolition Waste), questo dovuto anche a politiche di gestione dei rifiuti che incentivano il risparmio, il riutilizzo, il riciclo e la valorizzazione dei beni. I calcestruzzi con aggregati di riciclo sono generalmente suddivisi in due macrogruppi: quelli ottenuti da aggregati di riciclo di solo calcestruzzo (RCA – Recycled Coarse Aggregate) e quelli da aggregati da demolizione totale (MRA – Mixed Recycled Aggregate) che però contengono molte impurità. Come anche uno può subito pensare gli aggregati riciclati hanno delle proprietà diverse da quelli naturali, questi contengono oltre l’aggregato naturale anche il legante coeso, polveri di laterizio, vetro, ceramica, plastica eccet., i quali offrono una miscela ricca di cloruri, solfati, silice amorfa ed altri componenti dannosi per la nuova miscela di calcestruzzo. In presenza di questi prodotti, gli aggregati non solo non soddisfano i requisiti chimici, ma influiscono negativamente anche sulle proprietà fisico-meccaniche del calcestruzzo. Per questo vedremmo in questa tesi tramite un accurata analisi degli aggregati, e del loro “contributo” per il corretto comportamento del calcestruzzo, leggendo criticamente come le normative regolano i requisiti che gli aggregati debbono soddisfare, vedendo le varie possibilità di riutilizzo dei materiali di riciclo da demolizione. La tesi mira all'incentivo dei materiali da riciclo, come scelta sostenibile per il futuro dell'edilizia. E' stato calcolato che la produzione totale di macerie da demolizione nel mondo, non supera il 20% in massa degli aggregati che vengono utilizzati per la produzione del calcestruzzo nei paesi sviluppati. Dai vari studi è stato valutato in media che col solo 20% di riciclato sostituito, le caratteristiche del calcestruzzo indurito cambiano di poco dal normale miscelato con aggregati naturali; ovviamente se gli aggregati da riciclo sono stati selezionati e sottoposti ai vari test delle norme europee standardizzate. Quindi uno può subito pensare in linea teorica, tralasciando i costi di gestione, trasporto eccet. , che basta utilizzare per ogni metro cubo di calcestruzzo 20% di riciclato, per rispondere allo smaltimento dei rifiuti da C&D; abbassando cosi i costi degli inerti naturali, sempre parlando di economie di scala. Questo è in linea teorica, ma riflette un dato rilevante. Nel presente lavoro si partirà da una veloce lettura sul comportamento del calcestruzzo, su i suoi principali costituenti, concentrandoci sugli aggregati, analizzandone le sue proprietà fisico-meccaniche, quali la granulometria, la resistenza meccanica e la rigidezza, valutando l’importanza dei legami coesivi tra aggregato alla pasta cementizia. Verranno inoltre analizzate le azioni deleterie che possono instaurarsi tra aggregato di riciclo e pasta cementizia. Dopo aver visto le varie politiche sulla gestione dei rifiuti, la legislazione passata e presente sull’uso dei materiali riciclati, si analizzeranno vari studi sulle proprietà fisico-meccaniche dei calcestruzzi con aggregati di riciclo seguiti da università e poli di ricerca internazionali. Se gli aggregati di riciclo sono selezionati con metodo, in presenza di piani di gestione regionale e/o nazionale, è possibile soddisfare le prestazioni richieste del calcestruzzo, nel rispetto delle politiche di sostenibilità economico-ambientali. Può essere il calcestruzzo riciclato una scelta non solo sostenibile, ma anche economica per il settore edile? Si può avere un calcestruzzo riciclato ad alte prestazioni? Quali sono le politiche da mettere in atto per un mercato di produzione sostenibile del riciclato? Questo e molto altro verrà approfondito nelle pagine seguenti di questa tesi.

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Nel corso del tirocinio di tesi si sono studiate nuove metodologie per la produzione di enzimi idrolitici per matrici lignocellulosiche vegetali di scarto. In primis è stato valutato un nuovo metodo di produzione enzimatica utilizzando il fungo basidiomicete Pleurotus ostreatus all’interno di un fermentatore in stato solido (SSF) movimentando periodicamente il substrato mediante un'estrusione meccanica e confrontando i risultati con esperimenti analoghi ma privi di estrusione. In seguito si è valutata l’attività enzimatica prodotta dal fungo Agaricus bisporus (il comune Champignons) cresciuto tramite una fermentazione in stato solido priva di qualsiasi movimentazione. Infine gli estratti enzimatici ricavati dalle prove precedenti sono stati utilizzati allo scopo di idrolizzare matrici vegetali di scarto provenienti dall’industria cerealicola e viti-vinicola. I risultati del lavoro risultano promettenti e si osserva come sia gli estratti ricavati da fermentazioni su stato solido dinamiche (con Pleurotus) che quelle su stato solido statiche (con Agaricus) sono in grado di favorire l’idrolisi e la degradazione delle matrici vegetali favorendo la fuoriuscita di componenti di interesse come zuccheri riducenti e polifenoli.